domenica 21 ottobre 2012

Don Chisciotte (review #2)

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(vedi anche review #1)

Il solo film che Orson Welles s’è interamente prodotto e finanziato. L’unico dove ha operato nella massima libertà possibile, lui che non di rado è stato “tagliato” dai suoi stessi produttori. Peccato che non è riuscito a finirlo. 15 anni di riprese a partire dal 1957 necessariamente frammentate, tra Messico prima e Spagna poi, il paese che adorava e dove ha voluto essere tumulato, nella fattoria in Andalusia dove visse in gioventù. 6 i membri della troupe compresa la moglie aiuto regista, con Welles stesso a fare da cameraman e un poliedrico, inclassificabile regista spagnolo a fargli da aiuto, anche se non accreditato: Jess Franco. Proprio a quest’ultimo dobbiamo la sola post-produzione in forma di opera compiuta. E’ questo il film di cui parliamo.

Un sogno di Orson Welles concretizzato da Jess Franco, un grande lavoro di montaggio che ci ha regalato un capolavoro, realizzato nel 1992 senza alcuna indicazione del regista morto 7 anni prima. Welles era fatto così, scriveva poco e improvvisava molto; faceva crescere le sue creazioni sul set, le dominava interamente, girando le scene in ordine sparso, spesso partendo dal nucleo principale e poi costruendone i contorni. Avrebbe scritto la Genesi al contrario, creando prima l’uomo e poi la terra per farlo vivere.

L’opera di Cervantes chiude con una specie di “maledizione” per chi tenterà di riprodurla: “Colui che tenta di adattare Chisciotte è destinato a diventare Chisciotte, dovendo confrontarsi con l’impossibilità di trasformare la fantasia in realtà”. Rivolta a chi pensava di plagiarla ai tempi, pare destino che l’effetto sia arrivato fin ai cineasti. Molti i tentativi a partire dal 1898 (Produzione Gaumont, Francia), pochi i risultati se rapportati, soprattutto in termini qualitativi. Dei tentativi più impegnativi e grandiosi nessuno è andato a compimento, compreso quello di Welles ovviamente. Un esempio su tutti i 2 tentativi di Terry Gilliam, fondatore dei Monty Python, nel 1990 e nel 1998. Il secondo estremamente ambizioso, con idee originalissime proprio come te le aspetti da uno come Gilliam, sarebbe stato il primo Don Chisciotte interamente girato in Spagna, con tutti gli aiuti possibili dal paese ospitante (l’intera città di Toledo messa a disposizione per una settimana!). Jean Rochefort come “cavalier andante”, Johnny Depp come Sancho Panza e la compagna di quest’ultimo, Vanessa Paradis, come Dulcinea. Film preparatissimo in ogni aspetto. Nel 2000 parte la pre-produzione, budget complessivo di 30 milioni di dollari. Accadrà di tutto, e ancora una volta, come nel ’90, il progetto fallirà.

Cosa intendeva Cervantes dicendo “impossibilità di trasformare la fantasia in realtà”? Il “Don Chisciotte della Mancia” è tra quei romanzi che tutti conoscono e pochi han letto, se non qualche riduzione. Tutti però usano termini come “donchisciottesco”, o locuzioni come “combattere contro i mulini a vento”. Si pensa a persone che lottano nelle c.d. cause perse, magari in nome di un ideale o di un principio, tempo speso senza reale utilità pratica. I più evoluti, memori delle vicende, pensano anche agli ostinati che rifiutano le modernità, ma è ancora troppo, Troppo poco, e poi così facendo si dimentica un personaggio dell’indissolubile duo, il fido Sancho Panza. Lo stesso Welles ce lo indica, nel film che è anche meta-cinema in questa versione dove compare narrando la vicenda delle riprese insieme alle vicende del libro, affermando che forse è proprio lo scudiero il personaggio più incredibile ed attuale tanto da renderlo assoluto protagonista di tutta la seconda parte del film. In Spagna è pieno di monumenti equestri che li omaggiano, uno sul bianco Ronzinante, l’altro su l'asinello, e mai separatamente ma dei 2 chi non esisterebbe senza l’altro è Chisciotte che per certi aspetti ha la funzione di sradicare dal cinismo e dall’utilitarismo l’umile Sancho, elevandolo al rango di Uomo Saggio ricco di Valore e di aperte vedute. Cervantes non minaccia chi lo plagia di diventare Sancho, ma Chisciotte. Non è indicativo?

Francisco Reiguera (Don Chisciotte) e Akim Tamiroff (Sancho Panza) sono state scelte perfette, tanto da essere icone universali dei 2 personaggi. Welles li riprende raramente da lontano, siamo in un’opera di primi piani intensi, con espressività da film muto. Anche per le scene d’azione. Emblematica in questo senso la lotta coi mulini, dove inquadra il prode in una specie di sogno, lo scudiero allibito in chiaro, e poco o nulla del nemico affrontato. Dalle sue espressioni e posture comprendiamo l’andamento della tenzone, che ancora di più si sgancia dal contesto storico e mette a fuoco l’essenza: la follia idealistica di Chisciotte, il buon senso di Sancho. Questo Don Chisciotte vive la Spagna contemporanea degli anni delle riprese e non stride per nulla con l’opera originale. Cervantes avrebbe potuto scrivere all’infinito di gesta del suo eroe, parimenti Welles avrebbe potuto continuare a riprendere, potendo, per decenni. “Sapete, più o meno, mi è successo come a Cervantes che cominciò col fare una novella e finì per scrivere Don Quixote. È un soggetto che una volta iniziato non si può più abbandonare”, questo ebbe a dire.

Quando un film è bello come questo ti porta dentro l’opera che rappresenta e te ne chiedi il senso. Troppi ne ha e ne avrà il capolavoro di Cervantes. Idealismo, amore per l’onore e la cavalleria a guisa di “religione laica” che cerca gloria in terra e non felicità nei cieli, coraggio nel combattere l’impossibile. Non si finirà mai di studiarne a riguardo, qua però proponiamo, tra le altre, una nuova visione, in addizione: Don Chisciotte insegna il grande valore per l’umanità dei “picchiatelli”. Tutti concordano sul fatto che, fascino della bizzarria a parte, il Cavalier Andante è mica troppo sano di mente, "pazzo come i santi" dirà Sancho, non dico niente di nuovo. Cervantes, e aggiungo Welles, ce lo fanno piacere, ridiamo della sua follia che è anche dramma. Rischia linciaggi a ripetizione, è Sancho che lo protegge e che quando lo perderà andrà cercandolo per tutta la Spagna. Cosa spinge Sancho a ciò? Quanti si comporterebbero come lui? Per gli Indiani d’America ogni forma di Diversità, fosse essa di natura sessuale, fisica, mentale, qualsiasi diversità, era considerata una manifestazione in terra del divino. Queste persone venivano protette e godevano di privilegi nelle comunità. Peccato aver smarrito questa Cultura, distrutta da chi era superiore solo in violenza. Sancho era come un indiano, uomo più unico che raro, lo sarebbe ancora oggi. Quel Chisciotte macilento e “loco” andava tutelato per il bene di tutti.

I “diversi” non sono anticonvenzionali per scelta, lo sono per natura, quindi sono unici, abbattono mulini a vento, generano progresso, superano usi e costumi. Vanno venerati e protetti, come questo meraviglioso film.
Robydick


















5 commenti:

  1. Qualcuno disse che Don Chisciotte è invincibile. Non perché vince sempre, ma perché non si arrende mai. Ecco perché persino Che Guevara si definì come lui.

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  2. Don Chisciotte porta sfiga! è inadattabile!
    Comunque un bel post, anche io parlerò di Orson molto presto!

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  3. be' Perso, Orson Welles è tra i massimi registi di sempre, affrontarlo prima o poi è inevitabile.

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  4. a me onestamente non era piaciuto, dispersivo e (prima volta che mi capita per un film di welles) noioso, belle le inquadrature in se, ma non in rapporto fra di loro.
    D'altra parte questo film è più di Franco che di Welles dato che Franco ha inserito scene mai girate da Welles, ha fatto comparire il regista americano prendendolo da un documentario più vecchio, riscrivendo dialoghi e sceneggiatura ecc...
    Anzi, a mio avviso (pur comprendendo la voglia di Franco di ricosturire l'ultimo film di Orson Welles) ha fatto più danni lui che la RKO per l'orgoglio degli amberson.

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