Il bravo regista olandese stavolta si cimenta, felicemente, con un romanzo di Luis Sepulveda ambientato nella foresta amazzonica.
Protagonista è Antonio Bolivar (interpretato da un perfetto Richard Dreyfuss). Antonio si era trasferito ancora giovane in quei territori, ad attuare una colonizzazione incentivata dal governo. Presto la vita nella giungla si rivelò dura e triste, perse anche precocemente la moglie.
Anche raggiunta una considerevole età non pensa di tornare al mondo civile. Troppe esperienze e troppi ricordi lo legano a quei luoghi. Scopre però la lettura e i soli romanzi che riesce a trovare sono quelli che ha una giovane e bella donna, Josefina, cameriera e prostituta in casa del "sindaco" del villaggio.
Un contrabbandiere, cacciatore di frodo verrà trovato morto, palesemente vittima dell'aggressione di un giaguaro. Antonio per primo comprenderà la natura del giaguaro, una femmina a cui il contrabbandiere ha ucciso compagno e cuccioli. Il giaguaro diventerà lo spauracchio del villaggio e si renderà necessaria una battuta di caccia per trovarlo. Partiti in squadra, il solo Antonio resterà ad affrontare la belva...
Un bel film-romanzo, lento e pacato. Antonio "leggerà" nella sua vita le belle parole e le belle frasi che imparando a leggere apprezzerà nei libri che Josefina, che s'innamorerà di lui, gli procura.
Recensioni di Film, SerieTV e Teatro di ogni genere, epoca e nazione
domenica 15 febbraio 2009
Kontroll
Film di underground purissimo come pochi, interamente svolto nella metropolitana di Budapest.
Bulcsú lavora come controllore. Insieme alla squadra che coordina ne passa di tutti i colori: quelli che viaggiano senza biglietto non sono certo i migliori "rappresentanti" di quel buio microcosmo.
Oltre a lavorarci, Bulcsú vive tutta la sua giornata nella metro: ci mangia e ci dorme, senza mai uscire all'aperto.
Tre sono i tormentoni di quel periodo per il protagonista. Uno è "bomboletta", un ragazzo dal look hip-hop che si burla dei controllori, spesso insozzandoli con spray. L'altro è una strana sequela di suicidi che si gettano sotto i treni. Il terzo, molto più piacevole, una ragazza che va sempre in giro vestita da orsacchiotto che lo farà innamorare.
Uscirà Bulcsú da quei "fondali" prima o poi? Forse solo se risolverà tutte e tre le questioni.
Film veloce, bellissimo, originale, sicuramente ispirato a thriller e fantascienza nota.
Bulcsú lavora come controllore. Insieme alla squadra che coordina ne passa di tutti i colori: quelli che viaggiano senza biglietto non sono certo i migliori "rappresentanti" di quel buio microcosmo.
Oltre a lavorarci, Bulcsú vive tutta la sua giornata nella metro: ci mangia e ci dorme, senza mai uscire all'aperto.
Tre sono i tormentoni di quel periodo per il protagonista. Uno è "bomboletta", un ragazzo dal look hip-hop che si burla dei controllori, spesso insozzandoli con spray. L'altro è una strana sequela di suicidi che si gettano sotto i treni. Il terzo, molto più piacevole, una ragazza che va sempre in giro vestita da orsacchiotto che lo farà innamorare.
Uscirà Bulcsú da quei "fondali" prima o poi? Forse solo se risolverà tutte e tre le questioni.
Film veloce, bellissimo, originale, sicuramente ispirato a thriller e fantascienza nota.
sabato 14 febbraio 2009
The girl next door - La ragazza della porta accanto
Se qualcuno avesse solo immaginato una storia simile allora potremmo dire che stiamo parlando di un horror, sadico certo, frustrante, ben girato senza scadere nello splatterismo osceno.
Invece questo film è tratto da un romanzo a sua volta ispirato da una storia realmente accaduta ad Indianapolis nel 1965 e questo rende il tutto estremamente sconvolgente! Sconvolgente quello che viene fatto alle 2 ragazze, ad una in particolare.
Riporto da questo sito:
"Indianapolis, 26 ottobre 1965.
La polizia locale riceve una strana telefonata da un ragazzino che prova a camuffare la sua voce fingendosi adulto. Viene così indicato un indirizzo dove successivamente verrà rinvenuto il cadavere della sfortunata sedicenne Sylvia Marie Likens. L'elenco di ciò che è stato riscontrato durante l'autopsia è spaventoso: oltre 100 bruciature di sigarette, decine di ustioni causate da fiammiferi; intere parti del corpo (magrissimo e disidratato) scuoiate. Le era stato inciso con una lama il numero 3 sul petto e nel basso ventre le era stata cesellata la scritta "I'M A PROSTITUTE AND PROUD OF IT!" - "Sono una prostituta e fiera di esserlo".
Le indagini furono brevi e portarono all'arresto di una donna, separata dal marito e madre di quattro figli, cui venne data in custodia Sylvia e sua sorella minore Meg (poliomelitica). Il nome dell'aguzzina era Gertrude Baniszewski di anni 37, afflitta da turbe mentali e problemi di alcolismo. I suoi problemi non le impedirono però di soggiogare totalmente le due ragazzine e diversi altri giovanissimi tra gli 11 ed i 13 anni che diventarono suoi complici durante le torture nello scantinato (come ben rappresentato anche nel film).
Nel settembre del 1985 Gertrude Baniszewski fu rilasciata sulla parola. Cambiò il suo nome in Nadine Van Fossan e andò a vivere in Iowa fino al giugno 1990, anno in cui morì di cancro dopo lunghe sofferenze fisiche (giustizia divina?)."
Nel film le cose vanno in modo leggermente differente, ma la sostanza è la medesima.
Al di là della donna pazza, molto da pensare lo danno i ragazzi che con relativa calma partecipano agli "spettacoli" che questa organizza tormentando la vittima.
E' quasi triste dire che il film, molto ben fatto, merita d'essere visto. A volte perdiamo la consapevolezza di come può finire in basso l'umanità delle persone e questa storia aiuta a mantenere la mente vigile.
Invece questo film è tratto da un romanzo a sua volta ispirato da una storia realmente accaduta ad Indianapolis nel 1965 e questo rende il tutto estremamente sconvolgente! Sconvolgente quello che viene fatto alle 2 ragazze, ad una in particolare.
Riporto da questo sito:
"Indianapolis, 26 ottobre 1965.
La polizia locale riceve una strana telefonata da un ragazzino che prova a camuffare la sua voce fingendosi adulto. Viene così indicato un indirizzo dove successivamente verrà rinvenuto il cadavere della sfortunata sedicenne Sylvia Marie Likens. L'elenco di ciò che è stato riscontrato durante l'autopsia è spaventoso: oltre 100 bruciature di sigarette, decine di ustioni causate da fiammiferi; intere parti del corpo (magrissimo e disidratato) scuoiate. Le era stato inciso con una lama il numero 3 sul petto e nel basso ventre le era stata cesellata la scritta "I'M A PROSTITUTE AND PROUD OF IT!" - "Sono una prostituta e fiera di esserlo".
Le indagini furono brevi e portarono all'arresto di una donna, separata dal marito e madre di quattro figli, cui venne data in custodia Sylvia e sua sorella minore Meg (poliomelitica). Il nome dell'aguzzina era Gertrude Baniszewski di anni 37, afflitta da turbe mentali e problemi di alcolismo. I suoi problemi non le impedirono però di soggiogare totalmente le due ragazzine e diversi altri giovanissimi tra gli 11 ed i 13 anni che diventarono suoi complici durante le torture nello scantinato (come ben rappresentato anche nel film).
Nel settembre del 1985 Gertrude Baniszewski fu rilasciata sulla parola. Cambiò il suo nome in Nadine Van Fossan e andò a vivere in Iowa fino al giugno 1990, anno in cui morì di cancro dopo lunghe sofferenze fisiche (giustizia divina?)."
Nel film le cose vanno in modo leggermente differente, ma la sostanza è la medesima.
Al di là della donna pazza, molto da pensare lo danno i ragazzi che con relativa calma partecipano agli "spettacoli" che questa organizza tormentando la vittima.
E' quasi triste dire che il film, molto ben fatto, merita d'essere visto. A volte perdiamo la consapevolezza di come può finire in basso l'umanità delle persone e questa storia aiuta a mantenere la mente vigile.
venerdì 13 febbraio 2009
Les revenants
70 milioni di morti in tutto il pianeta sono tornati in vita. Il film è ambientato ai giorni nostri e si concentra in una cittadina della provincia francese.
La maggior parte di loro è anziana, ma ci sono anche giovani, bambini e persino infanti. Sono tutti morti recentemente, non più di 10 anni prima, e sono tornati in vita all'età che avevano alla loro morte, come fossero ex ibernati. Non è chiaro da dove arrivino.
Non sono zombie che terrorizzano. Sono persone "quasi" normali, che immediatamente pongono non pochi problemi all'amministrazione pubblica. Anzitutto, al pari di un'ondata immigratoria straordinaria, si devono organizzare dei campi di raccolta. Poi cominciano, gradualmente, i ricongiungimenti coi propri parenti. Poi ancora il reinserimento nel mondo del lavoro, della vita sociale.
A parte un finale che in modo anomalo e forse un po' banale tende a rimettere ordine, con ognuno al posto che gli compete, il film ha carattere fondamentalmente sociale. Tutti soffriamo per la morte di un proprio caro, ma cosa succederebbe se si ritornasse in vita o non si morisse affatto?
Da vedere.
La maggior parte di loro è anziana, ma ci sono anche giovani, bambini e persino infanti. Sono tutti morti recentemente, non più di 10 anni prima, e sono tornati in vita all'età che avevano alla loro morte, come fossero ex ibernati. Non è chiaro da dove arrivino.
Non sono zombie che terrorizzano. Sono persone "quasi" normali, che immediatamente pongono non pochi problemi all'amministrazione pubblica. Anzitutto, al pari di un'ondata immigratoria straordinaria, si devono organizzare dei campi di raccolta. Poi cominciano, gradualmente, i ricongiungimenti coi propri parenti. Poi ancora il reinserimento nel mondo del lavoro, della vita sociale.
A parte un finale che in modo anomalo e forse un po' banale tende a rimettere ordine, con ognuno al posto che gli compete, il film ha carattere fondamentalmente sociale. Tutti soffriamo per la morte di un proprio caro, ma cosa succederebbe se si ritornasse in vita o non si morisse affatto?
Da vedere.
martedì 10 febbraio 2009
La belle histoire
Film lunghissimo, intricatissimo, caotico con 'ste musiche gitane bellissime quanto ossessive che ti accompagnano quasi senza sosta, scene che apparentemente passano di pala in frasca...
Un'ubriacata di Cinema in un solo film!
Di cosa si parla lo si comincia bene a comprendere al termine della prima delle 3 abbondanti ore e poi l'enigma diventa sempre più chiaro e ci si scopre a ricercare continuamente indizi che lo confermano. Fino al finale, nel quale tutto diventerà estremamente esplicito.
Tutto si basa sulla teoria della reincarnazione, rappresentata tramite scene che si svolgono essenzialmente durante la vita del predicatore Gesù, mentre visita un carcere-lebbrosario romano in Israele, e in epoca moderna, ripercorrendo soprattutto la vita di Jesus, un gitano, dall'infanzia e giovinezza in Andalusia fino all'età adulta a Parigi.
Piano piano emergeranno assonanze, riferimenti causali tra passato e presente di situazioni e circostanze che nella loro essenzialità, pur nel diverso contesto storico, si ripeteranno, sia per Jesus (nome certo non casuale) che per gli innumerevoli protagonisti che come travolti da una spirale lentamente gli ruoteranno intorno.
Tutti i personaggi del lebbrosario diventeranno, alcuni co-protagonisti, altri comprimari delle storie contemporanee. Tutti percepiranno più o meno consciamente le loro vite passate, con fenomeni di metempsicosi o deja-vu: cose già viste, persone già conosciute, bisogni irrefrenabili di compiere azioni o decisioni senza che alla base ci sia altra ragione se non un innato bisogno.
Filo rosso alcuni oggetti, in particolare un crocefisso in legno bellissimo intagliato nel lebbrosario che comparirà a più riprese nei tempi moderni e per varie ragioni.
Come detto è un film molto lungo ed ogni sintesi è sminuente per quanto l'essenza mi pare di averla evidenziata.
Si potrebbe disquisire a lungo, sempre che se ne abbia conoscenza, su quanto determinate teorie sia filosofiche che religiose, in particolare quelle buddiste, possano avere ispirato lo sceneggiatore. Coesistenza e simultaneità di causa ed effetto, effetto latente ed effetto manifesto, il magazzino del karma, la circolarità del tempo, l'infinito passato e l'infinito futuro, la totale coerenza tra il principio e la fine, l'eredità fondamentale di tutti i fenomeni, i tremila mondi in un singolo istante (ichinen sanzen)... potrei citarvi e spiegarvi una notevole quantità di principi buddisti che ho studiato tempo addietro e che ho potuto ritrovare in questo film, che mi ha molto colpito. Chiunque ha conoscenza di queste teorie apprezzerà ancora di più quanto vedrà.
Ma non temete.
Il film è godibilissimo a qualunque livello di conoscenza delle teorie suddette, stupendo ed emozionante.
Al termine si prova la sensazione di aver vissuto un'esperienza.
Un'ubriacata di Cinema in un solo film!
Di cosa si parla lo si comincia bene a comprendere al termine della prima delle 3 abbondanti ore e poi l'enigma diventa sempre più chiaro e ci si scopre a ricercare continuamente indizi che lo confermano. Fino al finale, nel quale tutto diventerà estremamente esplicito.
Tutto si basa sulla teoria della reincarnazione, rappresentata tramite scene che si svolgono essenzialmente durante la vita del predicatore Gesù, mentre visita un carcere-lebbrosario romano in Israele, e in epoca moderna, ripercorrendo soprattutto la vita di Jesus, un gitano, dall'infanzia e giovinezza in Andalusia fino all'età adulta a Parigi.
Piano piano emergeranno assonanze, riferimenti causali tra passato e presente di situazioni e circostanze che nella loro essenzialità, pur nel diverso contesto storico, si ripeteranno, sia per Jesus (nome certo non casuale) che per gli innumerevoli protagonisti che come travolti da una spirale lentamente gli ruoteranno intorno.
Tutti i personaggi del lebbrosario diventeranno, alcuni co-protagonisti, altri comprimari delle storie contemporanee. Tutti percepiranno più o meno consciamente le loro vite passate, con fenomeni di metempsicosi o deja-vu: cose già viste, persone già conosciute, bisogni irrefrenabili di compiere azioni o decisioni senza che alla base ci sia altra ragione se non un innato bisogno.
Filo rosso alcuni oggetti, in particolare un crocefisso in legno bellissimo intagliato nel lebbrosario che comparirà a più riprese nei tempi moderni e per varie ragioni.
Come detto è un film molto lungo ed ogni sintesi è sminuente per quanto l'essenza mi pare di averla evidenziata.
Si potrebbe disquisire a lungo, sempre che se ne abbia conoscenza, su quanto determinate teorie sia filosofiche che religiose, in particolare quelle buddiste, possano avere ispirato lo sceneggiatore. Coesistenza e simultaneità di causa ed effetto, effetto latente ed effetto manifesto, il magazzino del karma, la circolarità del tempo, l'infinito passato e l'infinito futuro, la totale coerenza tra il principio e la fine, l'eredità fondamentale di tutti i fenomeni, i tremila mondi in un singolo istante (ichinen sanzen)... potrei citarvi e spiegarvi una notevole quantità di principi buddisti che ho studiato tempo addietro e che ho potuto ritrovare in questo film, che mi ha molto colpito. Chiunque ha conoscenza di queste teorie apprezzerà ancora di più quanto vedrà.
Ma non temete.
Il film è godibilissimo a qualunque livello di conoscenza delle teorie suddette, stupendo ed emozionante.
Al termine si prova la sensazione di aver vissuto un'esperienza.
lunedì 9 febbraio 2009
Walkabout - L'inizio del cammino
"In Australia, quando un aborigeno compie 16 anni, viene mandato nel deserto. Per mesi dovrà vivere solo col deserto. Dormire nel deserto. Mangiarne i frutti e la selvaggina. Sopravvivere. Anche se questo significa uccidere i suoi amici animali. Gli aborigeno lo chiamano (il ragazzo) Walkabout. Questa è la storia di un Walkabout".
Questo l'incipit che precede anche i titoli di testa. Ma come ci viene raccontata questa storia?
Due fratelli, una giovane e bella adolescente ed il suo fratellino piccolo, si ritrovano soli nel deserto australiano dopo che il padre, non si capisce se premeditatamente o a seguito di una follia momentanea, prima ha cercato di ucciderli e poi si è suicidato dandosi fuoco con la macchina...
I ragazzi, con una radio e pochissime provviste, iniziano un viaggio avventuroso e privo di speranze. La ragazza mostra lucidità e sangue freddo ma in realtà non sa dove andare. Il fortuito incontro con un Walkabout, che nonostante la giovane età sa dove e come procurarsi cibo e soprattutto acqua, li salverà. Alla fine... si resterà sconcertati, abbagliati da un finale tragico in tutti i sensi, per chi vivrà e per chi no.
Film decisamente psichedelico come solo negli anni '70 si poteva produrre.
Psichedelico è l'uso mostruoso che fa dell'obiettivo della camera Nicolas Roeg, che prima di fare il regista ha curato la fotografia in altri film. Soprattutto quando inizia il cammino nel deserto si vedono panorami da urlo distorti da macro, che zoomano in primi piani insospettabili su persone o, più spesso, animali invisibili prima, colori di fuoco e verdi smeraldo, persino qualche piano-sequenza ubriacante ed alcuni ralenty con reverse direzionale.
Virtuosismo di ripresa e montaggio spiazzante che fa il paio con lo sviluppo della storia (tratta da un romanzo) anche per i parallelismi narrativi che propone: il Walkabout smembra un canguro e in sincopato si vede un macellaio che fa la medesima cosa; il Walkabout comincia a prendersi una cotta per la ragazza ed un gruppo di meteorologi bianchi sono più alle prese a fare il filo all'unica donna del gruppo che a svolgere il loro lavoro; mentre il Walkabout è a caccia compaiono all'improvviso cacciatori bianchi in jeep e fucile che fanno massacri di bestie, cosa che lo sconvolge e lo porta ad odiare i bianchi e, temporaneamente, anche la ragazza.
E' un continuo sussultare, in simbolismo di chiarezza cristallina, che m'è piaciuto moltissimo.
Evidente il confronto tra la violenza compiuta da chi deve sopravvivere e quella compiuta senza necessità, tra una cultura che prevede un rapporto armonico con la natura ed una che vede la natura creata al servizio dell'uomo il quale quindi si sente autorizzato a prevaricarla.
Ci avrei ascoltato bene delle musiche dei Pink Floyd o dei Penguin Café Orchestra, per gusto personale. Invece le musiche, ottimamente ed opportunamente, sono dodecafonico-tribali all'inizio, nonostante inquadrino una metropoli modernissima. Poi diventano delle canzoncine per l'infanzia durante l'inizio del viaggio dei due ragazzi, con dei ritornelli che evidenziano la loro solitudine (ottimo che i sottotitoli traducano anche le canzoni). Diventano delle melodie quasi sinfoniche quando le immagini riproducono la vita selvaggia nel deserto. Poi il finale.
Attenzione ad un paio di cose, che ho scoperto leggendo a destra e a manca e che potrebbero sconvolgere qualcuno. Cose certamente impossibili oggi, per motivi noti.
Il film sposa, per l'aborigeno, una scelta di realismo totale. Le scene di caccia del Walkabout sono tutte reali nel senso che gli animali davvero vengono uccisi.
L'attrice Jenny Agutter, splendida protagonista, quando ha girato il film aveva solo 16 anni (il film poi uscì che ne aveva 18). E' protagonista di non poche scene di nudo integrale, palesemente provocanti anche se mai volgari.
Imperdibile.
Questo l'incipit che precede anche i titoli di testa. Ma come ci viene raccontata questa storia?
Due fratelli, una giovane e bella adolescente ed il suo fratellino piccolo, si ritrovano soli nel deserto australiano dopo che il padre, non si capisce se premeditatamente o a seguito di una follia momentanea, prima ha cercato di ucciderli e poi si è suicidato dandosi fuoco con la macchina...
I ragazzi, con una radio e pochissime provviste, iniziano un viaggio avventuroso e privo di speranze. La ragazza mostra lucidità e sangue freddo ma in realtà non sa dove andare. Il fortuito incontro con un Walkabout, che nonostante la giovane età sa dove e come procurarsi cibo e soprattutto acqua, li salverà. Alla fine... si resterà sconcertati, abbagliati da un finale tragico in tutti i sensi, per chi vivrà e per chi no.
Film decisamente psichedelico come solo negli anni '70 si poteva produrre.
Psichedelico è l'uso mostruoso che fa dell'obiettivo della camera Nicolas Roeg, che prima di fare il regista ha curato la fotografia in altri film. Soprattutto quando inizia il cammino nel deserto si vedono panorami da urlo distorti da macro, che zoomano in primi piani insospettabili su persone o, più spesso, animali invisibili prima, colori di fuoco e verdi smeraldo, persino qualche piano-sequenza ubriacante ed alcuni ralenty con reverse direzionale.
Virtuosismo di ripresa e montaggio spiazzante che fa il paio con lo sviluppo della storia (tratta da un romanzo) anche per i parallelismi narrativi che propone: il Walkabout smembra un canguro e in sincopato si vede un macellaio che fa la medesima cosa; il Walkabout comincia a prendersi una cotta per la ragazza ed un gruppo di meteorologi bianchi sono più alle prese a fare il filo all'unica donna del gruppo che a svolgere il loro lavoro; mentre il Walkabout è a caccia compaiono all'improvviso cacciatori bianchi in jeep e fucile che fanno massacri di bestie, cosa che lo sconvolge e lo porta ad odiare i bianchi e, temporaneamente, anche la ragazza.
E' un continuo sussultare, in simbolismo di chiarezza cristallina, che m'è piaciuto moltissimo.
Evidente il confronto tra la violenza compiuta da chi deve sopravvivere e quella compiuta senza necessità, tra una cultura che prevede un rapporto armonico con la natura ed una che vede la natura creata al servizio dell'uomo il quale quindi si sente autorizzato a prevaricarla.
Ci avrei ascoltato bene delle musiche dei Pink Floyd o dei Penguin Café Orchestra, per gusto personale. Invece le musiche, ottimamente ed opportunamente, sono dodecafonico-tribali all'inizio, nonostante inquadrino una metropoli modernissima. Poi diventano delle canzoncine per l'infanzia durante l'inizio del viaggio dei due ragazzi, con dei ritornelli che evidenziano la loro solitudine (ottimo che i sottotitoli traducano anche le canzoni). Diventano delle melodie quasi sinfoniche quando le immagini riproducono la vita selvaggia nel deserto. Poi il finale.
Attenzione ad un paio di cose, che ho scoperto leggendo a destra e a manca e che potrebbero sconvolgere qualcuno. Cose certamente impossibili oggi, per motivi noti.
Il film sposa, per l'aborigeno, una scelta di realismo totale. Le scene di caccia del Walkabout sono tutte reali nel senso che gli animali davvero vengono uccisi.
L'attrice Jenny Agutter, splendida protagonista, quando ha girato il film aveva solo 16 anni (il film poi uscì che ne aveva 18). E' protagonista di non poche scene di nudo integrale, palesemente provocanti anche se mai volgari.
Imperdibile.
sabato 7 febbraio 2009
Ferro 3 - La casa vuota
Un ragazzo che per dimora ha le case che trova disabitate temporaneamente incontra, in una di queste, la sua donna fatale, una moglie maltrattata che ha bisogno di una vita senza senso, come quella del ragazzo, per dare senso alla propria.
Se prima entrava da solo nelle case, ora lo fanno in due, fino a quando in una di queste non trovano un cadavere. Morto per cause naturali, al ragazzo provoca una serie di guai giudiziari. Poi esce di prigione in qualche modo, diventa quasi invisibile e torna dalla donna.
Due personaggi, il ragazzo e la donna, che non parlano mai, ma mi viene da pensare che non hanno davvero nulla da dire. Mi ricorda la storia classica del ragazzo/a che in una compagnia di amici fa il tenebroso e lo scostante, come se avesse chissà quali oscure storie dietro e dentro di sé, per poi scoprire, quando riesci finalmente a parlarci, che la sola verità è proprio quella: che è un idiota che veramente non ci ha un cazzo da dire.
Un bella frasetta alla fine prova a metterci in confusione: abbiamo visto la rappresentazione di un sogno o di una realtà?
Non saprei.
Il solo giudizio che mi viene è fantozziano: questo film è una cagata pazzesca. Evito l'esclamativo che la citazione vorrebbe solo per rispetto al bravo regista che ha fatto cose egregie. Dal regista della Samaritana non mi sarei mai aspettato una porcheria simile. Ho letto ottime cose in giro di questo film, io però la penso così.
Aggravante gravissima: ci sono parecchie palesi pubblicità a prodotti motoristici ed a bevande alcoliche, per citare quelle che ho notato. Non so se ce ne sono altre ma perché escluderlo? Sono robe che mi fanno incazzare di bestia, le pubblicità nei film. Ovvio che i film devono utilizzare beni e prodotti per rappresentarsi, ma quando le cose sono sfacciate ed inutili si percepisce.
Questo aspetto è imperdonabile.
Se prima entrava da solo nelle case, ora lo fanno in due, fino a quando in una di queste non trovano un cadavere. Morto per cause naturali, al ragazzo provoca una serie di guai giudiziari. Poi esce di prigione in qualche modo, diventa quasi invisibile e torna dalla donna.
Due personaggi, il ragazzo e la donna, che non parlano mai, ma mi viene da pensare che non hanno davvero nulla da dire. Mi ricorda la storia classica del ragazzo/a che in una compagnia di amici fa il tenebroso e lo scostante, come se avesse chissà quali oscure storie dietro e dentro di sé, per poi scoprire, quando riesci finalmente a parlarci, che la sola verità è proprio quella: che è un idiota che veramente non ci ha un cazzo da dire.
Un bella frasetta alla fine prova a metterci in confusione: abbiamo visto la rappresentazione di un sogno o di una realtà?
Non saprei.
Il solo giudizio che mi viene è fantozziano: questo film è una cagata pazzesca. Evito l'esclamativo che la citazione vorrebbe solo per rispetto al bravo regista che ha fatto cose egregie. Dal regista della Samaritana non mi sarei mai aspettato una porcheria simile. Ho letto ottime cose in giro di questo film, io però la penso così.
Aggravante gravissima: ci sono parecchie palesi pubblicità a prodotti motoristici ed a bevande alcoliche, per citare quelle che ho notato. Non so se ce ne sono altre ma perché escluderlo? Sono robe che mi fanno incazzare di bestia, le pubblicità nei film. Ovvio che i film devono utilizzare beni e prodotti per rappresentarsi, ma quando le cose sono sfacciate ed inutili si percepisce.
Questo aspetto è imperdonabile.
Rappresaglia
Il film è il racconto di quanto avvenne a Roma il 23 marzo 1944, i giorni immediatamente precedenti e successivi. E' la data dell'attentato di Via Rasella, quello che innescò l'atroce rappresaglia tedesca col massacro delle Fosse Ardeatine: 33 i morti tedeschi del battaglione delle ss, 335 gli italiani trucidati con un colpo alla nuca nelle fosse di tufo, 10 per ogni soldato più 5 extra.
Quanto avvenne è storia tristemente nota. Il film, molto ben fatto, si basa su un romanzo storico, "Morte a Roma", scritto dall'americano, residente in Italia, Robert Katz. Sposa quindi l'interpretazione dei fatti del giornalista storico citato, ma è bene dire che sui fatti che portarono all'attentato ed alle sue estreme conseguenze ci sono, ancora oggi, differenti interpretazioni: sui moventi che portarono i GAP a compierlo, su chi diede realmente l'ordine della rappresaglia, sulle reazioni del Vaticano ed i suoi rapporti con i tedeschi.
Le uniche certezze di tutte le guerre sono le vittime. I soldati tedeschi e i civili italiani. I nomi di questi ultimi sono elencati tutti, uno per uno, nei titoli di coda.
Fatte le dovute premesse, bisogna dire che la parte più interessante del film è proprio l'analisi delle logiche del potere che sottintendono a questi avvenimenti.
Roma era stata dichiarata Città Aperta, in teoria quindi era neutrale ed apolitica. Eppure Kappler faceva marciare ogni giorno, con passo pesante e terrorizzante, le ss per il centro di Roma proprio per, psicologicamente, indurre timore nella popolazione. I partigiani decisero di reagire a questo clima di terrore. Dopo l'attentato ci sono poi molte discussioni tra i tedeschi sull'opportunità politica di reagire e sui modi. Il Vaticano, che saprà in anticipo la decisione tedesca, dovrà decidere "il male minore", con determinati criteri.
Fermo restando l'opinabilità di alcuni fatti riportati, questo è appunto l'argomento del film: il potere.
Terribili e quasi inguardabili gli ultimi 5 minuti sul compimento del massacro.
Film che merita ampiamente una visione.
Quanto avvenne è storia tristemente nota. Il film, molto ben fatto, si basa su un romanzo storico, "Morte a Roma", scritto dall'americano, residente in Italia, Robert Katz. Sposa quindi l'interpretazione dei fatti del giornalista storico citato, ma è bene dire che sui fatti che portarono all'attentato ed alle sue estreme conseguenze ci sono, ancora oggi, differenti interpretazioni: sui moventi che portarono i GAP a compierlo, su chi diede realmente l'ordine della rappresaglia, sulle reazioni del Vaticano ed i suoi rapporti con i tedeschi.
Le uniche certezze di tutte le guerre sono le vittime. I soldati tedeschi e i civili italiani. I nomi di questi ultimi sono elencati tutti, uno per uno, nei titoli di coda.
Fatte le dovute premesse, bisogna dire che la parte più interessante del film è proprio l'analisi delle logiche del potere che sottintendono a questi avvenimenti.
Roma era stata dichiarata Città Aperta, in teoria quindi era neutrale ed apolitica. Eppure Kappler faceva marciare ogni giorno, con passo pesante e terrorizzante, le ss per il centro di Roma proprio per, psicologicamente, indurre timore nella popolazione. I partigiani decisero di reagire a questo clima di terrore. Dopo l'attentato ci sono poi molte discussioni tra i tedeschi sull'opportunità politica di reagire e sui modi. Il Vaticano, che saprà in anticipo la decisione tedesca, dovrà decidere "il male minore", con determinati criteri.
Fermo restando l'opinabilità di alcuni fatti riportati, questo è appunto l'argomento del film: il potere.
Terribili e quasi inguardabili gli ultimi 5 minuti sul compimento del massacro.
Film che merita ampiamente una visione.
venerdì 6 febbraio 2009
Come inguaiammo il cinema italiano
Film documentario, biografico della storica coppia di comici. A parte qualche inserto alla Ciprì-Maresco, tutto è interamente dedicato a Franco e Ciccio, dal loro esordio teatrale nel 1954, alla incredibile serie di successi degli anni '60, alle loro storiche partecipazioni anche ad opere cosidette importanti, al declino durante gli anni nelle televisioni private, fino alla loro morte (1992 Franco, 2003 Ciccio). Ciccio Ingrassia compare anche direttamente intervistato dai registi.
E' anche uno spaccato storico d'Italia, dallo sbarco degli americani nel 1943. Particolarissime e molto umili le origini di entrambi gli attori, origini sia familiari che artistiche.
E' un film omaggio, che ho visto molto volentieri e che Franco e Ciccio largamente meritavano fosse girato. Snobbati da tutto e da tutti, sono ancora oggi i comici che più di ogni altro hanno riempito i cinema italiani. Alcuni loro film sono dei cult, soprattutto alcune loro parodie di film famosi, anche quando li hanno interpretati "singolarmente", come l'Esorciccio e Ultimo tango a Zagarolo.
Importantissime poi alcune loro interpretazioni con grandi registi: l'episodio famoso "La giara" in Caos, coi Taviani; comparse con Pasolini; la fantastica interpretazione del Gatto e la Volpe nel bellissimo Pinocchio di Comencini.
E' anche uno spaccato storico d'Italia, dallo sbarco degli americani nel 1943. Particolarissime e molto umili le origini di entrambi gli attori, origini sia familiari che artistiche.
E' un film omaggio, che ho visto molto volentieri e che Franco e Ciccio largamente meritavano fosse girato. Snobbati da tutto e da tutti, sono ancora oggi i comici che più di ogni altro hanno riempito i cinema italiani. Alcuni loro film sono dei cult, soprattutto alcune loro parodie di film famosi, anche quando li hanno interpretati "singolarmente", come l'Esorciccio e Ultimo tango a Zagarolo.
Importantissime poi alcune loro interpretazioni con grandi registi: l'episodio famoso "La giara" in Caos, coi Taviani; comparse con Pasolini; la fantastica interpretazione del Gatto e la Volpe nel bellissimo Pinocchio di Comencini.
Il destino
Trama: la vita di Averroé.
Non è semplice farne una sintesi. Il film narra di tutte le vicende in Andalusia.
Abituato come sono ai film biografici della Cavani (che adoro) mi aspettavo un film serio e greve, ricco di simbolismi. A parte la Cavani, spesso i film biografici di simili personaggi, perseguitati per le loro idee in epoche certo poco illuminate, sono appunto così. Se quelli della nominata regista hanno un profondo taglio politico e sociale quindi spiccano, quelli di altri, salvo le importanti eccezioni, sono quasi "documentaristici".
Questo film invece è sconvolgente. La vita di Averroé e delle persone a lui vicine è vissuta intimamente, familiarmente e tutto è fatto senza ignorare il rigore storico. La coesistenza andalusa tra arabi e gitani ha fornito il (corretto) pretesto per infarcire il film di splendidi momenti di allegria, tanto che a tratti sembra di assistere ad un musical con canti corali e danze splendide (le canzoni sono comprensibili grazie ai sottotitoli). Tutto questo mentre il califfato vive il terrore dei fanatici religiosi che stanno emergendo, fino al punto di portare il califfo, amico ed estimatore di Averroé che gli amministrava con saggezza e compassione la giustizia, ad esiliare il grande intellettuale.
E' un uomo, Averroé, che merita d'essere conosciuto. Seppe fondere l'importanza della religione di cui era testimone con un'infinità di studi umanistici e scientifici. Grande fautore dell'istruzione, dello sforzo negli studi, della necessità del dubbio come stimolo per l'approfondimento dell'uomo, fu inevitabilmente odiato da tutti i fanatici i quali, come lui stesso diceva, altro non erano che menti (ignoranti) manovrate non da chi voleva portare il messaggio di dio, ma solo da chi aveva brama di potere. Il film inizia col rogo in Linguadoca, ordinato dall'inquisizione, in cui morì Gérard Breuil, colpevole di aver tradotto in quella regione i libri di Averroé. Stessa sorte toccò ai libri di Averroé in Andalusia prima che venisse esiliato.
Messaggio attualissimo, inutile dirlo. Se vivesse oggi Averroé potrebbe essere di grande aiuto.
Vincitore della 50esima edizione di Cannes.
Anche se mi sono concentrato sulla biografia del protagonista, bisogna prepararsi a vedere delle scene meravigliosamente girate, a restare incantati dalle scenografie fantastiche da kolossal con paesaggi mozzafiato, ad ascoltare delle musiche stupende.
Film eccezionale e importante.
Non è semplice farne una sintesi. Il film narra di tutte le vicende in Andalusia.
Abituato come sono ai film biografici della Cavani (che adoro) mi aspettavo un film serio e greve, ricco di simbolismi. A parte la Cavani, spesso i film biografici di simili personaggi, perseguitati per le loro idee in epoche certo poco illuminate, sono appunto così. Se quelli della nominata regista hanno un profondo taglio politico e sociale quindi spiccano, quelli di altri, salvo le importanti eccezioni, sono quasi "documentaristici".
Questo film invece è sconvolgente. La vita di Averroé e delle persone a lui vicine è vissuta intimamente, familiarmente e tutto è fatto senza ignorare il rigore storico. La coesistenza andalusa tra arabi e gitani ha fornito il (corretto) pretesto per infarcire il film di splendidi momenti di allegria, tanto che a tratti sembra di assistere ad un musical con canti corali e danze splendide (le canzoni sono comprensibili grazie ai sottotitoli). Tutto questo mentre il califfato vive il terrore dei fanatici religiosi che stanno emergendo, fino al punto di portare il califfo, amico ed estimatore di Averroé che gli amministrava con saggezza e compassione la giustizia, ad esiliare il grande intellettuale.
E' un uomo, Averroé, che merita d'essere conosciuto. Seppe fondere l'importanza della religione di cui era testimone con un'infinità di studi umanistici e scientifici. Grande fautore dell'istruzione, dello sforzo negli studi, della necessità del dubbio come stimolo per l'approfondimento dell'uomo, fu inevitabilmente odiato da tutti i fanatici i quali, come lui stesso diceva, altro non erano che menti (ignoranti) manovrate non da chi voleva portare il messaggio di dio, ma solo da chi aveva brama di potere. Il film inizia col rogo in Linguadoca, ordinato dall'inquisizione, in cui morì Gérard Breuil, colpevole di aver tradotto in quella regione i libri di Averroé. Stessa sorte toccò ai libri di Averroé in Andalusia prima che venisse esiliato.
Messaggio attualissimo, inutile dirlo. Se vivesse oggi Averroé potrebbe essere di grande aiuto.
Vincitore della 50esima edizione di Cannes.
Anche se mi sono concentrato sulla biografia del protagonista, bisogna prepararsi a vedere delle scene meravigliosamente girate, a restare incantati dalle scenografie fantastiche da kolossal con paesaggi mozzafiato, ad ascoltare delle musiche stupende.
Film eccezionale e importante.
martedì 3 febbraio 2009
Parenti serpenti
Per le feste di Natale si riuniscono a casa dei vecchi genitori i loro quattro figli, tre con relativo consorte ed uno single. Tutto si svolge al meglio, in un'atmosfera benevolmente natalizia arricchita da una bellissima nevicata, tra preparativi per il cenone della Vigilia, scambi di convenevoli e piccole chiacchierate tipiche della famiglia fatta "alla buona". Ma proprio nel giorno di Natale il grande annuncio: i genitori avrebbero deciso, vista la loro età, di andare a convivere con uno di loro in cambio di metà della loro pensione e dell'intestazione della casa paterna. Ed è qui che cominciano a nascere i primi screzi, perché nessuno di loro se la sente e in un crescendo di litigate che scopriranno vari "altarini" prenderà il sopravvento la decisione estrema: far saltare in aria nella loro casa i vecchi genitori con la complicità di una stufetta a gas.
In un Abruzzo imbiancato da una stupenda nevicata, la voce narrante di questa "favola-grottesca" è quella di Mauro, il nipotino che in un tema scolastico sta descrivendo appunto la vacanza natalizia in casa dei, purtroppo defunti, nonni: Saverio, ex carabiniere e ormai "fuori di testa" (il grande Paolo Panelli) e Trieste, nonna, mamma ed infaticabile massaia (interpretata da una bravissima Pia Velsi, la suora dell'acqua Uliveto e Rocchetta, per capirci). Sarà proprio il tema del bambino a rivelare che "la stufetta non era vecchia" come affermano i quattro figli, ma che addirittura è stata regalata ai nonni proprio per il Natale.
I preparativi fervono, tra capitoni che scappano via e un fondale paesanotto colorato di luci (ed ombre). E come in tutte le provincie emergono profili e pettegolezzi, così, "tanto per parlare".
L'annuncio che i genitori vogliono finire i loro giorni con uno dei figli (saranno loro stessi a scegliere) è lo spartiacque: da quel momento è il finimondo durante il quale verranno fuori tutti gli scheletri dagli armadi: dall'essere gay di uno dei figli (Alessandro Haber) single tanto per dire perché rivela invece di convivere con un certo Mario, alle tresche sessuali tra due dei cognati "acquisiti". Il tutto rigorosamente avviene all'insaputa dei due vecchietti. Alla fine il tacito accordo che acquieta tutti con l'epilogo già descritto, sola cosa che trovo eccessiva e scontata (far saltare in aria un edificio intero per ammazzare due vecchietti... ).
Sinceramente mi è piaciuta molto l'aria che si respira per quasi tutto il film forse perché come tutte le favole ha il potere dell'incanto. Avrei preferito un finale, magari più duro, ma più credibile.
Arricchito dalle simpatiche performance di Marina Confalone, attrice partenopea proveniente dalla scuola di Eduardo De Filippo e che neanche stavolta si smentisce, è un film che consiglio e che può essere visto "a cuor leggero" (magari non durante le feste di Natale)
(recensione by krival)
In un Abruzzo imbiancato da una stupenda nevicata, la voce narrante di questa "favola-grottesca" è quella di Mauro, il nipotino che in un tema scolastico sta descrivendo appunto la vacanza natalizia in casa dei, purtroppo defunti, nonni: Saverio, ex carabiniere e ormai "fuori di testa" (il grande Paolo Panelli) e Trieste, nonna, mamma ed infaticabile massaia (interpretata da una bravissima Pia Velsi, la suora dell'acqua Uliveto e Rocchetta, per capirci). Sarà proprio il tema del bambino a rivelare che "la stufetta non era vecchia" come affermano i quattro figli, ma che addirittura è stata regalata ai nonni proprio per il Natale.
I preparativi fervono, tra capitoni che scappano via e un fondale paesanotto colorato di luci (ed ombre). E come in tutte le provincie emergono profili e pettegolezzi, così, "tanto per parlare".
L'annuncio che i genitori vogliono finire i loro giorni con uno dei figli (saranno loro stessi a scegliere) è lo spartiacque: da quel momento è il finimondo durante il quale verranno fuori tutti gli scheletri dagli armadi: dall'essere gay di uno dei figli (Alessandro Haber) single tanto per dire perché rivela invece di convivere con un certo Mario, alle tresche sessuali tra due dei cognati "acquisiti". Il tutto rigorosamente avviene all'insaputa dei due vecchietti. Alla fine il tacito accordo che acquieta tutti con l'epilogo già descritto, sola cosa che trovo eccessiva e scontata (far saltare in aria un edificio intero per ammazzare due vecchietti... ).
Sinceramente mi è piaciuta molto l'aria che si respira per quasi tutto il film forse perché come tutte le favole ha il potere dell'incanto. Avrei preferito un finale, magari più duro, ma più credibile.
Arricchito dalle simpatiche performance di Marina Confalone, attrice partenopea proveniente dalla scuola di Eduardo De Filippo e che neanche stavolta si smentisce, è un film che consiglio e che può essere visto "a cuor leggero" (magari non durante le feste di Natale)
(recensione by krival)
Il Caimano
Un produttore di film orribili, da tempo in disarmo, professionalmente e familiarmente, viene contattato da una giovane regista che le propone "Il Caimano", copione interamente dedicato all'innominabile politico brianzolo (che comparirà in alcune delle sue migliori performance) e soprattutto a come le sue televisioni, il suo pilotare media e giornalisti, abbia invaso e condizionato opinioni, usi e costumi del nostro paese. Questo è l'aspetto centrale, non tanto l'attacco diretto e manifesto al noto personaggio. "Da dove vengono i soldi", "sono trent'anni che condiziona questo paese", sono i tormentoni più evocati.
Con un espediente riuscito Moretti ci trasmette tutti i messaggi che vuole e che deve, fa dire ai vari personaggi che compaiono ciò che c'è da dire. E come dice il produttore rai, che per primo rifiuterà la produzione: ma che c'è da sapere sull'innominabile? sono cose che sanno tutti. Ed effettivamente è così, ma anche "perché non parlarne?". In fondo in tutto il mondo, persino negli usa, escono a getto continuo film sui politici, sul loro stesso presidente. Come mai in Italia non si riesce a farlo? E' una domanda interessante su cui meditare.
Solo un produttore polacco, molto critico verso la "italietta", accetterà di finanziare il lavoro a patto che si trovi almeno un nome importante come attore protagonista. Si troverà, ma alla fine rinuncerà per "evitare problemi", e il film salterà.
Un'improvvisa entrata finanziaria permetterà di produrre almeno la scena finale, quella del processo, dove Moretti arriverà come attore ad interpretare proprio l'innominabile, e lo farà magistralmente.
Ho da tempo questo film in programma, ma ero molto restio. Perché guardare una storia che conosco bene? L'innominabile poi mi procura l'orticaria, chi me lo fa fare?
Sono molto soddisfatto invece della visione. Il film, come detto, è dedicato ai mutamenti sociali più che alla biografia dell'innominabile. Ed è fatto molto bene, cosa davvero difficile sia per l'argomento che, sopratuttto, per il paese di produzione.
Grande Moretti.
Immagino che a qualcuno il film dia fastidio. Potrebbe dar fastidio anche la mia recensione.
Basta non vederlo, il film, e non leggere la recensione e si risolve il problema. Ogni parere politico comporta delle scelte e dei problemi da risolvere con sé stessi.
p.s.:
Uso il termine "innominabile" non per una mancanza di rispetto, bensì per la vergogna profonda che provo per l'innominabile, per la posizione che ricopre. Per nessuna ragione il suo nome sarà mai indicizzato sui motori di ricerca del web per causa mia.
Opinioni personali. Sono un effetto della libertà. Finché ce la lasciano, la libertà, me la prendo.
Con un espediente riuscito Moretti ci trasmette tutti i messaggi che vuole e che deve, fa dire ai vari personaggi che compaiono ciò che c'è da dire. E come dice il produttore rai, che per primo rifiuterà la produzione: ma che c'è da sapere sull'innominabile? sono cose che sanno tutti. Ed effettivamente è così, ma anche "perché non parlarne?". In fondo in tutto il mondo, persino negli usa, escono a getto continuo film sui politici, sul loro stesso presidente. Come mai in Italia non si riesce a farlo? E' una domanda interessante su cui meditare.
Solo un produttore polacco, molto critico verso la "italietta", accetterà di finanziare il lavoro a patto che si trovi almeno un nome importante come attore protagonista. Si troverà, ma alla fine rinuncerà per "evitare problemi", e il film salterà.
Un'improvvisa entrata finanziaria permetterà di produrre almeno la scena finale, quella del processo, dove Moretti arriverà come attore ad interpretare proprio l'innominabile, e lo farà magistralmente.
Ho da tempo questo film in programma, ma ero molto restio. Perché guardare una storia che conosco bene? L'innominabile poi mi procura l'orticaria, chi me lo fa fare?
Sono molto soddisfatto invece della visione. Il film, come detto, è dedicato ai mutamenti sociali più che alla biografia dell'innominabile. Ed è fatto molto bene, cosa davvero difficile sia per l'argomento che, sopratuttto, per il paese di produzione.
Grande Moretti.
Immagino che a qualcuno il film dia fastidio. Potrebbe dar fastidio anche la mia recensione.
Basta non vederlo, il film, e non leggere la recensione e si risolve il problema. Ogni parere politico comporta delle scelte e dei problemi da risolvere con sé stessi.
p.s.:
Uso il termine "innominabile" non per una mancanza di rispetto, bensì per la vergogna profonda che provo per l'innominabile, per la posizione che ricopre. Per nessuna ragione il suo nome sarà mai indicizzato sui motori di ricerca del web per causa mia.
Opinioni personali. Sono un effetto della libertà. Finché ce la lasciano, la libertà, me la prendo.
lunedì 2 febbraio 2009
La samaritana
Tre episodi: Vasumitra – Samaria – Sonata. Apparentemente dissociati ed incredibilmente coerenti tra loro, come lo sono i diversi capitoli del nuovo e antico testamento, o di qualunque testo religioso qualsivoglia.
Vasumitra
2 ragazze adolescenti sognano un viaggio. Per realizzare questo sogno una delle 2, Jae-young, si prostituisce e l'altra, Yeo-jin, le organizza gli appuntamenti e fa il palo durante gli incontri per evitare retate della polizia.
Jae-young, samaritana nel donare, si ispira a Vasumitra, prostituta della mitologia indiana che convertiva col sesso le persone al Buddismo. Morirà precipitando da una finestra per sfuggire ad una retata. Com'è tragica la sua morte. Come lo è la morte di una giovanissima ragazza, vittima di adulti dai quali si riteneva ricambiata ed invece era solo spietatamente usata.
Come può esser bello il viso del peccato se il peccato non viene commesso.
Samaria
"È il nome di una regione geografica, storica e politica ed è la regione centrale della biblica terra d'Israele. La maggior parte della regione si trova nel nord della Cisgiordania... Il termine deriva forse da shâmar, , 'guardare', quindi significa qualcosa di simile a 'prospettiva', 'osservatorio'; ... Lo stesso nome è riferito alla maggiore città samaritana e capitale del regno di Israele durante la secessione in due regni.".
Yeo-jin, samaritana nel ripagare il debito, deciderà di incontrare tutti i clienti di Jae-young, facendo sesso e restituendo loro i soldi che avevano in precedenza guadagnato. Porgi l'altra guancia? Difficile spiegare tanta innocenza.
Il padre di Yeo-jin non la pensa allo stesso modo quando scopre la doppia vita della figlia. Pervaso da un odio crescente verso i suoi committenti, comincia a pedinarla e ad incontrare quegli uomini uno ad uno: il primo lo schiaffeggia, il secondo lo umilia al punto da... il terzo lo uccide con ferocia.
Yeo-jin consegnerà ad ognuno, anche a suo padre, il peso delle proprie azioni. Un buddista direbbe "la retribuzione karmica", l'effetto risiede latente e poi manifesto nella causa.
Sonata
E' il titolo più misterioso, almeno per me, anche se mi ha talmente ricordato un romanzo da sconvolgermi.
Il padre attende la figlia e decide, d'accordo con lei, di fare un viaggio, in un luogo... sacro. Tutto è attesa d'imminente arresto per lui, mentre per lei è un ritrovarsi, avendo visto morire coloro i quali erano destinatari della sua missione. I gesti sono sempre rituali: donare del sushi sul monte, togliere le pietre che ostacolano il percorrere di un sentiero. Yeo-jin prosegue nell'amore del padre la sua missione. Un sogno (riprese cinematografiche da urlo) la aiuterà a risolvere il suo intimo timore verso il padre. Il padre compie gli atti finali del debito che percepisce verso la figlia. La vuole rendere indipendente, la vuole proteggere; lei... lo inseguirà, con un finale di disperazione.
Film straordinario, assolutamente imperdibile e da vedere più volte.
Uno dei più belli che abbia mai visto. Simbolismo degno di Luis Buñuel ne "La Via Lattea".
In Post Scriptum la mia personalissima visione sull'ultimo episodio. Chi ha avuto la fortuna di leggere Sonata a Kreutzer, romanzo breve di Tolstoj ispirato ad un fenomenale concerto per violino e piano di Beethoven, ricorderà come il protagonista racconta la tragica fine della sua vita sentimentale, di come fosse, la vicenda, legata ad un brano musicale (lo stesso citato).
Un peccato svelare tutto. Chi ha visto il film e letto il libro certamente capirà.
Nessuna presunzione da parte mia di "risolvere" l'enigma. Mi limito a registrare una interessante affinità tra le 2 storie.
Vasumitra
2 ragazze adolescenti sognano un viaggio. Per realizzare questo sogno una delle 2, Jae-young, si prostituisce e l'altra, Yeo-jin, le organizza gli appuntamenti e fa il palo durante gli incontri per evitare retate della polizia.
Jae-young, samaritana nel donare, si ispira a Vasumitra, prostituta della mitologia indiana che convertiva col sesso le persone al Buddismo. Morirà precipitando da una finestra per sfuggire ad una retata. Com'è tragica la sua morte. Come lo è la morte di una giovanissima ragazza, vittima di adulti dai quali si riteneva ricambiata ed invece era solo spietatamente usata.
Come può esser bello il viso del peccato se il peccato non viene commesso.
Samaria
"È il nome di una regione geografica, storica e politica ed è la regione centrale della biblica terra d'Israele. La maggior parte della regione si trova nel nord della Cisgiordania... Il termine deriva forse da shâmar, , 'guardare', quindi significa qualcosa di simile a 'prospettiva', 'osservatorio'; ... Lo stesso nome è riferito alla maggiore città samaritana e capitale del regno di Israele durante la secessione in due regni.".
Yeo-jin, samaritana nel ripagare il debito, deciderà di incontrare tutti i clienti di Jae-young, facendo sesso e restituendo loro i soldi che avevano in precedenza guadagnato. Porgi l'altra guancia? Difficile spiegare tanta innocenza.
Il padre di Yeo-jin non la pensa allo stesso modo quando scopre la doppia vita della figlia. Pervaso da un odio crescente verso i suoi committenti, comincia a pedinarla e ad incontrare quegli uomini uno ad uno: il primo lo schiaffeggia, il secondo lo umilia al punto da... il terzo lo uccide con ferocia.
Yeo-jin consegnerà ad ognuno, anche a suo padre, il peso delle proprie azioni. Un buddista direbbe "la retribuzione karmica", l'effetto risiede latente e poi manifesto nella causa.
Sonata
E' il titolo più misterioso, almeno per me, anche se mi ha talmente ricordato un romanzo da sconvolgermi.
Il padre attende la figlia e decide, d'accordo con lei, di fare un viaggio, in un luogo... sacro. Tutto è attesa d'imminente arresto per lui, mentre per lei è un ritrovarsi, avendo visto morire coloro i quali erano destinatari della sua missione. I gesti sono sempre rituali: donare del sushi sul monte, togliere le pietre che ostacolano il percorrere di un sentiero. Yeo-jin prosegue nell'amore del padre la sua missione. Un sogno (riprese cinematografiche da urlo) la aiuterà a risolvere il suo intimo timore verso il padre. Il padre compie gli atti finali del debito che percepisce verso la figlia. La vuole rendere indipendente, la vuole proteggere; lei... lo inseguirà, con un finale di disperazione.
Film straordinario, assolutamente imperdibile e da vedere più volte.
Uno dei più belli che abbia mai visto. Simbolismo degno di Luis Buñuel ne "La Via Lattea".
In Post Scriptum la mia personalissima visione sull'ultimo episodio. Chi ha avuto la fortuna di leggere Sonata a Kreutzer, romanzo breve di Tolstoj ispirato ad un fenomenale concerto per violino e piano di Beethoven, ricorderà come il protagonista racconta la tragica fine della sua vita sentimentale, di come fosse, la vicenda, legata ad un brano musicale (lo stesso citato).
Un peccato svelare tutto. Chi ha visto il film e letto il libro certamente capirà.
Nessuna presunzione da parte mia di "risolvere" l'enigma. Mi limito a registrare una interessante affinità tra le 2 storie.
domenica 1 febbraio 2009
Lo zio di Brooklyn
Primo film della nota coppia di Cinico TV.
Immediatamente si viene accolti dal freak di turno che si cava l'occhio di vetro. Un modo "elegante" per informare lo spettatore che farebbe bene a chiudere un occhio durante la visione? Forse, ma subito il contadino che prostituisce il suo mulo a clienti bipedi potrebbe suggerire di chiuderli entrambi, o meglio di tenerli bene aperti perché l'incipit è garanzia di orripilanze che potrebbero essere interessanti.
Incredibile a dirsi, il film ha una trama con soli uomini protagonisti. C'è una faida interna a bande mafiose rivali: quella di don Masino e quella di 2 nani, uno dei quali rutta esplosivamente ogni 4 respiri. I nani imporranno a 4 fratelli di ospitare a casa loro un anziano zio che arriva dall'america, il quale non aprirà mai bocca, se non nel finale quando riceverà, appena emesso l'afflato, la rispostaccia che si merita.
Parata di cloache umane come solo Ciprì e Maresco sono in grado di produrre, ambientazione post-atomica, o post-industriale, o post-medioevale, è "post" all'umanità certamente.
In questo film ho goduto davvero molto del maltrattamento violento che la coppia fa del mito mafioso: sono esseri abominevoli, la cui bruttura è voluta diversamente da quella dei freak che appare più come un destino. Palermo invasa dai cani, nessuno può uscire di casa, la metafora più forte ed eloquente.
Ormai è deciso. I film di questa coppia me li guardo tutti.
Immediatamente si viene accolti dal freak di turno che si cava l'occhio di vetro. Un modo "elegante" per informare lo spettatore che farebbe bene a chiudere un occhio durante la visione? Forse, ma subito il contadino che prostituisce il suo mulo a clienti bipedi potrebbe suggerire di chiuderli entrambi, o meglio di tenerli bene aperti perché l'incipit è garanzia di orripilanze che potrebbero essere interessanti.
Incredibile a dirsi, il film ha una trama con soli uomini protagonisti. C'è una faida interna a bande mafiose rivali: quella di don Masino e quella di 2 nani, uno dei quali rutta esplosivamente ogni 4 respiri. I nani imporranno a 4 fratelli di ospitare a casa loro un anziano zio che arriva dall'america, il quale non aprirà mai bocca, se non nel finale quando riceverà, appena emesso l'afflato, la rispostaccia che si merita.
Parata di cloache umane come solo Ciprì e Maresco sono in grado di produrre, ambientazione post-atomica, o post-industriale, o post-medioevale, è "post" all'umanità certamente.
In questo film ho goduto davvero molto del maltrattamento violento che la coppia fa del mito mafioso: sono esseri abominevoli, la cui bruttura è voluta diversamente da quella dei freak che appare più come un destino. Palermo invasa dai cani, nessuno può uscire di casa, la metafora più forte ed eloquente.
Ormai è deciso. I film di questa coppia me li guardo tutti.
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