venerdì 31 agosto 2012

Onore a Francesco Rosi, Leone d'Oro alla carriera

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Scrivo solo per manifestare soddisfazione per il premio, concesso e dovuto, alla carriera di Francesco Rosi, colui che è forse il fondatore, in Italia, del cinema politico e d'inchiesta. Non si legga questo a sminuirne, limitandolo ad un genere, il valore puramente Artistico, ma è inutile veramente dire qualcosa che non si possa leggere in giro su questo grandissimo personaggio del nostro Cinema. Sono molto orgoglioso e non potevo evitare di scriverlo qua. Come italiano lo sono, e come campano d'origini visto che Rosi è nato a Napoli, città che dovrebbe anch'essa tributargli immensi onori.
Questo blog prima o poi completerà tutta la sua filmografia, ricca di capolavori. Intanto, ripeto, questa vuole essere solo una manifestazione di felicità.

Con l'occasione esprimo anche una certa soddisfazione ché, seppur timidamente, un certo tipo di cinema comincia a riemergere, penso ad "A.C.A.B.", a "Romanzo di una strage", a "Diaz", per fare qualche esempio. Siamo ancora lontani ma sulla strada giusta. Ogni paragone con quel Cinema Italiano, quello di Rosi, Petri, Germi, Pontecorvo, e se ne dovrebbero nominare tantissimi, è quasi impietoso; rischia di scoraggiare e questo non deve accadere.
Messaggio personale ai registi italiani: Insistere, insistere, insistere! Copiare, emulare, tutto è concesso quando si hanno per riferimento maestri come Francesco Rosi.
Robydick

Bring Me the Head of Alfredo Garcia - Voglio la testa di Garcia (review #2)

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Il film inizia come un western con El Jepe (Emilio Fernandez), un ricco proprietario terriero locale, il quale scopre che sua figlia (o nipote, non è specificato) è incinta essendo stata edotta da un tale Alfredo Garcia (e per farselo confessare, dopo una caparbia e orgogliosa resistenza della ragazza, non esiterà a fargli spezzare il braccio dai suoi sgherri). El Jepe prende poi dunque un contatto tramite il suo presunto medico (uno splendido e vizioso Helmut Dantine) per una ricompensa di un milione di dollari (sì, è molto incazzato) a due stagionati sicari omosessuali (Gig Young e Robert Webber) per... Potargli la testa di Alfredo Garcia, attaccata al suo corpo oppure no.

I due sicari arruolano l'aiuto di Bernie (Warren Oates), proprietario e pianista di uno squallido bar mexicali per turisti, di Città del Messico ma come avranno a rendersi tardivamente conto, anche un uomo veramente con le palle. La fidanzata prostituta e cantante di Bernie, Elita, (Isela Vega) gli rivela che Garcia, il quale è stato anche un suo amante, è morto di recente in un incidente d'auto proprio dopo averla lasciata l'ultima notte, e che ella sa dove è stato sepolto. Bennie decide di compiere il viaggio fuori città per recuperarne la testa dalla tomba e ricevere il resto dei 10'000$, i soldi pattuiti con Dantine e i due killer frocio-sadici, ai quali ha fatto credere che Garcia fosse ancora vivo. Mentre attraversano la campagna messicana alla ricerca della testa , Bernie viene attaccato mentre Elita violentata da due specie di Hell's Angels, Pablo (interpretato dal "Richard Cliff of Country Music" stesso, ovvero un semi esordiente Kris Kristofferson). Bernie riesce ad uccidere i bikers e recuperare Elita, ma altri due cercatori messicani concorrenti uccidono Elita e derubano Bernie della testa di Alfredo, direttamente dalla tomba che egli aveva scavato di nuovo, nella splendida e visionaria sequenza in “effetto notte” del cimitero. In breve Bennie riesce ad ottenere nuovamente l'aiuto dei sicari frocioni i quali uccidono i familiari di Alfredo che si erano riappropriati della testa, prima di bussare di nuovo alla porta della suite d'albergo di lusso dei manager che l'avevano ingaggiato, e restituire la testa (dopo aver perso tutto) per una resa dei conti conclusiva da El Jepe.

Il film è considerato da molti come uno dei migliori risultati dell'intera filmografia interamente di capolavori di Peckinpah. (dopo un titolo come questo, negli ultimi dieci anni della sua vita, Peckinpah realizzò altri quattro film eccezionali come “Killer Elite” [1975], il suo primo e unico film di guerra, uno dei massimi capolavori del genere e cioè “La Croce di ferro”[The Cross of Iron](1977), lo splendido film anarchico di inseguimenti autostradali e avventure picaresco-virili “Convoy -Trincea d'asfalto” [1978], e il terminale, magistrale spy-movie nerissimo e paranoide, “Osterman Weekend” [The Osterman Weekend] [1983]). Si tratta dell'auto redenzione del monumentale personaggio di losers Bernie, interpretato da Warren Oates nel ruolo forse più rappresentativo dell'intera carriera propria carriera, quando egli (che ci crediate o no) riscopre il senso della vita e riacquista il suo rispetto di sé pur avendo continue, surreali e irresistibili, conversazioni con la testa decapitata di Garcia, chiusa in un sacco fetido e ricoperto di mosche per la putrefazione nella canicola della campagna messicana, in alcune delle sequenze migliori del film.
Il film è stato ovviamente girato davvero in Messico, ai Churubuscos Studios, e con una troupe e molti attori in parte messicani, Messico che da sempre è stato uno dei paesaggi e delle ambientazioni favoriti/e di Peckinpah, e per buona parte simboleggia sia la libertà che l'accettazione della morte, altro tema principe e ossessivo della filmografia del sommo Bloody Sam. Peckinpah disse che “Voglio la testa ..”, era stato l'unico film del quale abbia mai avuto il controllo completo, ovvero il Final cut, il montaggio finale. Questo si dimostra nell' evidenza data alla ricerca di una impossibile rivincita personale per il suo evidentemente amato e perdente protagonista, alla ricerca di senso in un mondo tanto feudalmente retrivo e brutale. Allo stesso modo, il film presenta diverse sequenze con il marchio registico simbolo di Peckinpah, ovvero l'uso del ralenty a coreografare la violenza assieme ad un prodigioso montaggio (al cui confronto sono ancora quasi tutti dei dilettanti o dei meri imitatori, Tarantino compreso, che comunque almeno lo sa rifare benissimo).

Anche se non è un western, questo è forse l'unico film i cui gli spettatori abbiano la possibilità di vedere un film interamente e definitivamente realizzato così come Peckinpah l'aveva concepito fin dall'inizio delle riprese, senza l'interferenza degli studios o di chiunque altro/i, nel modo in cui l'uomo Peckinpah voleva che i suoi film fossero mostrati...Ovvero compulsivamente visionari. Altro quindi che certi “Mercenari” cinematografici bolsi e bolliti, dalle battute stantie come una girella del 1978 e meramente parrocchiali, di oggi. Qui, abbiamo i “Mercenari” veri, tutti alla caccia di una “prova” della morte di un elusivo gran seduttore, il nostro amico Alfredo Garcia, con l'intenzione di consegnare la sua testa mozzata come prova che egli è stato eliminato al fine di raccogliere una taglia di un milione di dollari ...

Sam Peckinpah - spesso indicato come ho su scritto con il soprannome di "Bloody Sam", utilizzato sia dai fan che dai fortunatamente sempre meno numerosi detrattori - si trovava in una posizione particolarmente precaria quando realizzò questo film profondamente personale. Dopo essere stato nominato ad un Academy Award per “The Wild Bunch/Il Mucchio selvaggio” (curiosamente ma si potrebbe ancor più dire assurdamente, solo per la sceneggiatura, alla sua regia sensazionale non venne neppure accennato) ed avere ottenuto un enorme successo di pubblico e di culto, egli si assicurò un posto nel mondo del cinema come il grande regista che è stato ed è, a 28 anni passati dalla sua prematurissima morte, ma la sua personalità difficile e le cicliche lotte con l'alcol, la tossicodipendenza da ogni tipo di droga, stimolanti, psicofarmaci antidepressivi ecc... fece sì che la sua già latente paranoia iniziasse a diventare sempre più evidente. Il suo film successivo, il capolavoro thriller girato in Gran Bretagna “Cane di paglia” (Straw Dogs) (1971), alla sua uscita aveva creato un enorme scalpore, ma i più silenti veicoli della sua grande personalità autoriale e registica quali “L'Ultimo Buscadero” (Junior Bonner) (1972) e “La Ballata di Cable Hogue” (The Ballad of Cable Hogue) (1970) purtroppo andarono -almeno negli Stati Uniti, in Europa fortunatamente no di certo-, quasi inosservati. Un Peckinpah dunque sempre più cinico era giunto alla conclusione che il pubblico voleva da lui solamente la violenza al ralenty, ed egli avrebbe anche potuto aver ragione. Il fallimento commerciale e di critica del suo pesantemente rimaneggiato dalla MgM, ed ennesimo capolavoro incompreso, “Pat Garrett e Billy the Kid” (1973) (un rimontaggio dello studios che aveva reso sostanzialmente incomprensibile la densissima epica del film) aveva anche amareggiato a tal punto Peckinpah che decise di lavorare al di fuori del sistema degli studios, nel tentativo di riprendersi il controllo creativo. Garcia gli ha permesso tale controllo, anche se il particolarissimo risultato, un prodotto finale al confine con il surreale ha lasciato il pubblico dell'epoca freddo, e i critici del tempo addirittura agitando i pugni con un'indignazione quanto mai fuori bersaglio.

Come forse ci si potrebbe accorgere fin dal titolo, il film è il più vicino ad un horror che Peckinpah abbia mai creato nella sua carriera. Nominalmente scioccante e violento da un lato, però, il film non è nemmeno lontanamente vizioso o graficamente cruento, come alcuni dei suoi altri film. Invece, sguazza in un clima di squallore e di un tale squallore che uno si potrebbe sentire quasi pronto per farsi la doccia, dopo la visione di esso. La storia funziona come una sorta di pastiche di convenzioni del cinema noir, con il suo imbrogliato protagonista posto sopra a tutti(come detto in un'interpretazione geniale di Warren Oates) e sottoposto ad una calamità e una indignazione dopo l'altra. Lungo la strada, incontra una varietà di personaggi bizzarri, che vanno dalla coppia di sicari frocioni (Robert Webber e Gig Young, entrambi memorabili seppur in due ruoli di pochi minuti in n tutto il film) alla coppia di bikers stupratori (uno dei quali come detto interpretato nientedimeno che da Kris Kristofferson, in un suo rarissimo ruolo negativo), e in definitiva ridotto a tenere una condotta sconnessa, incoerente, da errante sproloquiante, che intrattiene conversazioni che hanno tanto il sapore della confessione, con una testa mozzata. Mentre la sezione iniziale del film deriva dal divertimento nella rappresentazione peckinphiana di Oates come un fallito che però una volta è stato un vero duro, e adesso aspira solamente ad avere l'occasione per dimostrare di poterlo nuovamente tornare e dimostrarsi, e il racconto alla fine lo costringe ad essere deciso e risoluto più che mai nel suo scopo, in ultima analisi, portandosi con sé una determinazione d'acciaio, come per esempio, un altro grandioso personaggio tipicamente peckinphiano, Pike/William Holden in “The Wild Bunch/Il Mucchio selvaggio”. Oates, in un raro ruolo di primo piano (e che nel medesimo 1974 sarebbe stato il protagonista anche di un altro capolavoro, per molte caratteristiche simile al film di Peckinpah, ma molto più misconosciuto: “Cockfighter” di Monte Hellman), dà qui una performance di tale calibro che avrebbe meritato un Oscar- ricoprendo una sorprendente varietà di emozioni nello spazio di meno di due ore, e mantenendo in modo efficace una complessa e totalizzante, vibrante umanità sempre insita nel suo personaggio. Facendo sì che ci si diriga ad ottenere uno dei protagonisti più accattivanti di tutti i film di Peckinpah, rendendo così unico e ancor più acuto il rimpianto che un attore come Warren Oates, seppur in ritardo non possa aver avuto la possibilità di interpretare ancor di più tali ruoli nella sua fin troppo breve carriera. Il cast di supporto è d'altronde impressionante. Isela Vega, notevole in tutti i sensi e famosa attrice e cantante messicana nata nel 1939, tutt'ora molto attiva, è seducente (rimane leggendario un suo servizio fotografico di nudo integrale da rendersi le cappelle “cabriolet”, su un numero del 1974 di Playboy) ed estremamente convincente, brava ed espressiva, come interesse amoroso di Oates. C'è difatti una credibilità e un realismo vibrante nella prestazione di Isela Vega che contribuisce fortemente al conferimento di un predominante nucleo umano al film. Robert Webber e Gig Young, sorprendentemente lanciati come killer maturamente finocchioni (fantastica la sequenza nella quale si rivelano come ultimi, quando al pianobar di Bernie, Webber sempre più infastidito dà addirittura una gomitata in faccia ad una delle prostitute avvinghiatesi, poichè lo sta toccando sempre più “pericolosamente” vicino al cavallo dei pantaloni, e tra l'altro era una mignotta messicana anche piuttosto trombabile) svolgono i loro piccoli ma decisivi ruoli quasi da “apparizioni speciali”, con grande forza e presenza, resistendo alla tentazione di trasformare e portare i personaggi nel campo degli stereotipi. Anche Kris Kristofferson fa un buon lavoro nel proprio cameo, anche se la sua sequenza si sente come forse l'unica digressione non estremamente necessaria.

“Voglio la testa di Garcia” è stato e rimane per sempre a testimoniarlo, un progetto profondamente personale per Peckinpah, solo apparentemente ammantato da un'aura comunque estremamente affascinante, da B-movie. Le persone vicine al regista durante la lavorazione poterono osservare che Oates fondamentalmente stesse “facendo” Peckinpah - egli infatti ne imitò le caratteristiche esterne (i baffi, gli occhiali scuri -proprio i suoi, che Oates gli prese, taluni manierismi), mentre incarnava qualcosa del regista mercenario, e in maniera preponderante l'atteggiamento nichilista. Il film riflette un qualcosa di molto amaro e malinconico, una disposizione alla vita ma soprattutto alla sua finis, che è stata a detta di tutti una parte molto determinante della psiche del suo autore in quel momento, e sempre più per gli ultimi anni. E fu per Peckinpah anche una sorta di colpo di grazia - un meditabondo, cupamente umoristico, profondamente sentito ritratto di un'ossessione che sarà ancora più nettamente in rilievo e senza alcun apparente contrasto con gli altri capolavori che Bloody Sam sarebbe riuscito a far seguire a questo (con l'eccezionale dramma sul fronte tedesco-russo della WWII, il menzionato “La Croce di ferro” con grandiosi protagonisti quali James Coburn, Maximilian Schell, James Mason, David Warner, Senta Berger ed ancora altri, mai anche tutti gli ancora non menzionati e rimasti suoi film, che avrebbero e hanno, colpito sempre nel segno).

L'unico film diretto da Sam Peckinpah in cui egli abbia avuto il final cut - tutti gli altri film vennero nuovamente montati dagli studios.

Alla sua uscita, venne vietato in Svezia, Germania e Argentina.

Warren Oates copiò proprio da Sam Peckinpah per fare la sua parte, fino a prendere in prestito un paio di occhiali da sole del regista.

Gig Young appare nel film al bar dove Warren Oates è a suonare il pianoforte. Quando lui e Robert Webber si congedano, Oates gli chiede il suo nome e Young risponde: "Fred C. Dobbs," un riferimento al personaggio di Humphrey Bogart in "Il Tesoro della Sierra Madre” .

Isela Vega ricevetta una nomination come miglior attrice all' Ariel Awards del 1975, assegnato dalla Mexicana Academia de Ciencias y Artesy Cinematograficas. Ha perso con Pilar Pellicer, che vinse l' Ariel per il suo ruolo in “La Chica” di Emilio Fernandez, che nel film di Peckinpah interpreta El Jepe.

Uno dei pochi critici in realtà a lodare il film alla sua uscita fu Roger Ebert, che avrebbe vinto il Premio Pulitzer per la critica l'anno successivo.

Nella scena in cui il sacerdote battezza il figlio di Alfredo, possiamo sentire (in latino), il nome del bambino: Samuel David. Il nome completo di Peckinpah è appunto Samuel David Peckinpah.

Uno dei film inclusi ne "I Cinquanta peggiori film di tutti i tempi (e come sono riusciti ad esserlo)" di Harry Medved e Ralph Lowell.

Graham Garden ha, per molti anni, ha fatto un gioco di parole del titolo di questo film in modalità di scherzo corrente della serie radiofonica della BBC "Mi dispiace che non ne abbiano la minima idea".

Nella scena all'interno del bar di Città del Messico, dove incontriamo per la prima volta Warren Oates intento a suonare il pianoforte, sul muro di mattoni dietro di lui vi è un finto biglietto da un dollaro con una caricatura di Richard Nixon. Peckinpah, dalle idee politiche notoriamente liberali, l'ha inserito lì per mostrare il suo forte disprezzo per Nixon, la cui presidenza stava andando a pezzi, al momento della realizzazione di questo film.

Secondo Garner Simmons, uno dei commentatori del commento audio del film presente nel dvd della MgM, il sacchetto di tela ruvida che Warren Oates porta nella sua auto è in realtà pieno di pezzi di carne, simulando la presenza della testa di Garcia, che attira le mosche. l film nacque da un soggetto scritto da Peckinpah insieme a Frank Kowalski, realizzabile soltanto in un'ambientazione messicana. Con l'aiuto del produttore Martin Baum si creò così una coproduzione USA-Messico.

Unico paese al mondo in cui è presente da maggio 2012 un'edizione in Blu-ray del film è stranamente l'Italia, pubblicato in un'eccellente copia interamente restaurata, dalla Koch Media su licenza MgM.


Da Wiki:

Cast
Il protagonista del film è Warren Oates, attore feticcio di Peckinpah utilizzato prima di questo film perlopiù come caratterista, e qui promosso per la prima volta al rango di protagonista. Subito dopo fece da co-protagonista con Peter Fonda il bello e completamente sconosciuto “92 Gradi all'ombra” (92 in the Shade) (1975) di Thomas McGuane.
La protagonista femminile è Isela Vega, ai tempi la più nota celebrità messicana, ex cantante di night.
Il ruolo di El Jefe o El Jepe è interpretato da Emilio Fernandez, vero ex generale dell'esercito messicano, valente e conosciuto cineasta del paese, noto grande amico del regista, e già il crudele e bestiale generale dell'esercito messicano de “Il Mucchio selvaggio”.

Riprese
Le riprese del film iniziarono il 1 ottobre 1973, e terminarono nel dicembre dello stesso anno. Peckinpah decise di girare il film interamente a Città del Messico, in luoghi fino ad allora sconosciuti alla macchina da presa, scartando città più ovvie, tipo Durango o Acapulco. Il film fu portato a termine, nonostante una settimana di piogge e l'opposizione dei sindacati hollywoodiani, che protestarono contro l'utilizzazione di attori e tecnici messicani.
Durante le riprese Peckinpah ebbe gravi problemi di salute, non mangiava, beveva vodka e ingoiava molte pillole. La sua segretaria, Katy Haber, lo aiutò a rimettersi in sesto, nascondendogli la vodka e le pillole, e facendolo mangiare. Per il resto le riprese si svolsero in un clima idilliaco e, per la prima volta nella sua carriera, Peckinpah ebbe il totale controllo sul film. Il regista infatti disse del film: «Buono o cattivo, bello o brutto, l'importante è che sia mio al 100%».

Accoglienza
Il film incassò in totale poco più di 2 milioni di dollari, e non si rivelò un gran successo.

Critiche
Le critiche statunitensi dell'epoca non furono molto tenere con il film. Il Wall Street Journal scrisse: «Il film è così grottesco nella sua idea di base, così sadico nelle sue immagini, così irrazionale nella sua trama, così senza tocco di regia nella sua realizzazione, che ci porta a una sola conclusione: Peckinpah ha bisogno di un analista». In Italia solo Giuseppe Turroni scrisse a favore del film, ritenendolo «il film della follia, del dialogo, della morte con la vita».
In seguito il film è stato rivalutato ampiamente, e definito una delle migliori opere di Peckinpah. L'anno scorso è stato proiettato sul gigantesco schermo di P.zza Grande al Festival di Locarno, e in una copia interamente restaurata, in occasione dell'omaggio della rassegna al grande regista.

Collegamenti ad altre pellicole
Lo stupro -non consumato- che Elita subisce da Paco (Kris Kristofferson) presenta le stesse modalità dello stupro presente nel precedente film di Peckinpah, “Cane di paglia. Come in quel film, infatti, anche qui la donna prima si oppone, ma poi sembra gradire la violenza, e anzi aiuta lo stupratore.
In “Fletch, cronista d'assalto” (1985) con Chevy Chase, in un ospedale qualcuno chiede: «Dov'è la testa di Garcia?»
“Le Tre sepolture”, diretto da Tommy Lee Jones nel 2005, ricalca la storia del film di Peckinpah.
"Sin City”, diretto da Robert Rodriguez nel 2005, presenta una sequenza, diretta da Quentin Tarantino, nella quale Benicio Del Toro parla con Clive Owen avendo una pistola piantata nella testa. Questo ricorda molto i deliranti dialoghi tra Bennie e la testa di Garcia.

Napoleone Wilson

giovedì 30 agosto 2012

Safe

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C'è sempre una certa diffidenza nell'accingersi ad affrontare un nuovo film di Jason Statham, soprattutto alla luce delle ultime cocenti delusioni. Ma dev'essere stata l'aria di ganassata de I mercenari 2 a regalarci questa preziosissima sorpresa action, Safe. Dio allora benedica Sly!

Utimamente l'attore inglese, famoso per la serie di The Transporter, sembrava un po' affetto dal morbo di senilità alla Bruce Willis: scuoteva il capo, capriccioso, in segno di dissenso, ogni qualvolta il suo agente gli proponeva figaggini come che so Il superpoliziotto incazzato contro l'impero di guerre stellari. No no , amici miei, lui ad appena 45 anni si sentiva già Laurence Olivier che recita Shakespeare, porello lui e tutto il mondo sfigato dietro che ha decretato il successo dei suoi calci volanti. Ecco come Bruce Willis che decise, nell'apice del successo, di appendere la pistola al chiodo e interpretare personaggi più umani dei suoi John Mclean Yippee-ki-yay stronzo, finendo miseramente nei thrillerini direct to video con Halle Berry (Dio comunque benedica questa femmina!), così il nostro Jason, pur non abbandonando gli action, ha cercato di limitare le acrobazie in favore di una vasta gamma di espressioni. E per uno famoso per essere un tronco di legno nel recitare non dev'essere stato facile...  I primi segni si sono avuti con il pretenzioso Revolver di Guy Ritchie, ma poi sembrava un incidente di percorso fino al duetto maledetto di Blitz, noioso poliziesco su un assassino di sbirri, e di Killer elite, verboso action politico incentrato su una guerra di spie. Certo c'erano stati i vari Crank (meglio però ricordare solo il primo), un grandioso Transporter 3, ma il grado di bassezza e convenzionalità in questi nuovi film da serata di Rai 2 ci ha fatto credere nel peggio.

Non che Safe sia un capolavoro, sia bene intenso, ma è onesto, e regala tutto quello che vorremmo da un film di mazzate con Jason Statham. Il plot è ripreso dal dimenticabile Codice mercury di Becker con un Bruce Willis in fase già meditativa, ma il regista Boaz Yakin calca la mano sulle esplosioni, le sparatorie in un delirio di vetri infranti, di corpi crivellati, di inseguimenti elaboratissimi da generare orgasmo allo spettatore incredulo. Non dimentichiamo che Boaz Yakin doveva essere il regista di Batman prima dell'arrivo di Christopher Nolan, che ha sceneggiato il The Punisher con Dolph Lundgren e prodotto i primi due Hostel: non proprio chiacchere e distintivo. La sua regia, sempre vivace e innovativa, ci regala un film dalle scene memorabili, pieno di battute che sembrano uscite dagli anni 80, arrivando nel perfezionismo tecnico quando riprende un inseguimento pieno di incidenti e sparatorie dall'interno dell'auto che il buon Statham guida. La storia poi ha un nonsochè di folle soprattutto nell'essersi inventata l'idea che dei sicari russi lascino in vita il nostro eroe, dopo avergli fatto a pezzi la moglie, solo per uccidergli tutte le persone con le quali stringerà amicizia, sorvegliato per sempre 24 ore al giorno. Ovvio che il nostro diventi un barbone finchè non incontra questa bambina genio dei numeri inseguita dai suoi stessi nemici. Ecco che inizia la vendetta.

Nel cast segnalo, per l'amico Robydick, la presenza come cattivo di James Hong il malefico Dottor Elson Po di un horrorazzo per ragazzacci, L'immortale, e presenza fissa di molti action americani sulla mafia orientale. Per tutti gli altri il volto più conosciuto di Chris Sarandon, eterno malvagio nel cult L'ammazzavampiri, è sempre un bel vedere. Un film da consigliare questo Safe senza dubbi.
Keoma





















mercoledì 29 agosto 2012

Les Triplettes de Belleville - Appuntamento a Belleville

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Trama da wikiNella prima sequenza vengono introdotte le Triplettes (Violette, Blanche e Rose, i cui nomi richiamano i colori della bandiera francese), un trio di cantanti degli anni trenta, nella parodia di uno spettacolo dei loro tempi d'oro, assieme alle caricature di Django Reinhardt, Josephine Baker e Fred Astaire. Il filmato termina, e la storia ritorna su Madame Souza, una vecchia signora che alleva da sola il nipote Champion.
Nonostante tutti gli sforzi di Madame Souza il piccolo Champion cresce infelice. Ella dapprima gli dona un cucciolo di cane, Bruno, poi un triciclo. Solo questo pare dare gioia a Champion, che, crescendo, si appassiona al ciclismo a tal punto da guadagnarsi la partecipazione al Tour de France.
Durante la gara, Champion viene rapito assieme ad altri due concorrenti e portato oltremare, nella immaginaria città di Belleville (questa è rappresentata come un incrocio tra Parigi, Montreal e New York e gli abitanti stessi appaiono stereotipi caricaturali degli americani degli anni cinquanta). Champion è stato rapito da una banda di gangster, intenzionata a sfruttarlo in un giro di scommesse clandestine, obbligandolo a pedalare su una macchinario che simula una gara ciclistica assieme ai suoi sfortunati colleghi.
Madame Souza insegue i rapitori assieme al cane Bruno con mezzi di fortuna (un pedalò a noleggio) e giunge alfine nella città determinata a ritrovare il nipote. A Belleville incontra le Triplettes, oggi invecchiate e decrepite ma ancora attive e con il loro aiuto riesce a liberare il nipote dalle grinfie della banda. Fuggono tutti con l'intero macchinario, spinto purtroppo da solo due dei ciclisti e una delle "Triplette", e riescono a sgominare i cattivi che li inseguono, e finalmente a lasciare la città.

Visto oggi dopo "L'illusionista" (2010), non c'è proprio da stupirsi che sia venuto proprio da Sylvain Chomet quello splendido omaggio a Jacques Tati. Già è più che presente qua, sia con la riproduzione di scene di "Jour de fete" (1947) che con una locandina, più volte mostrata, di "Mon Oncle" (1958). Tutto il film in realtà è pieno, fin all'eccesso secondo me, di omaggi e caricature. Più se ne sanno, più ci si stupirà di vedere personaggi come Fausto Coppi, Eddy Merckx, il già citato Jacques Tati, poi richiami vari all'animazione che fu... e sussulti compiaciuto, come quando mi sono sorpreso a vedere suonare, animato in modo inequivocabile, Bach da parte di un mio mito, Glenn Gould.

In eccesso citazioni/omaggi, dicevo, perché poi tutti questi "stupori" rischiano di occultare una storia carina, poetica e anche di fantasia originale. La mala francese che in una specie di New York "francesizzata" organizza un traffico umano di ciclisti per corse clandestine è qualcosa che, stavolta per il film in sé, stupisce non poco. Divertentissimo vedere una vecchietta delle triplettes andare apparentemente a pescare con tanto di seggiolino legato sul sedere per poi lanciare una granata nello stagno e riempire un retino dalla pioggia di rane che ne consegue. Presente il tema tanto caro a Tati, quello della modernità un po' fine a sé stessa, in diverse gag con il cane Bruno quasi a fare il Monsieur Hulot della situazione: la casetta di nonna e nipote è talmente invasa dalla città che cresce senza ritegno tanto da piegarne la cima in favore di un viadotto ferroviario; le Triplettes sono orgogliose dei loro elettrodomestici al punto da baciarli ed accarezzarli con affetto pur non facendone uso, anzi, usandoli come strumenti musicali invece che per la loro primaria funzione; il riverente e snob maitre di un locale si curva e piega al punto di riuscire a guardare le cose al contrario pur essere in postura eretta, con un sorriso plastificato sempre in faccia; le rane che escono dai piatti pure essendo, in teoria, cotte, danno un forte senso di orrore, quasi cannibalesco, a quel pasto che viene mostrato; i gorilla dei gangster sono grossi come armadi? e con la forma di armadi squadrati vengono rappresentati.

L'omaggio principale è comunque rivolto alla sua Francia e ad uno sport, il ciclismo, ultimamente martoriato dal doping. Le scene dello sfiancante allenamento notturno sotto la pioggia sono tra le più belle e in questo senso i disegni molto retrò fanno da ulteriore cassa di risonanza. Uno sport d'immensa fatica e sacrificio che Oltralpe ha sempre avuto un'infinità di estimatori, recentemente rovinato dal business. In fondo, quei medici e squadre sportive che esigono dai ciclisti di fare uso di Epo, non si comportano come quei curiosi gangster di questo film?

Molto carino e consigliato.
Robydick