Film del progetto "100 Film italiani da salvare".
Peppino e Antonia (Alberto Sordi e Silvana Mangano) sono dei baraccati di Roma, in una borgata confinante con la principesca villa affittata da una ricchissima donna americana ogni volta che viene in visita in Italia. La signora (Bette Davis) è un'appassionata giocatrice di carte. In ogni paese che va sfida una coppia locale, insieme al suo ex compagno ed ora maggiordomo personale George (Joseph Cotten). A Roma sfidano Peppino lo stracciarolo e Antonia che fa le pulizie in un concessionario d'auto. Non badano al livello sociale degli sfidanti, li vogliono bravi a giocare e i "nostri" lo sono, soprattutto Antonia che ha persino un amore passato, tale Righetto (Domenico Modugno) che di professione è giocatore d'azzardo.
La signora fornisce loro persino un capitale iniziale per giocare, ma non si pensi sia un regalo. Peppino e Antonia sperano in una facile e rapida ricchezza, lo fanno sempre quando la signora viene. C'è una Realtà però che dovranno affrontare, quella che da sempre tiene poveri e ricchi a debita distanza...
Mi fermo nel raccontare la trama, anche se parliamo di un Capolavoro arci-noto per eccellenza, almeno per certe generazioni. Uno di quelli che tutti conoscono e dimenticano. Si ricordano gli attoroni del cast, i soldi, le partite a carte. Si dimenticano gli incredibili contenuti espressi con intelligenza sopraffina, più che mai attuali.
Non so dire della reale esistenza, al tempo, di quei luoghi. Certo che una villa di tanto sfarzo, con solo una rete a separarla dalla baraccopoli e quella vista sul cupolone di San Pietro, è una location che già significa molto, dai pronunciati contrasti. Restando in tema di contrasti, se l'eclettico Albertone sappiamo capace di tutto, vedere la Mangano, con la sua regale bellezza, nei panni de 'na disgraziata in cenci è fin disorientante. Ci si ricrederà presto. Vestiti e non-acconciatura a parte, nulla la rovinerà, nessun trucco, manco un dente rotto, intatta come natura l'ha magnificamente forgiata; sarà talmente brava anche in un simile ruolo che questa Antonia rischierà di far dimenticare persino "Anna" (1951, Alberto Lattuada). L'abito, la cura dell'aspetto, la condizione sociale e di vita, vuol dire tanto. Quali e quante meraviglie di uomini e donne può nascondere la miseria? Una simile domanda sola dovrebbe bastare a una classe dirigente per indirizzarla verso una filantropia concreta. Gli egoismi invece propongono occludenti aggiunte, ideologie, religioni, quando invece basterebbe davvero anelare per sottrazione: eliminare il più possibile la miseria. Allora la bellezza, che non occorre inventarsi, semplicemente emergerebbe, come il miglior olio extra-vergine: per affioramento.
La signora fornisce loro persino un capitale iniziale per giocare, ma non si pensi sia un regalo. Peppino e Antonia sperano in una facile e rapida ricchezza, lo fanno sempre quando la signora viene. C'è una Realtà però che dovranno affrontare, quella che da sempre tiene poveri e ricchi a debita distanza...
Mi fermo nel raccontare la trama, anche se parliamo di un Capolavoro arci-noto per eccellenza, almeno per certe generazioni. Uno di quelli che tutti conoscono e dimenticano. Si ricordano gli attoroni del cast, i soldi, le partite a carte. Si dimenticano gli incredibili contenuti espressi con intelligenza sopraffina, più che mai attuali.
Non so dire della reale esistenza, al tempo, di quei luoghi. Certo che una villa di tanto sfarzo, con solo una rete a separarla dalla baraccopoli e quella vista sul cupolone di San Pietro, è una location che già significa molto, dai pronunciati contrasti. Restando in tema di contrasti, se l'eclettico Albertone sappiamo capace di tutto, vedere la Mangano, con la sua regale bellezza, nei panni de 'na disgraziata in cenci è fin disorientante. Ci si ricrederà presto. Vestiti e non-acconciatura a parte, nulla la rovinerà, nessun trucco, manco un dente rotto, intatta come natura l'ha magnificamente forgiata; sarà talmente brava anche in un simile ruolo che questa Antonia rischierà di far dimenticare persino "Anna" (1951, Alberto Lattuada). L'abito, la cura dell'aspetto, la condizione sociale e di vita, vuol dire tanto. Quali e quante meraviglie di uomini e donne può nascondere la miseria? Una simile domanda sola dovrebbe bastare a una classe dirigente per indirizzarla verso una filantropia concreta. Gli egoismi invece propongono occludenti aggiunte, ideologie, religioni, quando invece basterebbe davvero anelare per sottrazione: eliminare il più possibile la miseria. Allora la bellezza, che non occorre inventarsi, semplicemente emergerebbe, come il miglior olio extra-vergine: per affioramento.
Robydick
P.S.: Questa rece la scrissi nel 2011 ma, per motivi che ignoro, rimase come bozza.
Mamma mia che filmone che hai ritirato fuori, un vero e proprio cult nostrano! Oltre Sordi c'era gente del calibro di Silvana Mangano, una delle nostre bellezze da invidia, e di Mario Carotenuto, attore d'altri tempi romanaccio de Roma! Hai fatto bene a toglierla dal draft e a postarla amico mio, e sarebbe nettamente da rivedere come pure Il marchese del Grillo, che da quello che vedo non hai recensito. Un forte abbraccio 🤗
RispondiEliminacaro Nico concordo su tutto, ma recensire il Marchese del Grillo (che adoro) sarebbe veramente troppo, cmq ci penserò su
RispondiEliminaci credi che non l'ho mai visto sto film? Devo recuperare assolutamente ^_^
RispondiEliminaeh cara Arwen, sì l'imperativo ci vuole, questo è un grande classico che però, a differenza del citato Marchese del Grillo, in TV compare molto raramente
RispondiEliminaMeraviglioso, non posso fare a meno ogni tanto di rivederlo. Quando il cinema italiano era così ai vertici che le dive di Hollywood accorrevano per interpretare questi ruoli. Grandi prove d'attori da parte di tutto il cast (Sordi in particolare, straordinario)
RispondiEliminaciao Kelvin... '50 '60 e '70 è un trentennio d'oro, poco trasmesso dalla TV purtroppo, ma lo capisco, ci sono molti film che sono "scomodissimi" ancora oggi
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