venerdì 31 dicembre 2010

Super Size Me

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Documentario dove lo stesso Morgan si sottopone ad una tortura che solo ad enunciarla mi fa sboccare l'anima: mangiare per un intero mese solo ed esclusivamente cibo McDonald's, colazione, pranzo e cena.

Check-up completi in continuo, uno prima di iniziare la vomitevole dieta e poi uno a settimana. Morgan è sanissimo all'inizio, poi inizierà ad ingrassare, ad avere valori nel sangue terribili e ad una settimana dal termine tutti gli sconsiglieranno di proseguire, si sta distruggendo anzitutto il fegato, oltre al sovrappeso. Impiegherà oltre 1 anno a tornare quasi alla forma precedente, molto ben curato dalla sua fidanzata, vegetariana ed esperta di alimentazione biologica e disintossicante.
Ispirato dalla causa intentata da 2 ragazze obese alla nota catena di fast-food, Morgan deciderà di fare da prova vivente per il giudice. Non otterrà nulla in questo senso, le ragazze perderanno la causa e non solo, il governo americano emetterà una legge che vieta di far cause di questo tipo alle società alimentari ( tuttora in vigore!!!! ) ma il film non sarà del tutto inutile.

E' un film interessantissimo, inutile dirlo, e non certo perché dimostra quanto fa schifo quella roba, sarebbe come dire che uno ha fatto un bel documentario per dimostrare che se ti butti in una vasca piena di coccodrilli probabilmente ti mangiano. Ovvietà, anche se i risultati medico clinici hanno superato le peggiori previsioni pure dei medici che hanno seguito Morgan! Diciamo che il coccodrillo a fine pasto ha fatto il ruttino, bevuto un caffé con l'ammazza e fumato una sigaretta.
Quello che è interessantissimo è l'indagine completa sul fenomeno dei fast-food. Il marketing bastardo che punta ai figli, le falsità promulgate sulla salubrità dei loro cibi, il convincere il cliente a prendere di più perché con pochi centesimi aggiunti mangia molto di più (è l'opzione Super Size di ogni menù, abolita da MCD dopo il film), la falsa convenienza che porta persino le scuole a fornire mangiare preconfezionato di quel genere. Tante cose. C'è un personaggio (che ha dato le dimissioni dopo il film, n.b.) che avrebbe ben figurato nel film "Thank You for Smoking" nel gruppo MDM: è il portavoce della lobbie dell'industria alimentare.

Guardate questo film, lo consiglio, un po' inquietante ma utile proprio per questo. Qualche problemino di peso e vizi vari non mi manca, e ci sto facendo più di un pensiero a darmi una regolata, ma non confondiamo la combinata libidinosa (ne cito una di quelle invernali che adoro) Zampone + Lenticchie + Mostarda + Amarone con quella merda però! Ingrasso anch'io, ma con una certa classe...

Piccola nota personale, aggiungo benzina al fuoco del film:
Anni fa rimasi scandalizzato dopo aver letto in un fantastico libro di antropologia alimentare, "Buono da mangiare" di Marvin Harris, che con l'hamburger si codificò la possibilità di mangiare un prodotto di carne composito i cui ingredienti potessero provenire da animali diversi. Nei casi peggiori le industrie americane compravano bovini a basso costo in giro per il mondo, persino dall'India, e mischiavano le carni con la sola parte grassa delle loro bestie cresciute a granoturco, e tutto questo a norma di legge.
Hamburger: carne da-chissà-dove-cazzo + grasso americano. Nota bene, solo da loro è permesso, in Italia, almeno fino al tempo in cui lessi il libro (1992) non lo era e da noi la "bistecca svizzera", così io la chiamavo, era carne macinata da un unico pezzo di carne.
Mi bastò questo per mettere all'indice e boicottare personalmente i fast-food.

Non male come recensione prima di affrontare il Cenone di fine anno, che ne dite, sono abbastanza sadico e bastardo? Non l'ho visto oggi questo film, ma l'ho postdatato appositamente. Meditate quando affonderete le ganasce su cotechini, lasagne, affettati, crostacei in salsa, formaggi, frutta secca, trionfi di burro ed uova come panettoni e pandori. E' roba buona, ma il colesterolo è colesterolo, causa maggiore d'infarti ed ictus, indipendentemente dal cibo da cui proviene.
A riguardo del cibo non predico, sia chiaro, e razzolo molto. Evito come la peste esami del sangue, secondo il buon detto: occhio non vede, cuore non duole. E poi, per dirla tutta, con un pensiero al fatal giorno: che me frega de mori' sano come un pesce? Che la morte mi trovi impreparato!

AUGURI A TUTTI !!!
CHE IL 2011 VI SIA FAVOREVOLE: SALUTE QUANTO BASTA E PIATTO SEMPRE IN TAVOLA.

giovedì 30 dicembre 2010

Una sull'altra - Perversion story

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George è proprietario di una clinica a San Francisco, che gestisce insieme al fratello. Sua moglie Susan, malata e in pessimi rapporti con lui, muore in strane circostanze e si scopre che aveva stipulato un'assicurazione sulla vita, della quale George è beneficiario. Partono delle indagini dell'assicurazione che presto porteranno a chiamare la polizia.


Troppi gli indizi che rendono sospetto George, anzitutto la polizza, poi il fatto che ha un'amante stabile, una fotografa. Nemmeno il tempo del funerale e lo vedono in un locale di spogliarelli fare amicizia con una certa Monica, che capelli ed occhi a parte è copia conforme di Susan, cosa che sconvolgerà George. A casa di Monica si rinverranno prove che faranno apparire i 2 neo-amanti complici e dopo che... ma anche che... George rischierà la camera a gas, ma devo fermarmi, siamo nemmeno a metà film solo che partirebbero spoiler a raffica, un peccato che non voglio accollarmi.


Giallo raffinato un po' noir, alla Alfred Hitchcock, con tante immagini suggestive ed accompagnato da una musica "stilosissima" jazz orchestrale composta e diretta da un grande dimenticato, Riz Ortolani, e poi c'è una quantità di gnocca spaventosa!, mica la roba fatta e rifatta di oggi ritoccata da chirurghi e post-produzioni, donne vere tutta natura sprizzante feromoni. Nella prima metà del film ci saranno un tot di scene che faranno schizzare il testosterone, ma anche per chi produce progesterone ci saranno stimoli adeguati. Il film fu vietato ai minori prima, poi addirittura ritirato per oscenità, costringendo Fulci ad operare dei tagli per farlo tornare nelle sale dove ebbe nonostante ciò un ottimo successo. Fortunatamente dal 2006, col titolo "Perversion story", è disponibile una versione in dvd totalmente priva dei tagli ed è quella da vedere.

Per me Fulci è già regista di culto, molto "internazionale" per qualità, e questo film girato negli Stati Uniti ne esalta ulteriormente l'aspetto. Non voglio dire nemmeno che sembra questo o quello, è proprio Fulci, che come Mario Bava solo la censura poteva mettere a freno altrimenti chissà cosa faceva! Lo ha anche scritto il film insieme a Roberto Gianviti, sceneggiatore italiano tra i più eclettici e prolifici.

Bellissimo e imperdibile. Se non lo conoscete proverete il mio stesso stupore: Toh, c'erano italiani che facevano film del genere? stento a crederlo!

Curiosità: anche "Beatrice Cenci", stavolta però in Inghilterra, uscì col titolo Perversion Story. Evidentemente il binomio Fulci-Perversione all'estero ha successo.

mercoledì 29 dicembre 2010

The Plague of the Zombies - La lunga notte dell'orrore

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Fine '800 inizi '900 più o meno in Gran Bretagna, un Sir professore universitario di medicina si reca in Cornovaglia con la figlia, invitato di fatto da una lettera di un giovane medico, a suo tempo allievo d'eccellenza, disperato per le numerosi morti inspiegabili che avvengono nel piccolo paese che presidia. La stessa moglie del giovane medico manifesta strani comportamenti...

Proprio dalla morte della moglie del medico, e da una serie di particolari fatti ad essa collegati, partiranno analisi che condurranno il pur pragmatico professore, dotato però di cultura ad ampio spettro, a sospettare in riti stregoneschi voodoo e ai zombie. Si scoprirà che le tombe di tutti i morti recenti sono vuote e si arriverà presto alla casa del misterioso conte che comanda la contea, personaggio sinistro, circondato da un gruppo di giovani molto poco amichevoli nei modi. Il conte poi è proprietario di una vecchia miniera di stagno, molto ricca come giacimento ma abbandonata da tempo: per i numerosi incidenti in passato nessuno s'era più reso disponibile a lavorarci.

Ho trovato il film spettacolare come horror, gotico ma con ritmo affatto lento e con qualche succoso tocco di gore che non guasta. La trama poi è di eccellenza logico-consequenziale. Veramente molto ben fatto, horror e thriller insieme. Finale d'azione fantastico, che insieme alle cerimonie tambureggianti, alcune scene veramente "da paura" e qualità già dette pone il film tra i miei Cult inevitabilmente.

Il ruolo degli zombie, lo si capirà presto quindi non temete, non è questo un gran spoiler, è ancora quello di manovalanza muta e ubbidiente a costo zero, sostanzialmente schiavi. Siamo nella casistica del primo film di genere, "White Zombie", anche se, per la precisione e la sostanza, mentre nell'altro film lo stregone pareva utilizzare un telecomando, qua la situazione ricorda molto di più i disgraziati costretti a vita a remare sulle galere romane.

Sempre più curioso di affrontare Romero ormai, sarà il prossimo, e intanto mi chiedo: ma questi zombie non si ribellano mai? Domanda contraddittoria, perché i "morti ma vivi" non hanno anima e quindi nemmanco volontà, però se gli venisse fuori un briciolo di questa cosa succederebbe? Sono molto contento della scelta di affrontare il genere dalle origini. Alla prossima.

Segnalato da occhio sulle espressioni. Per la verità consigliato da molti, volevo però cogliere l'occasione per linkare il bel blog dell'amico "occhio".

martedì 28 dicembre 2010

San Babila ore 20: un delitto inutile

25

Secondo poliziottesco della mia rassegna sul genere, ancora di Carlo Lizzani già eletto tra i miei miti, stavolta lo metto non nei cult ma nell'Olimpo, questo film m'è piaciuto da morire!

Riporto i fatti d'ispirazione storica del film da wiki: "La storia nasce da un'idea di Carlo Lizzani e Mino Giarda. Si tratta di un fatto di cronaca realmente accaduto a Milano il 25 Maggio del 1975: l'uccisione di Alberto Brasili in via Mascagni, non lontano da piazza San Babila, ad opera dei neo-fascisti Antonio Bega, Enrico Caruso, Giorgio Nicolosi, Pietro Croce e Giovanni Sciavicco (quest'ultimo 17enne). La sceneggiatura fu scritta da Lizzani e Giarda insieme ad Ugo Pirro."
Quindi, come per "Banditi a Milano", si tratta di un film di fatto coevo a quanto racconta.

Chi è nato e/o cresciuto a Milano negli anni '70 non può non ricordare cosa e chi erano i "sanbabilini". All'epoca io avevo quasi 10 anni, non ho memoria del fatto di cronaca ovviamente, ma la fama dei neofascisti (e pure neonazisti, diciamolo chiaramente) del bar Sundown di piazza San Babila arrivava persino a noi bambini dell'hinterland. Io già "azzardavo" giri a Milano (nel 76, 77), con coetanei, era un viaggio allora da casa mia arrivare in centro, 7 km lunghissimi che ora con la metropolitana si percorrono in 15'. Ogni volta c'era quasi il terrore negli occhi dei miei genitori, non scherzo, tafferugli e casini più o meno grandi erano quasi all'ordine del giorno e se c'era un posto dove non bisognava proprio andare era San Babila; quindi Duomo, Galleria, P.zza della Scala, Sforzesco, tutta quell'area ok, ma già inforcare C.so Vittorio Emanuele, o C.so Europa, P.zza Fontana era un azzardo.

San Babila era nota a tutti, forze dell'ordine comprese. Queste ultime però quasi mai intervenivano, erano estremamente tolleranti con quella gente, salvo quando sforavano nella criminalità comune, allora venivano perseguiti, per il resto, il loro molestare chiunque anche solo somigliasse a un "rosso", fare svastiche sui negozi dai nomi ebraici, spaccare i motorini fuori dalle "scuole di sinistra", sembrava considerato un servizio di ordine pubblico da chi l'ordine avrebbe dovuto mantenerlo invece, e per tutti senza distinzioni. Questo aspetto il film lo illustra benissimo, in tanti momenti.

Molte le protezioni politiche ed all'interno di polizia e carabinieri per loro, non c'è da stupirsi. Inevitabile che la sfrontatezza ed il senso d'impunità potessero portare alcuni di loro a "sforare", come fu in questo caso. Terminato un breve prologo, il film racconterà una sola giornata dei 4 invasati, 2 studenti e 2 più adulti, uno solo di loro di origini meridionali e non proprio benestante, gli altri figlioli dell'alta borghesia milanese. Un solo pensiero: accanirsi su gente di sinistra, ebrei, chiunque, per usare le loro parole, appartiene agli "inferiori". Ne faranno di ogni nell'arco della giornata, ma la più importante, un attentato con bomba ad una sede sindacale, fallirà per la paura che ha impedito ad uno di loro, sottoposto ad una specie di iniziazione, di accendere la miccia. Scatta una molla la sera, il ragazzo che ha fallito deve dare una prova di fascistitudine inequivocabile, allora fuori dal solito bar vedono una coppietta immediatamente etichettata come "rossi" e comincia la caccia...

Sapevo di cosa trattava il film, non pensavo lo facesse con tale e tanta ricchezza di dettagli (non mancano riferimenti a molti eventi precedenti, come la vicenda di Pinelli), mi sono ritrovato decisamente impreparato proprio dal punto di vista psicologico. Il ritratto di questi 4 fanatici lascia esterrefatti, il peggio di quello che potevo pensare di gente come loro è stato superato alla grande. Esibizione di fede fascista e nazista che, perlomeno per chi non la condivide come me, prende lo stomaco. Film di grandissimo realismo, realizzato con buona parte di attori non professionisti, con scene girate nel vivo di vere manifestazioni e durante la ripresa delle stesse alcuni passanti si sono uniti spontaneamente facendo sorgere risse che le forze dell'ordine hanno dovuto sedare, è pazzesco ma quegli anni erano così!

Film da Olimpo, mi ripeto volentieri.
Preparate una camomilla prima del finale, c'è un inseguimento da cardiopalma.

lunedì 27 dicembre 2010

Il prefetto di ferro

21

Non si studia a scuola la figura di Cesare Mori, come non si studia, al massimo qualche citazione, ciò che fu il ventennio fascista in Italia. Fu un personaggio di spicco, non per fede fascista ma per altissimo senso dello stato, da ricordare per diversi motivi, poco noto per altri.

Il film, semplicemente eccezionale, ripeto: ECCEZIONALE !!, parla di lui e dell'incarico di Prefetto di Palermo, onorato, come da nessuno prima e dopo di lui, dal 2 giugno 1924 al 12 ottobre 1925. Poco più di un anno bastarono a generare un mito la cui fama si diffuse nel mondo, ma anche ad arrivare alle alte gerarchie dello stato colluse, tanto da indurre mussolini a nominarlo senatore pur di farlo tornare a Roma ed interrompere la sua opera. Leggete la storia di questo friulano, cresciuto in un brefotrofio, studioso, con Senso dell'Onore, non l'onore di mafiosi e briganti, quelli che ha combattuto, ma l'Onore degli uomini che credono fermamente in istituzioni, stato di diritto, pari dignità di tutti.

Non lo nego, ho pensato, durante l'intera visione, a due uomini, i soli che ricordo paragonabili a lui per integrità e ruoli: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quanto avrebbero fatto questi 2 grandi uomini se avessero avuto i poteri straordinari messi a disposizione, almeno fino a quando gli han permesso di agire, al Prefetto Mori? Molto di più anche se non gli avrebbero garantito la sopravvivenza, lo stesso Mori scampò per una somma di fortuna ed astuzia personale ad un attentato.

Questo film ha un solo "difetto": è stato realizzato da Pasquale Squitieri. Nota bene che ho messo le virgolette, perché il difetto presunto starebbe nella dichiarata appartenenza politica del regista alla destra. Non me ne frega nulla personalmente, ma parliamone: chi altro avrebbe potuto fare questa storia? Mori per quanto eroico (e già qua molti avrebbero da dire su questo, non io) fu ed è una figura scomoda, che nessuno, da ambo le sponde politiche, vuole più di tanto ricordare. Squitieri, che certamente ne ha sottolineato la personalità anche con qualche enfasi mai però inutile, non ha risparmiato nulla ai fascisti beceri del tempo, sia a quelli che da parassiti di fama cavalcarono i successi di Mori rendendoli propri, sia a quelli che si dimostrarono un tutt'uno coi mafiosi. So di persone che, prevenute, non l'hanno nemmeno guardato questo film, è un comportamento stupido che non condivido. So anche di persone che tutt'oggi, nostalgici del fascismo, sostengono che solo nel ventennio la mafia venne sconfitta, sono ignoranti, a loro bastino le ultime parole di Mori prima di partire da Palermo: "Mi sento come un chirurgo che ha operato a metà; che ha fatto soffrire e non ha guarito. Di me i siciliani ricorderanno solo la sofferenza...", e se non credono a quel "comunista" di robydick si fidino almeno di Squitieri.

Forse ne ha anche un secondo di difetto: dura poco. Quasi 2 ore per una storia così importante sono ragionevoli per arrivare a tutti ma c'era motivo, approfondendo di più qualche avvenimento, di fare un kolossal di almeno 3 ore. Anche in qualche scena un po' di comparse in più... Costumi e luoghi sono stati ottimamente riprodotti considerato il budget palesemente non infinito. Non un difetto quindi, ma altri complimenti al regista. Le Scene Madre, nel film e nella vicenda di Mori a Palermo, l'assedio di Gangi per stroncare il covo del brigantaggio, sono notevolissime nonostante tutto.

Devo darmi un freno, qua rischio di scrivere un romanzo. Ci sono tante di quelle frasi, citazioni, situazioni da analizzare una ad una volendo, compresa la condizione di vita dei siciliani al tempo, che non è stata trascurata. Mi concentro solo su una frase e poi chiudo, quando Mori dice sostanzialmente che le persone devono avere più paura dello stato che di mafiosi e briganti. Senza aver visto la storia può essere male interpretata, occorre pensare che da quel che si vede bene, le costanti della popolazione erano la Fame e la Paura e che non si riusciva mai a concludere un processo contro i mafiosi, nonostante se ne facessero, perché nessuno osava testimoniare. Mori puntò su una presenza delle forze dell'ordine capillare, si occupò persino delle cure mediche e dell'istruzione, non tralasciò nulla, l'obiettivo era far capire, e qui sta il senso di quell'affermazione, che lo stato era più forte della mafia. Usò anche metodi poco ortodossi, a Gangi per stanare i briganti dai nascondigli tagliò la fornitura d'acqua, l'ingresso nel paese fu una battaglia vera e propria, cose che gli procurarono la fama di Prefetto di Ferro e qualche grana, ma fu efficace, durissimo ma efficace!

Film da vedere obbligatoriamente, Storia da conoscere.
Non so cosa ne dicano i critici importanti, per me è nell'Olimpo.
Non è un'apologia del fascismo, manco per niente! Anzi, del fascismo è estremamente critico, critica tanto più credibile proprio per il nome del regista che l'ha realizzato. E' l'Apologia di Cesare Mori al limite, e dal mio punto di vista è un personaggio che la merita.

C'è una domanda alla quale non so rispondere compiutamente, non sono il solo a porsela: può, un sistema democratico e garantista, sconfiggere un fenomeno criminale come la mafia, camorra, ndrangheta e affini? Io penso di sì, ma non con i metodi alla luce del sole. Se i cosiddetti servizi segreti fossero veramente al servizio dello stato e non quello che sono, con metodi "alla Mori" l'avrebbero fatta a pezzi da molto. La cosa allucinante è che si sa chi sono, li conosciamo tutti, sappiamo dove abitano, si nascondono, che interessi gestiscono. Perché non li prendiamo allora, anche braccandoli? Bisogna rendergli la vita impossibile! Gangi sia da esempio. Certo, se stai lì a chiedere mandati, permessi, sequestri, carte bollate, mentre che si muove l'apparato quegli infami spariscono dalla circolazione. Mori diceva "siamo in guerra", era la sua metafora per far capire, a tutti, suoi collaboratori e suoi nemici, che doveva venir fuori un solo vincitore, che stato e mafia non possono coesistere e bisognava batterli, umiliarli, far comprendere che lo stato avrebbe provveduto ai bisogni ed alla sicurezza della gente e non loro. Ma come fai se, nel frattempo che tu, uomo qualsiasi, fai una denuncia, aspetti le indagini, che vengano trovate prove, quelli ti perseguitano e magari ti ammazzano?

La sola risposta che ho è: ci vorrebbe un Procuratore Antimafia di Ferro, e uno stato alle spalle governato da gente perbene e molto decisa. Oggi siamo agli antipodi di un simile scenario, soprattutto sul fronte stato e politici che lo rappresentano, impossibile possa emergere un simile Procuratore. Questo è il testo del telegramma inviato da mussolini a Mori, preso da wiki: «vostra Eccellenza ha carta bianca, l'autorità dello Stato deve essere assolutamente, ripeto assolutamente, ristabilita in Sicilia. Se le leggi attualmente in vigore la ostacoleranno, non costituirà problema, noi faremo nuove leggi». La legge non deve essere un ostacolo, ma un supporto! Non sia mai torni a governarci un personaggio simile, ma quanto vorrei che una lettera identica fosse stata inviata in passato ai 2 grandi magistrati alla lotta alla mafia, già nominati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Invece ricevettero ostacoli, critiche, calunnie, e bombe.

domenica 26 dicembre 2010

Giordano Bruno

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Penso mi comprenderete se non mi metto certo io a fare la biografia di un simile personaggio. Prendo qualche pezzo dalla pagina wiki che ne parla, farò poi qualche considerazione sul film:

«È dunque l'universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e perciò infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato e per conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto; non si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o aspettare, atteso che abbia tutto l'essere; non si corrompe perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa; non può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili»
(Giordano Bruno, De la causa, principio et uno, 1584)

Giordano Bruno, al secolo Filippo Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), fu un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano, condannato al rogo dall'Inquisizione cattolica per eresia.
Tra i punti chiave della sua concezione filosofica, che fondeva neoplatonismo e arti mnemoniche con influssi ebraici e cabalistici, la pluralità dei mondi, l'infinità dell'universo ed il rifiuto della transustanziazione. Il suo pensiero presenta un'accentuazione dell'infinitezza divina sconosciuta ai neoplatonismi precedenti. Con notevoli prestiti da Nicola Cusano, Giordano Bruno elabora una nuova teologia dove Dio è intelletto creatore e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma egli è nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia.


Terminate le citazioni, sul film ho da dire solo una parola a giudizio: CULT. Perché è bellissimo e fatto con particolare attenzione, perché ci sono costumi ed impegno di mezzi importanti, perché ci sono attori notevolissimi col "solito" Volonté a giganteggiare come protagonista, ma soprattutto perché (e scado nel personale ma dopotutto questo è e sarà sempre il mio modo di vedere i film) io ho una assoluta venerazione e stima profonda per il personaggio che fu Giordano Bruno, tanto che alla mia prima visita da "adulto" di Roma la sua statua a Campo de' Fiori (a dx l'immagine) fu tappa obbligatoria con tanto di sosta in meditazione!

PARENTESI DA BLOGGER
Giordano, è il secondo nome del mio terzo figlio. Sarebbe dovuto essere il primo per mia ferma volontà, ma poi, con la donna sul letto di sgravio... si sa come vanno certe cose. Il mio, verso di lui, è un amore che risale all'infanzia. Avevo 10 anni quando ne lessi per puro caso, sulla pagina culturale di un giornale. All'epoca ero cattolico praticante, ne chiesi conto al prete, vi risparmio le vacue ed evacuabili risposte, in capo ad una settimana ero diventato un anticristo mangiapreti, pieno di rabbia. Ero un bambino, ora la rabbia la controllo un po' meglio. In ogni caso fu grazie a lui che aprii gli occhi, non sul fatto di avere o meno fede, ma su ciò che fu, che era e, diciamolo!, ancora è la chiesa, con modalità punitive certo diverse ma non meno efficaci nell'influenzare, soprattutto in italia, politica e cultura in modo nefasto!
Ho quindi un debito di gratitudine, che non ho mai onorato con studi approfonditi. Quanto riportato da wiki è una sintesi che mi basta e mi è sempre bastata. La meditazione davanti alla sua statua è semplice: ricordare, ricordare, ricordare...
CHIUSA PARENTESI

Era felice Giordano Bruno a Venezia prima che quel pezzo di merda di Giovanni Mocenigo, malanima la sua e quella dei suoi successori, lo vendesse, complice il senato veneziano, all'inquisizione romana ben sapendo cosa gli sarebbe accaduto. E sono felicissimo io di come il film lo ha ritratto, nemmeno l'avessi scritta io la sceneggiatura, l'avrei fatto esattamente così tranne che forse, tale è il piacere di quell'inizio, l'avrei fatta più lunga, riducendo al limite la descrizione della sua permanenza nelle prigioni vaticane che, lo ammetto, m'han fatto soffrire e rimontare un disprezzo incontenibile per quegli assassini.
A Venezia c'era il Vero Giordano Bruno, filosofo allegro e gioviale, a suo agio con il nobile come con le puttane, e di più con queste ultime e con il popolo in generale. Parlava parimenti con tutti, la sua esposizione era semplice, chiunque compreso chi scrive lo può capire, ammirarne la lineare logica e le perfette metafore reali, basate sulla natura, sul movimento degli astri, sulla bellezza di ogni cosa, dell'ambiente. Una visione globale e locale di tutta la Vita nel senso più esteso del termine, pacifista senza se né ma, e poi anche gran bevitore, goliardico ma mai violento o becero: un uomo fantastico! Un modello di vita per me, e chiudo qua, ne scriverei pagine e pagine di elogi. Ah quanto vorrei vedere un film che mi mostra la sua vita Prima del suo sciagurato rientro in italia, quanto!! Sarebbe pieno di Intelligenza e di Gioia di Vivere!


Non so come si chiama quell'orribile "bavaglio", un uncino che s'infila nella lingua e poi un laccio a stringerlo dietro la nuca. Stava urlando le sue verità prima di essere prelevato per il rogo, non potevano sentirlo evidentemente. Trovo sia un'immagine emblematica, fin troppo chiaro cosa simboleggia, straordinaria. Non ce la faccio quasi a parlarne, mi mette una tristezza che non posso nemmeno esprimere, avevo le lacrime che scendevano durante tutto il finale, un Uomo di tale levatura trattato in quella maniera è terribile perché tutti siamo pari verso la sofferenza fisica, ma qui si tratta di violenza verso la Cultura, il Progresso... una tristezza infinita.



Non posso non citare un altro grandissimo film su un altro grandissimo personaggio italiano, le cui scoperte tra l'altro furono fondamentali anche per la filosofia di Giordano Bruno (che poi non era solo un filosofo, nota bene!): Galileo, della Cavani. Non perdetevelo nemmeno quello! In quella rece, che lascio come l'ho scritta a suo tempo, parlo dell'inutilità della morte di Bruno, però ora, col senno di poi, so che c'ha provato a non morire, solo che aveva capito che ormai ogni sua abiura era inutile e non credibile.

Recensione dedicata ad una cara amica, devo ancora conoscerla personalmente ma abbiamo avuto proficui scambi tramite il web: Zina Crocé, che tra l'altro me ne ha consigliato la visione. Splendida persona, docente liceale ed universitaria, giornalista, saggista, si occupa di critica teatrale, scrive su "Teatro contemporaneo e Cinema", rivista fondata da Mario Verdone, e fa pure altre cose ma quelle che ho elencato sono le sue preferite. Desideravo ospitare il suo nome nel blog, finalmente c'è stata occasione.
Ciao Zina, e... in bocca al lupo per tutto!

edit 27-12-2010: pubblico mail ricevuto da Zina

Beh, devo dire che FB fa conoscere persone veramente “belle” : è il caso di Robydick, mio amico facebookkiano, col quale condivido assolutamente i concetti e le forti emozioni del film di Giuliano Montaldo. Il regista dirige magistralmente un sublime Gian Maria Volontè, solare, vitale, sanguigno, assolutamente intenso. Bruniano, appunto. 
Bruno era filosofo di cultura elevatissima, dotato di profonda sensibilità e di alta ironia, quell’ironia che gli consentiva di dare il giusto “peso” alle situazioni e alle persone, e di essere autenticamente libero, lontano da qualsivoglia sudditanza e ossequio al potere. 
L’unico ossequio che il nolano praticava, con passione assoluta, era quello verso la Filosofia, Amore per la Vita in tutte le sue forme. 
Personalmente, trovo la rappresentazione del “Bruno” di Montaldo di gran lunga migliore di quella –dello stesso filosofo- resa nell’altro film, anche questo bellissimo, citato da Roby, e cioè “Galilei”. Liliana Cavani è regista sublime, però non ha rappresentato in modo incisivo la figura del filosofo di Nola, pur avendo, però – forse per questo ?- tratteggiato in modo superbo la figura di Galileo, nella perfetta interpretazione di Giulio Brogi. 
Roby ha citato a ragion di veduta il film della Cavani : le due opere sono strettamente legate, le trame si intrecciano fortemente per l’affresco d’epoca che offrono allo spettatore nell’evidenziare, in modo drammatico, il conflitto tra chiesa, intesa come spregiudicato esercizio del potere, e Verità, valore sacro qui sacrificato sull’altare sconsacrato, grondante di sangue innocente, della vampiresca ragion di stato della chiesa, che, con lucido cinismo, umilia, tortura, uccide uomini innocenti, che hanno segnato una delle tappe più importanti nel percorso di evoluzione dell’umanità, nell’ottica di “mors tua, vita mea”.
Film-capolavoro, da utilizzare come sussidio didattico nelle scuole, per fare piazza pulita di quelle “menzogne dei millenni” predicate urbi et orbi, e aborrite da un altro grande filosofo demistificante, Friedrich Nietzsche ( a proposito, Roby : ti consiglio la recensione di un altro bellissimo film della Cavani, “Al di là del bene e del male”).
In chiosa : sotto il pontificato di Woytila Galilei è stato riabilitato...., su Bruno grava ancora la scomunica...

sabato 25 dicembre 2010

Pink Flamingos

25
Prefazione fondamentale
Se si desidera leggere quanto segue, farlo fino alla fine per evitare di farsi idee errate su questo film!

Oggi è Natale, un giorno di bontà e letizia, si celebra una fiabesca nascita immacolata, i bambini di tutto il mondo aspettano il barbuto con le renne, si trasmettono e commentano film per l'occasione. Non ho voluto essere da meno e non fatevi ingannare dalla burlona locandina.

Divine, con la mamma anziana disabile che vive in un box per bambini, un'amica orfanella che ha adottato ed il buon figliolo allevatore di polli, è donna pia e gentile. Non ama i riflettori e le attenzioni dei media, solo che le sue ultime buone azioni, in un mondo perverso e crudele, l'hanno posta all'attenzione dell'opinione pubblica, quindi lei e la sua umile e pia famiglia hanno preferito allontanarsi, con discrezione, per andare a vivere in una roulotte rosa, in un luogo fuori mano, sorta di capanna di betlemme scaldata però solo dai pennuti e dall'immenso amore che la pervade.

Una coppia di giovani innamorati che si occupano di aiutare ragazze madri e favorire l'inserimento in famiglie ad alto valore cristiano (meglio se catto-ortodosso) dei figlioletti da esse slupinati, invidiosa del primato di bontà di Divine, ingaggerà con essa una Virtuosa Battaglia a colpi di Virtuose Imprese: faranno campagne contro i gay e i pedofili (categorie da nominare insieme, come detta la chiesa, a ragion veduta ché è esperta di entrambe), distribuiranno cibo ai poveri, denunceranno i giornali di gossip, s'opporranno ad aborto ed inseminazione artificiale (pare che la "meravigliosa" legge 40 in italia si sia ispirata a quest'opera), faranno persino una campagna di sensibilizzazione verso i proprietari dei cani affinché questi la smettano d'imbrattare i marciapiedi con le loro cacchine! Divine provvederà addirittura personalmente, con grazia e dolcezza, a pulire un marciapiede imbrattato.

In un finale Fortemente Evocativo piuttosto che Misticamente Epico anzichenò, la Pace fra i virtuosi rivali Risorgerà, un'apoteosi di buoni sentimenti e modi garbati vi travolgerà e la commozione non avrà freni, le vostre ghiandole lacrimali si apriranno come le cateratte del cielo durante il Diluvio Universale, e non sarete mai più gli stessi, la vostra bocca non conoscerà più cos'è una parolaccia, il vostro cuore si colmerà di purpurea gioia al punto da bastarvi fino al natale prossimo, vivrete un Natale Perenne di Bontà!

Visione consigliatissima, prestare però molta attenzione al bugiardino che segue.

Avvertenze
Si vedranno alcune scene non proprio edificanti secondo il comune pudore, se vogliamo è il male necessario ad apprezzare il bene, ne elenco qualcuna, è bene conoscerle, poi valutate voi se vederlo o meno:
- Una donna grassissima e orribile a vedersi si abbuffa di uova in continuazione, d'ogni forma e misura, con ogni salsa e cottura.
- Un giovane si accoppia con una donna e contemporaneamente con una gallina.
- Un uomo aprirà il soprabito davanti a 2 adolescenti mostrando il pene al quale è appeso un salame.
- Un uomo si masturba, raccoglie il seme con le mani, lo mette dentro una siringa ed infila la stessa nella vagina di una donna incatenata, svuotandola con intenti fecondativi.
- Divine camminerà a lungo con una bistecca in mezzo alle cosce altezza inguine, per insaporirla prima di cuocerla.
- Un uomo viene fatto a pezzi e mangiato senza né cottura né spezie durante una festa.
- una "madre" farà un'amorevole fellatio al figlio
- varie ed eventuali... e la cosa peggiore si vedrà nel finale

Sono "dettagli", ma era giusto evidenziarli.
Io, nonostante l'alto valore Etico, Morale e Religioso dell'opera, per pura prudenza, l'ho messo nella categoria Trash, direi a pienissimo titolo, siamo tra i prodotti di riferimento della stessa.

venerdì 24 dicembre 2010

Banditi a Milano

19
Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Esordio col botto per il Poliziottesco tra le mie recensioni, subito un mio Cult. Questo è tra i primissimi film del genere, di grande successo e clamore. Racconta una vicenda vera, quella della Banda Cavallero, e lo fa quando è ancora calda, solo un anno dopo la tragica rapina al Banco di Napoli in largo Zandonai a Milano.

All'inizio è docu-fiction. Attraverso una video-intervista al commissario Basevi (Tomas Milian) ci viene illustrata tutta la malavita milanese di quegli anni, tutta di stampo meneghino con pure i primi arrivi dalla mafia del sud. C'è di tutto: racket, sfruttamento della prostituzione, bische clandestine, rapimenti. Viene intervistato anche un rapinatore d'altri tempi, ormai scarcerato, che c'informa che "i banditi di una volta non sparavano mai".

Ora invece si spara, e molto. Milano è da tempo bersaglio di rapinatori di banche, gente che viene da fuori. Alle 15, orario di apertura pomeridiano, tutte le pattuglie della polizia sono in allarme, sempre. Il 25 settembre 1967 sarà il giorno della citata rapina, qualcosa andrà storto e la loro fiat 1100 subito individuata sarà protagonista di un inseguimento per il centro della città che lascerà una scia di morti e feriti.

Bestia che film! E con che attori pure! Pietro Cavallero (il solito immenso Gian Maria Volonté) è un capobanda particolare. Il suo gruppo, di 3 a cui si aggiungerà un 17enne solo per quella rapina, è composto da gente di estrema sinistra stufa e disillusa, lui in particolare è colto e motivato, si fa vanto di ciò, mandò persino un comunicato ai giornali poco tempo prima con cui avvisava, in breve, di non frapporre troppe difficoltà per evitare carneficine. Una rivoluzione a suon di rapine in banca, senza sbocchi e lo sa, e quando lo arresteranno si sentono certe risposte che darà ai giornalisti... rischiarono il linciaggio, sia al termine della rapina che dopo l'arresto. Altri attori: Don Backy (complice di Pietro e compagno di una fuga folle), Piero Mazzarella (invalido che aiuterà la cattura ma morirà per infarto poi), Carla Gavrina (farà una telefonata da Lugano che non vi dico), Agostina Belli (ostaggio dopo una rapina), Ray Lovelock (allora giovanissimo, il 17enne della rapina).

Vertiginoso, montaggio sbalorditivo, non esagero. Ho sempre preso sottogamba questo genere, mi devo ricredere e fare penitenza, film d'azione e tensione esemplare e mi spiace dirlo, cari ammerica', ma ha ragione Tarantino ad usarli, questi film, come una Bibbia. Me ne vedrò parecchi, se non vi piacciono rassegnatevi e passate oltre cari amici, a me questo film m'ha accelerato il sangue nelle vene.

E' brutto concludere malinconicamente, ma dopo aver scoperto che eravamo Maestri nell'horror e nel thriller con la rassegna di Mario Bava e con quella in corso di Lucio Fulci (che promette benissimo!), scoprire ora che con Carlo Lizzani e presto anche altri, Di Leo, Castellari, Lenzi, ecc..., eravamo maestri anche nel poliziesco d'azione, nel gangsteristico, chiamateli come volete non è questione di etichette basta capirsi, mi ha messo addosso una tristezza... forza registi italiani, so che ce ne sono, nascosti da qualche parte: emergete, studiatevi i Maestri che siamo affamati di questi film!!

giovedì 23 dicembre 2010

I Walked with a Zombie - Ho camminato con uno zombie

25
Un'infermiera parte dal Canada destinazione l'isola di San Sebastian nelle Indie Occidentali, ai Caraibi. E' stata chiamata per prendersi cura di una donna catatonica, dal marito di lei.

Andrà a fondo al problema, cercherà tutte le cure possibili, pur innamorandosi dell'uomo. Arriverà persino a seguire indicazioni di "medicina alternativa", portando la donna in un luogo nascosto nelle campagne, a tutti noto e che tutti si guardano bene dal frequentare, dove si svolgono riti di stregoneria voodoo. I bianchi sono poco propensi a crederlo, tranne qualcuno, ma secondo i neri la donna è uno zombie e lo è diventata per una vendetta, il marito della donna ha un fratello ed entrambi erano innamorati di lei, una situazione che aveva creato parecchi problemi...

68 minuti ben recitati, più nero che bianco nella fotografia, è il secondo film catalogato nel genere zombie e ancora una volta, come per "White Zombie", una sceneggiatura originale appositamente scritta per il cinema, da Inez Wallace in questo caso. A differenza del già citato predecessore, molti meno zombie e molto più mistero e stregoneria, con suggestive rappresentazioni di danze e riti. Compare in modo più esplicito la famosa bambola voodoo, rappresentazione della persona che si vuole influenzare.
Bello, obbligatorio per un cinefilo che voglia studiare il genere, ci ho individuato alcuni piccoli ed eleganti tocchi di sceneggiatura che vorrei evidenziare e che hanno importante valore considerando l'anno di uscita del film.

Si parla di schiavitù e del dramma che fu. In tutto il film i rapporti tra bianchi (padroni) e neri (servitù) sono sereni e cordiali, eppure si percepisce che tra loro c'è un passato difficilmente cancellabile. Eccezionale un piccolo momento: si sente una donna piangere e poi si viene a sapere che piange perché è nato un bambino. E' retaggio di quei terribili tempi, le donne piangevano una nascita che prevedeva una vita di sola disperazione, mentre erano feste quando uno moriva, per le stesse ragioni. Non dimentichiamo (sono note mie quelle che seguono, non se ne parla direttamente nel film) che i Caraibi ed il Centro America in generale videro le forme di schiavitù più crudeli che si possano immaginare, i neri trattati alla stregua degli animali da stalla quando non peggio. Non avevano diritto nemmeno ad un medico quando malati od infortunati, costava meno abbatterli che farli curare anche perché il cibo fornito ad uno schiavo malato o peggio invalido era considerato sprecato. A curarli erano sempre guaritori e guaritrici, di nascosto dai padroni. La religione cristiana, loro imposta, in qualche modo finì per influenzarli ma più di ogni altro erano i riti africani a sopravvivere nella loro cultura, a dare loro speranza di lenire sofferenze e dolori. Di notte quando potevano si riunivano in luoghi dispersi, di nascosto, e nei rituali trovavano coraggio, momenti di conforto. In questi luoghi nascevano anche le organizzazioni delle rivolte, che erano dei bagni di sangue di violenza inaudita da ambo le parti e venivano preparate religiosamente, i leader erano stregoni che i ribelli consideravano alla stregua di divinità, praticamente invincibili, come degli zombie. Tutto questo c'è in questo piccolo gioiellino, qualche volta in modo espresso, altre lo si sente se si conosce un minimo la storia e la condizione di vita della popolazione nera di quelle terre a noi remote. (un bel modo per conoscere queste storie è leggere un romanzo ben fatto, storico, che ne parla; per citarne uno ad esempio, che ho letto recentemente, consiglio "L'isola sotto il mare" di Isabel Allende).

Zombie comincia per me a diventare sinonimo di elemento di disturbo, soggetti la cui vita non si riesce a spiegare e che pongono chi gli è di fronte ad interrogativi seri sulla natura della vita stessa, su cosa distingue realmente un essere che veramente vive da uno che invece si limita a muoversi, privo di volontà propria. E' un inizio di riflessione, vedremo poi le evoluzioni coi film successivi

mercoledì 22 dicembre 2010

Tetsuo: The Bullet Man

39
Film bramato da tempo (sono un superfan di Shinya Tsukamoto e dei suoi Tetsuo, non aspettatevi una rece obiettiva, poi sono ancora in pieno orgasmo post-visione mentre scrivo), devo ringraziare pubblicamente un grande uomo che permette anche a noi italiani la visione di meraviglie che ci sarebbero altrimenti precluse: ENRICO GHEZZI. Questo film, mai apparso né nei cinema né come dvd qui da noi, è stato trasmesso di recente a Fuori Orario, la notturna filmica di rai tre da lui curata.

Sono trascorsi ben 21 anni dal primo, surreale e leggendario "Tetsuo - The Iron Man" e 19 dal sequel "Tetsuo II - Body Hammer". In tutti questi anni è successo di tutto in campo tecnologico, sia riferito alla cinematografia che alla tecnologia di uso corrente delle persone, inevitabile che questo terzo episodio si evolvesse. Dall'analogico in bianco e nero fuori dal tempo di T1 a questo sofisticato e (in parte) digitale T3 è un gran salto, però non ci sono dubbi, è ancora un Tetsuo!! A mio parere Tsukamoto ha fatto centro, e non era facile. Anche questo quindi tra i miei Cult, come i primi 2.

Come trama siamo più vicini al T2. Uomo con moglie, gli viene ucciso il figlio, sorge una rabbia che grida vendetta e anche la moglie la desidera, vendetta come sola ragione di vita. Quello che la donna non sa è che lui, a causa di questo, comincia a trasformarsi in un uomo-arma di metallo la cui ira lo rende quasi privo di autocontrollo oltre che invincibile e indistruttibile (non può nemmeno suicidarsi, è allucinante!). Nel momento iniziale della metamorfosi l'uomo si reca nella casa natia ad indagare su di sé e scoprirà le ragioni del suo particolare DNA... 50 min di film, non ne rivelo oltre, magari qualcosa coi frame sotto.

E', più ancora di T2, un film a lungo misterioso ma con una serie di eventi "logici" anche se fantascientifici tramite i quali tutto troverà una sua spiegazione. Del T1 emerge una certa nostalgia nel colore quasi inesistente, tante sfumature tra il nero e il bianco pur non essendo un puro b/n, oltre ovviamente al concetto di base dell'uomo che diventa macchina. Sempre del T1 la musica e gli effetti audio, ora molto più "raffinati", da industria pesante, assordanti: consiglio visione ad altissimo volume, vi farete rapire, poi ci vorrà un po' di decantazione per tornare sul pianeta, anche se qualche minuto tranquillo di finale agevolerà l'ammaraggio. Per il resto T1 e T3 sono film lontani, non solo nel tempo. Caratteristica dove invece questo T3 è persino più estremo dei predecessori è la totale assenza di altre forma di vita animale o vegetale ad esclusione dei protagonisti. Tutto è interamente artefatto, tecnico/tecnologico, una scenografia radicalmente antropica.

Scene d'azione senza paragone con null'altro mai visto prima, andrebbero definite d'iper-azione o cyber-azione, richiedono riflessi e reattività da mosche. Ho provato a farlo andare a velocità dimezzata e ugualmente la commistione di corpi, acciaio (e pure cemento e plastica quando presente) è tale da rendere indistinguibile Tetsuo dall'ambiente. Ancora una visione di cyberpun
k da ortodossia, non si viaggia per allegorie o sensazioni, carne e materia inorganica (artificiale) sono in fisica compenetrazione, non c'è compromesso. C'è più consapevolezza che in T1 dove Testsuo era vittima incredula e in T2 dove invece, in qualche modo, c'era anche piacere a disporre di determinati poteri. In T3 Tetsuo comprende la sua natura, le ragioni che l'hanno generata, rifiuta quella condizione e la combatte, semmai sono altri (un personaggio interpretato dallo stesso Tsukamoto) a volerlo sfruttare con fini non proprio umanitari.

Forse T3 è un Testuo più alla portata di tutti, più divulgabile, senza con questo volerlo sminuire perché, sono il primo a dirlo, ancora ancora T2 è digeribile, ma il T1 è per Malati di Cinema (io sono in cura permanente infatti).

Gli dei benedicano e proteggano Tsukamoto, senza fargli dimenticare che nel suo cinema l'ottica della macchina da presa e la fantasia nell'usarla, unita ad un sonoro sempre consono, rimangono ciò che noi, suoi grandi ammiratori, prediligiamo, proteggendolo da "derive digitali" che in questo T3 non sono ancora da appuntare ma in latenza si percepiscono come insidia, e un po' ci preoccupano. Non proprio un campanello d'allarme, solo un auspicio, poi chissà, è talmente bravo questo regista che anche lavorando solo al computer riuscirà a stupirci.

martedì 21 dicembre 2010

Electra Glide in Blue

11
John Wintergreen è un poliziotto motociclista in Arizona ma il suo sogno è diventare detective alla omicidi. Piccolo di statura, in piena efficienza fisica, reduce dal Vietnam, il lavoro sulle sterminate strade nel deserto a far multe gli sta stretto, oltretutto i suoi compagni di lavoro hanno un'indolenza che disapprova, lui invece ci crede in quello che fa.

Arriverà un'occasione, il suicidio del gestore di uno store isolato, che lui capirà per primo essere invece un omicidio. Entrerà nella omicidi, a fianco dell'egocentrico e un po' brutale Harve Poople. Condurranno indagini che porteranno ad una comunità hippy, ad altri personaggi vari. Sarà una delusione cocente, anche tra quei poliziotti troverà poca umanità, e tornerà in sella alla moto...

Solo una breve sinossi, passo la parola a Napoleone Wilson, curatore in primis della categoria Incolti. Consiglio a tutti, se faticano e leggere a video e dispongono di una stampante, di stampare il tutto. Trovate il link per la Stampa sotto, al termine del testo. Fate come volete ma leggetela assolutamente, è una recensione fantastica!

“Già, perché Alan Ladd e io, siamo alti uguali. Voi sapete chi era Alan Ladd…?” John Wintergreen.


“He’s a good cop. On a big bike. On a bad road” Frase di lancio internazionale del film, bellissima.


“Nella vita bisogna pure sognare o no?” John Wintergreen


“Per diventare come uno di quei poliziotti che si vedono nei films, perché io fare il poliziotto lo intendo tutto in un altro modo!” John Wintergreen.


“La solitudine ti ammazza più di una 357 magnum!” John Wintergreen ad Harve Poole.


Ti fai una bella vita sulla tua moto:tu fai le tue ore, poi smonti e ti sei guadagnato il pane. Cosa c’è di più semplice?” Zipper.


“Il mio di sogno Wintergreen? Il mio sogno è un motore più o meno di 1400 di cilindrata montato su un telaio su misura di lega leggera.” Zipper.


Considerato da alcuni, con una descrizione abbastanza “geniale” ma poco corrispondente all’effettiva realtà sostanziale di un film talmente poco “incasellabile” che si presta ben poco a mediocri “classificazioni”, -“Una sorta di “Easy Rider” visto dall’altra “parte”, quella dei tutori dell’ordine, quindi da “destra” in un certo qual modo- , è sicuramente insieme a “Punto zero”(Vanishing point)(’71) di Richard Sarafian, con l’indimenticabile Barry Newman/Kowalski(ma anche il famoso avvocato Petrocelli, tra cinema e tv), il miglior film in assoluto espresso da, e rientrante, nel glorioso e aureo periodo dei road movies americani anni’70.
La triste parabola di vita e di morte,epica, dell’agente John Wintergreen della polizia stradale in motocicletta –la leggendaria Harley Davidson Electra Glide appunto, del titolo- che diventa inarrivabile ballata triste sull’impercorribile distanza che separa sempre i sogni dalla schifosa realtà della vita, un oceano inarrivabile nella sua enormità, rispetto al loro avverarsi.
E la disillusione, l’impotenza, la rassegnazione, che ne derivano. Certo, messa così potrebbe anche sembrare la solita “scoperta dell’acqua calda”, ma è il come, l’ha realizzata e messa in immagini il regista –per di più esordiente - James William Guercio, a fare la differenza, con una padronanza di stile e messa in scena, una chiarezza e maturità d’intenti e idee impressionante, e che impressionò all’epoca tanto continua a impressionare oggi, anche per la programmaticità di essere stata volutamente un’opera unica, per il dotatissimo (all’epoca solo 26-28 enne) James William Guercio, che era già il capo esecutivo della celeberrima The Caribou Companies di Boulder, in Colorado. Per cui registravano ed erano appunto da lui prodotti, i Chicago. Difatti la Caribou Films che produsse “Electra Glide” era una diretta emanazione della medesima.
“Electra Glide”, fu presentato con enorme consenso critico al Festival di Cannes del 1973.
Robert Blake, eccelso attore di cinema e televisione, attualmente in carcere dopo un famoso processo degli anni 2000 ad Hollywood per l’omicidio della moglie, ed oggi colpevolmente dimenticato, è stato uno degli attori più bravi e in un certo senso, per un tipo di cinema americano uno dei più rappresentativi degli anni’70. Proprio per il ruolo di John wintergreen in “Electra Glide”, fu candidato al Golden Globe come Miglior attore Drammatico, battuto guarda caso, da Al Pacino per l’analogo ruolo di Frank Serpico,in“Serpico”di Sidney Lumet.
“Electra Glide” è uno dei più famosi e migliori esponenti di quel romanticismo sulla sconfitta e l’amarezza, e di quello stato sapientemente un po’ “masochistico”, uno di quei magnifici film che era in grado di realizzare la Hollywood dei’70, “Electra Glide” è un film che non ha solo meravigliato i critici e i cinefili, ma anche registi come Quentin Tarantino, P.T.Anderson, e David Gordon Green, per loro stessa ammissione.
Per molti, l’avventuroso periodo che va ristretto a partire dal 1967 di “Gangster Story”(Bonnie and Clyde) di Arthur Penn, rappresenta un’epoca utopica in cui dei veri hippy e “ribelli” erano ascesi alla conquista della vecchia Hollywood, mentre un film capolavoro come “Electra Glide” rappresenta bene la già intervenuta (nel 1973) rottura con il cinema “radicale” di sinistra, viste le considerazioni implicite e contenute in questo film, che esplicano bene perché proprio alla prima di Cannes (dove fu uno dei film in concorso più validamente considerati per la Palma d’Oro, ma poi vinse l’ugualmente splendido “Lo Spaventapasseri”(Scarecrow)(’73) di Jerry Schatzberg, con Al Pacino e Gene Hackman), “Electra Glide” fu erroneamente percepito come, “fascista”. Eppure, di quel tempo, non è certo da considerarsi un film corsaro o battagliero, nei modi da piacere al Presidente Nixon, anzi, alla fine è un film che mostra quelli stessi diritti che venivano calpestati, quelli della “controcultura” dell’epoca, per la quale Nixon era proprio “L’Uomo nero”.
Diciamo che, lucidamente e senza ingenuità, nemmeno venute fuori a distanza di oltre trentacinque anni, e rivedendolo oggi, era un film che già nel pieno di cambiamenti traumatici, nel corpo della nazione della Grande Nazione Statunitense, il “Big Country” del Mito della Grande Frontiera, mostrava con grande perspicacia in che direzione reazionaria e caoticamente feroce, sarebbe andata la società americana. E questo, metaforicamente, viene con splendida efficacia rappresentato nell’indimenticabile finale del film.
Allorquando, il disilluso e amareggiato reduce del Vietnam e poliziotto motociclista della stradale dell’Arizona, John Wintergreen, interpretato da Robert Blake, (piccolo di statura –esattamente uguale a quella di Alan Ladd, come avrà modo di dire a due ragazze durante il film- ma immenso personaggio), nell’unico tentativo riuscito di compiere finalmente una buona azione, paga a caro prezzo il suo slancio disinteressato. Per mano di chi era sempre stato la vittima designata, l’hippy, del suo collega ottuso e superficiale Billy Green Bush/Zipper, apparentemente un mediocre felice del suo lavoro, senza ambizioni e senza angosce –apparentemente-personali, se non quella di “trovare” un po’ di soldi per potersi permettere il lusso di comprarsi un’”Electra Glide” appunto, tutta cromata, scintillante, di colore blu. Da qui il titolo originale, “Electra Glide in Blue”.
Che poi altro non è che la stessa moto in versione stradale di quella su cui entrambi prestano servizio in interminabili turni lungo le interstatali dell’Arizona, su interminabili strisce d’asfalto che attraversano la Monument Valley.
Geniale metafora della sclerotizzazione alienata, del personaggio Zipper, che ha come massimo sogno della vita possedere una moto uguale a quella su cui passa tutto il giorno, al lavoro.
La Monument Valley con le sue strade deserte, nel film è una presenza paesaggistica importantissima, ritratta e immortalata dalla fotografia del famosissimo e sempre grande Conrad L.Hall (per poter avere il quale e pagarlo, Guercio rinunciò al suo compenso da regista), che crea una sequenza finale con fermo immagine, dopo un camera-car all’indietro lunghissimo, interminabile,di rara emozione, che è rimasta tra i dieci più belli, struggenti, e potenti finali della storia del cinema, e non soltanto per la Hollywood aurea del New Cinema anni’70.
Quasi dieci minuti di somma, lirica bellezza, a comporre un’immagine che sembra quasi un dipinto di arte americana da poter essere esposto, al pari degli altri, allo Smithsonian Institute, sequenza inscindibile, dall’indissolubile simbiosi con “Tell Me”dello stesso James William Guercio, eseguita dal compianto Terry Kath, famosissima e inarrivabile ballata nostalgica in versi sulla fine del sogno americano, e delle sue inevase e disilluse, speranze.
Talmente bella, struggente, e conosciuta negli Stati Uniti, che Michael Mann la scelse per il lunghissimo finale in slide di immagini e sequenze degli episodi delle precedenti serie, per il meraviglioso episodio finale dell’ultima serie, la quinta, di “Miami Vice”, trasmesso la prima volta nell’aprile dell’89.
“L’impossibilità di essere un poliziotto normale”, potrebbe anche chiamarsi -parafrasando il titolo di un altro celebre film del periodo, di Richard Rush, con Elliott Gould- la triste e amara parabola del protagonista, come già qualcuno suggerì all’epoca, visto che quello che Wintergreen vorrebbe è appunto poter fare ampiamente il suo dovere, usare il cervello, e non dover fare solo multe ai camionisti,”beccarsi i colpi di sole”, come dice lui, o picchiare i giovani protestatari di una comune e incastrare gli hippy mettendogli bustine di Marijuana nascoste da qualche parte nel furgoncino.
E proprio per non dovere far più questo, vorrebbe riuscire a guadagnarsi il tanto agognato distintivo d’oro da Detective dello Stato, e smettere finalmente la divisa, come il suo mentore e “modello” personale Harve Poole (il grande Mitchell Ryan)leggenda vivente fra i Detective della polizia di Los Angeles, che invece anche lui si dimostrerà una delusione totale, un uomo arbitrario e meschino, interamente imbevuto della sua tronfia e ottusa prosopopea, in definitiva solo uno stronzo colpevole per la sua boria dell’inutile morte di un’innocente ragazzo che non c’entrava niente con il caso invece di semplice risoluzione del film, come avrà modo di dirgli in faccia Wintergreen, una volta che tutte le maschere saranno cadute… Molto bello nel film è anche il personaggio femminile di Jeannine Riley/Jolene, barista nel bar che frequentano tutti i personaggi-poliziotti del film, di cui con alcuni va a letto, come Harve Poole e Wintergreen, e sognava che la sua vita sarebbe stata come “una lunghissima pellicola”, con il solito sogno della frontiera californiana, di poter arrivare a Hollywood –e difatti all’inizio citerà a Wintergreen il suo libro preferito, “La Valle delle bambole”-, e che per quel suo desiderio di diventare un’attrice –ovviamente abortito- perse pure l’amore dell’una volta adorato marito. C’è poi lo strepitoso personaggio dell’anziano Willie interpretato dal piccolo gigante dei caratteristi americani(uno su oltre 350tit. fra cinema e tv, il suo importante ruolo in “Rapina a mano armata” di Kubrick) Elisha Cook, “uomo ormai stanco” come spiegherà inascoltato, l’intelligente e riflessivo Wintergreen al pallone gonfiato Poole, depresso e impazzito per la troppa solitudine della sua intera vita, che desiderava –anche lui, un solo semplice desiderio, costantemente disilluso- di poter invecchiare “serenamente” sulle montagne in cui è cresciuto in compagnia del suo unico e ultimo, amico, Frank. Sarà lui ad uccidere Frank che lo aveva abbandonato, preferendogli la compagnia –anche lui uomo anziano- dei giovani, una “compagnia” di “famigli” motociclisti-spacciatori e lussuriose ragazze, in cambio della lucrosità della droga. Ed è per questo, che Willie lo ucciderà, rendendosi conto di come ormai fosse insopportabile la disperata solitudine in cui egli aveva finito per ritrovarsi. Questa, è la risoluzione del caso. Semplice, “semplice”, come avvolte sono le cose, nella vita. E come sconsolatamente Wintergreen rivelerà ad Harve Poole, deluso e pieno di risentimento verso il “grande Harve Poole”, supersbirro pieno solo d’arrogante superiorità , il quale ascolta “la voce del deserto” per cogliere l’illuminazione atta a risolvere i suoi casi, e dicendosi anche cosciente che “l’incompetenza è la peggior forma di corruzione”. Però subito contraddicendo quest’ultima affermazione, sempre pieno di sé e di non sbagliare mai, nella sua “ricerca della verità”. (“La saggezza è come una religione:la mia religione è me stesso. Quando parlo con me stesso io parlo con il mondo intero!”, dice di sé), subito pronto però a usare modi brutali e arbitrari per ottenere le sue risposte, quelle che lui vuole sentire, prendendo poi ovviamente marchiane quanto clamorose cantonate.
Come appunto proprio nelle indagini per il caso dell’omicidio di Frank, per cui ha fatto arrestare un ragazzo innocente (tra l’altro è il famoso cantante Peter Cetera) e ha picchiato da sbirro belluino alcuni ragazzi di una comune che non c’entravano con l’omicidio, né potevano dare risposte utili all’indagine. E appunto quindi, “Ti puoi prendere il vestito e il distintivo e darli a qualche imbecille che crede alle tue stronzate:perché tu sei uno stronzo!”, come alla fine gli sbatte in faccia la verità Wintergreen, prima di ricominciare i suoi monotoni turni alla stradale.
Finale tragico che nessuno che ha visto il film potrà mai dimenticare, e per le modalità e i tempi in cui avviene, non ha, come qualcuno invece vi ha ravvisato, alcunché di “programmatico”, perché talmente potente che anche i formalismi d’alta scuola peckinpahiana, come i ralenti nelle grandissime scene d’azione e nel finale, sono resi mai prevedibili o in un certo qual senso “scontati”, dalla superba e fantasmagorica bravura registica e degli scenari naturali in cui girava i suoi western il mito John Ford.
Tutti gli attori da “State of Grace”, e veramente superlativo, consta di rimarcarlo ancora, Robert Blake, di rara intensità e così richiedeva il suo ruolo, di questo film così originale come giustamente hai detto anche tu Roby, e di rara epicità,oltre che in definitiva, di grandissimo e unico fascino.
Un’epica ballata triste, malinconicamente, un western moderno e poliziesco, dove la spietatezza e la crudeltà del mondo odierno, senza alcuna pietà, -come già diceva il bel titolo francese di un film con Hyppolìte Girardot di vent’anni fa- spazza via spietatamente e crudelmente i personaggi più veri e in profondità umani. Perché “losers”, perdenti, quindi osservanti la vita con disincanto, lasciati indietro nelle varie sconfitte personali dallo schifo della vita,spietatamente come detto, e senza più possibilità di speranza o di salvazione. In un mondo che può andare tranquillamente avanti senza di loro come senza nessuno di noi, con “civile” impassibilità e indifferenza, sempre dritto per la propria infame “strada”.
Simbolicamente rappresentato questo, dall’interminabile, magnifico, carrello finale all’indietro.
D’altronde, come urla ad un certo punto Zipper (grande Billy Green Bush) disperato, prima di farsi “suicidare” dal suo migliore amico:-“se le cose non te le prendi non ti dà niente nessuno e io mi prendo quello che mi spetta!”.
Su tutti, grandi personaggi, sovrasta il piccolo John Wintergreen, poliziotto solo all’apparenza ordinariamente limitato, che non può fare carriera proprio perché ingiustamente svantaggiato dalla sua piccola statura, ma di elevati valori quali l’onestà, il rigore e la lealtà, che persegue con determinazione ancora un codice morale, sempre attento a non tradirlo come anche per i suoi valori.
Continuamente oltraggiati invece, con cinismo e non curanza, quando non anche con presunzione, dai suoi superiori. Proprio un collega non metropolitano del coevo “Serpico”, quindi.
Commovente, bellissimo, quando Wintergreen parla da solo con il silenzioso, anziano inserviente nero delle pulizie, intento a mangiarsi un panino seduto, tra una ramazzata e l’altra, dopo la fine del concerto dei Madura (enormi), in un palasport.
John Wintergreen: -“Io sto a sentire tutti quelli che parlano in questo mondo del cacchio meno che me:come vorrei ricominciare tutto da capo”.
“Electra Glide” si racchiude perfettamente nelle due, consequenziali e di rara perfezione sintetica, sequenze iniziali, l’apparente suicidio/omicidio di Frank, e gli esercizi al mattino con i pesi di un non ancora “disvelato” John Wintergreen, l’assunzione delle vitamine dopo le ripetute fatiche dell’amore con Jolene, la successiva, ritualistica, “erratica” vestizione dell’uniforme d’ordinanza di pelle da motociclista, la 357 Magnum, scena entusiasmante e memorabile, anche per l’eccezionale tema musicale d’apertura, grande maturità registica di Guercio solo ventisettenne, che riesce pure a stemperare senza banalizzare, la bruciante e dolorosa drammaticità del film con una sottile, pungente nella sua apparente delicatezza, ironia.
Basti la famosa sequenza in cui Wintergreen, appena nominato suo autista da Harve Poole, si abbiglia elegantemente alla moda “texicali” come un moderno Ranger alla Harve Poole per andare al locale a far bisboccia con i suoi nuovi colleghi, per poi accorgersi, e gli spettatori con lui, appena uscito all’aperto dalla casa, di non avere i pantaloni.
La conversazione in coda dal gelataio ambulante con due tipiche avvenenti ragazze californiane, in cui John afferma di avere la stessa esatta altezza di Alan Ladd; o la bellissima sequenza del violento alterco tra Wintergreen e l’iroso coroner (Royal Dano, altro grande e famoso caratterista del cinema americano per oltre 300 film, dal dopoguerra agli anni ottanta), fortemente irritato dalle osservazioni divergenti di questo piccolo agente della stradale che lo accusa-giustamente, ed è proprio qui che Poole lo noterà,gli darà ragione e lo prenderà con sé- di inquinamento delle prove.
Bellissimo anche il dialogo con un giovane della comune di fricchettoni quando John vestito di tutto punto da Ranger con gli Stetson di pelle, nelle stalle, si aggira in cerca dello spacciatore Bob Zemko(Peter Cetera):-“Vorrei qualche informazione” chiede John, -“Io ce l’avrei un’informazione:stai con i piedi nella merda.” Risponde impassibile un ragazzo.
Genialmente “provocatoria” la sequenza in cui John si esercita al tiro con la pistola, sparando a Captain America/Peter Fonda, Dennis Hopper, e Jack Nicholson, nel poster di “Easy Rider”: intenzione di un’omaggio, affetto, o ironia irridente, se l’intenzione era quella di uno sberleffo, è comunque molto seducente.
Esordio di Nick Nolte non accreditato, si riconosce bene, attonito e indignato, come uno dei ragazzi della comune, quando Poole picchia alcuni di loro, e di Meg Ryan bambina, in coda dal gelataio ambulante.
La Front-side dell’LP della o.s.t. originale, rarissimo ormai, da collezione, mostra sette poliziotti della stradale di alta statura e proprio in mezzo a loro il piccoletto Wintergreen(come nella famosa sequenza del film, con la cinepresa che deve scendere più in basso per inquadrarlo nel volto, perché affiorava solo un poco il casco): la stessa immagine è appesa sul muro in forma di poster, nell’ufficio del Capitano Furillo/Daniel J.Travanti(grandioso attore e personaggio) nella seconda mia serie tv preferita di sempre –dopo “Miami Vice”- “Hill Street giorno e notte”(Hill Street Blues)di Steven Bochco/David Hill”N.Y.P.D.”e tanti altri)/Anthony Yerkovich(“Miami Vice”)/Mark Frost(“Twin Peaks”).
Napoleone Wilson

lunedì 20 dicembre 2010

Beatrice Cenci

17
Comincio da questo film e da questa data la mia rassegna dedicata a Lucio Fulci, così ho deciso, da quando cioè Fulci comincia ad occuparsi di horror, thriller... poi scoprirò meglio quest'altro Maestro del Cinema Italiano, come conclamato da molti e, posso dire già da questa mia prima visione, anche da me. Siamo subito tra i miei Cult.

Il film narra la vicenda di un personaggio realmente esistito, appunto Beatrice Cenci. Si legga il link e si leggerà anche la trama del film. Io ho scoperto essere un personaggio molto noto, diventò un'eroina popolare a Roma, molti artisti nei vari campi si ispirarono alla sua triste storia di condannata e decapitata come parricida, oggi per noi presunta tale ma non allora per il giudice.

E' una storia di una nobildonna resa però dal padre Francesco (interpretato da un bravissimo Georges Wilson), uomo violento, dispotico ed avarissimo verso i figli, più miserabile di una serva, fu persino imprigionata nelle segrete d'un castello per impedirle di sposarsi e quindi di doverle fornire una dote. Tale la plateale crudeltà del padre che tutti conoscevano la situazione della famiglia Cenci. Insomma, la povera Beatrice, anche fosse stata lei tra i protagonisti del parricidio, nessuno si sentiva di biasimarla e l'esecuzione di tutti i figli non fu apprezzata dal giudizio popolare.

Non mi dilungo ulteriormente, si veda il film. Storicamente m'è sembrato ineccepibile, con un finale straordinario sia dal punto di vista storico che cinematografico. Ma qua parliamo di un film che è tutto straordinario! Venne vietato ai minori dalla censura. Perché? Sì, c'è qualche nudo integrale di lato B, per i tempi un po' sopra le righe forse, ma penso che i veri motivi siano altri. Il film è durissimo, come si dice è Tosto, non preclude nulla alla vista, pure qualche dettaglio di tortura e non poco sangue. C'è una scena spaventosa di un uomo mollato in balia di un branco di cani per punirlo, girata da dio con la camera in mezzo ai cani! Al di là della bellezza dei costumi e delle ambientazioni, che non so giudicare tranne che dirne appunto della bellezza, il film è un apogeo di violenza, quella percepita nell'aria oltre a quella esplicita, di possibilità di vita legata ad un filo per chiunque a quei tempi, ad un capriccio del nobile di turno o peggio del papa e dei suoi emissari porporati. Siamo alla fine del XVI sec. ma non si pensi a chimere lontane come il Rinascimento, ci troviamo nello stato pontificio, si vive in una lunga prosecuzione del medioevo.

Diciamola tutta quindi, questa esibizione di violenza e la figura terribile che ci fanno il papa ed i suoi accoliti deve aver acceso la lampadina rossa al censore, c'è poco da fare. Forti furono i sospetti che si vollero eliminare tutti gli eredi del Cenci per appropriarsi delle sue proprietà, cosa che per altro avvenne puntualmente, forse certezze più che sospetti ben esposte nel film. Era il 1969, ma non scandalizziamoci, o meglio continuiamo a scandalizzarci se vogliamo farlo; ancora oggi un film del genere in italia non verrebbe nemmeno prod
otto visti i tempi neo-medievalisti che viviamo dal punto di vista politico-religioso, e quando le producono all'estero, cose simili, vengono fortemente osteggiate, si pensi ad Agorà di Amenabar quanto ha dovuto attendere prima di uscire, rischiando di non uscire proprio. Fulci poi, nella sua parte "immaginifica ma reale", ci ritrae uomini legati al papa che vanno tranquillamente a mignotte, e siamo alla solita storia, predicare in un modo per poi razzolare in altro, ma questa sembra più cronaca di oggi che del tardo 1500.

"Curiosi" i titoli con cui uscì all'estero: "Die Nackte und der Kardinal" (il nudo e il cardinale) in Germania, "Liens d'amour et de sang" (legami d'amore e di sangue) in Francia, "Perversion Story" in Inghilterra, "The Conspiracy of Torture" negli Stati Uniti. Tutti in qualche modo calcano la mano su aspetti del nudo o dell'horror, come titoli non mi dispiacciono, ma quello esatto è quello italiano, è un'opera biografica, dedicata a Beatrice ed ai tempi che ha vissuto, e non era colpa di Fulci se erano quel che erano.

Imperdibile!

domenica 19 dicembre 2010

Juno

30
Juno ha solo 16 anni e alla sua prima esperienza sessuale con un compagno di classe rimane pregna. Prima decisione quella di abortire, poi un consultorio abbastanza scoraggiante ed un'amica antiabortista che manifestava da sola proprio lì fuori le fanno cercare altre soluzioni.

Nascere deve nascere quindi, ma non si può tenere per diverse ragioni, non ultime l'immaturità del padre adolescente che sembra un nerd e l'ostilità della papabile suocera. Lo si dovrà cedere a qualcuno. In America è possibile offrirsi con annunci sui giornali come genitori per chi nasce in una situazione come quella di Juno (nome non casuale, sarebbe Giunone da noi). Detto fatto, Juno chiama una coppia più che agiata, ancora abbastanza giovane ma sterile. Vanno all'incontro lei e il padre, presente anche un avvocato per formalizzare legalmente la cessione.
Il tempo passa, la panzona cresce, gli umori vagano ma non tanto a Juno quanto ai futuri genitori adottivi del pargolo, soprattutto l'uomo che un po' s'innamorerà di lei, complice un comportamento innocente di Juno certamente imprudente che cerca amicizia e lui traduce in amore. L'uomo in realtà non è troppo convinto di voler diventare padre e ancor meno convinto di amare la moglie. Occorrerà prendere decisioni importanti dopo aver saputo di questa situazione. Juno saprà uscirne con grandissima maturità ed intelligenza, il come lo lascio scoprire.

E' fondamentalmente una commedia divertente, con dei gran dialoghi che la fanno apparire, ambientazione a parte, più inglese che americana. Nulla di sconvolgente dal punto di vista "comico", si fa persino uso del tormentone, il più bello è certamente la locuzione ricorrente "sessualmente attiva" molto in voga, stigmatizzante modo per dire "la ragazza scopa e gli piace farlo". Non è banale il tormentone citato: non ho mai sentito nessuno porsi il problema se un ragazzo è sessualmente attivo, forse perché il fatto che si masturbino e che, opportunità permettendo, puccino il biscotto da qualche parte è scontato. Su questo tipo di "attività" i genitori preoccupati sono solo quelli delle ragazze. Da questo punto di vista il mondo, diciamolo, è ancora molto piccolo.

Diversi gli argomenti sul piatto. Anzitutto la gravidanza giovanile e il modo in cui Juno l'affronterà, con tutti i giovanilismi del caso, sarà esemplare. Poi il modo in cui la sua famiglia, padre separato e matrigna amorevole, sapranno starle vicino. La situazione del ragazzo padre, che lei saprà elevare. I coniugi adottivi, con la disperazione della donna che non può avere figli, è ritratta con una dolcezza encomiabile. La crisi dell'uomo, sentimentale, in totale confusione, che s'innamora di Juno pur sapendo che è una follia che non può essere corrisposta.

Il finale è bellissimo, da brividi e parlo da padre. Non sono facilmente toccabile nell'intimo, non perché sono un "duro" ma solo perché ho l'allarme sul retorico-stupido sempre acceso e pronto a scattare. Be', non è così, qua non è scattato, invece sono schizzate in alto le voci Bello, Commovente, Simpatico, Elegante, Intelligente.

Consigliatissimo, quasi inutile dirlo a questo punto. Qualche frame per la solita bella regia e fotografia dei film di Reitman non lo posso evitare, questo regista ormai ce l'ho veramente nel mio elenco dei Top da curare.
Con questo sono 3 film che rasentano l'Olimpo, e cosa manca per raggiungerlo? Non saprei, uno scatto, un evento che mi sconvolge, che mi causa turbamento, una trovata genialissima. E' perfetto Reitman, a un esame di scuola del cinema prenderebbe massimo voto con lode, ma come si dice, l'originalità e la personalità sta nelle imperfezioni, che sono quei particolari che ti distinguono e coi quali superi il limite.

sabato 18 dicembre 2010

Uccellacci e uccellini

18
Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Ci ho pensato a lungo su cosa dire di questa suggestiva ed allegorica fiaba, ma visto che lo stesso Pasolini l'ha descritta minuziosamente, e senza spoiler, ho pensato di lasciare a lui la parola. Io mi limiterò a qualche commento didascalico sui frame.

(fonte)
Non ho mai "messo al mondo" un film così disarmato, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico; è fondamentalmente il surrealismo delle favole [...] 
Questo film che voleva essere concepito e eseguito con leggerezza, sotto il segno dell'Aria del Perdono del "Flauto Magico", è dovuto in realtà a uno stato d'animo profondamente malinconico, per cui non potevo credere al comico della realtà (a una comicità sostantivale, oggettiva). 
L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). 
Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore. 
Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo. La presenza di Totò e Ninetto in questo film è il frutto di una scelta precisa motivata da un'altrettanto precisa posizione nell'ambito del rapporto tra personaggio e attore. 
Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così "brava persona", avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi.


Nel mio Olimpo ovviamente, così come nel Suo.
Questo film lo vidi molti, troppi anni fa senza riuscire a finirlo, ostacolo l'immaturità e la ricerca di messaggi diretti, di un senso letterale in quello che vedevo, approccio diametralmente opposto a quello che occorre per apprezzarlo. Stasera invece mi sono fatto rapire dalla sua dolcezza e mi sono persino divertito in molti frangenti.