lunedì 31 ottobre 2011

Paradise Alley - Taverna Paradiso

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Victor/Lee Canalito
:- “Siamo fratelli non significa nulla per te?”
Cosmo Carboni/Sylvester Stallone :- [Serio] “Sì che significa molto per me. Significa che ci sono un sacco di banane”
[Umoristicamente]
Cosmo Carboni :- “Appese fuori sull’albero genealogico.”

Annie/Anne Archer :- “Devi avere proprio un sacco di stile per parlare a qualcuno con quella merda di piccione sulla spalla, Cosmo.”
Cosmo Carboni :- “Non è vera merda di piccione. Questa è solo qualcosa che avevo cucito per farmi stare in mezzo alla folla. Sai?”

Cosmo Carboni :- “Ehi, Vic. Frankie ti vuole qui per avere un amichevole concorso di braccio di ferro con voi.”

Lenny/Armand Assante :- “Ti prometto di vincere cinquanta volte prima di Natale.”
Burp/Joe (“Maniac”) Spinell :- “Il tuo uomo quaranta cinquanta volte prima di Natale non avrà abbastanza cervello a sinistra per allacciarsi le scarpe a destra. E allora si avranno due storpi in famiglia.”

Cosmo Carboni :- “Sai quanti uomini potrebbero essere stati seduti in cima al mondo, ma hanno lasciato a una donna di dire loro cosa fare, e adesso l’unica cosa sulla quale sono seduti è la tazza di una toilette.”

[Alla banda di Victor]
Stitch/Kevin Conway :- “Quel ragazzo è troppo stupido per essere spaventato. E' un primitivo.”

Cosmo Carboni :- “Frankie! Mio fratello non è bello come te ma è certo forte come Charles Atlas.”
Stitch :-“Tuo fratello è un idiota.”
Cosmo Carboni :- “Nah. Egli non è un deficiente.”
Stitch :- “Ho detto che è un cretino.”
Cosmo Carboni :- “Okay, non è certo uno spirito fiammeggiante, garantito. Ma può trasportare più di quattrocento e cinquanta libbre di ghiaccio fino a cinque piani di scale senza vomitare la sua colazione. Tu puoi farlo?”

Cosmo Carboni :- “Devi iniziare ogni mattina da Cronin' e arrivare […]”
Victor -: “Bella, mi piace la musica al mattino.”
Cosmo Carboni :- Sì? Poi METTITI UNA RADIO AL CULO!”

Cosmo Carboni :- “Perché dovrei andare in giro alla ricerca di uno straccio che sembri quasi bollito quando posso avere insieme due abiti eleganti gratis?”

Victor :- “Sono nato il 22.”

Cosmo Carboni :- [dopo che Cosmo batte Ratto in una gara di braccio di ferro] “Hey, è bello provare a fare il Ratto.”
Ratto :- Ti farò diventare le palle di gelatina.”

Cosmo Carboni :-” Tutti hanno bisogno di qualcosa. E penso che quello che vi serve è una Santa Lotta con ME, a scaldarvi tutta intorno a voi in una fredda notte d'inverno.”

Esordio alla regia (1978) di Sylvester Stallone, “Taverna Paradiso”, o “Paradise Alley” secondo il titolo originale, fu veramente un colpo di fortuna per la sua perfetta riuscita finale, la vicenda scritta dallo stesso Stallone, che è di così tanti caratteri e personaggi, quasi seppellisce lo stesso personaggio interpretato da Stallone, senza tanta auto indulgenza. “Paradise Alley” ha potuto essere realizzato in quanto Stallone dopo l'enorme successo anche personale di “Rocky” trovò tutti i semafori con il verde acceso, e ne emulò in una certa misura la stessa formula, ma questa volta usando il wrestling. “Paradise Alley” è sì, come si è un po' sempre detto, un film piacevolmente confuso tra il voler essere la storia di un perdente sentimentale per poi passare nei canoni della commedia. Un cast forte (tra cui Tom Waits e Joe Spinell) interpreta personaggi simpatici che riescono in grande misura a elevare con le loro interpretazioni questo film, e ne fanno un meccanismo divertente.

La trama e imperniata attorno ai fratelli Carboni, Cosmo (Stallone), Lenny (Armand Assante), e Victor (Lee Canalito), che vivono nel quartiere di Hell 's Kitchen (dove Stallone è nato, New York), e che da lungo tempo lottano per sfuggire all'impetuosa morsa della povertà, e cavalcare un possibile trionfo. Cosmo è un truffatore che costantemente tira il candido Victor nelle sue truffe in modo da fare una rapida ascesa. Egli viene coinvolto con il boss locale Stich Mohan (Kevin Conway, grandissimo) che vede il wrestling come un'opportunità per farsi ricchi. Egli convince il suo semplice, gigante dal cuore gentile, di suo fratello Victor a salire sul ring, per ottenere dei soldi facili. Lenny è contro l'idea, perché la vede come una delle solite truffe di Cosmo ed è preoccupato che come risultato Victor si possa fare del male. Dopo però che Victor batte il campione locale, Lenny ha un forte cambiamento di carattere e diventa lui il manager di Victor ribattezzandolo con il soprannome di “Kid Salame”.
Cosmo e Lenny hanno un litigio sulla loro rivalità per Annie (Ann Archer, splendida), ex-fidanzata di Lenny che Cosmo aveva cominciato a frequentare dopo che Lenny aveva rotto con lei. Lenny ruppe il rapporto perché non voleva che Annie provasse per lui pena essendo tornato storpio, in seguito ad una ferita avuta nell'ultima guerra mondiale. Con la sua ritrovata fiducia di poter fare dei soldi decenti grazie a Victor e al wrestling, Lenny inizia un nuovo rapporto con Annie lasciando ancora Cosmo fuori al freddo. Il personaggio di Lenny cambia sempre di più verso un pronunciato egoismo e sfruttando Victor in sempre più incontri per fare soldi. Nonostante che il bilancio che sta pagando fisicamente sia molto pesante. Cosmo va una sera a bere con Big Glory, (Frank McRea, grandioso attore caratterista di colore del cinema americano, vero valore aggiunto, avrà la più bella e toccante scena del film) il vecchio lottatore che Victor ha sconfitto nel suo primo combattimento, una vigilia di Natale e in una scena molto toccante e triste discuteranno della vita da lottatore, di come una volta sia per lui stata grande la strada della gloria, -da cui il suo soprannome-, e come alla fine lo abbia distrutto come persona fisicamente e mentalmente, alla fine di una invernale notte di bagordi, alcool e battone, si getterà con il sorriso sulle labbra nel gelido e nero fiume Hudson, scomparendo in un attimo alla vista di Cosmo senza che egli possa fare niente. Questa è sempre stata la mia (e di molti, basta andare a rileggere la recensione di Tullio Kezich all'epoca dell'uscita italiana della pellicola -1979-) scena preferita nel film, perché essa ha introdotto gli elementi di amarezza, dramma e sentimentalismo, insieme, in modo più mirato e centrato rispetto al resto del film. Una scena veramente grande in grado di rivaleggiare con i simili momenti in "Rocky", merito entrambi della grande capacità e bravura dello sceneggiatore Stallone nel descrivere certi momenti, e soprattutto, di scrivere certe battute, e dialoghi. Frank McRea sarebbe poi tornato dopo questa veramente grande interpretazione, a recitare accanto a Stallone nel film carcerario di John Flynn del 1989, lo splendido “Lock-Up” (Sorvegliato speciale). Dopo che si svolgono questi eventi Cosmo realizza che il percorso che lui e Lenny hanno scelto per Victor alla fine lo condurrà lungo il sentiero stesso di Big Glory. Cosmo e Lenny mettono perciò da parte le loro differenze e decidono di porre fine alla carriera di wrestler di Victor dopo una grandiosa lotta sul ring con lo stesso Stich e Franky, lo scagnozzo soprannominato The Thumper (impersonato da una leggenda del wrestling anni '70, Terry Funk).

L'interpretazione di Stallone è di una tale sottigliezza come non sempre abbiamo avuto in film che non siano stati diretti da lui stesso. Il suo personaggio come anche la rappresentazione che ne dà non è auto indulgente come qualcuno si sarebbe potuto aspettare (oltre a cantare con la sua inconfondibile voce la canzone di apertura del film, a tal proposito molto bella la colonna sonora, per forza, è di Bill Conti) e lo impersona con molta più moderazione che nei personaggi affrontati successivamente negli anni '80. Alcune performance degli altri attori sono veramente esagerate, nel senso di bravura e di finezza descrittiva dei personaggi, da parte dello sceneggiatore Stallone.
“Paradise Alley” per queste e molte altre qualità è perciò molto di più, che un semplice film d'esordio alla regia di un nuovo attore dall'enorme successo, realizzato solamente grazie alla carta bianca accordatagli dai produttori per qualunque cosa volesse firmare. Ma è invece stato il primo film di un regista significativo e importante come e più dello stesso attore, confermatosi come vero e riconoscibile autore con il ritorno trionfale alla regia di “Rocky Balboa” nel 2006, a più di vent'anni dall'ultimo film firmato come regista, ovvero “Rocky IV” ('85), e proseguito con le affermazioni eccellenti e ottime, anche commercialmente, dei ritorni con “John Rambo” (Rambo) ('07), e “The Expendables” (I Mercenari, secondo lo stupido -se paragonato poi all'originale- e banale titolo italiota) ('10).
“Paradise Alley” è un film pieno di vitalità vera e non artefatta, calore sincero, sentimentalismo di vita vissuta e situazioni realmente conosciute, dal cuore forte, e dal cast sprizzante simpatia. Chiunque come me apprezzi “Rocky” e “Rocky II” ('79) - (la successiva regia di Stallone, che fu il seguito di più grande successo commerciale fino ad allora mai realizzato, addirittura più de “Il Padrino - Parte II” (The Godfather -Part II)  ('74) di Coppola, per pochi mesi, fino all'uscita nel 1980 de “L'Impero colpisce ancora” (Empire strikes back) di Irvin Kershner)- da averli visti e riguardati almeno un centinaio di volte, non può anche non riguardare “Paradise Alley”.

Brani colonna sonora
  • "Too close to paradise” - scritta da Carole Bayer Sager, Bruce Roberts. Musiche di Bill Conti. Cantata da Sylvester Stallone
  • "(Meet Me in) Paradise Alley" - scritta e cantata da Tom Waits
  • "Back in Town di Annie" - scritta e cantata da Tom Waits
  • "Angel Voice" - cantata da Frank Stallone.
  • "Please Be Someone to Me" - scritta e cantata da Frank Stallone
  • "Frère Jacques" - cantata da Lee Canalito

Il titolo provvisorio del film era "Hell’s Kitchen”".

Tutte le versioni UK sono tagliate di 42 secondi dalla BBFC (British Board of Film Classification, l’ente della censura cinematografica britannica) per rimuovere le inquadrature di una scimmia legato e imbavagliata nel ripostiglio di Cosmo.

Dirigere questo progetto è stato un nuovo lavoro per Stallone, la prima volta pare che il cast e la troupe fossero in posizione, pronti a fare il loro lavoro ma non hanno potuto. Non potevano, perché Stallone avrebbe dimenticato di urlare, "Azione".

Sylvester Stallone disse alla rivista People che la sua idea originale di questo script è stata quella di rendere tutti i personaggi principali afro-americani. Non riusciva però a trovare i finanziamenti per il film fino a quando non ha deciso di recitarvi lui stesso e ha cambiato gli altri personaggi in italiani-americani.

Debutto come attore di Tom Waits.

In origine, Stallone voleva Al Pacino per interpretare Lenny Carboni.

Sylvester Stallone ha in realtà scritto il copione del film prima di “Rocky” e ha cercato di venderlo ai produttori per anni, senza alcun risultato. Una volta che “Rocky” è diventato un grande successo che tutti sappiamo, i produttori furono allora disposti a dare una guardata allo script.

Da Wiki:

Questa fu la prima pellicola da regista per Sylvester Stallone che, dopo il grandissimo successo di “Rocky” esordì come regista all'età di 32 anni. Il film è ispirato all'omonimo romanzo che lo stesso Stallone ha scritto.

Curiosità
Nel film figurano attori che in futuro collaboreranno ancora con Stallone:
  • Frank MacRae - “F.I.S.T”, “Sorvegliato speciale”, “Rocky II”.
  • Joe Spinell - “Rocky”, “Rocky II”, “I Falchi della notte”
  • Terry Funk - “Over the Top”
  • Kevin Conway - “F.I.S.T.”
  • Armand Assante - conosciuto anni prima sul set di “Happy Days -La Banda dei fiori di pesco” e che nel 1995 collaborerà ancora in “Dredd -La Legge sono io”.
Napoleone Wilson

domenica 30 ottobre 2011

Vampyros Lesbos - Erbin des Dracula (aka Las Vampiras)

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Eccoci a parlare di uno dei capolavori massimi del cinema di Jesus Franco, Vampyros Lesbos, e, per riflesso, pure della sua versione castigata, Las vampiras. E' cinema free jazz, anarchico, selvaggio, che si fa fregio dei topoi del genere per raccontare una storia già vista mille volte sotto un'occhio diverso.

Si parla ancora di Bram Stoker e de Il conte Dracula, ma in maniera molto più originale dell'adattamento anonimo che lo stesso Franco fece qualche tempo prima con i grandi Christopher Lee, Klaus Kinski e Helbert Lom. Vampyros Lesbos è principalmente Soledad Miranda, nella sua reincarnazione da vamp Susanne Korda, con la sua sensualità esibita, mostrata, innocentemente sbattuta in faccia al pubblico voyeuristico. Che sia uno streaptease dai tratti di ferino erotismo sanguinoso o un semplice bagno al mare sotto la luce, negata ai dannati, del sole, Soledad appare di una bellezza disarmante. Opera pervasa da sottile umorismo, che si fa sberleffo della psicologia come scienza, a cominciare dalla seduta di una smarrita protagonista sotto gli occhi distratti di un medico, che preferisce disegnare su un foglio che ascoltarla, apostrafandola poi con frasi come “Si cerchi un amante”. E lei l'amante lo cerca, ma lo trova nella contessa Nadia di Uskadar (o Nadine Carody) che a seconda della versione, che sia Las Vampiras o Vampyros lesbos, cambia nella sua storia personale. Perchè alla fine, un po' come tutto il cinema di Jesus Franco, esistono mille riflessi per uno stesso volto: di uno stesso film di questo regista, a seconda del mercato, si trovano 800 versioni, chi più erotica, chi più gore, chi persino, come nel caso di Oasis of the zombies (e del suo gemello La Tumba de los muertos vivientes), con un'intero cast che differisce. Las vampiras non è solo la versione educorata, con attrici che indossano mutandine e reggiseni al posto di essere nude o scene erotiche cancellate, ma quasi un altro film, con nomi che differiscono, con scene spostate e quindi una diversa comprensione della storia, con inutili dialoghi fuoricampo o lunghissime riprese di aquiloni o insetti intrappolati in ragnatele che però diventano, per caso, per fortuna, per una strana malia che possiede solo il cinema di Jess Franco, poetiche donando alla storia una dimensione più intimista che Vampyros lesbos non ha.

Basti riportare, per comprendere la differenza sostanziale dei due film, le differenti versioni sull'origine vampirica della contessa Nadia di Uskadar - Soledad Miranda:

Las vampiras: “Non lontano da Istanbul, nella minuscola e disabitata isola di Uskudar, esistono ancora le rovine di un vecchio palazzo. Antiche leggende non ancora soffocate... dalle sirene delle navi, narrano che in quella casa viveva una principessa straniera condannata all'inedia da suo marito, un gran sultano. Rinchiusa nella sua cella d'oro, la bella prigioniera, circondata da schiave, sarebbe dovuta morire lentamente. Invece erano le schiave che impallidivano, si ammalavano e morivano in uno strano modo, mentre la principessa conservava il suo colorito roseo e la lucentezza dello sguardo. I dottori asserivano che i corpi delle schiave morte erano avvizziti e che tutto il loro sangue si era consumato. Un giorno la principessa Nadia di Uskudar scomparve senza lasciare traccia. Nella sua alcova, scritta con il sangue, fu trovata una strana iscrizione:"Koveh nihe trekash". I vecchi della regione dicono che la principessa è ancora viva e che continua a nutrirsi del sangue delle sue vittime”.

Vampyros Lesbos: “Sono passati 100 o 200 anni. Ero molto giovane e sola.Dalla finestra vidi i saccheggi dei soldati e i loro abusi sulle donne. lrruppero anche in questa casa e si gettarono su di me. Mi difesi disperatamente e urlai di dolore quando, improvvisamente, comparve il conte. Era il conte Dracula. Trafisse con il pugnale il soldato che giaceva sopra di me. L'uomo urlò. Sentii il suo sangue colare lungo il mio corpo. Fu il mio primo uomo: fu orribile. Credetti di impazzire. Poi il conte si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio: ''Ti libererò da tutte le tue pene". La notte, quando mi destavo, il conte giaceva accanto a me. ll suo corpo era freddo ma le labbra erano ardenti. Notte dopo notte, traeva nuova vita dal mio sangue. Quando si accorse che lentamente le forze mi venivano meno... mi iniziò ai misteri del vampirismo. Dipendeva dal mio corpo, non poteva più liberarsi. E' per merito suo se appartengo agli iniziati. Gli uomini mi disgustano. Li odio ! Molte donne si sono legate indissolubilmente a me. Le ho ammaliate. Hanno perduto la propria identità. Si sono fuse con me”.

Due donne, due diversi tipi di bellezza, la algida bionda Ewa Stromberg e l'andalusa e caliente Soledad Miranda, che nella versione scatenata de Il conte dracula di Jess Franco diventano il vampiro e la sua vittima, il Jonathan Harker che, in versione femminile, accende gli appetiti sessuali del suo ospite. Il mondo maschile è relegato a mere pedine, uomini soggiogati dall'amore, ma ritratti in stato bestiale, lo stesso Franco in versione attore nei panni di un marito abbandonato che fa a pezzi donne per vendicarsi della moglie, ma anche uomini che girano a vuoto, la farfalla intrappolata nella ragnatela, senza arrivare ad una vera soluzione. Il regista gira il suo film, musicato da una strepitosa colonna sonora di jazz acido, in piena luce solare, scansando in un solo colpo tutti i clichè sul film vampirico, mostrando una rilassata Soledad Miranda prendere il sole e poi invitare la protagonista a fare un bagno nel mare (l'acqua altro elemento deterrente per i figli della notte). La contessa nera è una creatura estremamente passionale, si nutre di sangue, cerca il calore della vita attraverso l'amplesso (con le sue amanti, ma anche con l'aiutante Morpho, altra figura di uomo manichino), non ha le connotazioni tramandate dei vampiri della letteraturatura e del cinema nè la loro ferocia, basti pensare all'addio affettuoso che porta alla sua ex amante in manicomio. Alla fine come lo scorpione, velenoso e minaccioso, ripreso più volte in maniera subliminale, diventa una vittima, vittima delle passioni terrene, ma soprattutto dell'amore. Umanissima, nuda e sdraiata su un letto, supplicante, Soledad, col suo volto da eterna bambina sensuale, chiede all'amante di darle la vita, ma il bacio viene confuso, attraverso la telecamera del regista, ma anche dai nostri sensi, con l'omicidio. Ecco che i manichini possono prendere la carne, ecco che l'amore sfocia nel sangue, quello di Soledad, quello di Morpho, quello di Ewa Stromberg con la bocca sporca di sangue, quasi fosse lei diventata una vampira. Il cerchio si chiude con la frase “Dimenticherò quest'avventura”, ma intanto il film è già leggenda del sottobosco bizzarro, imitato dallo stesso Franco mille volte nella necrofilia di una Lina RomaySuzanne Korda, mai eguagliato, metro futuro per tutti i film erotici sui vampiri a venire e punto di non ritorno di una filmografia, quella franchiana, puntata sempre più verso il suicidio artistico, in una visione di cinema per masse talmente fuori dagli schemi comuni da essere dilettantesca, trasandata, libera, in altre parole genio jazz.

Keoma

Oedipus Orca

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Altro personaggio immortale, il buon Prandino Visconti. Da amare o odiare, de gustibus. Ciò non toglie che le sue pellicole siano testimonianza diretta di un certo cinema autoriale tendente all'exploitation che è sublime per alcuni e pretenzioso, irritante o semplicemente orrido per altri. Come alcune cose di Brunello Rondi e Massimo Pirri, il cinema di Prandino dall'alto tende irrimediabilmente verso il basso, essendo il cotè autoriale spesso virato verso situazioni che non lesinano affatto su sesso spinto e violenza.

Non fa eccezione questo "Oedipus Orca" diretto seguito del precedente "La Orca" (1976), uno dei maggiori successi di Visconti al botteghino, che comincia proprio con il ritorno a casa di Alice dopo il sequestro su cui era costruito il prototipo. Le incomprensioni e le mezze verità salgono subito a galla, impedendo alla famiglia di trovare l'equilibrio necessario a superare il trauma. Anzi. Alice incolpa il padre di non aver fatto (quasi) nulla per pagare il riscatto e liberarla, la madre sembra spettatrice impotente, la sorellina viziata reclama il suo ruolo di figlia "unica" e preferita dal padre (Gabriele Ferzetti). Alice rivive continuamente i momenti vissuti con il carceriere Michele Placido, sembra non poter fare a meno di quel rapporto morboso che la legava al criminale da lei ucciso (si masturberà sul luogo di morte dello stesso), compromettendo la relazione con il fidanzato Umberto (Miguel Bosè), una semplice figura sullo sfondo, una bambola di carne e ossa da manovrare a piacimento della giovane. Nudi insistiti, come si usava in quel periodo (bellissima la scena con le due sorelle nude, cose che oggi sembrano fantascienza), una costante atmosfera opprimente e morbosa esaltata pure dal montaggio di Franco"Kim" Arcalli, grande professionista del nostro cinema, collaboratore di Giulio Questi in primis, che mostra al pubblico le sequenze del film precedente alternate al "ritratto di borghesia in nero" dipinto da Visconti in questo film, sicuramente meno legato a codici prettamente di genere, rispetto a "La Orca".

La distruzione del consorzio familiare procede spietatamente. Il film è scisso in due parti, la prima ambientata a Pavia subito dopo la liberazione di Alice, e una seconda, più introspettiva, nella cascina di campagna appartenente alla famiglia. Alice, una splendida Rina Niehaus, spesso nuda, dall'apparenza virginale ma dotata di una sensualità notevole, scava nei segreti di famiglia e scopre che la madre ha avuto un'altra relazione, prima di tornare sui suoi passi e sposarsi. E' convinta, Alice, che il padre sia in realtà un altro uomo, probabilmente qualcuno molto vicino ai suoi genitori. Quando l'amico del padre, Lucio Garbi (Piero Faggioni, già visto pure ne "La Pacifista" di Miklòs Jancsò, 1970) andrà a fare visita alla famiglia, la ragazza si convincerà che lo stesso sia il misterioso amante segreto della madre.

Sia dato atto a Visconti di aver girato un film sostanzialmente differente dal primo capitolo. Un film che sfugge, sembra percorrere altre vie, diventa quasi un melò con la ricerca incessante, testarda e distruttiva della paternità negata, come direbbero gli psicologi, da parte di Alice, che pone un muro, anzi una gabbia, come suggerisce Visconti nella scena nel giardino botanico con la madre che sembra sovrastare la figlia posta all'interno di una recinzione metallica, tra lei e i suoi genitori. Molta carne al fuoco. Il bello dei film di Visconti è proprio immergersi in questi devastanti drammi familiari, cupi e ossessivi, conditi da scene di sesso che si inseriscono repentinamente nel metraggio, come la fellatio di Carmen Scarpitta a Ferzetti nel bagno, cultissima, o la copula tra Alice e Umberto in soffitta, con dettagli insistiti sul sesso della Niehaus, spiati da Lucio dalla porta. Rimane comunque un pozzo nero, senza speranza, con la ragazza che da vittima diventa personaggio crudele, financo sgradevole e manipolatore. Non a caso Visconti, memore del suo passato da documentarista, offre al pubblico una lunga sequenza ripresa all'interno di un vero mattatoio, con le mucche abbattute e macellate, al termine della quale Alice e Lucio si incontrano e si baciano, preliminari quasi "necrofili" che anticipano il finale crudele e melodrammatico, notevole, con la lastra di vetro che cade dall'alto scagliando schegge sul volto di Lucio.

Ripeto, prendere o lasciare. Chi al solo nominare il buon Prandino corre a nascondersi urlando, è meglio non si dedichi alla visione del dittico con la Niehaus (una mia personale ossessione, mi piace molto, forse perchè pure protagonista di un Lacrima con Domenico Modugno, immortale anch'esso, non mi vergogno affatto a dirlo, anzi, cioè "Il Maestro di Violino" [1976] di Giovanni Fago, imperdibile per gli amanti del genere); gli altri sanno già a cosa vanno incontro. Del resto il sottoscritto ama molto sia "Una Spirale di nebbia" (1977) che "Malamore" (1982), che consiglio nelle edizione Cinekult. Consigliato. Colonna sonora straniante di James Dashow a sorreggere il tutto. Omaggio a "Viaggio in Italia" di Roberto Rossellini, che compare alla Tv, così come il libro fotografico "Eros a Pompei" edito da Mondadori, pare molto amato dal regista, che ne mostra numerose pagine. Fotografia di Blasco Giurato. Presenta la Stefano Film con Serena Film 75 in produzione. Con Gabriele Ferzetti, Rena Niehaus, Carmen Scarpitta, Piero Faggioni, Miguel Bosè, Vittoria Valsecchi, Vincenzo Consoli, Gianni Bortolotto, Eleonora Morana, Agnes Kalpagos Szabo.

Buona visione.
Belushi

sabato 29 ottobre 2011

La Chiesa (aka Démoni 3) - The Church

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La modella con l'abito da sposa/ Antonella Vitale
(tòh, guarda chi si rivede anche qui):- “Perchè nessuno fa niente per farmi uscire di qui?”

Hermann il sacrestano/ Roberto Corbiletto :- [a Lottie] “Oscena bugiarda! Ti faremo lavare qui la bocca con il sapone, qui!”

Madre di Lottie/ Alina De Simone :- “Non farmi aspettare per quelle cipolle di Hermann”

Padre Gus/ Hugh Quarshie :. [dopo che un enorme pesce indemoniato sta attaccando il modello maschile] “MIO DIO! Che cosa sta succedendo qui?”

Prodotto e co-scritto da Dario Argento, questo film fu originariamente ideato come il secondo splatteroso seguito a “Dèmoni” di Lamberto Bava. Invece, il regista Michele Soavi - un giovane pupillo di Argento – infondendo uno stile più serio, realizzò un horror thriller sicuramente più elegante che può sicuramente stare tra i suoi meriti maggiori. E fu il seguito naturale al suo primo film, lo slasher low budget di buon successo di “Deliria” (1987).

Con "La Chiesa", Soavi dimostra un gusto visuale in grado di rivaleggiare con quello del suo mentore, Argento.
La storia prende in prestito elementi da entrambi i film di “Dèmoni” (il male che può infettivamente diffondersi come un contagio) e dallo stesso “Inferno” di Argento (la struttura stessa / la progettazione di un edificio è la chiave per sbloccare le forze soprannaturali). In questo caso, naturalmente, è una chiesa - un'immensa cattedrale gotica in una città senza nome in Germania. In apertura del film, vediamo gli eventi che hanno avuto luogo in epoca medievale, che hanno portato alla sua costruzione. Uno squadrone di Cavalieri Teutonici, credendo un gruppo di contadini essere adoratori del diavolo, brutalmente massacra molti di loro..., uomini, donne, bambini e persino animali. Quando i corpi vengono gettati in una fossa e sepolti, un prete fanatico santifica la terra e comanda che una casa di Dio debba essere costruita sulla tomba di massa per mantenerne gli spiriti maligni per sempre sepolti nella terra.

Flash forward ai tempi moderni. Le opere d'arte barocca della chiesa sono in restauro ad opera di Lisa (Barbara Cupisti), una vivace giovane artista che ha immediatamente attratto il nuovo bibliotecario, bello e prestante, Evan (Tomas Arana che poi avrebbe interpretato anche “Il Gladiatore” ['00] di Ridley Scott). Insieme tromberanno da scintille con grande sdegno del raccapricciante vecchio vescovo/vicario (Feodor Chaliapin, Varelli di “Inferno”) - Evan in realtà è però più affascinato da un'antica pergamena che Lisa ha trovato nascosta all'interno di un muro di quella che lei ha nei suoi pantaloni. (Bietolone, è pur sempre una discreta topa...) Decifrare il codice latino inscritto nella pergamena porta il curioso Evan ad un "sigillo con sette occhi", situato nel pavimento della umida chiesa, tra le ammuffite catacombe. Potrebbe esserci un tesoro, a giacere sepolto sotto la pietra? Dei segreti a lungo nascosti all'umanità? Curioso come il proverbiale gatto, Evan rimuove il sigillo che rivela un'apertura verso la camera sottostante ... e scatena nella chiesa una potentissima forza del male che entrerà in possesso non solo di lui ma di tutti coloro che sono e che metteranno piede all'interno delle sue mura. Se ciò che è al suo interno, dovesse sfuggire verso l'esterno, il mondo intero cadrà sotto il dominio del Diavolo.

Di grande impatto visivo, ”La Chiesa” è frullatore di stili e tendenze visual-musicali alla moda degli anni'80, con un superbo "look" – tra l'iconografia di Hieronymus Bosch filtrata attraverso gli occhi e la velocità videoclippara di MTV. I dintorni della chiesa gotica, in cui è ambientato quasi tutto lo svolgimento della storia, sono utilizzati anche con meravigliosi effetti. Particolarmente ben eseguite sono le sequenze che coinvolgono i macchinari segreti integrati nella struttura della cattedrale. I valori di produzione sono alti per il cinema italiano di quel periodo, alla morte del cinema di genere nazionale. Soavi gestisce sia la parte medievale che quella moderna con la stessa naturalezza. All'apertura con i Cavalieri Teutonici in una sudicia ambientazione da "Tira fuori la tua morte!" la sensazione è generalmente di autenticità, anche se accompagnati dalla splendida partitura al sintetizzatore di -nientemeno che- Philip Glass. Gli effetti gore sono abbastanza buoni e usati con giudizio - questo non è uno splatterfest come “Dèmoni” il quale era andato abbastanza “over the top”, troppo spesso per il bene del film. (Ma c'è da restare tranquilli, c'è ancora abbastanza delle molliccie cose a disposizione per soddisfare la maggior parte dei cercatori di gore.) Per quanto riguarda la recitazione essa passa dal bene al passabile – e non sempre è il caso dell'horror italiano - con Arana il quale ha sempre avuto una gran presenza scenica ma non molta fortuna al cinema, Giovanni Lombardo Radice come Reverendo, e soprattutto Hugh Quarshie - ottimo attore britannico di colore - come Padre Gus, Chaliapin e l'allora adolescente figlia Asia, come la figlia del sagrestano della chiesa, la topa più discreta è come detto la Cupisti, la quale è abbastanza arrapante e sopportabile; ma le sue ovvie scene di nudo sono comunque troppo brevi). Anche il doppiaggio è sopra la media. La media generale è poi aiutata e composta di molto dall'apporto della colonna sonora alla quale hanno nuovamente partecipato Argento, Keith Emerson, e i Goblin, anche se non memorabile come quelle per “Inferno”“Suspiria”, rimane comunque l'elemento forte del film.
I valori evidenziati sopra compensano alcune evidenti debolezze. La narrazione non è particolarmente focalizzata, come la storia essenzialmente porta a scambiare i personaggi almeno tre volte. Gli ultimi 40 minuti vedono una troppo comoda introduzione di una sfilata di potenziali vittime, tra cui la troupe al lavoro su di un servizio fotografico, una visita guidata di ragazzi delle scuole, un paio di eccentrici anziani, e una coppia di litiganti ragazzo e ragazza motociclisti.

Ci sono un paio di divertenti errori degni di nota. In una scena Lisa/Barbara Cupisti, vestita con una camicia da notte, compie lo sfondamento a capofitto attraverso una vetrata più pulito (probabilmente voluto da Argento, del quale è un momento riconoscibile e presente in quasi ogni suo film) che abbia mai visto - non si è nemmeno graffiata. Avrete anche la testimonianza più veloce del tempo di risposta della polizia nella storia del cinema, come dimostrano i poliziotti che arrivano in 10 secondi netti dopo che la terrorizzata Lisa ha fatto una telefonata di emergenza per chiedere aiuto. (Soavi, tra l'altro, che spesso ha fatto l'attore, anche qui compie un cameo come uno dei poliziotti.)
Con “La Chiesa” la somma dei suoi elementi è certamente migliore di quella dei due “Dèmoni” di Lamberto Bava precedentemente prodotti da Argento.

L'occhio registico di Soavi e il suo allora senso della spettrale atmosfera, ben aggiunta ad una colonna sonora molto bella come detto comprendente anche un brano di Philip Glass, e di Simon Boswell, ne fanno un'esperienza visivamente e sonoramente gratificante, a partire dal bellissimo inizio con l'attacco dei cavalieri teutonici. Per gli appassionati degli horror italiani per i tardi anni '80, quando oramai tutti o quasi i film del filone ormai agonizzante erano comatosamente pauperistici e mediocramente insignificanti, questo è al confronto imperdibile, e probabilmente l'horror italiano migliore di quel periodo.

Joanna:- “Dove cazzo sei stato? Ti ho cercato dappertutto.”
Bruno:- “Joanna dobbiamo uscire di qui.”
Joanna:- “Beh cosa stiamo aspettando, eh?”

L'immagine della ragazza nuda del motociclista abbracciare un serpente alato,è presa direttamente da un famoso dipinto di Boris Vallejo.

Tutte le edizioni video de “La Chiesa” uscite negli Stati Uniti sono disponibili in due versioni: R Rated (vietata ai minori di anni 18) o Unrated/non tagliata quindi senza censura. Ci sono errori su tutti box e le videocassette circa le durate: tutte le videocassette hanno scritto sul retro della copertina di durare 110 minuti e 102 minuti di durata sulla cassetta, non importa se sulla versione R rated o sulla versione da 110 minuti priva di rating (visto di censura con relativi tagli). E' stata scritta correttamente sul box e sulla videocassetta che è uscita come non tagliata / priva di “rating”.


Da Wiki:

Produzione

In origine La chiesa doveva essere il terzo episodio della serie di Dèmoni, diretto da Lamberto Bava nel 1985 (l'altro episodio, Dèmoni 2 - L'incubo ritorna fu diretto sempre da Bava nel 1986). Tuttavia Bava era impegnato con degli impegni con Fininvest, che gli avevano proposto la realizzazione del film per la televisione Fantaghirò. Seppure a malincuore, Bava dovette rinunciare a Demoni 3 accusando lo sceneggiatore Dardano Sacchetti di aver volutamente ritardato la realizzazione della sceneggiatura. Il posto di Bava fu preso da Michele Soavi, che cambiò il titolo e la scena iniziale. La sequenza iniziale con i cavalieri templari che distruggono il villaggio delle streghe era ispirata alla sequenza iniziale di Conan il barbaro, in cui i barbari distruggevano il villaggio di Conan.

Data di uscita
  • Italia, La chiesa 10 marzo 1989
  • Stati Uniti, The Church 30 gennaio 1991

Location
  • La chiesa di Mattia di Budapest, utilizzata per girare gli esterni di La chiesa.
  • I resti della chiesa di San Nicola di Amburgo, set dell'ultima scena del film.
La cattedrale gotica, teatro nel film è nella realtà (almeno per ciò che riguarda gli esterni) è la chiesa di Mattia che si trova nella piazza Szenthàromsàg a Budapest. In precedenza chiamata Chiesa della Madonna, la cattedrale risale ad un periodo compreso fra il 1255 ed il 1269. Le rovine mostrate invece nell'ultima scena del film sono invece i resti della chiesa di San Nicola, edificio ottocentesco dotato di uno dei campanili più alti del mondo. L'edificio fu distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, da cui però si salvò l'altissimo campanile.

Colonna sonora

La colonna sonora del film fu realizzata dal duo britannico-americano Keith Emerson e Phillip Glass. La colonna sonora include brani dei Goblin e di Fabio Pignatelli.

Tracce
  1. The Church (Main Theme) - Keith Emerson - 4:02
  2. La chiesa - Goblin - 5:20
  3. Prelude 24 - Johann Sebastian Bach (arr. Keith Emerson) - 2:21
  4. Possessione - Goblin - 3:24
  5. Floe - Philip Glass - 8:50
  6. The Possession - Keith Emerson - 2:23
  7. Lotte - Goblin - 3:20
  8. Go to Hell - Zooming on the Zoo - 4:00
  9. The Wire Blaze - Definitive Gaze - 3:35
  10. The Church Revisited - Keith Emerson - 4:24
  11. The Church (single Mix) - Keith Emerson - 4:06
  12. La chiesa (suite) - Goblin
  13. Suspence chiesa 1 - Goblin
  14. Suspense chiesa 2 - Goblin

Critica

Nei confronti del film la critica ha avuto giudizi piuttosto altalenanti. Il sito FilmUp assegna al film un giudizio di 7,5 su 10. Il sito MyMovies dà al film un giudizio di 2,07 su 5, giudicando la sceneggiatura del film abbastanza confusa, ma lodando il punto di vista estetico del film, giudicando La chiesa "visivamente molto accurato e ricco di suggestioni". Viene inoltre lodata la semi-esordiente Asia Argento. Simile il giudizio del sito Il Davinotti che considera buona la fotografia del film, poco incisiva la colonna sonora e scarno e confuso il soggetto.

(fine wiki)

Il progetto per la creatura tra lucertola-demone-gargoyle è tratto da una famosa scultura in legno del '600 raffigurante un uomo che vende la sua anima al diavolo.

In origine, Soavi e Argento avrebbero voluto girare il film nel Lorenzkirche di Norimberga (Germania), e hanno lì girato anche alcune inquadrature di prova che sarebbero rimaste. Tuttavia, quell'ambientazione venne abbandonata perché la città di Norimberga non volle che lì vi fosse girato un film horror.

Anche se il film è conosciuto pure con il titolo di “Dèmoni 3”, la sceneggiatura di "La Chiesa" non ha nulla a che fare con il resto della serie “Dèmoni”.

In totale il film ha avuto otto sceneggiatori, tutti accreditati e che hanno lavorato alla sceneggiatura.

Anche se venne originariamente concepito come un altro episodio della popolare serie Dèmoni”, il regista Michele Soavi ha insistito che il film fosse unico e non legato ad altri e che non venisse collegato con i film “Dèmoni” e "Dèmoni 2: L'Incubo ritorna”. In un'intervista Soavi definisce il film "Demoni" come "ciarpame sotto forma di pizza cinematografica", mentre “La Chiesa” voleva essere un film ben più sofisticato.

Il titolo del film per la sua uscita cinematografica in Spagna è stato “El Engendro del Diablo”, che significa "Il feto del diavolo."

Napoleone Wilson

30 Minutes or Less

4

Da prendere con le pinze la dicitura "BestMoviesOnTheatres", almeno in questo caso. Non che il film in questione sia inguardabile o altro, c'è di peggio o di meglio in giro. Se amate la generazione di comici statunitensi che a poco a poco sta "sostituendo" il "Frat-Pack", allora è un film che potreste trovare interessante, se non altro.

L'opera seconda di Ruben Fleischer, già regista di "Zombieland" (2009), che ha i suoi estimatori, sfodera un gruppo di attori (Jesse Eisenberg a parte) già orbitanti in area "Frat-Pack" o Happy Madison, la casa di produzione di Adam Sandler, parliamo di Danny McBride, Aziz Ansari e Nick Swardson.

La sceneggiatura si ispira ad un fatto realmente accaduto, non proprio esilarante, al povero Brian Douglas Wells, fattorino per una pizzeria d'asporto, costretto a compiere una rapina sotto la minaccia di una bomba innescata ed appesa al collo del malcapitato, vicenda risoltasi nel peggiore dei modi, per la cronaca. Il film di Fleischer racconta praticamente la stessa storia; Nick (Eisemberg, che conoscete tutti) consegna pizze per "Vito's", la cui specialità, oltre all'impasto, è garantire l'evasione degli ordini entro trenta minuti, anche meno, dal momento della chiamata, altrimenti la pizza è gratis. Vabbè. Inutile dire che Nick non è proprio un campione di celerità, però è un bel piacione che ama la compagnia delle fanciulle, specialmente di Katie (Dilshad Vadsaria) che è la sorella gemella dell'amico Chet (Ansari), insegnante di scuola elementare. Quando quest'ultimo viene a sapere che l'amico è andato a letto con la sorella, scoppia la lite, aggravata dal fatto che Chet è pure responsabile della separazione dei genitori di Nick. Ok, questo il contorno. I veri mattatori del film sono McBride e Swardson, due psicopatici amanti di armi e bombe, che vivono alle spalle del padre di Dwayne (McBride), ex-maggiore dell'esercito divenuto schifosamente ricco vincendo alla lotteria (un grande Fred Ward, in un ruolo simile a quello visto in "Road Trip" di Todd Phillips).

Dwayne, irretito da una stripper molto bitch (Bianca Kajlich, gran pezzo di figliola già vista in "Halloween Resurrection" di Rick Rosenthal e nella sit-com "Rules of Engagement") che, sventolandogli le tette in faccia, lo convince a cercare un killer a pagamento per fare fuori il padre, decide con l'amico Travis (Swardson) di recuperare il denaro per pagare il sicario tramite rapina. Si. Però, con un colpo di genio (?) pensano bene di rapire il primo che capita, riempirlo di C4, e costringerlo a fare la rapina al posto loro, pena la detonazione dell'ordigno, entro dieci ore. Il primo qualunque è proprio Nick, che cercherà aiuto dall'ex-amico. Bè, film strano. Un film comico con personaggi antipatici. Difficile appassionarsi o provare empatia per i due "buoni". Le regole del buddy-movie vengono applicate con diligenza dal buon Fleischer, battute a raffica, inseguimenti, gli amici/nemici costretti a collaborare, ma alla fine quello che rimane impresso allo spettatore, o almeno a chi scrive, sono i caratteri dei due bad guys della situazione, due pazzi scatenati, ingenui e ignoranti, proprio per questo "inconsapevolmente pericolosi". Armati con fucili, mitra, lanciafiamme e bombe se ne vanno tranquillamente in giro per la città come se fosse la cosa più naturale del creato rapire, ricattare e minacciare un personaggio altrettanto "loser" quanto loro. Una versione ultratrentenne dei famigerati Eric Harris e Dylan Klebold, gli autori della strage di Columbine, parodia feroce e proprio per questo spiazzante nell'ecomomia di un plot che vuole essere comico in primis. Eh sì, perchè la dose di commedia comincia ad inacidirsi ed incupirsi durante le fasi finali del metraggio, che inglobano pure il sedicente killer "fai da te" interpretato dal bravo Michael Pena, fino al regolamento di conti notturno e concitato, che non sveliamo in caso qualcuno voglia cimentarsi con la visione del film.

Chi apprezza Danny McBride, stand-up comedian di talento, non si pentirà della visione, poichè il trentacinquenne di Statesboro è presenza forte e sapida, così come il compare Nick Swardson, quindi qualcosa di interessante questo filmetto riesce pure a tirarla fuori, in poco più di un'ora, tra l'altro. Prodotto spurio come pochi, è film di transizione per il talento comico della nuova generazione di trentenni entrati nella Hollywood che conta, prendere o lasciare. Nel caso recuperate l'esordio di McBride, "The Foot Fist way" di Jody Hill e quella gran "cazzatona" di "Your Highness", in cui il buon Danny è protagonista principale con James Franco e Natalie Portman, cialtrone ma godibilissimo, diretto da colui che pare dirigerà il famigerato remake statunitense di "Suspiria", David Gordon Green. E vabbè.

Belushi

venerdì 28 ottobre 2011

The Iron Girl (aka Karate girl) - La ragazza d'acciaio

12

C'era un tempo in cui giocavamo a fare gli americani. A volte ci riusciva anche bene, vedi Una 44 magnum special per Tony Saitta o i vari apocrifi de La casa, altre volte decisamente male con ambientazioni oltreoceano riprese sciattamente sotto ogni nostro standard artigianale. Era come se l'America ci inibisse, come se dovessimo chiedere scusa al mondo ogni volta che provavamo a girare, come se quello che potevamo fare non era altro che la cacata di uccello in una filmografia grondante nomoni come Friedkin o Frankenheimer.

Nel 1994 il cinema popolare era lì lì per morire, la linea di Dellamorte Dellamore come pietra tombale dei generi veniva solcata proprio quell'anno, ma Iron girl – la ragazza d'acciaio era oltre ogni umana concezione di cosa fosse un film di genere. Fabrizio De Angelis col suo famigerato pseudonimo di Larry Ludman veniva dalla regia del trittico Thunder, di alcuni polizieschi di gradevole fattura americana (Impatto mortale, Cane arrabbiato), ma soprattutto era il produttore di Lucio Fulci e di alcuni capolavori come Quella villa accanto al cimitero e L'aldilà. Non proprio bricioline, ma alla fine degli anni 90 il suo cinema sembrava arrivato al punto di non ritorno, lo dimostra l'insulsa commedia horror Breakfast with Dracula girata a Miami.

Ecco allora l'idea folgorante di riprendere un successo ludmaniano mondiale, Il ragazzo dal kimono d'oro, e creare la versione femminile. Iron girl, uscito da noi pure in vhs, vanta una fotografia di lusso molto patinata, un arrangiamento musicale orecchiabile e una protagonista figa, ma così figa, che non ci si crede, una certa Sarah Brooks (pseudonimo chissà) che nel suo curriculum ha solo questa interpretazione. Peccato che oltre queste tre qualità il film sia un disastro. La regia è imbelle, paratelevisiva, gli attori (compresa la nostra topolona) sono allucinanti nella loro scarsa recitazione, la trama è quasi senza senso e i combattimenti che dovrebbero essere il piatto forte sono mal coreografati o ripresi in campo lungo. Poi ci sono momenti di squallore e sciattezza registica che mettono i brividi: la scena iniziale dello stupro su tutte. Si perchè a discapito del titolo, tatà, tiro fuori il coniglio dal cappello, Iron girl è un rape and vengeance sulla scia di Non violentate Jennifer, ma come se l'avesse però girato una scimmia che si crede Corey Yuen, il più grande regista di arti marziali vivente, assieme ad un Michael Winner (Il giustiziere della notte) sotto LSD. Il connubio perciò è karate (o kung fu) e azione di truce violenza, un cinema quindi di sberloni e calci nelle palle.

Quello che non sapevamo però è che Iron girl dev'essere stato sponsorizzato dal Vaticano perchè non si spiegherebbe altrimenti la moscezza delle scene che sulla carta erano pronte per un wow corale da nerd in attesa di figa e sangue. Prendiamo il famigerato stupro: lei bella bella con i rollerblade sta ascoltando la musica e casualmente incrocia dei rozzissimi biker che la trascinano nel boschetto e prendono a farsela a turno. L'idea di accendere il walkman al massimo mentre i tipi abusano di lei non accresce nulla a livello di storia, ma concettualmente è bella, il suo urlo viene azzerato dalla musica sempre più forte. Il problema è che lei, quando i figuri si rialzano dall'orrido pasto divino, è completamente vestita, cioè non so come funzioni se stupri qualcuno, ma dev'essere poco pratico fare sesso senza togliere alla vittima i pantaloncini. Va beh, ma io sono un uomo d'altri tempi e non uso le conchigliette per pulirmi il culo o il sesso a distanza come l'immortale Demolition man, io preferisco il vecchio e sano su e giù di kubrickiana memoria, anche a discapito di farmi dire dalle macchiette gay vanzinare “Come sei antica tesssssssora”. Poi assurdo per assurdo lei denuncia l'accaduto alla polizia che la apostrofa così “Sei una mignotta e vai in giro come una puttana, ti meriti di essere stata stuprata e quasi quasi ti stuprerei pure io”. Con uno stacco degno di un montatore che ha passato la vita al cotolengo di Tortona passiamo alla quotidianità di Sarah Brooks che ogni tanto riceve lettere minatorie dai biker del tipo “Occhio che ti ripassiamo” e ha un ragazzo che fa karate ma, pur millantando di essere il migliore, le prende da tutti.

Ecco che la ragazza capisce che o si muove o i motociclisti torneranno da lei, ma qual è la soluzione per farcela con questi tipacci massicci e cattivi? Ovvio imparare il karate. Partono gli allenamenti che si vogliono massacranti e invece sono così riportati: corsa, fermata improvvisa, pugni al nulla con urletti alla Bruce Lee. L'allenatore cinese è il personaggio più insulso del mondo: non è simpatico come Miyagi di Karate kid nè crudelmente ironico come quello di Kickboxer, insomma è una macchietta messa lì tanto per giustificare l'allenamento, tanto che nel secondo tempo scompare senza motivo. Ecco che il resto del film sfiora il delirio. Sarah Brooks per qualcosa come un'eternità si allena da sola con i vestiti più arrapanti del pianeta tanto che devi mollarti un ceffone perchè pensi "ma non è che davvero i tipi un po' di ragione ce l'avevano?" Ad un certo punto, senza motivo, lei si mette la parrucca di Jennifer Beals in Flashdance, un tatuaggio finto, compra una moto e va nei peggiori bar di Miami. Lì trova un altro brutto ceffo, uno che mangia filo spinato piscia napalm e riesce a mettere una palla in culo ad una pulce a 200 metri di distanza, ma dal buon cuore. Questo personaggio dirà cose stupidissime come “Trova la forza Sarah” e per fare trovare la forza alla povera ragazza col parruccone e la fascia di Rambo la inizierà alle prove d'iniziazione dei biker, ovvero bendarsi, gassare al massimo la moto, accellerare e bloccarsi ad un centimetro dalle punte con veleno di cobra messe lì dal nostro allenatore metropolitano. Lei prende il diploma da motociclista teppista e quindi va a tutte le riunioni delle gang a due ruote americane, ma nessuno, dico nessuno, trova strano lei sia l'unica donna tra centinaia di maschi arrapati. A sto punto penso, ma non è che lo fa apposta, ma mi mollo un cazzotto da solo per far scemare il mio innato maschilismo. Comunque in quei luoghi strani, carichi di vino densi di odori, Saretta nostra farà amicizia con un cretinotto che si crede figo perchè ha un boa constrictor attorcigliato al collo, con gli amici che gli fanno “Che sballo” e lui che boccheggia mentre il serpente ride. In quest'ambientino lei riconosce i suoi stupratori che stanno giocando a carte con le foto del suo stupro: ecco allora che li attira in un luogo isolato e si rimette lo stesso abito da jogging che aveva all'inizio. Questi qui avvicinandosi ridacchiano, ma lei si toglie la parrucca. “Chi sono?” chiede lei seria e uno di loro “Boh la verduraia qui di fronte?”. Dopo questo la sua vendetta ha il sopravvento: Sarah Brooks, impacciatissima quanto figa, prende a calci tutti con l'agilità di un opossum morto, poi li lega come farebbe l'uomo ragno e lasciando le foto dello stupro vicino chiama la polizia. Ma dimentica i rollerblade.

Ecco che l'ultima scena vuole il poliziotto dell'inizio fermarla, darle i pattini e dire “Ho sbagliato”. Lei sorride maliziosa e si scopre le cosce. Ma cazzo allora ci faceva davvero??????

Keoma

Double Impact - Vendetta finale

11

Sheldon Lettich
è uno dei registi che più hanno saputo capire il talento di Van Damme con almeno due perle nella sua filmografia, questo Double impact e il bellissimo Lionheart.

Double impact è un'opera molto meno banale di quello che potrebbe sembrare, è la cosa americana anni '80 più vicina al cinema di Hong Kong, quello dei vari John Woo e Kirk Wong, che da lì a poco sarebbe scoppiata in tutto il mondo come una sorta di mania. Lettich gira non bene, ma benissimo, usa in maniera magistrale il ralenty nelle sparatorie e nei combattimenti, costruisce una storia con tanti debiti verso il cinema del doppio di Ringo Lam, autore che comunque girerà con la star belga ben tre film, e riesce a rendere interessante per un'ora e 45 abbondante (durata non comune per un action di serie B) il mix di azione e commedia senza mai annoiare.

Tra i cattivi spiccano Bolo Yeun che, in una citazione di Senza esclusione di colpi, sfida Van Damme in combattimento (e lui come in quel film si strapperà la maglietta), e la virago Alonna Shaw, una sorta di mix tra Arnold Schwarzenegger e una modella dai tratti gentili, che morirà dopo aver cercato di farsi praticare un cunnilingus con stritolamento dalla star belga. Proprio la mania delle culturiste nei film d'azione avrà il suo massimo apice nei film dell'hawaiano Albert Pyun, vecchia conoscenza di Van Damme con il disastroso Cyborg e regista di Kickboxer 2 e 4, che proporrà questo modello di donne di ferro in opere di combattimenti sci-fi.

Al nostro Gianniclaudio spetta la parte del leone e, sia dato tanto di cappello, alla faccia dei suoi detrattori, che se la giostra in maniera eccellente in due ruoli riuscendo ad incarnare, grazie ad una gamma espressiva sempre più varia, due personaggi psicologicamente agli antipodi. Grazie alla bravura di Lettich poi non si nota neppure moltissimo il doveroso escamotage in alcune scene di far recitare la parte di uno dei due Van Damme ad una controfigura, e nel complesso il tutto risulta giostrato con sapienza tra la bravura dell'attore e del suo esecutore. Interessante il combattimento tra il nostro eroe e un cattivo, tutto giocato sull'oscurità, e che termina appunto con l'idea di far diventare ombre i due guerrieri, in una sorta di passaggio da buio a luce dove a sovrastare stanno i riflessi delle nostre azioni.

I pantaloncini rosa di Van Damme, fratello losangelino, ambiscono al mito così come il look dell'altro Van Damme, un misto tamarro tra Nick Fury dello Shield e un guappo di Little Italy.
Il mito di Van Damme è lì lì per scoppiare anche nella serie A.

Un cult.
Keoma

giovedì 27 ottobre 2011

L'Altro Inferno - The Other Hell

5

Sì, era sempre possibile contare sul caro vecchio Bruno e la sua abilità di confezionare i suoi film con tanto brutto sangue e belle nudità ... cioè, con l'eccezione di questo film di Bruno Mattei che ha una classe di differente marcia, innegabile. Era il 1980 e “The Other Hell”, secondo il titolo per l’uscita internazionale o “L’Altro inferno” secondo il titolo italiano.

Oh, certo anche in questo il gore c'è ... gore, larve, animali morti (sufficiente per qualificarlo come uno dei famosi Video Nasty nella Gran Bretagna degli anni ‘80, anche se questo non è accaduto), viscere, sangue che sgorga... Ma non c'è praticamente alcuna nudità, che è un vero peccato. L'unica reale nudità era anche rovinata dall'aspetto gore. Una suora è morta distesa su una barella nuda in attesa di un’autopsia, salvo un panno insanguinato su di lei per coprirle parti basse... Allora invece di eseguire l'autopsia si decide di rinunciare alla incisione a Y e rimuovere la donna per ... uhmm ... ci deve essere una più “bassa” ragione.

Io non sono uno psicologo e anzi mi hanno sempre fatto tutti abbastanza schifo e orrore, ma penso che Bruno fosse sempre stato per quel tempo che ho avuto la fortuna di conoscerlo, una brava e umanissima persona. Si potrebbe pensare a accomunare questo film con il coevo per anno di produzione “Incubo sulla città contaminata” (Nightmare city) di Umberto Lenzi, persona ben diversa nel carattere, in peggio, rispetto a Mattei. Ma se ciò dovesse mai accadere, forse la responsabilità è più di Claudio Fragasso suo sceneggiatore all’epoca “braccio destro” e per tantissimi anni, tant’è che avrebbero realizzato 21 film insieme; c'è almeno un altro Quindi, se la frase "Dai creatori di “Zombi 3”, “Zombi 4/After Death” e ovviamente il super–cultuale “Virus, L’Inferno dei morti viventi” (1980)... potrebbe attirare gli appassionati ben più del film stesso, poi se lo vedi comprendi che non è così e che anzi, un valore il film ce l’ha.

La trama (che condividono sia Bruno che Claudio, avendolo anche scritto a quattro mani ) ruota intorno ad un convento di suore nel quale una certa sfiga veramente spaventosa sta portando il posto decisamente verso il basso (a partire dalla suddetta autopsia genitale). Ma questa è solo una parte della storia (non brutta), e di quello che la raccapricciante suor Vincenza (Franca Stoppi e chi sennò, che già conosciamo da queste parti per “Buio Omega” [‘80] di Joe D’Amato) ha nascosto nel suo alloggio. Vedete, molte cose spaventose sono già in corso da qualche tempo all'interno di quelle mura del convento e Sista V è la principale testimone di tutto questo. Ma lei è solo la vittima o anche la viziosa?
Chi cerca di capirlo è Padre Valerio (Carlo De Mejo, figlio di Alida Valli e presenza costante del cinema italiano di genere di quegli anni, praticamente “feticcio” nei film di Fulci), sorta di Fox Mulder dell’ordine sacerdotale, è inviato a indagare in giro, comportandosi come fosse ignaro dei fatti e magari studiare un po ' gli avvenimenti mentre lui è lì. Sfumature di Padre Dyer de “L’Esorcista” abbondano, naturalmente, come anche le circostanze paranormali che vengono al pettine. Per tutto il tempo, Bruno fa del suo meglio per imprimere l’atmosfera che ha stabilito per il film, una lunga serie di semi-invenzioni, ma di solito idee rubate, riciclate e/o rubate con grande inventiva da qualche altra parte. Bambole deformi appese al soffitto in parti nascoste del convento sono ad esempio economiche, ma effettivamente inquietanti, per non dire altro.

Come mai non venne mai fatto un complimento quando era in vita, a Bruno Mattei? Non sono sicuro, ma avendolo conosciuto era una persona troppo schiva e troppo consapevole della giusta dimensione del suo lavoro, a differenza di tanti troppi cinematografari romani davvero compressi nel loro ruolo di più o meno incompresi “maestri”... Fu anche per questo che mi avvicinai ed ebbi la possibilità di conoscere Mattei. Certo, Bruno succhiava idee e idee di altri film più famosi e costosi, e lo fa ancora nel proseguo di questo film, anche se, proprio come la maggior parte del resto del film dimostrerà, lo fa con una certa classe e stile.
Si inizia con una premessa da più italiano dei B-movie Weird (scarsi, ma divertenti), ma evolvendo in sostanza, in un serraglio di scene che se c’è da imputargli qualcosa è più che altro di essere abbastanza noiose e slegate tra loro, per lo più rubate da Bruno e Claudio da un film migliore e di successo commerciale/di scandalo, più volte sequestrato per oscenità (e di nuovo, non per la prima volta o l'ultima, cioè ovviamente il capostipite del filone “Nude nuns” e famoso, “Interno di un convento” [‘78] di Waleryan Borowczyk). La differenza tra “L’Altro inferno” e la maggior parte delle loro altre collaborazioni è la mancanza quasi completa di momenti genialmente exploitativi come i tanti ad esempio in “Rats” (’83), forse il film migliore in assoluto di Mattei. Al posto della roba buona, otteniamo momenti lascamente spirituali e sciocchi tentativi di apparire “artistici”. Come Bruno e Claudio riescano a cavare un film senza nudità da quello che sarebbe potuto essere un film porno da tre “stelle” dell’hard primigenio e con trecento tope aperte in esso, non l’ho mai capito né lo capirò mai. Si! Tre attrici porno, anche se nelle interviste del DVD, Bruno sostiene ... ah ah ah ... che al momento non c'era almeno in Italia una cosa come il porno (basta fare menzione di “Porno Holocaust” diretto proprio nel 1981 da Joe D’Amato!?) Ma non è tutto ciò come film che lo rende un po’ opaco, naturalmente. La trama sembra solo aspettare, al minimo e in folle mentre il semaforo è verde, per poi non iniziare mai davvero. Con il tempo che Francesca Di Carmeno/Elisa (forse l'unico personaggio femminile veramente interessante) si presenta, hanno quasi dovuto iniziare a scorrere i titoli di coda.

A completare il cast sono come detto le attrici porno: Susan Forget, la quale si può ricordare, poi nell’hard francese del 1982 “Aventures Les sexuelles de Néron et de Poppée”; Paola Montenero de “Il Porno mondo di due sorelle” (1978), ma dal momento che Bruno dice che la pellicola non avrebbe potuto esistere come porno, è qui invece presente anche Sandy Samuel che nel 1971 già fu in “Reazione a catena” di Mario Bava, e la cui carriera come porno attrice è iniziata nello stesso anno del film di Mattei in “Blue Erotic Climax”, anche se quel film “non potrebbe esistere”, né, infine, i due uomini interpretati dai notissimi caratteristi del cinema italiano (Andrea Aureli e Tom Felleghy) che appaiono come sacerdoti, -e che non mi interessa se fossero allora anche loro mai stati in un porno o meno-, quindi non gli ho cercati nelle rispettive lunghissime filmografie (scherzo) .

Nel film è presente anche un intero metraggio di stock footage, la maggior parte del quale si è già visto prima se si è visto parecchi altri low budget italiani di genere. Ho quasi pensato che le scene del sempre incisivo e magnetico Franco Garofalo (con il suo consueto pseudonimo per questi film, Frank Garfeeld), potessero far parte di stock footage (possibilmente da “Virus - L’Inferno dei morti viventi” [‘80]), ma invece no, e quindi interpreta veramente un nuovo personaggio quello di Boris. Ma non era così facile da stabilire, in un film evidentemente derivativo.
Gli effetti speciali e il trucco, anche un pò inventivi per il tempo e il budget a disposizione, sono abbastanza convincenti.
Inoltre, si cerca qui di ricollegarsi agli elementi celeberrimi ripresi da, “L’Esorcista”, “Il Presagio”, e “Rosemary’s Baby” oltre ad un'altra tonnellata di sapori genuinamente da b-bis italico, ma in realtà viene fuori un film piuttosto piatto, simile a quei film solo per gli elementi “rubati” da loro.
Come con una tonnellata di film di questo genere, “The Other Hell” sta ricevendo una vita dopo la morte (o, come dice il film " Vita Ex Morte") su DVD, per gentile concessione della Shriek Show negli Stati Uniti in R1 e, in un’edizione ancora migliore, dalla Wild Side francese, in cui il trattamento riservato a questo film è sontuoso e approfondito come solitamente sanno fare. Sono inclusi trailer e interviste con un ottimo video e colonna sonora rimasterizzata. Purtroppo, nessuno degli extra può solamente spiegare perché in nome di un non-sense senza pari gli zombi abbiano finito per spuntare anche in questo film. ZOMBI, gente!

Ho pensato che questo film fosse un eminente esponente del filone della cosìddetta nunsploitation. Anche se va reso a Bruno e a Claudio un po' di credito per quello che hanno cercato di fare (e che è sembrato perdere interamente interesse in termini di qualità negli anni seguenti), che sicuramente contiene tanti guizzi inventivi in mezzo ad apparenti sciocchezze. In qualsiasi modo lo si metta, “L’Altro inferno” è comunque segnalabile. Come slogan per questo film c’era una frase che affermava, "Alcune cose è meglio lasciarle sconosciute". Certo, se la Nunsploitation è la vostra passione, vi invito anche a vedere “Suor omicidi” (’76) di Giulio Berruti che ha tutti gli elementi che probabilmente state cercando (e che probabilmente non dovrebbe contenere). Per quanto mi riguarda, penso anche che essendo uno che in chiesa non ci è mai andato, di non essere in nessun modo necessitoso dopo la visione del film di andare a confessarmi, e ancor meno Bruno, che anche se in chiesa qualche volta ci sarà pure andato, non ci è mai rimasto troppo. Il film non ha certo intenti così chiari e qualificati/anti per poter essere eretico o blasfemo e chissà cos’altro. Ma sicuramente la sua quantità di inquisizioni e torture e le varie definizioni e descrizioni da dizionario delle punizioni, è crudele e inusuale.

Segue una dichiarazione di Franco Garofalo espressa tramite facebook a Napoleone:
"Io in qualità di attore, non ho condiviso l'attività di Bruno e Claudio come registi impegnati nel porno. Quindi, da questo punto di vista non saprei cosa dire. In fondo, ho fatto soltanto tre film con loro, quelli dove avevano bisogno di attori veri come lo era anche Franca Stoppi che venivano dal teatro. Io, conoscendoli, non ero nemmeno interessato a ciò che facessero dopo senza di me. Ho difficoltà nel vedere un film (nota:comunque come) capolavoro e se lo vedo lo faccio soltanto come esercizio di analisi alla ricerca della latenza significante che si cela dietro ciò che appare. Ecco a me il cinema interessa solo per questo, che poi i sensi siano veri o falsi, questo nemmeno l'autore lo sa."

Napoleone Wilson

mercoledì 26 ottobre 2011

Poltergeist - Demoniache presenze

15

"A Steven Spielberg Production"
. Questa è la chiave di volta per comprendere in toto la pellicola. Un film fortissimamente voluto dal regista di Cincinnati, in cui compare come soggettista, produttore, supervisore degli effetti visivi (di marca Industrial Light and Magic), supervisore del montaggio (con il sodale Michael Khan), degli effetti sonori, e selezionatore dello score di Jerry Goldsmith.

Nel 1981 Spielberg era sotto contratto con la Universal, la quale, in base ad una clausola del contratto, non gli permetteva di sviluppare nessun altro progetto contemporaneamente alla preparazione di "E.T", film "gemello" di "Poltergeist", non a caso le due pellicole uscirono nello stesso periodo, "Poltergeist" il 4 giugno 1982 ed "E.T" il giorno 11. Sceglie Tobe Hooper come timoniere del progetto (sceneggiato da Michael Grais e Mark Viktor, al lavoro originariamente sullo script di "Always", remake di "Joe Il Pilota" con Spencer Tracy che Spielberg dirigerà anni dopo) che durante quel periodo storico viveva un periodo tutto sommato produttivamente fecondo, nonostante i vociferati licenziamenti dai set di "The dark" (1979) e "Venom" (1981).

Il buon Tobe, non dimenticato autore di "The Texas Chainsaw Massacre" (1974), era reduce dalle fatiche registiche di "Salem's Lot" (1979), film Tv tratto dall'omonimo best-seller di Stephen King (originariamente offerto a Romero) e dallo slasher "Il Tunnel dell'Orrore" ("The Funhouse", 1981), opere dotate di un certo fascino, per chi scrive naturalmente, ma che non lasciavano presagire una svolta mainstream delle dimensioni di "Poltergeist". E "Poltergeist" è proprio uno di quei set sui quali sarebbe stato molto, molto interessante essere fisicamente presenti per avere contezza di come le cose andarono realmente

Frank Marshall, co-produttore (e parte degli attori, tra i quali Zelda Rubinstein/Tangina, che confermò di essere stata diretta dallo stesso Spielberg durante i sei giorni di riprese che la videro sul set) nonostante la presenza costante di Hooper, confermò che Spielberg disegnò tutti gli storyboard e impostò la gran parte delle riprese, scatenando un'inchiesta da parte della Director's Guild of America (il sindacato dei registi) sugli effettivi crediti rilasciati ad Hooper a livello registico, in base anche alle dichiarazioni dello stesso Spielberg che fece chiaramente intendere di aver avuto un certo peso nelle scelte direttoriali.

All'uscita del film, il buon Steven mandò una lettera all'amico/collaboratore che diceva più o meno così:
"Sfortunatamente, parte della stampa ha frainteso la pressochè unica, creativa relazione che io e te abbiamo condiviso durante le riprese di "Poltergeist". Ho apprezzato la tua "apertura" nel concedermi una nicchia nel processo creativo, come sapevo che saresti stato felice della libertà che hai avuto nel dirigere "Poltergeist" così magnificamente. Attraverso la sceneggiatura hai condiviso una visione di questo intenso progetto fin dall'inizio, e, come regista, hai dato il meglio. Ti sei comportato in modo responsabile e professionale dal principio alla fine e spero tu possa avere successo con il tuo prossimo progetto".

Sa tanto di malcelata lettera di licenziamento con referenze, ma tant'è, innegabile è che, qualunque cosa sia successa, la strana coppia Spielberg/Hooper ha consegnato ai posteri un capolavoro, un film essenziale nel riscrivere le coordinate del genere ad inizio anni ottanta, periodo fecondo e straordinario nella rilettura degli archetipi cinematografici. Se vampiri, licantropi e morti viventi erano già stati rivisitati e rianimati da Romero, Landis e Dante, per non parlare delle opere di Carpenter su teppisti violenti, assassini mascherati e lebbrosi vendicativi, la branca delle "Haunted Houses" aspettava di essere travolta da uno tsunami creativo che ne rileggesse le potenzialità espresse magistralmente da opere come "Gli Invasati" ("The Haunting", 1963) di Robert Wise e "Ballata Macabra" ("Burnt Offerings", 1976) di Dan Curtis, tanto per fare due nomi celebri nel mare magnum delle "case infestate".

Ci pensa il parto di Spielberg a rileggere/destrutturare un ciclo filmico in gran parte basato sulla dicotomia luce/ombra, sull'utilizzo del bianco e nero ("Old Dark House" e suoi epigoni) nel suggerire l'orrore soprannaturale e la natura malefica delle dimore, e sulla presenza di attori/icone dell'universo orrorifico a catalizzare l'attenzione dello spettatore. Inizia come un film che più spielberghiano non si può, "Poltergeist", in quella stessa suburbia in via di costruzione che si vedrà pure nel coevo "E.T. L'Extraterrestre", con la presentazione della famiglia Freeling, il padre Steve (il grande Craig T. Nelson), la madre Diane (Jobeth Williams), Dana (Dominique Dunne, la figlia maggiore), Robbie (Oliver Robins) e la piccola Carol Anne (Heather O'Rourke) nucleo familiare "giovane", in via di affermazione sociale (la classica piscina in giardino, simbolo edonista massimo per le famiglie della middle class americana) che vede crollare a poco a poco la stabilità acquisita in seguito a fenomeni bizzarri e incontrollabili. C'è qualcosa in casa. Le sedie si spostano da sole. Anzi, si impilano da sole sopra il tavolo. Il televisore manda strani segnali. L'albero nel giardino sembra dotato di vita propria e non si accontenta più di vegliare sulla famiglia come un vecchio totem. No. Vuole i bambini. La casa tutta vuole Carol Anne. "Quelli della televisione" vogliono Carol Anne.

La piccola, angelica Carol Anne (fu provinata pure Drew Barrymore, scartata in favore della O'Rourke, effettivamente perfetta per il ruolo, ma dirottata direttamente sul set di "E.T.") diventa la "merce di scambio" tra i vivi e i morti che cercano pace, sicuramente, ma soprattutto "rispetto", rispetto per la sacralità della morte, in un contesto sociale in cui non si guarda più in faccia nessuno, nemmeno ai cadaveri. La villa dei Freeling, nell'ottica del progetto edile portato avanti dall'immobiliare per cui lavora Steve, è stata costruita direttamente su un cimitero, senza aver tuttavia spostato i corpi, che intendono sfrattare i nuovi inquilini con tutti i mezzi possibili. La famiglia Freeling, sgomenta e devastata dalla scomparsa incomprensibile della bambina (splendida ancora oggi la scena dello sgabuzzino che risucchia al suo interno tutti i giocattoli e i mobili della stanza) si affida ad un gruppo di esperti del paranormale, guidati dalla Dottoressa Lesh (la bravissima Beatrice Straight) affinchè li guidi nel tentativo di recuperare la bambina e la proprietà stessa della casa, acquisita dopo lavoro e sacrifici.

Niente di più difficile. Il corpo morto del sociale non ha nessuna intenzione di abbandonare la legittima proprietà. E' necessario sporcarsi le mani. Tangina, la super-medium taglia small interpretata dalla grande Zelda Rubinstein di "Angoscia" (28 maggio 1933-27 gennaio 2010), costringerà la povera Diane a calarsi direttamente "nella casa" per recuperare la figlia. E qui, la maestria spielberghiana coadiuvata dai maghi del ILM di Dennis Muren e Richard Edlund, necessita di una standing-ovation perchè la sequenza del riscatto di Carol Anne è una delle più grandi mai girate in quel di Hollywood, ancora oggi credibile e coinvolgente, nonostante per gli effetti visivi furono usati dei semplici acquari colpiti da fasci di luce. Cinema puro, all'ennesima potenza. Madre e figlia risputate "dall'altra parte", coperte di una materia organica rossastra, quasi fossero state effettivamente partorite dalla casa, vengono portate da Steve dritte nella vasca con acqua calda, in modo che la seconda nascita (o rinascita) di Carol Anne possa realizzarsi.

Inutile dire che non finirà così facilmente. Il finale pirotecnico, veramente un tour de force di ritmo, effetti speciali visivi, montaggio virtuoso, vede lo "sfratto" vero e proprio condotto dalle bare con relativi inquilini che fuoriescono letteralmente dalle fondamenta della villa (senza contare la piscina in costruzione piena di fango e scheletri, veri secondo la testimonianza dell'effettista Craig Reardon) cacciando malamente i Freeling da Cuesta Verde. Non senza aver pure molestato la bella Diane in una scena esploitativa da sturbo, con la bellissima, stupenda, incommensurabile, stratosferica Jobeth Williams (una delle migliori attrici americane di sempre, ancora attiva, vista in "Il Grande Freddo", "Nessuno Ci Può Fermare" e "The Day After") sul letto con la sola maglietta rossa a coprirla, palpeggiata, strattonata, trascinata fin sul soffitto da mani invisibili.

Un capolavoro, di grande successo al botteghino (76.606.280 dollari), testimone della grande padronanza del genere horror cui godeva Spielberg, basti pensare al bellissimo episodio "Eyes" per "Night Gallery" (1969), serie Tv ideata da Rod Serling, per non parlare di "Duel" e "Lo Squalo", genere che forse non ha voluto affrontare "registicamente" per non compromettere troppo il suo successo di regista mainstream. Ma sono tutte questioni di lana caprina. "Poltergeist" è lì a dimostrarlo. Un film horror in piena regola, con una cura per i personaggi immediatamente riconducibile al tocco spielberghiano.

Il grande successo porta i produttori, ma non Spielberg, a investire su eventuali seguiti (che saranno effettivamente due "Poltergeist 2 - The Other Side", 1986 di Brian Gibson e "Poltergeist 3" 1988 di Gary Sherman, senza contare una serie televisiva omonima durata quattro stagioni dal 1996 al 1999) ma nello stesso tempo comincia farsi strada una leggenda metropolitana che vuole il film, o la saga tutta, legato ad una sorta di maledizione. Il motivo è presto detto e riguarda in primis la morte della bella Dominique Dunne, cioè Dana, la figlia maggiore nel film.

La Dunne, nata il 23 novembre 1959 a Santa Monica, è una giovane attrice proveniente da una buona famiglia (il fratello Griffin Dunne, è il famoso Jack di "Un Lupo Mannaro Americano a Londra" di Landis, tra le altre cose), con carriera promettente, ruoli nei serial "Fame", "Family", "C.H.I.P.S." e "Hill Street", che commette un solo grosso errore, quello di fidanzarsi nell'autunno dell' 81 con John Thomas Sweeney, chef presso il ristorante "Ma Maison". Il ragazzo dopo poco tempo interrompe l'idillio, palesadosi geloso, paranoico ma, soprattutto violento. In pratica la Dunne non può fare nulla senza incappare nelle ire del fidanzato. Da qui, progressivamente, la situazione precipita verso percosse e minacce (nella puntata di "Hill Street - Giorno e Notte" ["Hill Street Blues] l'attrice compare coperta di lividi ed ecchimosi "reali", tanto che per la scena prevista, in cui interpretava una donna guardacaso vittima di abusi, non si dovette ricorrere al trucco di scena) fino al 30 ottobre 1982. Dominique è stata scelta per interpretare il ruolo di Robin Maxwell nel serial "V-Visitors", per il quale ha già girato tutto il primo episodio e gran parte del secondo. Si trova a casa sua con David Packer, suo collega sul set della stessa serie. E' già separata da Sweeney, che l'aveva picchiata e quasi strangolata il 26 settembre. Alle 20.45 dello stesso giorno John Sweeney bussa alla porta della ragazza. Vuole riconciliarsi. Dominique esce per parlare con lui. Packer rimane in casa. Naturalmente la discussione degenera e Sweeney prende per il collo la ex-fidanzata lasciandola solo quando non dà più segni di vita. Trasportata in ospedale, i medici non possono che constatare la morte cerebrale. I genitori decidono di staccare i macchinari il giorno 4 novembre 1982.

Non è tutto. Julian Beck (31 maggio 1925-14 settembre 1985), straordinario attore fondatore del "Living Theatre", muore a causa di cancro allo stomaco, proprio poco dopo le riprese di "Poltergeist 2". Gettando così altro fuoco sulla presunta e farlocca maledizione.

Ma è con la morte della giovanissima Heather O' Rourke (la Carol Anne dei tre film) che si chiude il cerchio. Durante le riprese di "Poltergeist 3" la O'Rourke comincia a presentare i sintomi di quello che poi si concretizzerà nel morbo di Chron. Nel giugno del 1987, al termine delle riprese, sembra essere guarita. Va in vacanza con la famiglia, un viaggio itinerante tra Chicago, New Orleans e Orlando. Il 31 gennaio 1988, Heather dice di non sentirsi bene. Non riesce a tenere nulla nello stomaco. Il giorno 1 febbraio 1988 le dita della mano cominciano a farsi blu. Morirà per un'occlusione intestinale durante il trasporto in ambulanza alle 14:43 del pomeriggio.

Tra superstizione, leggenda e cinema. Rest in Peace.


Trivia da Wiki e IMDB

La scena in cui Marty immagina di strapparsi la carne dal volto fu l'ultima ad essere girata.Le mani sono quelle di Steven Spielberg.

La bistecca che si anima improvvisamente è una vera bistecca manovrata tramite fili da un tecnico nascosto sotto la scenografia.

La scena delle sedie sul tavolo fu girata in una sola ripresa, approfittando del movimento di macchina a seguire la Williams nel tinello, i tecnici posizionarono sulla tavola una piramide di sedie precedentemente assemblata.

La scena finale della casa risucchiata venne girata con un fedele riproduzione della villa alla quale vennero agganciati oltre cento fili ai vari punti della struttura. Fu poi azionato un aspiratore industriale al momento del ciak, tanto che in pochi secondi tutto fu girato. Per verificare la riuscita della sequenza fu necessario aspettare la stampa. Fortunatamente fu buona la prima.

Durante la scena del pupazzo, il giovane Oliver Robins rischiò il soffocamento. Spielberg se ne accorse solo all'ultimo momento, precipitandosi verso il bambino.

La piccola Heather O'Rourke si spaventò solamente durante la scena in cui veniva risucchiata nello sgabuzzino, attaccata alla spalliera del letto. Cadde per terra e si mise a piangere, consolata da Spielberg che le assicurò che non avrebbe più dovuto girare quella scena.

William Finley de "Il Fantasma del Palcoscenico" di De Palma, avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Martin Casella, Marty nel film, ma fu sostituito poco prima delle riprese.

Il film fu classificato "R" in prima istanza, ma i produttori riuscirono a cambiare la valutazione in "PG" (Parental Guidance), ai tempi non esistendo ancora il PG-13.

Nell'edizione 1997, 1999 della MGM e in quella Warner's Dvd del 2000, la sequenza dei crediti finali è diversa. Cominciano bruscamente 15 secondi prima, durante il carrello che chiude il film sulla stanza dell'Holiday Inn e la sequenza in cui appaiono è differente, cambiando pure il nome di Martin Casella in Marty Casella. The 25th Anniversary Dvd e BluRay ristabilisce la sequenza originale.

James Karen, grande caratterista americano (comparirà pure in "Il Ritorno dei Morti Viventi",1985 di Dan O'Bannon) compare nel ruolo di Mr. Teague, il principale di Steve Freeling.

Compare, non accreditato, nel ruolo dell'operaio che flirt con Dana in giardino, Sonny Landham, il Billy di "Predator", cha ha poi intrapreso la carriera politica come i compagni Jesse Ventura e Arnold Schwarzenegger.

Il regista Tobe Hooper sostiene di aver avuto esperienze con dei poltergeist quando era giovane. Durante la sua adolescenza, Hooper perse il padre, e dopo la sua morte Hooper aveva la sensazione di sentire "porte che si spalancavano, piatti che volavano per la casa, ed altri bizarri avvenimenti". Il regista commentò che questi avvenimenti sono stati la sua ispirazione per il film.

Nel 2002, in un episodio del documentario i Love 80's, la protagonista JoBeth Williams ha rivelato che la produzione utilizzò scheletri autentici per girare la scena finale nella piscina.

Craig Reardon, tecnico degli effetti speciali che lavorò al film, spiegò che all'epoca risultava più economico acquistare ed utilizzare scheletri autentici, piuttosto che scheletri di plastica, difficili da rendere realistici.

Sul set del film, molti si rivelarono turbati e impauriti all'idea che venissero utilizzati scheletri reali. Da questo episodio sarebbe sorta la convinzione che la pellicola fosse gravata da una sorta di "maledizione", destinata ad estendersi anche alle pellicole successive.

JoBeth Williams non era impaurita tanto dalla presenza degli scheletri, ma era piuttosto nervosa all'idea di dover lavorare nell'acqua, con molte luci elettriche tutto intorno. Steven Spielberg volle rassicurarla a suo modo, rimanendo a anch'egli in acqua durante le riprese: se una lampada fosse caduta, sarebbero morti fulminati entrambi.

Durante la sequenza in cui uno dei ricercatori, in preda alle allucinazioni, vede il proprio volto decomporsi orribilmente e poi infrange lo specchio con la propria testa, furono le mani dello stesso Spielberg a graffiare e lacerare la finta carne del manichino usato. L'attore che interpretò la scena, Martin Casella, era già stato assistente di Spielberg nel film I predatori dell'arca perduta, e lavorò in seguito nel film Used Cars di Robert Zemeckis, in cui Steven Spielberg figurava come produttore esecutivo.I location manager degli studios decisero su Roxbury Street, Simi Valley, California dopo essersi assicurati che questa possedesse tutti i requisiti. La casa era nuova e la terra dietro la strada era libera, permettendo l'accesso ad una gran quantità di camion degli studios. Gli studios non dissero ai residenti che la strada sarebbe stata usata per una produzione di Spielberg per evitare che chiedessero più soldi. Al contrario ad essi fu detto che si trattava di un B movie a basso costo, e come pagamento ai residenti della strada furono offerte progettazioni gratuite dei giardini all'ingresso. Le case, nuove di zecca, non avevano prato all'epoca così tutti i residenti accettarono. La prima casa sulla strada, che somigliava alla stessa nella quale vivevano i Freelings, era disabitata. Osservazioni ravvicinate suggerirono che nessuna progettazione fosse fatta li. La casa utilizzata nel film (4267 Roxbury) fu seriamente danneggiata da un terremoto nel 1994. Il garage fu distrutto dalle fondamenta, la strada di accesso dovette essere ricostruita, il muro sotto la finestra principale e il muro del giardino si mostravano cadenti e collassati. La bambola clown che tortura il giovane Robbie può essere vista al Planet Hollywood di Las Vegas.

Dominique Dunne ed Heather O'Rourke sono entrambe sepolte presso il Westwood Memorial Park a Westwood, Los Angeles.

Belushi

martedì 25 ottobre 2011

Naissance des pieuvres (aka Water Lilies)

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Primo lungometraggio della brava regista francese di "Tomboy", e dico subito che è un film che ho trovato bellissimo. Anche questa è una vicenda che parla di piccole donne alla ricerca di identità sessuale, ma ci sono alcuni distinguo da fare.

Riporto l'essenziale trama da Wiki, con mie note aggiunte tra parentesi:
"Marie (Pauline Acquart, interpretazione sottilmente gestuale la sua, da attrice consumata) ed Anne (Louise Blachère, stupefacente e coraggiosa nella sua parte, la migliore in assoluto) sono due amiche quindicenni (be', solo "amiche" è un po' poco...) alle prese con i primi amori e problemi adolescenziali. Un giorno Marie, assistendo ad un'esibizione di nuoto sincronizzato, si invaghisce di una delle nuotatrici, la coetanea Floriane (Adele Haenel, bellezza pregiata, ha un futuro sicuro in ogni genere di cinema), bellissima e spigliata. Marie, pur di starle vicino, comincia a frequentare i suoi allenamenti e a farle molti favori, dando vita ad una sorta di amicizia; ma poco a poco scopre come Floriane sia meno disinibita di quel che sembri e capisce di essersi innamorata di una ragazzina meno matura di lei..."

Già dalla trama i "distinguo" che citavo sono evidenti e quello fondamentale è che qua le protagoniste sono adolescenti più mature, tra i 14 e i 16 anni più o meno. I gusti sessuali sono già più definiti e le 3 ragazze ne esprimeranno 3 diverse sfumature. Marie, la più minuta e forse la più giovane, è già pienamente consapevole della sua omosessualità e pur non propagandola ai 4 venti, con un carattere abbastanza riservato, nemmeno si premura di nasconderla. Anne è la sua "amica", ma ha ancora qualche riserva, i ragazzi in qualche modo l'attirano e sente il bisogno di fare sesso con loro, per capire, cosa che poi avverrà e l'aiuterà appunto a decidersi. Floriane invece è decisamente etero, però quello che arriverà a provare per Marie le insinuerà un dubbio, ma per lei un eventuale rapporto lesbo costituirebbe solo un esperienza, in questo senso speculare a quella di Anne, e così sarà.

Non ci sono praticamente adulti in questo film, interamente incentrato sugli adolescenti e sulle 3 protagoniste, se non in apparizioni marginali, decisamente negative o problematiche. I genitori di Marie è come se non esistessero. Anne vive con la sola madre che spesso è al lavoro, anche di notte. Floriane ha familiari più presenti (che mai si vedranno, proprio come quelli di Marie e Anne) e avrà i contatti con gli adulti più negativi, uomini che la vogliono insidiare ad ogni occasione. Adolescenti quindi soli con loro stessi, ma non mi è apparsa come una critica fin facile e banale al "cinico mondo dei grandi", quanto un voler sottolineare che di fronte a certi ineluttabili passi nella maturità ragazzi e ragazze sono da soli e loro unico specchio di confronto sono i coetanei.

Più "film"!, con fasi oniriche, anche qualche ralenti, poche ma presenti alcune musiche ad accompagnare alcuni momenti chiave e calzate con gusto, "Naissance des pieuvres" risulta avere un taglio meno "documentaristico" dell'ottimo e già citato "Tomboy", in questi giorni nelle sale. Fattor comune il coraggio e il realismo col quale affrontano entrambi i film argomenti semplici quanto difficili da proporre. Bellissimo, mi ripeto, e m'è piaciuto anche più del successore. Altro fattor comune l'andamento narrativo, apparentemente lento e propedutico per quasi un'ora, poi gli ultimi venti minuti un'esplosione di avvenimenti che catturano e comprimono in grande drammaticità quanto elaborato prima in dettagli solo apparentemente superflui.

Lascio godere... "spoilero" solo una scena che mi ha proprio sconvolto. Ricordo poco della mia adolescenza maschile, figuriamoci se posso comprendere appieno quella femminile. Fu a partire dalle medie che quell'andare in bagno insieme, o uscire in generale, delle ragazze in coppia o in gruppo, mi destò congetture, che non ho mai risolto in verità. Qua troverò delle risposte, senza chiacchiere, con comportamenti esposti. La millantata maturità più precoce delle donne rispetto agli uomini non è poi tanto millantata, quasi impossibile per loro trovare nell'altro sesso interlocutori validi, perlomeno tra i coetanei. Ecco allora instaurarsi tra loro amicizie che arrivano all'Amore anche quando non sessualmente desiderato. Vedi il caso di Floriane che chiederà a Marie di sverginarla usando le dita, perché non vuole che il ragazzo, al quale non può più rifiutarsi, abbia quella prerogativa, vuole che sia una persona che ama e dalla quale è veramente amata a farlo. Scena, ripeto, che mi ha toccato profondamente.

Merita la foto Céline Sciamma, per la quale confesso di aver preso una cotta, cinematograficamente parlando ovviamente. Di lei, di una sua biografia personale, ho scoperto poco ed ero curioso. Mi sarei accontentato anche di un'intervista a riguardo delle sue opere. Non si parla di queste cose, in quel modo, senza conoscerle bene. E visto che entrambi i film oltre ad averli diretti se li è anche scritti... ma ci sarà tempo, ne vedremo ancora e tutti i suoi film non mancheranno di comparire qua.
"Naissance des pieuvres", che in italiano significa "Nascita delle piovre" (da noi il film non è comparso nelle sale, è disponibile sottotitolato) fu presentato al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard e sono sicuro che non ha sfigurato. Ha ricevuto anche il Premio Louis-Delluc per l'opera prima nel 2007 e Nomination al Premio César nel 2008 per la migliore promessa femminile (Louise Blachère e Adele Haenel) e per la migliore opera prima.

Robydick