Ogni tanto un film-da-festival ci sta, perché siamo in questo tipo di ambito e con Jim Jarmusch è spesso così. Come in Stranger than Paradise, ancora un'america glabra e disincantata, ritratta con immagini poco definite, statiche come i personaggi dalle vite stantie, che non trovano un senso compiuto e si forzano a darlo, un senso, a quello che fanno o che han fatto nel passato.