domenica 31 luglio 2011

Damnation Alley - L'ultima Odissea

9

Maggiore Eugene Denton/George Peppard : “Tanner è Denton! Questa intera città è infestata da scarafaggi killer. Ripeto: SCARAFAGGI KILLER!”

Tanner/Jan-Michael Vincent :-“Allora, per dove stiamo andando?”
Maggiore Eugene Denton :-“Albany.”
Tanner :-“Albany? Hai parenti lì?”
Maggiore Eugene Denton :-“E’ l’unico posto da cui abbiamo mai avuto un segnale, Albany è il luogo a cui tentare di arrivare.”
Tanner :-“Ordino come obiettivo dell’operazione, allora?”
Maggiore Eugene Denton :-“Si può chiamare così. Vedi, c’è un passaggio…non è propriamente molto ampio di diametro, ma le schermate mostrano che sia il percorso di minore contaminazione. Non va bene, ma è il migliore che abbiamo.”
Tanner :-“Cosa succede se ci si sbaglia una sola volta?”
Maggiore Eugene Denton :-“Ci sono aree talmente radioattive in cui non siamo mai riusciti a passare. Non è una questione di curve sbagliate anche se –“Damnation Alley” è un centinaio di miglia di larghezza, abbiamo sempre un sacco di strada da fare.”
Tanner :-“Damnation Alley?” Chi l’ha chiamata così?”
Maggiore Eugene Denton :-“Io l’ho fatto.”

Ufficiale di lancio#1 :-[guardando su un grande schermo delle immagini satellitari] “Sembra un satellite di rientro.”
Ufficiale di lancio#2 :-[dopo aver verificato i dati sul computer] “Negativo sul satellite…”
Voce Altoparlante :- [missili balistici intercontinentali sovietici indicazioni di lancio dei missili appaiono sullo schermo di un computer di grandi dimensioni, oltre ai suoni di allarme] “Blue Square One, Blue Square One, Blue Square One. Alpha, Tango, Foxtrot, Sierra, Delta. Due. Omega, Zebra, sei, uno. Autenticazione Sierra Alfa.”
Ufficiale di lancio# :- “Gesù…”

Tanner :-[i rifugiati de Landmaster vengono accerchiati dai “Mountain Men” nel deserto] :-“Da quanto tempo voi sei siete qui?”
L’uomo :- “Da quando è andato tutto all’inferno.”

Maggiore Eugene Denton :-“Non compilare alcun rapporto di questo. Perry è morto. Che non è giusto che abbia sbagliato lui o meno. Significa solo che Perry è morto.”

Quando abbiamo cominciato ad affrontare il post atomico nella rassegna SciFiMust con “A Boy and His Dog” (Un Ragazzo, un cane, due inseparabili amici) (Usa’75) di L.Q.Jones, e “The Ultimate Warrior” (Gli Avventurieri del pianeta terra)(Usa’75) di Robert Clouse, non potevamo non approdare anche ad una gemma ancora abbastanza nascosta come “L’Ultima odissea” (Damnation Alley), diretto nel 1977 da Jack Smight (veterano di Hollywood e in quel periodo dotato di “carta bianca” dalla Fox, in quanto aveva appena diretto i due consecutivi grossi successi al box-office americano “Airport ‘75” e “La Battaglia di Midway”[Midway][‘76], per la Universal). Film visceralmente -e anche per questo molto attraente- figlio degli anni ’70 alla stessa maniera di “Star Wars” (uscito nello stesso periodo e con la medesima produzione la 20th Century Fox. La quale paradossalmente come film di fantascienza puntava più su questo che sul film di Lucas. Sappiamo tutti come poi è andata). Dagli anni ’50 e per vari decenni almeno fino agli anni ’80 e con un ritorno recente in questi ultimi anni, i film sulla paura più o meno strisciante della fine del mondo, e soprattutto per effetto di un conflitto atomico, avevano raggiunto un loro massimo picco grazie alla crisi dei missili di Cuba nel 1962, e da allora si entrò in un’atmosfera per la quale questo equilibrio folle sul rischio calcolato avrebbe portato a film eccezionali come “Il Dottor Stranamore” e “Fail Safe” (A Prova di errore)(’65) di Sidney Lumet, due film notevolmente simili a “Damnation Alley” ma anche ovviamente profondamente diversi. Negli anni ’70 l’atmosfera geopolitica era un po’ cambiata, apparentemente appena più stabile, sembrava possibile vivere sotto l’insegna del terrore del M.A.D. (Mutual Assicurance Destruction), una sorta di fatalismo che condannava tutti, perché sempre sotto la possibilità dell’errore umano che avrebbe fatto sì che come si suol dire la “piscia uscisse dal vaso”. Cioè che la guerra nucleare diventasse una concreta possibilità solamente per l’errore di qualcuno, quasi fatalisticamente inevitabile quindi che prima o poi ciò accadesse. Che è proprio quello che accade all’inizio di “Damnation Alley”, il quale è detto per inciso un grande inizio, giustamente sempre ben citato da ogni vero cultore che si rispetti come una delle più agghiaccianti, e allo stesso tempo (per lo spunto che ne è all’origine) come una delle più grottesche rappresentazioni cinematografiche di una guerra nucleare, oltre che ricordato per gli splendidi “Rover” con il quale i protagonisti del film tentano una via di fuga. Proprio i “Rover” o “Landmaster” come vengono chiamati nel film, erano fin troppo avanti per quando la pellicola uscì, dimostrando una volta di più che almeno negli anni ’70 il cinema di fantascienza riusciva ancora ad essere sempre più avanti di noi stessi. Ma spiegherò meglio successivamente di cosa si trattino i “Landmaster”.
La partenza di questo lungo viaggio biblico attraverso la distruzione nucleare di quella che era la mitica frontiera da ovest ad est degli Stati Uniti, parte da una base missilistica dell’Air Force situata nel deserto del Mojave, e incontriamo subito i protagonisti con i quali saremo appesi alla loro sorte per circa un’ora e mezza. Denton (George Peppard, l’insuccesso di questo film stroncò definitivamente la sua lunga e importante carriera cinematografica, compresa quella molto interessante di regista, dal quale si riprese con il grande successo globale televisivo nel suo ruolo del Col. Hannibal Smith in “A-Team”), anche lui un militare ma ligio agli ordini e Tanner (Jan Michael Vincent, attore simbolo del cinema anche non solo di genere, e del B-movie americano anni’70). Insieme, dovranno affrontare molti passaggi a rischio della propria incolumità, e al terzo protagonista Keegan (Paul Winfield, uno dei simboli della blaxploitation, bravissimo e attivissimo attore di colore scomparso poco tempo fa) -il personaggio più stravagante della base-, e munitisi di armi fino ai denti saranno costretti a lasciare la base che potrebbe anche essere ancora uno degli obiettivi di altri missili di risposta lanciati dall’Unione Sovietica. E invece non sarà per questo che i nostri protagonisti dovranno abbandonare precipitosamente il rifugio della base, ma…. I nostri protagonisti vorranno poi arrivare a Chicago, ma dato che stiamo guardando un film chiamato “Damnation Alley” non sarà una scommessa così di ferro se pensiamo che anche Chicago non sia o non stia comunque per sopravvivere, almeno nei dieci minuti successivi di film. Denton e Tanner si scoprirà, erano i due ufficiali dell’Air Force incaricati di occuparsi delle chiavi e delle consolle di lancio dei missili nucleari. Chiavi che devono essere girate all’unisono per poter avviare un lancio nucleare. Dovendo fuggire nei bunker sotterranei alla svelta al momento dello scambio nucleare in quanto la risposta in automatico di altri missili lanciati dalla controparte può essere neutralizzata solo al 40% dai missili intercettori. Tutto questo mentre una voce impassibile da un citofono della base ci informa di quale città sia stata colpita. Una lunga lista di sventure, intonata alle lunghe immagini delle nubi e dei funghi atomici. Sequenza agghiacciante e di forte impatto. Lo spettatore americano al cinema sentiva pronunciare il nome della sua città o di una città vicina , e poi tutto ciò che si vedeva sullo schermo veniva spazzato via in Technicolor e suono in “360° Sound” (fu uno dei primissimi film insieme al coevo “Star Wars” ad essere realizzato con tale sistema dalla Fox, che solo con “Star Wars” diventò il celeberrimo “Dolby Stereo”), rappresentazione al massimo livello spettacolare del cinema americano degli anni ’70 di ciò che sarebbe potuto accadere nella realtà.
Comunque, fatto sta che i titoli ci informano che le tante esplosioni nucleari hanno anche inclinato l’asse terrestre con il risultato di far morire ancora più milioni di persone. I cieli si sono trasformati in uno spettacolo di luci al laser che neanche in un concerto dei Pink Floyd anni ’80 di David Gilmour, e tutto il mondo adesso pare assomigliare al deserto dello Utah dell’inizio del film. La base sotterranea però, è per adesso rimasta sicura nel suo profondo bunker di acciaio e cemento armato rinforzato. Gli uomini che vi sono rimasti tentano di mantenere una parvenza di vita reale, seppur ormai con alcun scopo. Denton continua a lavorare lontano ai LandMaster nei locali delle officine, costruendo qualcosa insieme ad Airman Perry (Kip Niven).
Keegan e Tanner tuttavia, si sono ovviamente ritirati dai loro incarichi con l’aeronautica. Keegan trascorre il tempo dipingendo paesaggi tropicali, e mantenendo sempre l’attenzione sull’orologio attaccato al muro, e vedendoci dietro nella sua mente l’apparire del deserto (molto bello questo momento del film). Tanner trascorre il suo tempo partendo con la sua moto e a volte spingendosi fino a Phoenix in cerca di sopravvissuti. Al ritorno dell’ultima perlustrazione di Tanner scopriamo che cosa abiti davvero il deserto che Keegan cerca di guardare nella sua mente. Il deserto è abitato da scorpioni mutanti giganti (goderseli questi scorpioni giganti realizzati in animazione a passo uno, effetti speciali alla Harryhausen o da film di Bert I.Gordon di una volta, che è ancora più bello vederli oggi).
Le cose all’interno della base si sono fatte un po’ lassiste, e un militare dell’aeronautica si addormenta mentre fuma nel letto… Una rivista di Playboy accanto a lui prende fuoco… A pochissima distanza da una massa di tubi muniti di un’etichetta su cui si può leggere:-“WARNING: Gas infiammabile!”… L’esplosione che ne risulta è piuttosto impressionante.
Gli unici sopravvissuti sono i due anticonformisti della base Keegan e Tanner, più Denton e Perry che erano nei locali delle officine. Denton a questo punto ci deve per forza mettere al corrente del progetto che lui e Perry hanno completato. I prototipi dei due suddetti “Landmaster”. Enormi veicoli per tutti i terreni, con particolarissime enormi ruote costituite da tre pneumatici più piccoli. Più ogni sorta di lanciamissili e roba high-tech montataci sopra. L’intenzione di Denton è di prendere i due Landmaster e dirigersi verso nord, fino ad Albany nello stato di New York, dove continua a trasmettere un segnale radio captato dal tempo della guerra (ed è a questo punto che sappiamo che la guerra è avvenuta da due anni). Così i nostri eroi “anti-eroi” sono obbligati, visti costretti, a doversi mettere in viaggio, e da subito, nel mezzo di una capricciosa tempesta apparentemente composta da tanti altri piccoli tornado. Tanner decide di proseguire la sua strada nella tempesta forzando il cammino e sfondando tutti i pesantissimi muri di cemento e cancelli d’acciaio del perimetro, mentre la mentalità più ligia al regolamento di Perry ne decreta anche la sua fine. Egli si ferma per aprirsi la strada e volente o nolente viene spazzato via; mentre Tanner e Denton riusciranno a concludere la loro uscita sani e salvi, Perry finisce dall’altro lato del perimetro come un fuscello nel vento, con l’osso del collo spezzato. Keegan se la cava con una gamba lacerata (finalmente una delle poche volte che il personaggio del nero non è il primo a morire).
La prossima fermata del nostro trio è adesso a Las Vegas, suggestivamente invasa dalle sabbie del deserto (come poi -influenza di questo film abbastanza evidente-, la vedremo anche in “Resident Evil Extinction”[Usa 2007] di Russell Mulcahy), e nella quale il casinò “Circus Circus” non solo è sempre in piedi ma anzi ne è diventato una sorta di Palazzo d’Inverno. “Ragazzi vedete, niente cambia davvero.” Dice Tanner. “Bomba o non bomba, le luci a Las Vegas non si spengono mai!”. Keegan e Tanner si mettono a giocare con le slot machine in mezzo a un panorama di selvaggio abbandono, mentre anche il compassato Denton pare ritrovare un po’ d’interesse tirando la leva di una “One-Armed Jack’s”. Questo fa un sacco di rumore, e il rumore scuote Janice (Dominique Sanda, all’epoca veramente molto bella) –l’ultima donna rimasta viva in Vegas (e che donna). Ella era una cantante e scrittrice di canzoni, era –al momento delle esplosioni- ed è stata l’unica che ha potuto raggiungere in tempo il rifugio antiatomico, quando hanno colpito le bombe.
Così adesso i nostri viaggiatori sono tornati ad essere quattro, in direzione di Salt Lake City, che per chi conosce un minimo di geografia degli States può sembrare un percorso in tondo rispetto alla destinazione finale di Albany, ma Denton vuole viaggiare lungo quello che viene chiamato “Damnation Alley”, ovvero un sentiero che costeggia le aree maggiormente contaminate dalle radiazioni. In ogni caso, è a Salt Lake City dove i quattro si fermano per trovare della benzina. Tanner e Janice partono sulla moto per andare in cerca di ulteriori riserve di carburante. Keegan, osservando le molte carcasse di automobili, commenta su come siano insolitamente pulite le ossa all’interno delle vetture. “E’ successo due anni fa”, spiega Denton. “Sì”, mormora Keegan, “ma i finestrini sono chiusi”. Cominciano a pompare del carburante, dopo che Keegan si è attaccato con il tubo ad un serbatoio sotterraneo. Improvvisamente, tonnellate di grossissimi scarafaggi incominciano a salire dal portellone. Questi scarafaggi mordono e resistono ad essere schiacciati. Duri. Subito, Keegan si ritrova ad essere inseguito da una marea biblica di scarafaggi, e la spiegazione degli scheletri nelle auto sigillate è presto fatta, potendo essi introdursi ovunque. Denton riesce a tirarsi fortunosamente dentro la fortezza del Landmaster usando l’unica arma possibile in quel momento per farsi spazio e un varco: il getto dell’estintore. Purtroppo, per Keegan è troppo tardi, visto che, inopportunamente rifugiatosi in una macchina, è già diventato un buffet per scarafaggi (e anche in questo caso il personaggio del nero non è durato comunque l’intero film). Tanner e Janice, nel frattempo, sono rimasti intrappolati in un grande magazzino dalle bestiali blatte, e corrono con la moto arrampicandosi lungo le scale, piano dopo piano, a cercare di tenerle dietro di loro, a milioni. Il grido alla radio di Denton “La città intera è infestata da scarafaggi killer, ripeto, scarafaggi KILLER!”, è sicuramente una delle frasi più memorabili del film, ma non è una sorpresa per Tanner e Janice. Tanner, per sfuggire alla marea di scarafaggi carnivori fa un balzo alla Evel Knievel da una finestra all’ultimo piano fino a un garage sul palazzo accanto, mentre Denton utilizza i mortai del Landmaster per fare saltare i muri che lo separano dal garage in cui sono Tanner e Janice. Pfiiuuu… Meno male che erano vicini.
Prossima fermata: una baracca in mezzo al nulla per prendere un bambino da poco orfano di nome Billy (Jackie Earle Haley, il quale poi anche da adulto sarà un attore famoso, memorabile Rorschach nel capolavoro “Watchmen”(’09) di Zack Snyder, è stato anche il nuovo Freddy Krueger nell’inutile remake di “Nightmare” del 2010), che fedele alla sua orsaggine di fondo, è mortale nel lancio delle pietre (in un certo senso, con l’arrivo del ragazzino si forma sul Landmaster un qualcosa da struttura famigliare del post-nucleare). La prossima tappa lungo la scenografica “Damnation Alley” è adesso un distributore di benzina, anch’esso in mezzo al nulla (la guerra nucleare ha apparentemente esteso i confini del deserto, quindi la sua metà è altrettanto enorme). I nostri eroi sono qui sorpresi da una banda di mutanti armati.
Beh, in realtà non mutanti, ma più simili ai villains montanari di “Un Tranquillo week-end di paura” (Deliverance)(Usa’72) di John Boorman, sanguinanti da multiple ferite da radiazioni (essendo nel deserto non ci sono montagne, ma loro ci sono), alla ricerca disperata di depredare qualsiasi cosa gli capiti a tiro, ed è solo grazie alle mortali capacità di Billy nel lancio dei sassi che Tanner riesce a spegnere in un istante due dei banditi. Poi, come Janice riesce a scappare dal distributore di benzina, Denton si prende cura degli ultimi predoni rimasti con due razzi sparati dal lanciamissili del Landmaster, uno dei migliori momenti di risposta in eccesso che abbia mai visto al cinema.
Poco dopo la trasmissione del Landmaster incomincia a fare forti rumori sferraglianti, ma non c’è da preoccuparsi –la grande bestia è stata progettata per poter utilizzare parti di camion per sostituire suoi pezzi mal funzionanti- quindi è obbligata una deviazione pratica verso l’immenso deposito di rottami da autodemolizione che è diventata Detroit. Ora, già perché nessuno vuole trasferirsi almeno all’epoca a Detroit in condizioni normali, figuriamoci nella Detroit anni ’70 toccata dalle radiazioni nucleari, anche se le carcasse delle auto che vengono recuperate sono abbastanza pulite e la città non sembra essere stata toccata dalle esplosioni, solo con talmente tanto sporco come non se ne è mai visto. Denton trova una possibile soluzione al guasto e si accinge a lavorare con una chiave. Billy esce in esplorazione, alla ricerca di un sidecar per la moto, senza accorgersi che il cielo è diventato di un rosso elettrico e sta iniziando a fare una discreta imitazione degli ultimi 20 minuti di “2001”. Tocca a Tanner di correre attraverso i venti che si stanno intensificando sempre di più per portare il più giovane membro del nostro equipaggio indietro… e appena in tempo, non solo un forte vento ma proprio uno tsunami colossale avvolge la discarica. E’ la prima acqua che abbiamo visto in tutto il film, ma ha la stessa quantità dei Grandi Laghi.
Fortunatamente, il Landmaster è stato progettato per galleggiare, “Anche”, come Denton assicura il suo equipaggio, “se è mezzo pieno d’acqua.”. Finito il diluvio lui e Tanner forzano per aprire il portello in alto per scoprire che il cielo è miracolosamente diventato blu! Sì, tutta quella ridda di effetti speciali per mostrare la terra spostata dal suo asse normale, solamente per arrivare a questo punto, quando il Landmaster riesce a tornare a terra, tutto non appare più come lo Utah, no, ci sono gli alberi e l’erba! Assomiglia notevolmente alla California, in effetti… Hmmmm…
I due uomini insieme si mettono a lavorare sui loro rispettivi veicoli una volta che il “mare” si è ritirato, quando un farfugliare lontano si avvicina sempre di più nella loro radio: è una trasmissione live in diretta da Albany! Non sono troppo lontani! Tanner e Billy saltano sulla moto e si dirigono verso la vicina Albany per andare a trovare questi sopravvissuti, suscitando grande ira in Denton. “Stiamo inviando un emissario”, dice mestamente nel microfono. “Per favore non pensate a lui come rappresentante del resto di noi”. Nel frattempo, lungo la strada, Tanner e Billy incontrano una parte di sopravvissuti in una cinquantina di persone che vengono loro incontro in un’idilliaca immagine di impostazione agricola, di un’America rusticana e sognata, alla Dos Passos e alla Steinbeck. Finale veramente bellissimo e indimenticabile.
Probabilmente non c’è bisogno di aggiungere che questo film è basato su un romanzo di Roger Zelazny, a sua volta liberamente ispirato a un evento della storia americana, lo stesso che è stato di base per il film d’animazione “Balto”(’97): un’epidemia di difterite in un remoto insediamento nel nord spinse un gruppo di uomini e di slitte trainate da cani di razza, con un tempo e un terreno impossibili, ad avventurarsi in viaggio per ottenere farmaci per l’insediamento colpito. Nel romanzo, un carico di siero devo essere preso attraverso la “Damnation Alley” a Boston (se sto ricordando correttamente), e l’unico uomo adatto per questo compito e il “Desperado” motociclistico Tanner, uno che con la moto sarebbe capace di attraversare anche l’Inferno, piuttosto che soltanto con l’aiuto dei Landmaster.
Altro esempio rispetto al libro, è che la legge non scritta dei film richiede che se i personaggi di Denton e Tanner non si piacciano l’un l’altro all’inizio del film, devono avere almeno un riluttante rispetto l’un per l’altro alla fine. C’è un motivo per cui questo “McGuffin” deve essere utilizzato e anche a più riprese, nelle sceneggiature, ed è che esso è immensamente soddisfacente per il pubblico –la morale di fondo è che se lavoriamo tutti insieme, possiamo compiere grandi cose, nulla è perso in quel caso, né su né sopra di noi. E’ per questo che molti film ci sono parsi così consolanti e rasserenanti, e per così molti decenni. Questa prevista riconciliazione nel libro non avviene. Però nel film non vediamo mai un cambiamento importante dei personaggi in alcun modo come è invece nel libro, modo o forma, o mostrare molto nel senso di una interazione personale (al di fuori di una triste risoluzione), dopo che Keegan viene mangiato dagli scarafaggi carnivori. Secondo me è sempre stata un’ottima scelta –come qui- il fatto che l’unico personaggio femminile quello di Janice, non sia infilato in una relazione sentimentale con uno dei due uomini protagonisti, anche se non è solo frutto di un desiderio di rompere i cliché, ma semplicemente di scrivere in maniera diversa, ad opera di Lukas Heller –sorprendentemente, in quanto Heller è stato oltre che uno sceneggiatore pagatissimo uno scrittore di best seller- sceneggiatore di fiducia di Aldrich e di molti dei suoi film migliori e dal più grande successo come “Quella sporca dozzina” (The Dirty Dozen)(’67), “Un Gioco estremamente pericoloso” (Hustle)(’75), ”Hush, hush, sweet Charlotte” (Piano, piano…Dolce Carlotta”)(’65), “Che fine ha fatto Baby Jane?”(’62).
Anche il film come il romanzo è episodico, ma Zelazny era un maestro del narrare, e ogni incontro nella Alley serviva a cambiare Tanner, di aprire sempre più la sua umanità, fino alla fine del romanzo, con il Landmaster irrimediabilmente rotto, quando lui ha la forza di carattere di camminare fino allo sfinimento per il resto del suo percorso, portandosi il siero dietro con sé.

Le riprese si svolsero nel mese di luglio del 1976 nella valle imperiale nel sud della California (vicino a Glamis), così come al Meteor Crater in Arizona, a Salt Lake City nello Utah, e nel deserto del Mojave, in California.

Produzione:
La storia originale tratta dal racconto di Roger Zelazny di “Damnation Alley” è stata seriamente compromessa nello script finale. Zelazny era abbastanza soddisfatto della prima sceneggiatura di Lukas Heller e si aspettava che il film si sarebbe basato su quella sceneggiatura. Invece, lo studio incaricò Alan Sharp altro famoso sceneggiatore, di scrivere una versione completamente diversa che ha cercato comunque di lasciare la maggior parte degli elementi del libro di Zelazny. Zelazny non si rese conto di questo finché non vide il film al cinema. Odiò il film, ma le affermazioni che chiese di avere il nome cancellato dai crediti sono assolutamente infondate, dato che non sapeva che ci fosse un problema con la sceneggiatura fino a quando il film non venne fatto uscire al cinema.
La produzione comunque è stata piena di altri problemi –i paesaggi devastati e i giganteschi insetti mutanti che si dimostrarono ben presto quasi impossibili da creare, nonostante il bilancio per l’epoca di grandi dimensioni. Ad esempio, una sequenza che coinvolge uno scorpione gigante lungo 2,4 metri mentre attacca una moto fu tentata con uno scorpione costruito in grande scala e puntellato, ma non funzionò e il filmato risultante era inaccettabile. La soluzione fu di utilizzare scorpioni veri mescolati su riprese dal vero e utilizzando il blu screen per il processo di post-produzione. E purtroppo con risultati non esaltanti. Un’altra famosa sequenza d’azione con scarafaggi giganti fu realizzata utilizzando una combinazione dal vero di scarafaggi giganti del Madagascar e un gran numero di essi in gomma, che sembravano convincenti sullo schermo come le chiaramente visibili corde che tiravano gli insetti finti.
Il fulcro del film erano ovviamente i “12 ruote” da sette tonnellate “Landmaster”, che vennero molto meglio persino del previsto. Il Landmaster era così convincente infatti, che la Fox chiese che nel film vi fossero più riprese del Landmaster per compensare le carenze. La decisione fu anche di aggiungere altri “cieli radioattivi” in post-produzione per aggiungere eccitazione visiva al mondo post-apocalittico del film.
A causa di questa decisione presa all’ultimo minuto, “Damnation Alley” rimase in post-produzione per oltre 10 mesi a causa del difficile processo di sovrapposizione di effetti ottici sul cielo nell’ottanta per cento delle inquadrature. E’ stato durante questo periodo di “stasi” che allora la 20th Century Fox decise di far uscire prima un loro altro film fantascientifico per il 1977. Indovinate quale era… Lo studio aveva pianificato di far uscire solo due film di fantascienza per quell’anno, e quello per loro destinato ad essere il campione d’incassi era… ”Damnation Alley”!
L’altro film, in cui i dirigenti della 20th Century Fox avevano molta poca fiducia, era “Star Wars”(!!)
“Star Wars” divenne da subito l’enorme successo che tutti sappiamo, costringendo la Fox a reindirizzare l’uscita di “Damnation Alley”. In preda al panico, la data di uscita del film venne ritardata ulteriormente, mentre la Fox fece rimontare tutto il film. Smight combatté per tornare al controllo del montaggio del suo film, ma ampie sezioni del film vennero modificate dallo studios, tra cui diverse scene-chiave fondamentali per la trama. Il film venne finalmente rilasciato il 21 ottobre 1977.

Landmaster:
Forse l’aspetto più notevole del film è proprio il Landmaster, veicolo che presenta una sezione a cerniera centrale e un unico corpo rotante di 12 ruote montate a 3 a 3. Il “Landmaster” venne costruito apposta per il film ad un costo di 350'000 dollari, nel 1976 (1,4 milioni di dollari del 2010).
Il Landamaster è stato venduto a un privato nel 2005 ed è stato riportato alla sua condizione originale, come era nel film. Venne poi utilizzato al centro di molti car show per diversi anni. Dal 2007 è al San Francisco Rod & Custom Show, al Cow Palace di San Francisco, in California, come parte di una speciale mostra insieme con altre automobili e mezzi notevoli di famosi film e serie TV. Nel 2009, il Landmaster è stato vandalizzato. Il danno è relativamente minore, ma richiese di nuovo riparazioni e un nuovo restauro.
Il Landmaster non deve essere confuso con la superficialmente simile ma più semplice Ark II, mezzo di una famosa serie TV inglese di fantascienza degli anni’70.
Il suo “sistema di guida”, in pratica la consolle di guida, consisteva in una normale scrivania calcolatrice della Texas Instruments.

Sound 360°:
In alcune grandi città americane “Damnation Alley” venne presentato in “Sound 360°”, un nuovo processo del suono dal grande impatto surround. Passaggio di lì a pochi mesi per il “Dolby Stereo” utilizzato sempre dalla Fox in “Star Wars”.
Jerry Goldsmith fece come al solito un buon uso di questo nuovo sistema di ampia separazione stereo offerta dal “Sound 360°”, in particolare questo si nota nel tema di apertura, con le fanfare provenienti a loro volta da ogni lato del teatro.

Reazioni:
“Damnation Alley” uscì nel 1977, un anno dopo che venne girato. Dopo l’uscita abbandonò abbastanza rapidamente le sale per la ragione che non incassò abbastanza per rimanere nelle catene di cinema o negli allora duplex e triplexes. La critica di allora respinse abbastanza il film come una ripetizione inferiore di film come “Day the World Ended” (Il Pianeta perduto)(’55) di Roger Corman e “On the Beach” (L’Ultima spiaggia)(’59) di Stanley Kramer. In alcuni cinema nel corso del 1977 il film venne accoppiato con un altro film, “Wizards”(’77) di Ralph Bakshi, bellissimo fantasy d’animazione, che in quel momento era un successo al botteghino. “Damnation Alley” anche così non fece di meglio al botteghino, ma in seguito ottenne rapidamente lo status di culto che lo permea oggi più che mai.

Versione televisiva:
La prima rete televisiva NBC presentò nel 1983 una versione con presenti scene alternative e aggiuntive (in particolare, filmati con il bravo Murray Hamilton (Gen. Landers)- non accreditato perchè venne tagliato al montaggio- in alcune scene con George Peppard).

Versioni video e uscita DVD:
Per 26 anni, l’unica versione ufficiale disponibile in home video di “Damnation Alley” è stata dal 1985 la vhs 20th Century Fox H.E., le cui copie sono state da anni vendute in zone grigie su DVD. “Shout! Factory” ha per la prima volta fatto uscire il film in DVD e Blu-ray negli Stati Uniti il 12 luglio 2011. La presente edizione è caratterizzata da un nuovo trasferimento anamorfico in widescreen (tagliato a 16:9 su DVD e a pieno rapporto d’immagine di 2,35:1 letterbox version in Blu-ray), più il commento audio di Paul Maslansky, e inclusi negli extra featurette che narrano nel dettaglio le sfide incontrate per realizzare il film, e un esame dettagliato dell’ormai famoso veicolo Landmaster con il progettista e costruttore Dean Jeffries delle famose Jeffries Automotive Industries. L’originale mix audio “Sound 360°” non è presente né sul DVD nel sul Blu-ray, in quanto gli elementi originali erano troppo danneggiati per poterli salvare.
Purtroppo, ancora mancano tutte le scene alternative e aggiunte della suddetta versione TV della NBC, che a tutt’ora rimane quindi una sorta di Sacro Graal da collezionisti per tutti i cultori del film.
“Damnation Alley è sempre stato disponibile in file sharing in un’edizione apparentemente in un nuovo trasferimento ma che non lo è, trattandosi solo di una versione migliore certamente del vhs, ma comunque precedente. Esso presenta la versione online di rapporto in “widescreen” 1,78:1 (la versione cinematografica originale era 2,35:1), adattata per gli schermi PC e TV anche a pieno schermo (1,33;1).
Napoleone Wilson

robydick:
Questo frameshow, vero spettacolo grazie alle stupende immagini del bellissimo film, è accompagnato da "Oxygene parte 2" di Jean Michel Jarre.

sabato 30 luglio 2011

Gianni e le donne

20

Chi ha visto e apprezzato il precedente e gradevolissimo "Pranzo di Ferragosto" di questo regista andrà a colpo sicuro. Le mie aspettative sono state interamente attese. Sempre più autobiograficamente ispirato, sempre giocando in casa a Roma, Gianni Di Gregorio stavolta realizza un'intelligente ironia sull'anzianità maschile, in una sorta di continuum per par condicio del citato precedente.

Gianni è un "pensionato baby", a poco più di 50anni per ragioni di mobilità lavorativa. Economicamente non se la passa male, ha solo la mamma in una lussuosa villa, con lussuose abitudini e sempre attorniata da coetanee ospiti, che gli tormenta tempo libero e portafogli. Per il resto prepara il caffé alla moglie che ancora lavora ed ogni mattina lascia fogli di incombenze, e pure la colazione alla figlia adolescente eterna indecisa negli studi, e pure al fidanzato fancazzista della sgallettata che lei candidamente porta a "dormire" a casa sua. Commissioni da svolgere, anche a vicine di casa, tran-tran con la madre, e un'ossessione inculcatagli da amici coetanei: procurarsi un'amante, possibilmente giovane, perlomeno più giovane di lui. Non che Gianni le donne non le guardasse, semplicemente s'era fatto una ragione del suo status, ma ora il "grillo del grilletto" gli s'è insinuato in testa e comincia, pur con discrezione, a provarci! Abiti nuovi, ginnastica, fiori, un po' di cura allo specchio e... un fiasco dietro l'altro, delusioni che si rincorrono insieme a spese folli che aumentano, più d'una s'approfitterà di lui come solo le donne più stronze, e solo le donne possono essere stronze e crudeli in quel modo, sanno fare. Mai avrebbe immaginato il buon Gianni che...

Non c'è nulla da fare, noi uomini sessualmente parlando invecchiamo molto velocemente nel fisico e molto meno nel cervello. Anche quando il torrente degli ormoni, che da quel che resta del cervello va al riproduttore, si riduce a un miserabile stillicidio, non riusciamo ad evitare di guardare le belle donne e pure le ragazze, ad ammirarne le soffici appendici, a immaginarne le nascoste delizie, gl'intimi odori. E siete sempre di più ad essere belle, perché non ce ne rendiamo conto ma siamo sempre meno "selettivi", ci basta in una decenza fisica complessiva percepire il richiamo della femminilità, che ognuno di noi valuta per sé. La vostra giovinezza, presunta o millantata, alle nostre stanche retine appare come tre quarti di bellezza, anche quando guardiamo da lontano, anzi meglio da lontano ché da vicino ci servono le lenti che vorremo evitare d'usare, almeno in quel momento.
E' il mio pensiero? No, è lo stesso di Gianni quello che sto scrivendo, ma anche mio che non sono di molto più giovane, e di tanti altri. La c.d. mezza età se non vissuta con divertita consapevolezza può essere un calvario da questo punto di vista.

La voglio far breve oggi, questo è veramente un gioiellino da godersi anche in compagnia, forse non completamente apprezzabile da chi è troppo giovane ma non escluderei nemmeno questo.
Mi piace molto lo stile di Gianni Di Gregorio, che sta diventando uno stilema identificante ed è una qualità non da poco per i tempi, regista secondo me non ancora valutato per come merita. Non un giovane d'età ma giovane come regista, emerso dopo tanti anni di "dietro le quinte". Bravo anche come attore, nei ruoli che si cala a misura. Sono commedie pacate le sue, nel senso buono del termine, prive di "retorica cafona"**, delicate nell'affrontare anche argomenti spinosi perché intimi, legati alla vita di persone comuni. La scelta musicale è molto alla film francese d'autore, con armonie di piccola orchestra acustica jazz-folk, piacevole e non invasiva, occorre quasi prestare attenzione a quando compare.

Consigliatissimo.

**
Secondo me la retorica inutile e stupida, che emerge come pus da brufoli vulcanici in alcune "commediole italiote de quarantenni depressi", è una forma di cafoneria, e delle peggiori. Il motivo è presto detto: se non c'hai un cazzo d'interessante da dire, o di buono da fare nel Cinema, è meglio che ti dai ad altri mestieri, evitando d'imbrattare con le tue feci la categoria.
Dovevo dirlo, e l'ho detto.

Robydick

Frameshow accompagnato da Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, voce e musicista dei "Musica Nuda" in una splendida performance live di "Guarda che luna".


venerdì 29 luglio 2011

Malibu Express

13

Commedia sexy-action ottantesca che rappresenta un distillato puro e non edulcorato dello stile di Sidaris.

Impossibile non pensare alle opere di un certo regista statunitense che comincia per R e finisce per Uss Meyer, quando ci si pone di fronte all'operato di Andy Sidaris. Sarebbe già un accostamento di quelli azzardati e improponibili, tuttavia i film di Sidaris si fanno voler bene, almeno dal sottoscritto, sia chiaro, e, sebbene senza la carica unica e dirompente del cinema Meyeriano, ripropongono un erotismo gioioso e cartoonesco venato da un tocco di violenza che rende sicuramente la pietanza più speziata. Senza parlare poi del parterre femminile disinvoltamente spogliato dal regista originario di Chicago.

Sidaris era un regista operante in ambito sportivo. Insomma, uno dei più quotati professionisti televisivi nella regia di eventi popolari, basket, baseball, naturalmente a livello agonistico, financo le Olimpiadi, in cui già si poteva notare la sua ossessione per i "corpi gloriosi" delle atlete, delle cheerleaders e, perchè no, delle spettatrici, a cui dedicava diversi stacchi e close-up. Ossessione che si riscontra ovviamente nelle sue produzioni cinematografiche, in cui, libero dai limiti espressivi del mezzo televisivo, denuda attori e attrici a tutto spiano. Attenzione, però. Non una sequenza sterile di nudi appiccicati uno dietro l'altro, anzi, il tono scanzonato e ironico delle sceneggiature di Sidaris é collante prezioso che rende la visione delle sue opere esperienza piacevole e sollazzante. Non fa eccezione alcuna questo "Malibu Express", in cui l'investigatore privato Cody Abilene (Darby Hinton, carriera sterminata in cinema e Tv, ancora in attività, giovanissimo nel "Daniel Boone" televisivo, ma attivo anche sul versante horror e Sci-Fi con "Incontri Stellari - The Return" di Greydon Clarke con Martin Landau, Cybil Sheperd e Jean-Michael Vincent del 1980) si ritrova invischiato in una intricata trama di ricatti e omicidi correlati alla ricca casata dei Chamberlain. Abiline é negato con la pistola, all'inizio lo vediamo al poligono con la sua pistolona stile Eastwood, che manca clamorosamente ogni bersaglio, ma fa centro con tutte le belle e disponibili ragazze che incontra durante il metraggio. E' un bel piacione, il Nostro, costruito sul personaggio di Tom Sellek/Magnum P.I. che vive su una barca (il Malibu Express, appunto) alla ricerca di un caso con le palle che gli possa aprire nuovi orizzonti. Troverà sul suo cammino la splendida Contessa Luciana (Sybil Danning) che si offrirà a lui in tutti i sensi. Geniale Sidaris. L'incontro tra i due costituisce la rimorchiata più fenomenale e veloce che la storia ricordi. La Danning si presenta seminuda, poi si va a rivestire e ritorna di nuovo seminuda, vestita di rosso, una mise da sturbo, subito dopo, cena, ballo, champagne e poi sesso, il tutto in pochi secondi di montaggio! Impareggiabile, Sidaris, nel costruire scenette soft-core per quasi tutto il primo tempo, per poi virare verso l'action nella seconda parte, che diventa a tutti gli effetti un film d'azione con inseguimenti e sparatorie. Senza mai perdere di vista il sottotesto ironico, sottolineato per tutto il film dalla voce fuori campo del protagonista. Che é incapace come uomo d'azione, come "duro" e come pilota, surclassato dalle ragazze protagoniste della pellicola, vere "bad ass" della situazione. Tutte bellissime, naturalmente, la maggior parte playmates disinvolte davanti alla cinepresa che offrono prestazioni attoriali tutt'altro che scialbe o svogliate. Qualche nome, bé c'è l'imbarazzo della scelta, Lynda Weismeier, Lori Sutton, Lorraine Michaels, Shelley Taylor Morgan, con menzione speciale per la bellissima "Sexy Sally" alias Susan M. Regard, la centralinista very hot che proprio non ce la fa a restare abbottonata con Cody, nemmeno per via telefonica, già vista in "48 Ore" di Walter Hill e poi nel poliziesco "French Quarter Undercover" (1986) di Patrick Poole e Joe Catanalotto con il grande Michael Parks.

Come antagonista troviamo l'ottimo caratterista italo-americano Arthur "Art" Metrano, conosciuto dal grande pubblico come Comandante Mauser in "Scuola di Polizia 2 - Prima Missione" (1985) e "Scuola di Polizia 3- Tutto da Rifare" (1986) entrambi di Jerry Paris, ma attivissimo in praticamente tutte le serie Tv anni settanta e ottanta più famose, da "Sulle Strade della California" fino a "Hill Street Blues" tanto per intenderci, e in film quali "Chi ha ucciso Jenny?" (They only kill their Masters, 1982) di James Goldstone con Katharine Ross, James Garner, Christopher Connelly e Hal Holbrook e "Un Duro al Servizio della Polizia" ("Slaughter's Big Rip-Off, 1973) di Gordon "Them" Douglas con l'immarcescibile, grandissimo Jim Brown. John Alderman, nel ruolo del Lt. Aldredge, é stato avvistato in diversi hard dell'epoca aurea, come "Desire within young Girls" (1977) di Richard Kanter con Annette Haven e Georgina Spelvin, e "Center Spread Girls" (1982) caposaldo del grande Gary Graver con le sopracitate regine a cui si aggiungano Veronica Hart e Lisa DeLeeuwe. Il tutto con il nome de plum di Frank Hollowell, senza dimenticare "La casa di Mary" ("The Witch Superstition/Superstition, 1982) di James W. Robertson. Scomparso nel 1987.

Tuttavia gli occhi e il cuore di chi scrive sono tutti rivolti verso la magnifica Sybil Danning, qui al massimo della forma in un periodo in cui si era convertita ai cheapies degli eigthies, vedi "They're playing with Fire" (1984) di Howard Avedis, bellissima, dal fascino ottundente, é la vera protagonista del film, con tanto di doccia nel finalissimo. Impossibile non amarla. Da riscoprire la sua sterminata filmografia, con alti e bassi paurosi. Mattei, Deodato, non si é fatta mancare niente, nemmeno "Scuola di Buone Maniere" ("Reform School Girls, 1987) di Tom DeSimone..

Consigliata, naturalmente, anche tutta la filmografia di Sidaris ("Le Porno Detective"- Stacy-1973, "Savage Beach"-1990- tra gli altri), regista sapido ed essenziale, che paga sì tributo al genio di Meyer, vedi, nella pellicola in questione, la famiglia di bifolchi che sfida in continuazione Abilene a correre in automobile per riscattare un'antica sconfitta, ma che é riuscito a trovare una sua nicchia nell'exploitation degli anni ottanta e novanta, ripresa e risputata al pubblico da blockbuster cazzari come il dittico "Charlie's Angels" di McGinty-Nichol, comunque inferiore al capolavoro, sempre e credo solo per chi scrive "Nome in Codice: Picasso Trigger" ("Picasso Trigger,1987) di lontana visione su vhs Columbia/Tri Star. Cameo del regista nei panni di un cowboy camper-munito che recupera i nostri eroi dopo aver osservato le grazie esibite della bionda autostoppista. Consigliato, a patto di recuperare obbligatoriamente, "SuperVixens", "Up", "Beneath the Valley of The UltraVixens", "Motorpsycho" e "Faster, Pussycat! Kill! Kill!" di Meyer.

Omaggio a Andy Sidaris, nato il 20 febbraio 1931 e scomparso il 7 marzo 2007.
Belushi

robydick:
frameshow con sottofondo dell'amato, da me e Belushi, Huey Lewis & The News con la famosissima "If This Is It" dall'album sport, del quale ne conservo la versione LP con Cover Art.

giovedì 28 luglio 2011

L'ultima donna - La dernière femme

19

Permettetemi un incipit bloggeristico.
Questo film lo meditavo da tempo, fu una visione giovanile sconvolgente e ne avevo solo tracce nei ricordi. Mi è bastato parlarne 5 minuti de visu con l'amico Belushi e mi ha spiattellato il titolo in un attimo - è "L'ultima donna" di Marco Ferreri -. Chissà la faccia che m'è venuta! Devo ringraziarlo infinitamente, anche perché, come poi spiegherò, questo che per me è un Capolavoro (ma non può esserlo per tutti) è capitato in un momento della mia vita a dir poco Decisivo.

In un non-luogo fatto di grandi industrie e agglomerati-dormitorio di periferia urbana, che potrebbe essere ovunque in Europa, si svolge la vicenda che vede protagonisti, con due attori qua formidabili che non si risparmieranno, Giovanni (Gérard Depardieu) e Valeria (Ornella Muti). Lui è ingegnere in un grosso impianto industriale, che a Ottobre viene obbligato a consumare ferie causa crisi produttiva. Lei nella stessa ditta lavora al nido messo a disposizione delle maestranze, dove c'è il figlio di Giovanni il quale è separato ed è lui ad occuparsene. Un colpo di fulmine e Valeria, lasciando al parcheggio l'amante attuale, tornerà a casa con Giovanni e il figlio, il bimbo nel marsupio e lei seduta dietro sulla moto (splendida, non ho visto benissimo ma credo fosse una Kawasaki 3 cilindri 2 tempi, oggi affascinante oggetto da collezione).

Due persone allo sbando con impellente bisogno d'affetto e di calore, di riceverne e di darne, s'incontrano al momento giusto, o meglio è "giusto" perché la loro storia possa nascere. Valeria poi si affezionerà anche al bimbo ma sarà soprattutto un amore sessualmente incontenibile, e tanto sesso e nudi saranno mostrati, con scene al limite del "concesso". Non c'è passato da ricordare per entrambi, e vano sarà il tentativo pur giocoso di costruirsene uno. Il presente viene vissuto senza progetti né ideali, solo conforto (per nulla disprezzabile, a mio insindacabile parere) la carnalità che presto (o tardi) soffrirà anch'essa la principale causa di ogni noia: la routine, la prevedibilità. L'assenza di relazioni umane e sociali cordiali della c.d. "epoca moderna" è lo sfondo. Ogni tanto immagini in campo aperto ci mostrano questi panorami "inter-urbani" mai gioiosi, il solo sentimento umano loro accostabile è la depressione. Persino in prossimità di un albergo l'antropizzazione risulta essere algida, glabra, priva di punti di stacco tantomeno colore, disadorna di ogni possibile bellezza che l'umanità ha saputo proporre.
Si scadrà nella paranoia a causa del sesso, emblema di troppi e assurdi significati tanto che alla fine assurgerà a nemico, portando Giovanni a compiere un gesto sconvolgente e qua mi fermo per evitare uno spolier clamoroso.

E' un film che fa pensare chi lo guarda, inevitabilmente. Coevo al suo tempo, la storia ne assorbe tutti i cambiamenti sociali in corso. Il '68 è ancora caldo, i movimenti giovanili e quelli femministi pure. Come sempre accade quando si vanno a contrastare quelle che sono "certezze" dell'umano convivere, tanto care ai conservatori, si vive sul sapone, anzi la metafora corretta sarebbe dire che si vive su sabbie mobili. Sono periodi nei quali si radicalizza tutto, sia chi contesta e vuol cambiare le cose, sia chi le vuole mantenere o restaurare. I due grandi carri di Contestatori e Restauratori viaggiano su una sorta di autostrada strisciando e sbattendo in continuazione sui guard-rail, percorrendo la mediana solo per scontrarsi violentemente.
Giovanni e Valeria sono figli, spettatori non-protagonisti, del cambiamento in atto e galleggiano in un limbo indefinibile. Non se ne accorgono, salvo brevi lampi d'autocoscienza mai confortanti, ma hanno un piede su un carro e un piede sull'altro.

Mi concentro (al solito) su una mia personale riflessione che richiede una breve premessa:
La location delle riprese è in Francia, palesemente. Il film è anche una produzione italo-francese. Io però non posso togliermi dalla testa che nel 1973 erano solo 3 anni che la legge 898/1970 (nota come "legge Fortuna-Baslini") era stata promulgata nel nostro catto-paese. Anche meno di 3 anni perché la legge entrò in ordinamento il giorno 1 Dicembre 1970. Visti i tempi tecnico-giuridici imposti dal momento dell'inizio della pratica di separazione (se ricordo bene allora occorrevano minimo 5 anni, ora "ne bastano" 3 e sono ancora troppi...) ancora non c'erano in Italia dei divorziati, parlo di italiani sposatisi qua ovviamente. Il tema del film non è il divorzio, sia chiaro, ho citato la cosa per "acclimatare" meglio quanto segue e contestualizzare il film, credo sia sempre importantissimo prestare attenzione all'anno di uscita/produzione, il Cinema è uno specchio.

"L'ultima donna" a mio parere sfonda porte aperte sull'istituto della Famiglia, di origini culturali e religiose prima ancora che giuridiche. Nulla ha di "naturale", come qualcuno vorrebbe far credere. Nessuno si offenda, chi ne è felice e soddisfatto lo sia, mi limito ad esprimere quel che penso, e cioè che per come è strutturato, monogamo e chiuso (e mi riferisco chiaramente a quello in uso da noi), con deleghe quasi esclusive sulla crescita della prole che sanno molto di deresponsabilizzazione da parte di una società che non è capace né vuole occuparsene, è estremamente costrittivo, costipante, castrante, noioso, ripetitivo, per gli uomini come per le donne. Uno degli apogei del conservatorismo, il suo prodotto principe. Un Mondo Nuovo dovrebbe rivederlo di sana pianta, perlomeno se ha tra i desideri fondanti la massima libertà di movimento ed espressione possibile per i suoi fortunati abitanti. Con delle belle nursery pubbliche che aumenterebbero anche i posti di lavoro si sgraverebbero i fornitori di seme ed ovuli dall'onere di dover necessariamente consumare una vita insieme che non può che scadere in un buio di prevedibilità che è mortale! MORTALE! Sono persino sicuro che i genitori carnali sono le persone meno adeguate a fornire la miglior educazione, perché vittime troppo spesso della necessaria lucidità appannata dal sentimento. Sono dell'idea che una Società Organizzata di qualsiasi natura veramente forte si occupa con concreta empatia dei più deboli, siano essi bambini, anziani e altri, permettendo ai Soggetti Forti e Produttivi di continuare ad esprimere il massimo potenziale, con proporzionato beneficio per la Società stessa. Chi si occuperà dei servizi c.d. sociali per le categorie suddette? I già citati soggetti forti, professionalmente.

Ipotesi forte, sono contento di essere riuscito a descriverla con "poche" righe.
Ne avrei da dire ancora, perché è pensiero che maturo da tempo, studiai a fondo un'ipotesi di società priva di Famiglie per come ora le intendiamo, ma basta così, magari in futuro ne farò un chilometrico articolo sul mio cazzaro-blog "Fanfare". Ora qua non voglio infierire oltre su quello che per molti, la stragrande maggioranza delle persone e probabilmente dei visitatori di questo blog, è un caposaldo indiscutibile. Per me non esistono cose indiscutibili, tranne una forse: "penso quindi sono".

Il clamoroso gesto di Giovanni, scioccante, è tante cose, una delle quali un tentativo di troncare definitivamente la sua dipendenza fisica e psicologica dal genere femminile. Nonostante fosse un ingegnere, inteso come una persona istruita, che dovrebbe sapere che con lo studio, lo sforzo intellettuale è possibile risolvere la cosa diversamente, non sarà in grado di trovare alternative, succube di un contesto annichilente che non riesce a contrastare.
Proprio in questi giorni ho imparato che invece si può risolvere il problema in modo decisamente più indolore, perlomeno dal punto di vista fisico, e ne sono felicissimo. Non scherzo oggi con il frameshow, ma la splendida "Morire d'amore" cantata da Charles Aznavour, della quale ho scelto la versione in francese, è già di per sé un contrappasso.
Robydick




mercoledì 27 luglio 2011

101 Reykjavík

21

2000, Baltasar Kormákur.

La storia bizzarra, o forse semplicemente curiosa, simpatica certamente, divertente tantissimo, del più o meno trentenne Hlynur, della di lui madre Berglind e della spagnola Lola, semi-giovane e carina ballerina nonché insegnante di Flamenco, "amica" della madre che diventerà "amica" pure del giovane. "Il triangolo Sì!" dovrebbe cantare il massificatore di sorcini in questo caso.

Copula con quella che capita di turno, ha addirittura una spasimante fissa alla quale non riesce ad affezionarsi del tutto, come con chiunque altro/a del resto. Nel pub che frequenta assiduamente non solo Hlynur ma tutti e tutte si sono più o meno scambiati fra loro i piaceri del sesso. L'altra sua principale passione sono le tv satellitari che trasmettono porno e lo tengono impegnato notti intere. Vive solo con la madre, il padre alcolizzato è da tempo andato via. Un giorno Berglind le presenterà Lola, caliente e intraprendente, lasciandola con lui a Natale mentre lei andrà da parenti e proprio la notte dei magi... Proverà un certo imbarazzo il buon Hlynur quando la madre al suo ritorno lo chiamerà da parte per parlargli, lui certo pensa "questa sa tutto", invece gli dirà che è lesbica e che Lola è la sua compagna. Vogliono avere anche un figlio lei e Lola con l'inseminazione, ma Lola resterà incinta sì, ma forse di lui? Non è chiaro, mentre invece è chiaro che l'altra amica affezionata di cui parlavo, è incinta e stavolta non ci sono dubbi che sia suo il figlio potenziale. Che faccio, ricapitolo io tutto il pateracchio?

Un vero spasso, non esagero con titoli da assegnargli però è un film che consiglio senza meno.
Hlynur, interpretato dall'impronunciabile Hilmir Snær Guðnason, è un curioso nichilista-fatalista. Alla lontana e in chiave moderna ricorda "Oblomov". Chi ha visto il film ma soprattutto letto il capolavoro di Goncharov capisce cosa intendo. Passati alcuni attimi di stupore in ognuna delle "sorprese" che vivrà, il giovane prosegue nelle sue riflessioni sulla vita narrate fuori campo, sulle relazioni umane e sul luogo dove vive e sguazza. Disoccupato cronico che agisce affinché nulla possa turbare quella paciosa cronicità, il solo sbandamento d'intensità significativa sarà causato dall'innamoramento per Lola, la quale però non ci pensa minimamente a cambiare abitudini sessuali (anzi, prova a portare "il verbo" saffico anche tra le amiche del giovane, compresa la mancata fidanzata) e l'episodio natalizio resterà unico. Certo che per un uomo avere come rivale in amore la madre non è consueto.
Lola è il personaggio che gode della migliore interpretazione. E' la bravissima attrice spagnola Victoria Abril, con alle spalle una lunga carriera già all'uscita di questo film. Ha lavorato col meglio dei registi spagnoli, Pedro Almodovar compreso.
Menzione, che ogni scusa per me è buona, per la "Zentropa Entertainments", casa di produzione cinematografica fondata dal mio mito Lars von Trier, che ha co-prodotto il film.

Qualche citazione di dialoghi/pensieri:
Hlynur - "il donatore di sperma dev'essere un bel lavoro, sì, non mi spiacerebbe farlo" - al che Lola risponde prontamente - "eh! perché non domandi all'ufficio di collocamento! hai visto mai che ti ritrovi un lavoro fra le mani".
Hlynur - "la cosa peggiore dell'AIDS come sistema di suicidio è che ci metti un sacco a morire".
Hlynur - "dall'accoppiamento tra l'alcolista e la lesbica nasce il Cleaner, estremamente lento nello sviluppo e inabile al volo, rimane con la madre per più di trent'anni. Il Cleaner è sempre sulla difensiva ma è fondamentalmente innocuo".
Hlynur - "tutto è giusto e sbagliato, tutto è buono e cattivo, tutto è... punto".

L'ultima è banale forse, però quanta sanità di mente occorre per essere così semplici nei confronti del sesso e dell'amore, per prenderlo così com'è e viene, senza costruire inutili sovrastrutture etico-morali ogni volta che non servono a nulla se non a mortificare? Ne occorre poca secondo me, basta appunto essere sani di mente e se proprio non si può fare a meno di rivolgersi a religioni e similari meglio farlo con le pinze, ritrovarsi con le manette al cervello è questione di un attimo.
Robydick

Godetevi questo frameshow accompagnato da illustri connazionali del regista, i Sigur Rós con la loro famosissima "Hoppípolla". Penso soprattutto agli affezionati lettori mattinieri, è un pezzo che predispone l'animo. Con l'occasione consiglio a chi non lo avesse visto il bellissimo docu-film "Heima" del citato gruppo, raccolta di una loro grande esperienza di concerti nella patria terra d'Islanda.

martedì 26 luglio 2011

Endgame - Bronx lotta finale

20

Post-Atomico violento e spettacolare prodotto dalla Filmirage e scritto, anche se non accreditato, da Montefiori/Eastman.

Giusto qualche parola d'introduzione. Il 22/10/1982 esce "1990-I Guerrieri del Bronx" di Enzo Girolami Castellari, il 07/04/1983 "I Nuovi Barbari", sempre di Enzo, mentre il 15/08/1983 arriva nelle sale il terzo capitolo della trilogia Castellariana "Fuga dal Bronx"; seguiranno, tra gli altri, il 28/10/1983 "Rush" di Anthony Richmond/Tonino Ricci con Bruno Minniti, il 25/11/1983 "I Predatori di Atlantide" (pregiatissimo da chi scrive, i gusti sono gusti) di Ruggero Deodato, mentre il 05/11/1983 si era affacciato sugli schermi "Endgame-Bronx Lotta Finale" di Steve Benson aka Aristide Massaccesi.

Il Post Nuke italico deflagra in pieno inizio anni ottanta sulla scia del successo dei due "Interceptor-Mad Max" di George Miller (da ricordare, in questa sede, anche lo sceneggiatore Byron Kennedy, morto durante la preparazione del terzo capitolo) e del fenomenale "1997 Fuga da New York" (1981) di John Carpenter, anche se i germi erano già presenti in pellicole come "Ecce Homo" (1969) di Bruno Gaburro e "La Città dell'ultima Paura" (1975) di Carlo Ausino. Tuttavia l'italica produzione ottantesca di genere tende a puntare i riflettori sulla devastazione terrestre causata dal bombardamento atomico e sulle gesta dei sopravvissuti all'ecatombe ( "2019 Dopo la caduta di New York" di Sergio Martino, imprescindibile). Non poteva mancare all'appello il vecchio Aristide, che avvierà una produzione seriale di questo tipo di prodotti prima con "Texas 2020" aka "Anno 2020 I Gladiatori del Futuro" di Luigi Montefiori (che si firma Kevin Mancuso) film in cui interverrà registicamente lo stesso Massaccesi (vedi le gustose testimonianze di Luigi sul making of) poi con "Interzone" (1987) accreditato a Deran "Zombi 3" Sarafian ma girato in gran parte da Aristide, che era un produttore di polso e non amava perdere tempo e, soprattutto, soldi. Segno, sì, di un interesse specifico, ma più probabilmente perchè il post nuke era, ai tempi, un genere che tirava e si riuscivano a vendere le brochure anche solo con un titolo paraculo che inneggiasse alla catastrofe nucleare. Ritorniamo così al film in questione che, sia detto per inciso, è un ottimo prodotto. Si è già ampiamente parlato dell'abilità di Massaccesi come fotografo e della sua grande, immensa, capacità di ottenere il massimo con il minimo a disposizione, ma è innegabile che in questa pellicola il regista sia riuscito a ricreare un mondo post bomba piuttosto credibile, giocando di sottrazione, come giusto che sia, ma non diventando mai sciatto o cialtrone. Specialmente l'incipit risulta non poco efficace nel mostrare la desolazione e la disperazione del paesaggio e dei personaggi, vessati da ratti enormi e da una versione futuribile delle SS, che massacrano tutti i reietti di questa società post-tutto. Inquadrature essenziali, uso eccellente degli spazi, dettagli sui topi che immediatamente insinuano nello spettatore un senso di morte e sporcizia, Massaccesi i film li girava velocemente, ma sapeva bene quello che finiva in proiezione.

I primi trenta minuti presentano una lotta spietata tra diversi contendenti che è la ciccia di una spettacolo televisivo servito per il popolo bue da un' elitè militare guidata dal grande Gordon Mitchell ( un uomo che è il cinema bis fatto e finito, non si puo' aggiungere altro, ci vorrebbe un post solo per lui). I "cacciatori" devono combattere ripresi dalle telecamere di Stato, finchè non viene decretato il vincitore unico della sfida, tema poi brillantemente sviluppato nell'ottimo "The Running Man - L'Implacabile" (1987) di Paul Michael "Starsky" Glaser con Schwarzenegger, già recensito alla grande da Napoleone Wilson. Nessuna perdita di tempo, poche inquadrature per introdurre la troupe televisiva che si occupa dell'evento, la preparazione dell' antieroe protagonista Ron Shannon (l'impagabile Al Cliver) e poi i combattimenti coreografati da Arnaldo Dell'Acqua (della famiglia di Alberto e Ottaviano, gli stuntmen per eccellenza del nostro cinema, ivi accreditato come Al Waterman) che finiscono con la sfida all'ultimo sangue tra Shannon e Kurt Karnak ( Gigi Montefiori/George Eastman). Fin qui tutto bene, Shannon ha la meglio sull'antagonista, ma lo risparmia, anche perché si trova in contatto telepatico con una mutante, nientemeno che Laura Gemser (qui come Moira Chen), la quale, da vera gatta morta, convince il campionissimo a scortare un gruppo di mutanti fuori dalla città, prima che siano eliminati dalla Gestapo.

Comincia così la seconda parte del film, e comincia la contaminazione di generi tanto cara ad Aristide, perchè il tutto prende una forte connotazione western che impreziosisce la pellicola e che aggiunge quel tocco in più per cui un film è degno di essere ricordato e apprezzato da ogni appassionato degno di tale nome. Shannon decide di aiutare i mutanti, come pocanzi accennato, ma è costretto a costituire un gruppo di "valorosi" che lo affianchino nella scorta della carovana. Gli amanti del bis, a questo punto, non potranno fare altro che stappare l'ipotetica bottiglia, perchè il reclutamento del gruppo è uno dei pezzi forti di tutto il metraggio, non solo per i già citati stilemi western profusi a piene mani, ma anche per il parterre attoriale chiamato in causa: Gabriele Tinti, qui come Gus Stone, fidanzato della Gemser, una vita al fianco di Aristide (vedi il ciclo "Emanuelle", "Riflessi di Luce" con la Prati e anche cose come "I Guappi Non Si Toccano"-1979- di Mario Bianchi con la Senatore e Richard Harrison) prematuramente scomparso il 12 novembre 1991; Haruiko "Hal" Yamanouchi, straordinario attore di origine giapponese che in ambito bis ha fatto di tutto, da "Joan Lui" (1985) a "Sette chili in Sette Giorni" (1987) di Luca Verdone, per intenderci, anche se ha lasciato un'impronta indelebile nel genere preso in questione, nel cast anche dello "Steve Zissou" di Wes Anderson e dell'ultimo Weir "The Way Back"; Giovanni "Nello" Pazzafini (qui come Nat Williams), un volto, una presenza inscindibile dalle produzioni italiche, dalle "Squadre" a "Banana Joe", financo il cavernicolo "Iron Master-La Guerra del Ferro" (1983) di Umberto Lenzi con la povera Elvire Audray e, giardiniere infoiato nel notevole "L'Alcova" (1985) di Massaccesi con Cliver e la sacra trimurti Lilli Carati, Annie Belle e Laura Gemser. Scomparso il 27 novembre 1997. Last but not least, il grande (in tutti i sensi) Mario Pedone, nel ruolo di Kovack, pure lui figura frequentemente avvistata in produzioni di genere/degenere, vedi "L'importante è non farsi notare" (1979) di Romolo Girolami Guerrieri e, soprattutto, il "Laguna Blu" italiota "Due Gocce d'acqua Salata" (1982) di Luigi Russo/Enzo Doria con la bionda Sabrina Siani, veramente i-m-p-a-g-a-b-i-l-e, poco altro da dire. Altri interpreti sono il Baviano (figlio) Dino Conti e Christopher Walsh.

Si parlava di contaminazione western. Aristide non ne era proprio a digiuno avendo diretto nel '72 "Un Bounty Killer a Trinità", titolo geniale per un'opera di recupero che sarà accreditata al sodale Oscar Santaniello. Una scena per tutte: il furioso attacco dei monaci non vedenti vestiti di nero, guidati da una mente collettiva, falciati dalla mitragliatrice di Gabriele Tinti. Scena di ampio respiro, la migliore e la piu' spettacolare del metraggio, che è giusto segnalare in quanto alzata d'ingegno notevole del Massaccesi, che culmina con un colpo d'ascia scagliato senza pietà da Shannon a martoriare la testa del ragazzino, guida telepatica dei monaci/zombi. Echi orrorifici, quindi, pistoleri e sparatorie, ma anche il còtè fantascientifico non viene sacrificato e, in questo senso, celeberrima diventa la parata dei mutanti in motocicletta, guidati dal mutante blu interpretato da Pietro "Puccio" Ceccarelli, il quale si presenta alla guida di un mezzo "scortato" da due ragazze ignude (la più magra mi pareva Annamaria Napolitano/Annj Goren, ma non credo sia lei) per poi mettere sotto assedio il gruppo di Shannon e rapire, naturalmente, la Gemser. Figurarsi se Massaccesi non trovava il modo di spogliare la sua attrice feticcio, violentata da Ceccarelli in una scena cultissima in cui è legata al letto, ma ancora capace di comunicare telepaticamente con il barbuto Shannon. Il mondo, l'universo bis di Aristide sta tutto qui. Non é finita. Nel finalissimo, Al Cliver/Shannon riesce a portare a destinazione il gruppo di mutanti, che verranno scortati al sicuro su di un elicottero dal quale compare Michele Soavi; il lavoro é compiuto, e il Nostro si merita i lingotti d'oro elargiti dal gruppo a pagamento della missione. La Gemser fa chiaramente capire ad Al Cliver che non disdegnerebbe un'unione umano/mutante, ma non c'è niente da fare. L'eroe non parte con il gruppo, rimane a terra con la valigia piena d'oro ai suoi piedi. Compare all'improvviso George Eastman (magnifico nel film), che in una grande scena finiva il povero Mario Pedone, murato vivo, torcendogli la testa. Non si é dimenticato della battaglia iniziale. Impossibile. I due si fronteggiano per qualche secondo. Poi, si scagliano uno contro l'altro. Ma il freeze frame ferma l'immagine ed il film finisce. Sublime.

Tutto l'apprezzamento di chi scrive va, in questo ambito, al grande Al Cliver/Pierluigi Conti, grande, simpaticissimo personaggio, "Tufus", così come era chiamato da Fulci, grande presenza fisica e una vita nel bis, da "Il Saprofita" (1972) di Sergio Nasca al tardo western, da rivedere e riscoprire, "Una Donna chiamata Apache" (1976) del collaboratore di Fulci, Giorgio Mariuzzo.Cliver, Yamanouchi e il gigante Bobby Rhodes (Demoni 2, 1986, di Lambertone Bava), uno dei lottatori della battaglia iniziale, hanno costituito una specie di terzetto affiatato comparso già ne "I Paladini" (1983) di Giacomo Battiato e che si rivedrà pure nel futuribile di Mastro Fulci "I Guerrieri dell'anno 2072" uscito il 24/01/1984. Il cerchio si chiude.

Musiche del Maestro Carlo Maria Cordio, presenza consueta nei film di Massaccesi, mentre gran maestro d'armi è il grande Franco Ukmar, presenza costante in una marea di titoli italiani. I compratori esteri rimasero colpiti dalla camminata "da cowboy" di Al Cliver, che il paraculissimo Aristide giustificò come frutto di studio e allenamento da parte dell'attore, che, invece, camminava in quel modo per via degli stivali pesantissimi e della tuta aderente. Genio italico.

Il finale é tutto per Pierluigi, che nel film, non ride mai. Forse memore dei "suggerimenti" elargitigli da Lucio Fulci durante le riprese di "Zombi 2" (1979), nonostante in questo caso si operi in altro ambito di genere. Disse Lucio al Nostro che sorrideva durante le riprese:

"Ahò, che cazzo fai, ridi?"
"Questo é un film del terrore!"
"Nun devi ridere!"

Lezione de Cinema.
Belushi

Frameshow by robydick con, al solito, una musica che non c'entra un beato fallo col film, me stò a diverti' così, abbiate pazienza.

Può essere interessante, per me perlomeno lo è stata, questa intervista relativamente recente di Luigi Montefiori (aka: George Eastman)(aka: tra li mejo attori de'ggenere italiani) a Stracult. Consigliatissima!



lunedì 25 luglio 2011

La porta sul buio

8

“In quanto al titolo “La Porta sul buio”, vi chiederete che cosa voglia significare. Ebbene, vuol dire, come aprire una porta sull’ignoto, su ciò che non conosciamo e che perciò molte volte ci inquieta, ci fa paura. Ma per me vuol dire anche altre cose. Può capitare, ed è capitato una volta, anche una sola volta nella vita di una persona, di chiudersi una porta alle spalle e trovarsi in una stanza buia…, cercare l’interruttore della luce e non trovarlo… Provare ad aprire la forma e non riuscirci. E dover restare lì, al buio… Soli… Per sempre. Ebbene, alcuni dei protagonisti delle nostre storie si sono chiusi alle spalle questa porta fatale.”

- Dario Argento nell’introduzione agli episodi de “La Porta sul buio” -.

Enzo Cerusico/Commissario Giordani nell’episodio “Il Tram” :-“C’è anche il criminale intelligente, magari ha belle macchine, ville, lusso, può anche sembrare una persona per bene, compie delitti anche lui, eccome, solo che quando andiamo a vedere ci mostra le mani e sono sempre bianche, pulite, immacolate.”

In quei primi anni ’70 l’exploit registico di Argento fu tale per cui la Rai TV gli commissionò e fece realizzare 4 episodi di 60’ ciascuno da programmare alla maniera di un “Alfred Hitchcock Presents”, con una breve introduzione di Argento stesso, grazie alla quale e agli ascolti altissimi che fecero gli episodi, divenne un volto conosciuto e inconfondibile per moltissimi telespettatori. Venuta subito dopo l’enorme successo commerciale in Italia ma anche all’estero e negli Stati Uniti della famosa e già più volte menzionata “Trilogia degli animali, o zoologica” comprendenti “L’Uccello dalle piume di cristallo” (1969), “Il Gatto a nove code” (1971), e “Quattro mosche di velluto grigio” (1971), la mini serie avrebbe dovuto richiamare e riportare il tipo di stile e di trame dei suoi film sul piccolo schermo, pur con tutti gli evidenti limiti della televisione dell’epoca in termini di rappresentazione della violenza. Ciò nonostante la Rai dell’epoca soprattutto se raffrontata a quella cortigiana di oggi era ancora capace di sperimentare e di proporre prodotti diversi e per molti versi coraggiosi, al vasto pubblico. Certo Argento dovette scontrarsi con cose assurde di quei tempi, come ad esempio il divieto di usare coltelli o comunque armi da taglio nelle scene di omicidio (anche perché udite udite richiamanti la chiara simbologia fallica della psicologia) e, più in generale di mostrare quella violenza che è l’essenza stessa del suo modo di intendere visivamente il thriller.
Ma riuscendo a non tirarsi troppo indietro Argento impose di mostrare delle scene violente come mai prima di allora si erano viste sugli schermi televisivi italiani, e certamente adatte a essere commercializzate all’estero, realizzando un prodotto giallo-thriller davvero quasi all’altezza dei suoi thriller cinematografici; anche per questa qualità innegabile si coniò il termine di "Hitchcock all’italiana".
I quattro episodi sono imperniati su trame all’apparenza angosciose e improbabili ma invece ben possibili, e quasi sempre da quell’impianto intrinsecamente claustrofobico che è un po’ l’ossessione primaria di Argento.
Con la possibilità di lavorare anche col mezzo televisivo tramite una serie televisiva –seppur di soli quattro episodi- il regista romano si avvicinò ancor più alla diversificazione di attività creative che il suo modello hitchcockiano aveva pioneristicamente intrapreso alla televisione americana fin dagli anni ’50 e per tutti i ’60 appunto con le celeberrime serie “Alfred Hitchcock Presenta” (The Alfred Hitchcock Presents) e “L’Ora di Hitchcock” (The Alfred Hitchcock Hour), e quindi anche per Argento la possibilità di cimentarsi felicemente con la serialità. Molto più felicemente che negli anni ottanta con i vari telefilm e mini segmenti della trasmissione su Raidue “Giallo” (’87) di Enzo Tortora, dal titolo “Turno di notte” e “Gli Incubi di Dario Argento”. Nel 1973 però, alla messa in onda degli episodi certamente i vertici della Rai avranno avuto i sudori freddi di fronte all’audacia e alla loro avanguardia oltre che alla per loro incomprensibile sperimentazione di nuovi modi di ripresa e linguaggio, ma soprattutto, di fronte alle proteste di alcuni telespettatori in particolare per il primo episodio ritenuto molto violento (“Il Vicino di casa” diretto dal fido braccio destro e co-sceneggiatore di Argento, Luigi Cozzi) -e meno male che non c’era ancora il pernicioso Moige- che determinarono una stretta di controlli preventivi della messa in onda dei successivi episodi, onde bloccarli o meno. Il successo di pubblico però fu innegabile e anche se non –fortunatamente- ancora in tempi di “audience” si è stimato che diversi milioni di italiani videro gli episodi alle prime messe in onda, e tra questi sicuramente vi furono anche moltissimi degli spettatori che avevano determinato il successo di pubblico cinematografico dei film di Argento e che poterono ritrovarvi l’interessantissimo tentativo di trasferirvi le sue idee e le sue storie cinematografiche, anche nuove e da poter essere riprese e sviluppate in altri successivi thriller cinematografici.

Dei quattro, gli episodi diretti da Argento furono due: “Il Tram” (con lo pseudonimo di Sirio Bernadotte, che è anche l’episodio migliore), con Enzo Cerusico nel ruolo del Commissario Giordani (grande incontro tra i due che sfocierà per lui nel ruolo da co-protagonista del successivo “Le Cinque giornate” [‘73]), Paola Tedesco (Giulia), Pierluigi Aprà (Roberto Magli), Emilio Marchesini (Marco Roviti), e gli immancabili feticci argentiani Corrado Olmi (Morini), Fulvio Mingozzi (poliziotto), Gildo Di Marco (passeggero con la barba), Tom Felleghi (passeggero), Salvatore Puntillo (passeggero), Luciana Lehar (passeggera), Marcello Fusco (passeggero), Pietro Zardini (passeggero), Maria Tedeschi (passeggera), e “Testimone oculare” firmato dal suo assistente Roberto Pariante e interpretato da Marilù Tolo (splendida, anche lei ritornerà ne “Le Cinque giornate” e all’epoca era una delle tante donne della vita di Argento), Riccardo Salvino (Guido Leoni), Glauco Onorato (bravo e affidabile come sempre, Commissario Rocchi), Altea De Nicola (Anna), Gino Pagnani, mentre gli altri due sono affidati alla regia del fido Luigi Cozzi il primo e Mario Foglietti il secondo, e sono “Il Vicino di casa” con Aldo Reggiani/Luca (il bravissimo Casoni proveniente da “Il Gatto a nove code”). Laura Belli (Stefania), Mimmo Palmara (Il vicino), Alberto Atenari; e “La Bambola” con Robert Hoffmann (Dottore) che abbiamo già visto anche recente proprio da queste parti in “Spasmo” (’74) di Lenzi, Mara Venier (Daniela Moreschi), Gianfranco D’Angelo (Commissario), Pupo De Luca (Vice Commissario), Umberto Raho (Psichiatra), Erika Blanc (Elena Moreschi), Maria Teresa Albani (locandiera), Luciano Bonanni (cliente del bar). Si riformava in pratica il team di lavoro che già aveva dato così buona prova di sé in “Quattro mosche di velluto grigio”, in quanto proprio in quel film Pariante era stato l’aiuto regista di Argento mentre Cozzi era l’assistente alla regia e coautore del soggetto con lo stesso Foglietti e Argento. Importante anche l’incontro avvenuto in quest’occasione tra Argento e il celebre compositore e pianista jazz Giorgio Gaslini alle musiche che sarà fondamentale tra “Le Cinque giornate” e “Profondo rosso”.


Il Vicino di casa

Due giovani coniugi si trasferiscono con il figlio appena nato in una nuova casa sul mare del litorale laziale. Non possono immaginare che proprio appena al loro trasferimento il loro vicino di casa ha assassinato la moglie.

Questo è stato l’episodio che venne trasmesso per primo; denso d’atmosfere angosciose e di quella claustrofobica tipicamente argentiana, quasi di svolgimento in tempo reale che è quello dell’arco di una notte, sempre in interno che è l’appartamento, e senza ancora telefono e luce allacciati, ubicato dentro ad una palazzina vicino ad una spiaggia, mentre ovviamente l’auto della coppia per un guasto è inutilizzabile. Caratteristica dell’episodio è la scenografia scarna dell’appartamento ancora da rendere personale e abitato dai due protagonisti, ben condotta l’angosciosa atmosfera, e l’onnipresente tensione che si denota in ogni momento dell’episodio, a cui contribuiscono molto bene le musiche e il montaggio. Molto belle sono anche le riprese quasi costantemente in notturna e in esterni nei dintorni dell’abitazione sotto i sibili del vento che proviene dalla spiaggia, a ben restituirci l’atmosfera di desolazione e solitudine che l’episodio riesce a farti proprio come respirare. In molte sequenze è inconfondibile lo stile registico di Argento che è quindi indubbio abbia realizzato diverse sequenze: come il montaggio elaboratamente alternato, le molte riprese in esterni, i passaggi gli stacchi dai piani lunghi ai piani ravvicinatissimi (tutte cose già molto utilizzate da Argento nei suoi film e ben poco assimilate dal mezzo televisivo dell’epoca).
Il Cozzi l’ineffabile dichiarò all’epoca come anche riportato da diverse fonti di essersi ispirato allo spunto ovvio de “La Finestra sul cortile” (Rear Window)(Usa’54) di Alfred Hitchcock, ed è vero che Mimmo Palmara , il “vicino di casa”, è ispirato alle movenze da lottatore del Raymond Burr/”Perry Mason” assassino originale nel film di Hitchcock, e come nel capolavoro del regista inglese ad un certo punto anche Palmara deve cercare di eliminare i due giovani testimoni come nel film originale la coppia James Stewart -Grace Kelly , testimoni involontari o casuali dell’omicidio di sua moglie. Si vede anche “Il Cervello di Frankenstein” (Abbott and Costello Meet Frankenstein)(Usa’48) di Charles Burton, con Bud Abbott/Gianni e Lou Costello/Pinotto , film guardato in televisione dalla giovane coppia.
Laura Belli era già una divetta dello sceneggiato avendo interpretato “Ho incontrato un’ombra” (’74)(’71) e il “Il Segno del comando” (’71) diretti da Daniele D’Anza e dall’enorme successo di pubblico. Mimmo Palmara nel ruolo dello psicotico vicino di casa e uxoricida, oltre che celebre e attivissimo doppiatore e stuntman, è stato uno dei simboli stessi del peplum essendo stato tra i protagonisti in numerosissimi di essi, e anche successivamente negli spaghetti-western.


Il Tram

Un commissario di polizia dalla grande carica umana e comunicativa (Enzo Cerusico, al solito bravo, bravo, ancora bravo), si trova a guidare le indagini sul misterioso e apparentemente inspiegabile omicidio di una giovane donna, assassinio avvenuto su di un vagone del tram di Roma in una corsa notturna.
Questo episodio, sicuramente il migliore di tutti, riprende quella che doveva essere una situazione presente ne “L’Uccello dalle piume di cristallo” e poi eliminata già originariamente dalla sceneggiatura. L’episodio denota e riprende le idee già espresse da Argento nella sua trilogia zoologica, qui firmandosi con lo strano pseudonimo di Sirio Bernadotte (forse perché in quel momento della sua carriera non voleva firmarsi per dei prodotti televisivi), e per rappresentare visivamente l’indagine condotta dal commissario Giordani (tipico cognome romano molto ricorrente nei suoi film), ricorre a tutti i riconoscibilissimi tratti stilistici e alle varie cifre tecniche che determinarono il vasto successo dei suoi primi tre film. Inquadrature quanto mai poco prevedibili ma anzi molto ricercate e mai lasciate al caso, il topos argentiano dell’attenzione per i tic dei suoi personaggi come lo schioccare continuo delle dita di Cerusico, mentre si tarla la mente per risolvere l’enigma), la musica molto ritmica, martellante e dinamica di Gaslini, inusitata per un giallo televisivo prima di allora, l’uso assolutamente inedito per i telefilm della televisione italiana di allora della soggettiva per suscitare senso di mistero e di inquietudine, compreso il particolare fondamentale che il protagonista non riesce a ricordare, i bizzarri e originali stacchi d’ironia e umorismo che fanno da sfondo allo svolgersi della vicenda (l’impagabile descrizione di alcuni dei sospetti, tutta la scena con il mitomane, le continue gaffe di Morini/Corrado Olmi, bonario zimbello di Giordani/Cerusico), la sapienza registica tipica di Argento di saper risolvere momenti drammatici con sequenze anche brevissime e di coda ma sempre molto incisive ed eloquenti (il sospettato principale che, in manette e tra due carabinieri, grida la propria innocenza in un’aula di tribunale) e infine come detto, la presenza dei caratteristi “porta fortuna” di Argento Fulvio Mingozzi, Gildo Di Marco, Tom Felleghi e Corrado Olmi.
L’episodio “Il Tram” è anche fortemente influenzato da un’idea antonioniana dell’inafferabilità dello sguardo sulle cose e sugli accadimenti, e come nell’affascinazione dello sguardo restituitaci da “Blow-Up”, la cui costruzione e risoluzione si imbastisce intorno al solito “dettaglio” o “particolare” argentiano sfuggito alla comprensione risolutiva dei vari testimoni, e che incomincia a torturare Giordani che ripercorrerà più e più volte il percorso fatto dal tram quella notte sulla medesima carrozza così come era nell’esatto momento del delitto, di cui nessuno dei passeggeri presenti sul tram pareva essersi accorto. Inoltre, sapientemente Argento fa iniziare a basso ritmo il suo episodio per la prima mezz’ora, per poi aumentare sempre più negli ultimi venti minuti, fino ad una carica catartica che esplode dopo una fase di lunga attesa, sottolineata dalla musica ossessiva di Gaslini, in quella che è la tesissima sequenza finale notturna nel deposito.
Il commissario interpretato da Cerusico è un personaggio interessante anche perché ha una certa ossessività e ambiguità di fondo, forse proprio in quanto fortemente testardo dato che per poter individuare l’assassino non esita a far fare la esca persino alla propria fidanzata (Paola Tedesco), la quale rischierà proprio di rimanere uccisa per poterlo aiutare.
La “chiusa” politica riportata in testa proprio a questa resta è originalmente fatta pronunciare proprio al suo personaggio alla fine dell’episodio.


La Bambola

La polizia sta cercando un pericoloso psicopatico appena evaso da un ospedale psichiatrico, il quale pare sia l’autore dell’omicidio di una donna. Nel frattempo, una giovane donna, che è coinvolta dal furto di una bambola viene avvicinata da un misterioso individuo.
Terzo episodio nella messa in onda penultimo nel totale della mini serie, secondo alcuni il più debole non possedendo la carica emotiva e ansiogena dei precedenti, non ha nemmeno quei momenti tipicamente argentiani di grande costruzione della suspence, fatta eccezione forse per una bella sequenza ambientata in una sartoria, del resto non si può negare che una vera tensione di stampo thriller argentiano è praticamente assente per tutta la durata dell’episodio. In questo caso più che a spaventare emotivamente lo spettatore gli autori della sceneggiatura si sono interessati alla costruzione di un’impalcatura illusoria dei fatti a cui avrebbe assistito, facendo però ampio ricorso ad un montaggio ingannevole e ad un uso cinematografico della soggettiva così tipico del cinema di Argento da esserne divenuta una vera e propria cifra stilistica, ancora prima che ad esempio della lunga soggettiva con cui similarmente si aprirà addirittura il successivo e celeberrimo prologo di “Halloween – La Notte delle streghe”, e qui c’è una lunga soggettiva con la camera a spalla che la ricorda. Il che ha anche del prodigioso, dato che la SteadyCam di Garrett Brown usata così magistralmente nel citato famosissimo incipit del capolavoro carpenteriano, nel 1973 ancora non esisteva.


Testimone oculare

Una donna racconta alla polizia di essere stata testimone di un omicidio, ma non trova nessuno disposto a credergli anche perché del denunciato omicidio non è stata rinvenuta la benché minima prova.
L’ultimo episodio in verità firmato dall’aiuto Roberto Pariante (che proprio in merito alla lavorazione dello stesso non ha solamente delle belle storie da raccontare sull’Argento uomo mentre si lavora in una troupe, di notte e al freddo, per la sequenza iniziale lungo una strada), venne girato da Argento. Anche qui la mano registica è evidente nel topos della presenza di una misteriosa figura vestita di nero, in guanti neri, e che parla al telefono con la spaventosa voce camuffata in un sibilo minaccioso dei suoi tipici assassini cinematografici. Nella colonna sonora si fa un ampio ricorso di piatti e percussioni come nel precedente “4 mosche”, ricordando quindi molto la o.s.t. composta da Morricone per quest’ultimo, e come già ripetuto nello stacco tipicamente argentiano e molto cinematografico dal piano lungo al primissimo piano se non dettagliato. Qui invece sono del tutto assenti i bizzarri e comunque riusciti affondi umoristici e/o satirici presenti ne “il Tram” e che contraddistinguono comunque tutti e tre i primi film cinematografici della “Trilogia degli animali/o zoologica”. Qui anzi, il climax è molto nero ed opprimente e connotato da una atmosfera impenetrabile e ossessiva, minacciosa e di pericolo incombente sulla protagonista (come detto interpretata da Marilù Tolo), e che la si percepisce per grande stile, fin dalle prime inquadrature del film. Infatti, come detto a differenza che ne “Il Tram” nel quale la tensione era dosata in crescendo e fino all’esplosione catartica dei circa ultimi venti minuti, qui lo spettatore viene sottoposto ad un costante accumulo polanskiano di avvenimenti e segnali “allarmanti” (il cadavere dell’inizio che è sparito, le suddette terrorizzanti telefonate minacciose, le serrature forzate come in una analoga sequenza de “L’Uccello dalle piume di cristallo”, i cavi telefonici tagliati come successivamente in altri film di Argento) ad acuirne ma anche a potenziarne la dimensione di claustrofobia ed angoscia nella quale viene a ritrovarsi la protagonista (testimone di un omicidio e con lei noi spettatori, ma nessuno più le crede e quindi anche a noi assieme a lei), sempre più isolata e creduta pazza (anche il marito ad un certo punto sembra nutrire su di lei seri dubbi) e come prigioniera dentro la propria abitazione-prigione; comunque, è proprio il finale anche di questo episodio l’unico punto di contatto possibile con “Il Tram”, nel quale Giulia/Paola Tedesco rimaneva come detto intrappolata e inseguita in un pauroso deposito deserto, di notte.
Finale tra l’altro, che anche questo pare denotare notevoli somiglianze con quello del successivo già citato capolavoro carpenteriano “Halloween - La Notte delle streghe” (’78).
Alla fine poi, altra differenza rispetto a “Il Tram” è il personaggio qui da co-protagonista di un commissario di P.S. come si diceva allora, il commissario Rocchi, qui interpretato dal sempre bravo attore e doppiatore, purtroppo da non molto scomparso Glauco Onorato. Molto meno presente nella trama e meno impulsivo del collega Giordani, e meno ossessivo nella testarda ossessione della ricerca del colpevole e della verità costi quel che costi. Tant’è che alla fine riesce a salvare comunque Roberta/Marilù Tolo soltanto come si suol dire, per “fatal combinazione”.
Napoleone Wilson

Ben 2 frameshow oggi by robydick, sui 2 episodi di Dario Argento.
Ho scelto delle soundtrack alternative allo splendido jazz di Giorgio Gaslini, altri successi dello stesso anno scelti grazie a wiki. Sono venute fuori cose simpatiche, fatico ad essere serio in questo periodo, ho voglia di ridere e sono sicuro l'amico Napoleone apprezzerà.





domenica 24 luglio 2011

Flesh Gordon Meets the Cosmic Cheerleaders (aka Flesh Gordon 2: Flesh Gordon Meets the Cosmic Cheerleaders)

19

Tardo seguito del celebre "Flesh Gordon - Andata e Ritorno dal Pianeta Porno" (1974) girato dal solo Ziehm, orfano di Michael Benveniste, scomparso nel 1982.

Inutile fare voli pindarici di fantasia per trovare qualità o grandezze nascoste nel film de/genere di Ziehm. Rispetto all'illustre prototipo, "Cosmic Cheerleaders" è una pellicola cialtrona e ignorante. Spassosa a tratti, sicuramente. Ma opera soprattutto fuori tempo massimo. Dal 1974 sul genere si è detto, scritto e fatto tutto e il contrario di tutto. Già nella decade che ha dato vita alla Golden Age of Porn, capolavori come "Invasion of the Love Drones" (1977) di Jerome Haimlin e "The Satisfiers of Alpha Blue" (1980) di Gerard Damiano avevano coniugato in modo geniale il porno con la fantascienza, resettando di fatto tutto quello che si era girato, timidamente vista l'epoca, nei cinquanta e nei sessanta (un nome su tutti "Invasion of The Star Creatures" di Bruno VeSota del 1962 con Gloria Victor). Per non parlare di opere strepitose e realmente innovative come "Ultra Flesh" (1980) della specialista Svetlana Marsh con Seka, Lisa De Leeuwe e l'immenso Jaime Gillis nel ruolo di Fidel Castro, e "Night Dreams" (1981) di Rinse Dream aka Stephen Sayadian.

Comincia con l'astronave-pene del primo episodio questo "Cosmic Cheerleaders", introducendo un Flesh Gordon in piena forma fisica che si schianta su un pianeta e subito comincia a battagliare con un mostro verde animato a passo uno che non disdegna il parterre femminile presente sulla navetta. Ma è tutta una farsa, perchè ci si trova su di un set cinematografico dal quale il buon Flesh verrà allontanato, per essere subito rapito dalle Cosmic Cheerleaders (che sono solo in quattro) le quali hanno urgente bisogno di uno stallone terrestre perché, sul pianeta natale, una misteriosa "Evil Presence" ha scagliato un raggio cosmico che ha reso, di fatto, tutti gli uomini impotenti. Accorrono in suo aiuto la solita Dale Ardor e il Dr. Jerkoff, "Scienziato delle tette". Con simili premesse, si capisce subito in quali lidi la pellicola andrà a parare. Nudi non integrali, comicità pecoreccia, effetti speciali volenterosi, rendono questo prodotto assimilabile ad una Tromata in piena regola e, d'altrocanto, sono proprio questi gli anni in cui l'impresa di Kaufman & Herz ottiene il successo mondiale, prima con il capostipite della serie "The Toxic Avenger" (1985) poi con altre uscite similari spiananti la strada a capolavori (be', a loro modo) come "A Nymphoid Barbarian in Dinosaur Hell" (1991) e, "L'Effetto Notte" di Loyd Kaufman "Terror Firmer" (1999). Storia lunga.

Da rimarcare alcune trovate di Ziehm, a cui la scomparsa del socio ha fatto più male che bene, degne di una citazione, almeno per gli amanti di questa comicità sguaiata. La prima visione di questo filmetto fu, per chi scrive e sicuramente per altri, piuttosto deludente, tuttavia impossibile non fare cenno alla pisciata liberatoria di King Kong, non poco soddisfatto che guarda diritto in camera mentre si scarica sull'astronave "mammellare" di Jerkoff, o il passaggio della stessa tra un gruppo di asteroidi dalla forma inequivocabile che bombardano di peti Dale Ardor e il Dottore, il quale riuscirà a far fronte alla situazione da par suo, tappando letteralmente, e qui mi si perdoni il francesismo, "il bucio" con il lancio di tappi giganti. Comicità intestinale che pare andare a genio a Ziehm che, se nel primo episodio faceva nuotare i protagonisti in uno scarico fognario, qui alza il tiro e li piazza direttamente in un gigantesco intestino dove assistono ad un party organizzato da, vedere per credere, una famiglia di... non so, Crapmen puo' andare bene? Con tanto di band Pop-Soul e sturacessi come microfoni. Delirio assoluto. Tra scenografie di cartone, matte paintings non proprio eccellenti, peni giganti in stop-motion e qualche petto siliconato, il gradiente erotico rimane piuttosto basso, affidandosi solo a qualche risibile e demenziale scena di sesso, quella di Flesh con la Queen Frigid (Maureen Webb, carriera sterminata come casting director in cinema e televisione) e a qualche prurito S&M di poco conto. Molto strano, vista l'attitudine hard del suo autore, socio di William Osco nella fondazione della Graffiti nei seventies, autore pure di gemme come "Star Virgin" (1980) e "Naughty Network" (1981) con lo pseudo di Linus Gator. Evidentemente il buon Ziehm sperava di raccogliere una fetta di pubblico più ampia, preferendo sfornare un prodotto spurio come quello in questione, invece di un hard vero e proprio, che rimane ad oggi il suo ultimo cimento registico.

Per quanto riguarda il reparto attoriale, ci si è affidati ad un gruppo di attori non proprio conosciuti, con Vince Murdocco nei panni di Flesh, ex-campione di kickboxing, il Murdocco, poi protagonista di diversi film action come co-star di Don "The Dragon" Wilson e Cynthia Rothrock, vedi "Giustizia bionda" ("Sworn to Justice", 1996) di Paul Maslàk, e pure di "Kickboxer 2" del "maestro" Pyun, o almeno lui si fa chiamare così. Classico belloccio biondocrinito, Vince, che è tutt'oggi in attività, si spupazza la bella Robyn Kelly, nel ruolo che fu di Suzanne Fields, purtroppo unico ruolo di un certo rilievo in una carriera avara di successi, mentre il Dottor Jerkoff è interpretato da Tony Travis, attore, musicista e voce per diversi spot pubblicitari radiofonici. Ritorna come guest star William Dennis Hunt, il "Wang The Perverted" del primo episodio, sempre nel ruolo di antagonista. Tutta quanta l'attenzione è però rubata dalla splendida biondona Morgan Fox, qui nei pochi panni di Robunda Hooters, la capoccia delle cheerleaders, canadese classe 1970, ex-Miss Canada e presenza imponente, in tutti i sensi, seminuda per tutto il metraggio, è l'unica che riesce a risvegliare la libido di Flesh Gordon, con l'esposizione del suo giunonico seno, uno dei punti più alti della pellicola. Unico film della Fox, questo di Ziehm, purtroppo, è possibile ammirarla però come Playmate del dicembre 1990 e in diversi video della collection Playboy dal 1991 al 1996. Basta così. Compare nei credits Michael Bafaro, futuro regista di "11:11" e "The Barber" con Malcolm McDowell. E va be', accontentiamoci. La scritta a effige dell'immagine ultima del film, promette o minaccia un'altra avventura che, peccato, non verrà mai girata.

Immortale la partita di pallone tra i super dotati.
Per completisti.
Belushi

frameshow consigliatissimo! by robydick: