martedì 29 gennaio 2013

Lincoln

16


Non solo un film storico, ma anche un eccellente political drama. Il film racconta gli ultimi quattro mesi di vita del celebre presidente americano. La paura di trovarsi di fronte ad una pellicola dai connotati retorici è stata forte, ma passa presto. La sceneggiatura di Tony Kushner, adattamento del libro Team of rivals: Il genio politico di Abraham Lincoln, di Doris Kearns Goodwin, ci mostra in modo nudo e crudo come e perché si arrivò alla fatidica approvazione del Tredicesimo Emendamento della Costituzione Americana. Quello che abolì la schiavitù negli Stati Uniti d'America.

Abraham Lincoln (Daniel Day-Lewis) è un presidente pragmatico: non si batte tanto per l'uguaglianza tra razze, quanto per l'uguaglianza di fronte alla legge. Avendo confiscato gli schiavi dei Confederati arruolandoli nell'esercito dell'Unione, con il conflitto che volge al termine si trova in una situazione alquanto spinosa. Cosa sarà di loro alla fine della guerra? Restituirli ai loro "legittimi proprietari" sarebbe una infamia. Seguendo il film tutto appare molto diverso da come ce lo immaginavamo. Dopo quattro anni di guerra il Congresso americano non sembra essersi accorto che la guerra civile sia scoppiata proprio per abolire la schiavitù. Ecco allora che scopriamo la natura meramente economica del conflitto, in un Congresso dove i voti si comprano, il Presidente mente e i politici si insultano pesantemente durante le assemblee. Fernando Wood (Lee Pace) rappresentante del Partito Democratico, simpatizza per la schiavitù, è un oratore di razza che sostiene l'importanza di conservare la “cultura” razzista degli stati del Sud, oltre a questo può sfruttare il malcontento per una guerra civile che si protrae da molti anni mietendo migliaia di vittime; Lincoln è accusato di esserne il principale responsabile. Nonostante sia stato da poco rieletto, il Presidente si trova contro l'approvazione dell'emendamento anche membri del suo stesso partito, non ultimo il leader dell'ala radicale, Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones) fervente abolizionista, che voleva un emendamento a favore del riconoscimento dei pieni diritti ai neri, non una semplice abolizione della schiavitù, la quale non li avrebbe garantiti.

La politica non è fatta da poeti, in questo film Steven Spielberg lo fa capire molto bene. Lincoln era un politico, non una statua di marmo. I voti necessari per approvare l'emendamento furono ottenuti usando metodi alquanto discutibili, il Presidente infatti assolderà un trio di simpatiche canaglie – che alleggeriscono la pellicola con momenti di sano umorismo – allo scopo di individuare i rappresentanti Democratici più malleabili, offrendo loro denaro e posti di rilievo nell'amministrazione. Certo non è degno di un Presidente, ma d'altra parte, siamo ben lontani dal negare un rapporto improprio con la propria stagista o appoggiare un golpe in Cile, no?

Difficile rendere appassionante un film dove i conflitti principali si svolgono nell'aula di un parlamento, specialmente per gli italiani, ed in questo periodo. Eppure anche se tutti noi sappiamo come andarono le cose, la pellicola riesce a farci stare sulle spine quando comincia il conteggio dei voti. Le scene di combattimento sono ridotte all'osso. La crudezza di Salvate il soldato Ryan si trasferisce dalle carni alle menti. Nulla, proprio nulla, in questo film è scontato o retorico – se non quando i personaggi stessi devono esserlo – questo serve soprattutto a coglierne l'ipocrisia. Per chi non è esperto della storia di quegli avvenimenti saranno in serbo anche dei piccoli colpi di scena. 

Davvero splendido il lavoro di Daniel Day-Lewis, che raggiunge il suo apice soprattutto in coppia con Sally Field (Mary Todd Lincoln, la First Lady) mostrandoci il Lincoln privato; padre di famiglia con moglie mentalmente instabile e figlio ansioso di arruolarsi.

Molto bella la fotografia di Janusz Kaminski, viene subito in mente la tecnica messa a punto da Stanley Kubrick per riprendere gli interni con la luce delle candele in Barry Lyndon. Gli effetti sono molto suggestivi. I costumi e le scenografie, perfette.

 Voto: 5 stelle.

Giovanni Pili
(facebook)








16 commenti:

  1. eh sì, altro che poeti in politica. ma se il cinismo fosse sempre al servizio di grandi ideali, le cose andrebbero meglio ovunque... gli americani dovrebbero impararlo a memoria, e a seguire tutti gli altri.

    al di là di tutto, è un film meraviglioso, con un grande Daniel Day-Lewis che DEVE essere goduto in lingua originale. basta il trailer di quello italiano per capire quanto rovinata sia la versione doppiata

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quello che scrivi è sacrosanto! meno male che se ne stanno accorgendo ... almeno spero. Parlo della questione "doppiaggio", ovviamente. Per quanto riguarda gli ideali, non se ne accorgerà mai nessuno abbastanza. :D

      Elimina
  2. Eh, ma è quello che ho scritto io nei post su "Django Unchained", perchè non mi avete risposto?

    RispondiElimina
  3. Non vedo l'ora di andare a vederlo! Grazie per questa bella recensione

    RispondiElimina
  4. Premesso che a me il doppiaggio non è dispiaciuto, spero di poterlo vedere presto in lingua originale per gustarmi al meglio il buon DDL.
    Nel complesso, un bellissimo (e paradossalmente attualissimo!) film che soffre purtroppo di qualche lungaggine eccessiva sul finale.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì ha molti aspetti attuali. Meno male, altrimenti avrebbe reso molto poco, tenuto conto del fatto che molte scene rappresentano dei dibattiti parlamentari. Non proprio un film per tutti, insomma.

      Elimina
  5. Mi è piaciuto davvero poco. Sufficienza scarsa solo per l'ottima perizia tecnica, cosa che da Spielberg però mi aspetto con un po' di scontatezza. Troppo ideologico ed 'americano', poco obiettivo su quella che è la vera realtà storica.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Spielberg secondo me è un "ingegnere" più che un "artista"; questo lo limita parecchio, o lo limiterebbe, se non fosse già parte dell'aristocrazia del Cinema americano.

      Sul lato ideologico, be' per quanto la scelta del soggetto renda difficile nasconderlo, in realtà il regista lo tiene abbastanza a freno secondo me. Sono andato a vederlo già aspettandomi un polpettone di retorica americana, invece ne ho visto pochissima, giusto nei primi e negli ultimi minuti della pellicola.

      Elimina
    2. Domani intervengo io, che modestamente sono un buon conoscitore da tanti testi, dellla figura di Lincoln, del periodo storico della Guerra di Secessione, la prima guerra moderna che poi avrebbe plasmato tutte le altre, con le prime corazzate, le prime armi automatiche mitragliatrici, i primi carri armati seppur a vapore, e addirittura i primi sommergibili. E conoscitore degli avvenimenti e degli uomini in campo. Anche in quest'occasione, per lo splendido film in oggetto, c'e' una punta di anti- americanismo di pertinenza molto relativa. E ve lo dice un tesserato PdCI.

      Elimina
    3. Che te lo dico a fare ... io sono anarchico. :D
      La Guerra di Secessione è un periodo storico che ha affascinato tanto anche me.

      Elimina
  6. Anche io temevo il film retorico.. meno male che non è così! Andrò presto a vederlo, bel post.

    RispondiElimina
  7. A livello storico sarebbe stato meglio avesse vinto il Sud anche se certo per i Bozambo sarebbe stato nefasto, con la vittoria del Nord si è affermato definitivamente si potrebbe dire il capitalismo industriale delle grandi acciaierie, a scapito del manufatturiero e dell'agricoltura,da sempre principale risorsa depredata di tutte le nazioni del Sud del mondo e in via di sviluppo. E questo il film nel finale lo mostra, non è affatto in questo un'opera "ideologica" ma anzi molto intelligente politicamente e storicamente. Soltanto che, era appunto impossibile che il Sud vincesse,e la Storia si sa da sempre non si fa con i se e i ma. Non poteva vincere al cospetto della produzione industriale e degli armamenti del Nord, questo Lincoln l'ha sempre saputo anche se il Sud resse al di là delle aspettative dei washingtoniani, al prezzo di un immane massacro. In proporzione alla popolazione di allora, sono morti più americani in quella guerra, che in tutte quelle successive da quella con gli Spagnoli per Cuba alla WWI, WWII, Corea e Vietnam messe insieme. Stime certe parlano di 600'000 morti solo nelle ultime battaglie dei mesi di gennaio-aprile come quella di Petersburgh che il film mostra negli effetti di massacro in una delle sue più belle e pittoriche sequenze, mentre alcune per difetto parlano persino di 3'000'000 complessivi nei quattro anni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sicuramente senza quel conflitto la questione schiavile si sarebbe esaurita come nel Sud America, (vedi la legge del ventre libero in Brasile) con molte meno vittime e probabilmente l'integrazione razziale sarebbe avvenuta in maniera altrettanto graduale e morbida. Ma, come dici tu, la storia non si fa coi se. Mi viene in mente un mocumentario che fa vedere come sarebbe stata l'America se avesse vinto il Sud.

      Elimina