mercoledì 23 gennaio 2013

[REC]3: Génesis - REC 3 - La genesi

9

Sono passati quasi dieci anni dal primo [REC] e quattro dal secondo, e l'infezione che ha ormai reso celebre il numero 34 della Rambia de Catalunya a Barcellona s'è portata via alcune cose belle, regalandocene al contempo altre di ancor più deliziosa fattura. Jaume Balagueró rientra di sicuro nel primo gruppo, e anche se il set del quasi coevo Bed Time deve avergli sottratto tempo e risorse, difficilmente l'appassionato potrebbe pensare a un terzo capitolo della saga senza la coregia di questo grandissimo regista iberico.

Così il collega Paco Plaza s'è dovuto sobbarcare da solo l'intera fatica, districandosi forse non tanto tra problematiche strettamente finanziarie (questa pellicola parrebbe, almeno a naso, la più costosa della trilogia), quanto organizzative e soprattutto estetiche. Il problema principale è che, come spesso succede nelle saghe, la freschezza dei primi due segmenti si edulcora nei successivi, perdendo gli aromi o perlomeno annacquandoli lungo i crinali di un generale e forse inevitabile abbassamento di tono registico. D'altronde è difficile variare il tema in modo innovativo quando esso è già stato discusso e sviscerato più volte e sempre secondo prospettive complementari e ribaltate, e nel momento in cui non si rischia l'indigestione è comunque facile cadere nel manierismo più oltranzista e laccato. È questo che, seppur in maniera impercettibile e affusolata, Paco Plaza ha rischiato di fare, o che forse, in misura altrettanto impercettibile, ha fatto con il gusto pecorino ma simpatico di chi non si prende sul serio e preferisce buttarla in caciara.

E qui si viene alle raffinatezze che [REC] atto terzo riesce a darci. Il film di Plaza è sgangherato come il Dracula di Dario Argento, folle ma necessario, divertente e pieno di inventiva; abbandona la nozione di cinema (e quindi coerenza interna, simmetria tra le parti, consequenzialità narrativa) per divenire un'idea astratta, rifiuta le categorie di settore per mutarsi in un memoriale al genere fatto di tante visioni e poca storia, di molta carne e poco condimento. Paco Plaza sapeva quel che faceva, come era conscio di non voler raccontare una vicenda perché già scritta e riferita. L'infezione del primo capitolo diventava una pandemia demoniaca nel seguito, che a sua volta si trasforma in una geniale parodia nel terzo. Non si presenta, si mostra direttamente; non si dosa, si sovraccarica. Si scrive un abbozzo di sceneggiatura, affidata alle mani di David Gallart e Luis A. Berdejo e la si lascia andare alla deriva come una barca che solca raminga le acque dell'improvvisazione. Così, succeda quel che deve succedere.


Il che è senz'altro molto divertente, perché per quelle strane alchimie interne al cinema, la sgangheratezza di scrittura si volge in poesia, la sciatteria nell'esposizione in un marchio stilistico. Il film si apre come un ormai ordinario pov-movie, con questi due tizi che, incaricati di filmare tutto il filmabile durante un matrimonio, quello tra Clara (Leticia Dolera) e Koldo (Diego nell'edizione italiana, Diego Martín), si sfidano a duello nello sfoderare tutto il repertorio del buon cinefilo domenicale. C'è persino un barbuto Kubrick che parla sciorinando dati e nozioni da teoria del cinema (montaggio analogico, Jean Renoir, cinéma-vérité ecc). Poi, quando lo zio di Koldo, morso da un cane poche ore prima, comincia a dare segni di squilibrio, la festa finisce in un bagno di sangue, e quella stessa infezione che aveva appestato l'ignaro ospite si propaga nelle vene di ogni invitato nel momento in cui questi viene morsicato. Allora il pov lascia spazio a un approccio di ripresa più tradizionale, la prima persona alla terza, e pur non disdegnando qualche sporadica incursione nella sperimentazione (il visore notturno inserito sulla videocamera amatoriale di un ragazzo ricorda così tanto la scuola di The Descent), la pellicola resta ancorata ai saldi binari della classicità. Non sembra esserci molto di nuovo, almeno per la parte iniziale, siamo piuttosto nel tipico caso di chi costruisce un'opera pensandola come sedimentazione di cose già fatte, come un insieme più o meno intersecato di citazioni spolverate ed esposte con educazione in un ipotetico museo della paura.

La regia però d'improvviso ha un guizzo, e [REC]3 diviene veramente come una strana torta matrimoniale, che alla base contiene ingredienti e sapori già usati e amalgamati, ma che restringendosi verso la sommità, si fa sempre più pungente e peculiare, concludendosi degnamente con una ciliegina candita capace di sfumare la consuetudine con quel non so che di innovativo e gustoso. I due sposi vengono infatti separati nel parapiglia, Clara e altri commensali, tra cui un prete, si chiudono nella cabina della sicurezza, mentre il gruppo di Koldo finisce in una chiesa insieme a dei superstiti che per fortuna hanno capito tutto e sanno come gestire l'emergenza: con disappunto (nostro e loro) scopriamo che gli infetti non possono superare i confini del sacrario, perché naturalmente propensi a rigettare tutto ciò che ha a che fare con il divino e le sue mistiche simbologie, essendo essi invasati da orribili e impalpabili demoni. Anche il sacerdote, dall'altra parte della villa, è arrivato alle medesime conclusioni, e si è accorto che basta leggere brani della Bibbia perché gli zombi si immobilizzino esterrefatti. Insomma, tutto è sotto controllo, tranne che per i due sposini, che in barba all'innato senso di sicurezza che ognuno dovrebbe avere, si gettano tra gli appestati l'uno alla disperata, febbrile ricerca dell'altra. A un certo punto Koldo si infila l'armatura di San Giorgio, trafugata in una cappelletta, e seguito da un baldo aiutante messicano con tanto di scudo, spada ed elmetto, corre ad espugnare il signorile palazzo in cui è prigioniera la sua Crimilde. La musica medievale in sottofondo il buon Paco Plaza poteva anche risparmiarcela, eppure quando la bellissima Clara, ancora vestita da sposa, cala il tubo dell'idrante dalla finestra e fugge in giardino, tipo Raperonzolo, allora capisci che a tutto questo v'è sottesa una qualche imperscrutabile strategia.

Il film procede su questo tono, tra alcuni momenti inaspettati (il summenzionato epigono di Kubrick, che si suicida squarciandosi le vene) e altri al limite del grottesco (Koldo in chiesa quasi aspetta un segno divino, e proprio in quel mentre dagli altoparlanti collocati nella struttura si ode forte e chiara la voce della consorte). Ma è solo verso il finale che si raggiunge il nirvana dell'orrore, con l'agguerrita Clara che, afferrata una motosega, si strappa gli inutili cascami del vestito, mostrando una gamba soda, dritta e sensuale ornata da un'essenziale giarrettiera rossa e menando fendenti a destra e manca. Immaginatevi la scena: una sposa biancovestita lordata di sangue, il rosso sul bianco, il nero corvino dei capelli, la giarrettiera che spunta tra le pieghe dell'abito, un'arma micidiale che amputa teste e braccia. Già solo questo basterebbe a convertire un omosessuale alla giusta causa, ma quando la temeraria mujer si china a gambe aperte sui contaminati, urlando “Questo è il mio giorno!” come in preda a un raptus orgasmico, ecco che si entra in uno stato di momentanea beatitudine erotica. Lei che grida e geme, le teste che cadono, i corpi ributtanti che si aprono come cerniere lampo. La scena madre riscatta tutto il resto del lavoro, cancella il disappunto con un colpo di spugna e finisce per dissipare l'eventuale noia con l'appagamento di chi, dopo tanto attendere, s'è finalmente saziato.
Finale cattivissimo con amputazione di un braccio e di una lingua strappata a morsi, si glissa sulle relative cause e dinamiche per non rovinare la sorpresa a chi il film non l'ha visto.

[REC]3 è un buon prodotto, di sicuro non il migliore horror degli ultimi anni, né il più coerente, né il più serio e nemmeno (forse) il più pauroso, ma necessario per esplorare alcune aree che il genere di rado ha toccato, come ad esempio il connubio tra violenza ed erotismo. Se poi un film, per essere considerato tale, deve vantare almeno due o tre scene di un certo impatto visivo, di sicuro l'opera di Paco Plaza non lascia insoddisfatti, ma anzi delizia come una prelibatezza esotica ai cui sapori non siamo ancora stati assuefatti.

Marco Marchetti


9 commenti:

  1. Divertente e delirante al punto giusto, a un certo punto sono anche riuscita a commuovermi.
    Un bellissimo terzo capitolo a cui spero ne seguirà un quarto, ed ultimo, degno di concludere una saga che, nonostante avesse perso già qualche colpo nel secondo episodio, continua a regalare gioie agli appassionati.

    RispondiElimina
  2. Davvero una sorpresa. Plaza si distacca dai precedenti e crea un delirio imperdibile per tutti gli appassionati. La scena della mattanza ad opera di Clara è ormai cult.

    RispondiElimina
  3. Anche per me una sorpresa, ma neppure il secondo capitolo e' da buttare. Ulteriore testimonianza dell'ottimo stato di salute del cinema di genere e no, spagnolo. Dopo "The Impossible" di Bayona e "Bed Time/Mientras duermes" di Balaguero, Balaguero socio e padre in binomio con Plaza della serie di "Rec".
    Unica nota, l'ambientazione durante una festa di matrimonio. Che seppur rovescitata nell'orrore piu' splatter, sempre un'ambientazione borghese e tradizionalista e'. Io odio, i matrimoni, ma si sa son pur sempre spagnoli, e a certe cose evidentemente, volenti o nolenti son rimasti simpaticamente attaccati.
    Bella e brava la protagonista. E giovane.
    L'avessero fatto in Italia (cosa impossibile), avrebbero dato il ruolo alla Buy o ad Ambra Angiolini.

    RispondiElimina
  4. E' stata una sorpresa anche per me. Ma pure il secondo capitolo non e' da buttare. Ulteriore conferma dello stato ottimo di salute del cinema spagnolo di genere e non, dopo "The Impossible" di Bayona, e "Bed Time/Mientras duermes" di Balaguero padre non a caso della serie di "Rec", insieme a Plaza. Unica nota, io odio i matrimoni cattolici,lla scelta di ambientare l'intero film durante la festa del matrimonio, seppur declinata simpaticamente nel gore piu' estremo, e' comunque borghese e tradizionalista come evidentemente sono attaccati ancora, volente o nolente gli spagnoli, a certe cerimonie
    clericali.
    Bella, brava e giovane la protagonista.
    Avessero fatto un film cosi' in Italia (cosa impossibile), avrebbero dato il ruolo ad Ambra Angiolini. O alla Buy che va bene per ogni occasione.
    Repeat: Martelli, le seghe?

    RispondiElimina
  5. Napoleone, chi è Martelli????

    questo lo devo guardare presto.

    RispondiElimina
  6. appena visto..non male affatto...divertente...

    RispondiElimina
  7. ma che spasso di film! il minipimer per sdentare lo zombie non è una meraviglia? ahah! non male anche la topinas...

    RispondiElimina