lunedì 31 gennaio 2011

La lunga notte del '43

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Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Siamo a Ferrara nell'autunno del 1943, è da poco stato firmato l'armistizio. Serpeggia una certa incertezza, città di uomini mediamente moderati finora poco toccata da violenze e guerra, pochi fascisti invasati felici che mussolini abbia stabilito al nord la r.s.i., molti gli antifascisti tra i c.d. notabili che pubblicamente però rimangono silenziosi anche se le loro posizioni sono note.

La giovane moglie del farmacista in questo contesto rincontrerà un vecchio amore, ancora più bramato visto che il marito è infermo da tempo per una malattia venerea, uomo che trascorre le sue giornate alla finestra della casa che guarda sulla via di fronte alla farmacia nel centro di Ferrara. I 2 innamorati consumeranno la loro rinata passione proprio la notte che il padre del giovane verrà "rastrellato", da squadristi provenienti da Verona e da Padova, ed ucciso insieme ad altri uomini proprio di fronte alla farmacia e di fronte agli occhi del marito, eccezionalmente alla finestra anche di notte perché aspettava la moglie. Senza voler saper nulla, sconvolto, il giovane fuggirà in Svizzera, mentre... lascio il finale, toccante e drammatico per diversi aspetti, meriterebbe trattazione e la tentazione è forte ma sarebbe uno spoiler clamoroso.

Al di là dell'importanza storica del film, c'è un raffinato parallelo tra la vicenda d'amore dei 2 giovani e l'ambientazione di guerra, più precisamente di un contesto sociale dittatoriale e rigido sulle regole. Lei non può separarsi dal marito il quale però non essendo di fatto più tale rappresenta suo malgrado un vincolo dispotico, però saprà compiere scelte che solo la pavidità di lui non permetteranno di realizzarsi appieno. Lui fuggirà da tutto, anche da lei, non sapendo cogliere l'opportunità di un gesto coraggioso che sarebbe stato di per sé stesso felicità, comunque fossero andate le cose. Ci sarà un distacco tragicamente meraviglioso tra i 2, denso di un significato che ho cercato di spiegare ma mi risulta difficile; è Cinema in cui immergersi, la vita stessa di chi assiste a quel momento vi si deve confrontare, metafora forte ed esplicita anche per chi vive in situazioni apparentemente più libere.

Opera prima di un grande, Florestano Vancini. Dopo aver visto questo e "Bronte" posso affermarlo definitivamente, 2 Olimpo in piena regola. Girato in studio ma anche in molti esterni proprio a Ferrara, sua città natale. Molte le scene bellissime che andrebbero sottolineate, comprese inquadrature di aree golenali e lungo Po che col bianco e nero di quegli anni sono di una suggestione particolare. Fotografia a cura di un "certo" Carlo Di Palma, basti il nome. Altri complimenti al regista, ed anche agli ottimi attori, nei frame sotto.

Il film è tratto dal racconto "Una notte del '43" di Giorgio Bassani, scrittore nato a Bologna ma cresciuto a Ferrara. A parte la vicenda sentimentale che è d'invenzione, perfettamente integrata però nel tessuto sociale dei tempi, i fatti storici narrati sono veri! E' un film importante infatti, perché come ben riporta wiki:
"...La lunga notte del '43 anticiperà anche il filone dei film denuncia/inchiesta degli anni '60 e '70 di cui lo stesso Vancini sarà protagonista...".
Onore quindi a Vancini!!, ha aperto per primo un Mondo, quello del Cinema Italiano "impegnato" degli anni a seguire che adoro e rimpiango, oggi scomparso o quasi, defunto salvo pochissime eccezioni. Non bastò essere bravo, ci volle anche un certo coraggio e tenacia, basti leggere queste note storiche, sempre da wiki:
"A causa della delicatezza della vicenda narrata, tratta da un fatto vero (l'eccidio del novembre del 1943 di una decina di antifascisti ferraresi davanti al muretto del castello), Vancini incontrò non poche difficoltà a realizzare il film: i produttori avrebbero preferito che la rappresaglia venisse attribuita ai nazisti anziché ai fascisti ma Vancini tenne lodevolmente duro ed il film fu un grande successo.
Il film, per la trama ed alcune sequenze vagamente erotiche che all'epoca erano ritenute scabrose, fu vietato ai minori di 16 anni. I partiti e le associazioni di sinistra e antifasciste, unitamente allo stesso Vancini, insorsero nei confronti di tale divieto, ritenendolo - fondatamente - il frutto di una volontà puramente censoria nei confronti dei contenuti antifascisti e accusatorii del film, viste anche le traversie che il medesimo aveva subìto nella sua produzione.
"

Che tempi, e nemmeno troppo lontani. Sono passati 50anni dal film, meno della vita media di un uomo. In altre occasioni ho parlato di cos'era l'italia nel 1960 e dintorni, non mi ripeto, vi rimando alla rece del film che le contiene, di solo un anno dopo e per certi aspetti affine: "Il federale". Era un paese il nostro in piena restaurazione, diciamolo pure senza remore. Fortunatamente tra la fine dei '60 e nei '70 è stato possibile ottenere una serie di riforme importanti: famiglia, divorzio, aborto, statuto dei lavoratori, per citare i casi più "rumorosi". Nonostante ora sembriamo regrediti di 50anni netti a causa dei Brubbrù che ci governano, perlomeno i passi più importanti non riescono (pare) a cancellarli. Tante le ragioni del risveglio di allora, tra le quali bisogna mettere anche grandi film come questo che contribuirono a tenere desta la memoria, ed anche a nutrire l'intelligenza, degli italiani.

A mussolini, per contrappasso, rubo l'espressione per qualificare il mio consiglio: VISIONE IMPERATIVA CATEGORICA!

domenica 30 gennaio 2011

Enter the Void

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Film che parla della vita e della morte ambientato a Tokyo. Senza compromessi estetici, in una permanente visione allucinata della città e del mondo, sposando una teoria che proprio da quelle parti e nel buddismo in particolare trova molti credenti: la reincarnazione.

Il plot nella sua essenza è piuttosto semplice. La storia di 2 fratelli occidentali, Oscar e Linda, orfani da quando sono piccoli a causa di un incidente d'auto che ha ucciso entrambi i genitori. Divisi in affidamento a famiglie diverse, si ritroveranno a Tokyo quando Oscar riuscirà a trovare i soldi per far arrivare la sorella. Lui è forte consumatore di droghe sintetiche e si mantiene spacciandole. Lei non troverà di meglio che lavorare in un locale di lap-dance. Hanno un legame forte e particolare, paragonabile a quello dei gemelli.

A causa di una soffiata Oscar verrà beccato dalla polizia e verrà ucciso dalla stessa. Dopo un relativamente breve incipit tutto il film sarà un viaggio nella mente/entità di Oscar con la quale si ripercorrerà l'intera vicenda della sua pur breve esistenza. Con accavallamenti di contesti dovuti ai flashback volutamente non ordinati temporalmente si ricomporrà il puzzle.

Il discorso della reincarnazione viene eviscerato in tutte le sue fasi, chiamiamole cosi.
La prima è nota anche da esperienze di "morte apparente" o anche stati di coma irreversibile poi "tornati" in vita, narrate da credenti di tutte le religioni (ne han scritto libri), la cosiddetta visione della propria vita, proprio come se fosse un film. Si ripercorrono le vicende più significative vissute da protagonisti ma come se si fosse spettatori.
La seconda, che non è distinta dalla prima ma coesiste, è l'esperienza extracorporea. Si vive come entità non fisica, si vede persino il proprio corpo e chi gli è intorno dopo la morte. Qua si va ben oltre! Questa sensazione di vita che "galleggia" sul proprio corpo e su tutto l'ambiente copre quasi l'intera durata del film e mentre Oscar vede quanto avviene a Tokyo proseguono i flashback stimolati dai contesti.
La terza ed ultima che coprirà il lungo finale è il trionfo dell'amore e del sesso che permetterà di nuovo alla vita di Oscar di riacquistare fisicità. Viene mostrata con dovizia di dettaglio fisico ed anche nelle luci eteree e nelle ambientazioni in qualche caso noir sembra quasi un documentario. Può lasciare perplessi, il sesso come piacere puro, compreso quello a pagamento, è mostrato esplicitamente. L'ho trovato eccezionale!

Quello che più colpisce del film è decisamente la modalità espositiva estremamente allucinata, come detto. La macchina da presa è una costante presenza mistica ed ha dei movimenti curvilinei in tutte le direzioni continui, spesso con lunghi piani sequenza. Nella prima parte corrisponde agli occhi di Oscar, poi diventerà visore esterno e sempre di Oscar si tratterà che vola senza limiti di spazio-tempo. Insomma la mdp è lui, prima fisicamente poi come entità latente.

Fotografia estremamente psichedelica, suoni ovattati e con eco paragonabili a quelli dei sogni, il film è un intero viaggio, lunghissimo (155'), nel mistico senza soluzione di continuità tra il breve momento di Oscar in vita e tutto quanto illustrato successivamente alla sua morte. E' un po' come se quel destino fosse partito con l'incidente d'auto in modo ineluttabile. La condizione mentale causata dai potenti allucinogeni è quasi indistinguibile, ma si può fare anche un'altra ipotesi, e cioè che nello stato di morte di Oscar semplicemente la sua condizione vitale da vivo prosegue tale e quale, proprio come le teorie buddiste del Karma propongono, con la sola differenza che da morto ormai diventi semplicemente spettatore, acquisti consapevolezza dell'essenza del tuo "essere" e del tuo "essere stato", della quale nulla rimarrà nella tua memoria al momento della rinascita (si potrebbe parlare a questo punto anche della metempsicosi, ma esula da questo film).

Lunghissimo come detto, con un effetto ipnotico turbativo e sconvolgente per lo spettatore, da mandar giù d'un fiato! Fantastico e fantascientifico nella vita che non si può conoscere, in quella che nessuna esperienza può raccontare. Interamente concentrato nella estetica ed a manovrare fino al giroscopico una macchina da presa che incanta, la sceneggiatura si perde qualche pezzo qua e là, alcune sequenzialità della storia non sono chiare del tutto ma credo non sia importantissimo. Il film infatti nei flashback non si pone lo scopo di raccontare qualcosa a mio parere, ma di ricercare le cause, i momenti chiave che hanno inciso nella vita di Oscar che, e soprattutto, le cause (karma) che l'hanno determinata e formata.

Nei miei Cult senza alcun dubbio. Coraggioso come certi film visionari degli anni 70, veramente imperdibile!


sabato 29 gennaio 2011

Napoli violenta

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Sequel di "Roma violenta", il commissario Betti arriva a Napoli dopo essere stato reintegrato nella polizia. Già conosce la città e a fargli gli onori di casa il Generale con la sua Rolls, invero il boss della camorra più boss di tutti. In questura si presenterà da par suo, con un ladro d'auto in manette come presente.

Appena arrivato inizia ad occuparsi di racket, rapine piccole e grandi. Sempre in mente la sicurezza, la voglia di dare ai cittadini la sensazione che la polizia li può tutelare. I suoi metodi sono sempre quelli, poco ortodossi e ai limiti di legge, che ormai l'han reso famoso in tutte le questure.

Al di là di tutto, e della consueta attenzione ad ogni pur piccolo reato come alla gente comune, i 2 "pesci grossi" saranno il già citato Generale e Casagrande. Il primo tratta di tutto, dal racket ai grandi riciclaggi di denaro; il secondo è un rapinatore "professionista" spietato che Betti conosce dai tempi della sua precedente permanenza a Napoli. Casagrande, in libertà vigilata, ogni giorno deve andare al commissariato per la firma e nonostante questo Betti lo sospetta di rapine efferate in pieno giorno per le quali la firma stessa è alibi...

I temi base sono i medesimi del precedente, quindi non mi ripeto. Qua non compaiono però vigilantes: contro la camorra, malavita ben più organizzata che quella di cui si parla nel film "romano", sarebbe una follia ancora più grave.

Lenzi ci mette molto Del Suo in questo secondo, fantastico!, film con Maurizio Merli nei panni di Betti. Non se ne voglia l'ottimo Martinelli del precedente film, ma questo ha una marcia in più e connotati fin autoriali, come si dice. A riguardo di alcune grandiose scene ne parlo nei frame sotto.

Merli è un attore dalla fisicità internazionale, sembra un americano anche in mezzo ad altri attori americani, con però una passione ed un sentimento tutti italiani, veramente un grande. Meritava un capoverso solo per lui.

Altro Cult imperdibile secondo me.
e mi raccomando... attenzione ai commenti di Wilson sotto, c'è scritta una tesi a riguardo.

venerdì 28 gennaio 2011

Million Dollar Baby

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Una ragazza d'infima famiglia, lavori umili, decide di sfondare nella boxe. Individua l'allenatore e alla fine ce la farà, ma l'incontro per il titolo ha un epilogo terribile....
Una storia da terza pagina? La solita "menata" di una vita meschina in cerca di riscatto? Un Rocky al femminile? Niente di più errato.

Nient'altro sul plot, è una storia drammatica e profonda fatta di fatica, determinazione, che va goduta appieno. Ci sono tanti ingredienti, per certi aspetti comuni a queste trame, però insisto e chiudo qua con una metafora: anche i piatti più squisiti della nostra amata cucina italiana sono fatti di pochi e semplici ingredienti, sta al cuoco saperli sapientemente amalgamare per produrre prelibatezze invece di mangime, e qua il cuoco è di prim'ordine. Il finale poi...

Passo con piacere la parola all'amico Zio Scriba (al secolo Nicola Pezzoli). Gli ho chiesto di onorare il blog della sua presenza, con un film che ha particolarmente apprezzato, e ha scelto questo.

Ci sono volte in cui l’Arte può essere così grande da prendere a calci in culo i tuoi pregiudizi (anche perché, probabilmente, è l’unica entità capace di farlo, motivo per cui i sistemi oppressivi che su pregiudizio e ignoranza si basano temono l’arte e gli artisti veri ancor più delle verità degli scienziati). Voglio dire: io avevo sempre provato istintivo disprezzo per il pugilato maschile, e trovato assurda e inconcepibile la semplice esistenza di quello femminile. Eppure, quanto ho voluto bene a questo film (collocato ora e per sempre nel mio più limpido e fulgido Olimpo) e ai suoi personaggi!

Quattro strameritatissimi Oscar, quattro stellette persino dal buon Mereghetti che a casa mia viene scherzosamente chiamato “lo Stitico” a causa della sua manica stretta, una regia di qualità, sapienza e sensibilità superiori, prove attoriali di livello stratosferico: un Clint Eastwood sublime, un Morgan Freeman al suo meglio, una Hilary Swank di cui innamorarsi disperatamente.

Ma è la storia a suonare vera, coinvolgente, commovente, toccante, al tempo stesso forte come un pugno e delicata come una carezza.

Come spesso ci ha abituati a fare, l’immenso Clint non manca di capovolgere i più consunti cliché, primo fra tutti la stucchevole ipocrisia del famiglismo disneyano, che continua a fare da indigeribile contorno a così tanti film odierni, come l’ultimo con George Clooney. Una storia di solitari alla deriva che si trovano e divengono a loro modo (e non certo facilmente, non certo da subito, anzi!) “famiglia” gli uni per gli altri, perché famiglia, al di là dei ruoli babbino-mammina-prole contrattualizzati e conformisti (che quando funzionano, per carità, vanno benissimo) altro non è che la vicinanza di chi ti vuole bene, come il burbero allenatore-manager Frankie Dunn (che ha una figlia biologica con cui ha rotto da anni) nei confronti della sua Mo Cùishle, struggente nome di battaglia da lui inventato per lei (senza rivelargliene il significato) che in Gaelico vuol dire “Mio Tesoro”, o anche “Mio sangue”. È lei, a sua volta zavorrata da una famiglia di mostri minus habens a metà fra gli Addams e i Parenti Serpenti di Monicelli (ai quali non interesserà altro che provare a sfruttarne l’improvvisa fama e ricchezza) a divenire per lui l’allieva, l’amica, la figlia da proteggere, nonché, forse, l’ultimo impossibile e indichiarabile amore senile.

Chi mi conosce e mi legge avrà però indovinato da subito quale sia l’argomento che mi fa davvero amare questo film, la sua intelligenza e il suo coraggio: questo argomento è la Dolce Morte, l’Eutanasia, qui affrontato in modo illuminato ma sofferto, tutt’altro che sommario, tutt’altro che programmatico e facilone. Perché staccare la spina non è certo cosa che si faccia in quattro e quattr’otto con l’assoluta certezza di aver deciso la cosa giusta senza nemmeno prima pensarci sopra. È un gesto terribile, terrificante, contro cui vorresti ribellarti, eppure, come saprebbe ben spiegarci il padre di Eluana Englaro, è soprattutto, nell’irreparabilità della condanna alla sofferenza iniqua e all’agonia senza dignità né speranza, il più dolorosamente sommo Atto d’Amore e di responsabilità che si possa immaginare compiuto da un essere umano nei confronti di un altro (come non riandare col pensiero al gesto di Pietà del “Grande Capo” indiano che in Qualcuno volò sul nido del cuculo soffoca con un cuscino il ribelle Nicholson lobotomizzato a tradimento?). Questa cosa il film, pur non essendo, come detto, un film ideologico, di quelli fatti a colpi di slogan trancianti e di teoremi indiscutibili, ce la mostra molto chiaramente. Al punto che vorrei tanto poterne ordinare la visione continuativa (diciamo almeno un migliaio di volte di seguito?) a quelle teste d’ortaggio bigotte che il 9 febbraio sfileranno “a favore” della vita vegetativa obbligatoria per tutti. Non chiamerò mai Mo Cùishle uno di voi, dannati idioti, come ho chiamato fra le lacrime la mia Maggie Fitgerald-Hilary Swank mentre scivolava via per sempre da questo nostro meraviglioso e spietato sogno di esistere.

Anche per me nell'Olimpo, inevitabilmente.
Grandi complimenti a Nicola! Questa era una mia vecchia rece molto "stitica", conteneva solo la mia parte iniziale, anche meno di quanto scritto ora. L'abbiamo ripescata e, grazie a lui, valorizzata come questo film meritava.

giovedì 27 gennaio 2011

Parigi o cara

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Pare il solo film da assoluta protagonista di un personaggio che mi piace molto, persino da bambino ridevo per i suoi irresistibili sketch alla tele. Franca Valeri non era "solo" questo però. Certamente attrice e caratterista, ma anche scrittrice sia di teatro che cinema. E' co-sceneggiatrice di questo film che non esagero a definire unico nella sua originalità! Appartiene ad un genere che nemmeno sapevo esistesse: il "camp".

La milanese Franca interpreta la romana Delia, una prostituta non riconducibile agli stereotipi classici della professione. Raffinata nel vestire, sempre impeccabile nelle pettinature, precisa in tutto. Ha una casa elegante ammantata da un kitsch "sobrio", non volgare. Parla lentamente, sembra di sentire una nenia, senza alzare mai la voce. Lieve accento capitolino che nelle frequenti battute sarcastiche è irresistibile; un fare molto snob e divertentissimo, da seguire con attenzione. Non aspettatevi di ridere insieme a lei, è quasi sempre seria. Molto attenta a non sprecare denaro, che investe anche in attività più o meno lecite con oculatezza.

Si concederà un "Coupe de Theatre": andare a trovare il fratello Claudio che vive a Parigi. Quasi non lo conosce, sono divisi per motivi familiari dall'infanzia. Noia di Roma, voglia d'inseguire un sogno? Fatto sta che parte, e dopo un ritrovarsi col fratello non particolarmente accalorato si ritroverà a vivere da una affittacamere dalla famiglia abbastanza bizzarra. Farà di tutto per raggiungere "la concorde" che diventerà un mito, senza successo. La sua professione riemergerà, quasi un tatuaggio inoccultabile, ma non sarà quello a procurarle il malinconico, bellissimo finale...

Commedia in 2 atti: primo tempo a Roma, secondo a Parigi; esilarante con gusto e intelligenza, pregna di piccoli dialoghi da non farsi sfuggire. Delia non spreca parole e non le manda mai a dire, come si dice. Si finirà per amarla, subirne il fascino, aggarbata e azzimmata com'è nei suoi vestitini graziosi e colorati. Arrivata a Parigi forte e sicura si ritroverà alla fine indifesa, diventerà vulnerabile e il finale, poetico e dolcissimo, con la splendida musica di "Parigi o cara" in sottofondo, commuoverà.

Curiosità: mi hanno riferito, fonte esperta della città e di cinema, che Caprioli ha avuto un gusto particolare nel ritrarre la capitale transalpina, al punto di affascinare con questo film gli stessi registi francesi. Io non l'ho mai visitata purtroppo per cui non saprei dire di persona, ma se conoscete la città penso saprete apprezzare e giudicare.

Bellissimo film, tra i miei Cult !!
Non se ne capisce bene il senso del plot per un po', ma deve essere visto sino in fondo. E' un ritratto di donna tra i più originali che abbia mai visto ed affatto irreale. Che a nessuno vengano in mente paragoni coi puttanai ai quali assistiamo in questi tristi giorni nel nostro paese! Delia è di un altro pianeta.

Questa recensione è anche un mio personale omaggio a lei, e la voglio nominare ancora Franca Valeri. L'anno scorso, anno in cui è uscito finalmente il dvd del film, ha compiuto la bellezza di 90 anni! Nonostante palesi problemi di salute continua a calcare le scene con maestria e professionalità, e a riempire platee e loggioni.
Giù il cappello con riverenza, personaggio di cui andare fieri.

mercoledì 26 gennaio 2011

The Choirboys - I ragazzi del coro

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Un distretto di polizia di Los Angeles, la squadra della ronda notturna, quella che raccoglie il peggio ma forse anche il meglio degli agenti. Tra loro di raccomandati e leccaculo non ce ne sono e a simbolo di ciò c'è l'agente Spermwhale Whalen (Charles Durning, attore che pare nato per quei ruoli). A 6 mesi dal pensionamento, 30 anni in quella squadra; dai capi mai un complimento o un favore, ma dai colleghi massimo rispetto.

Gente che è tornata un po' rintronata dal Vietnam, molti single cronici non per scelta, un razzista indefesso, un altro torna a casa al mattino dalla moglie e questa non gliela molla. Ben assortiti e squinternati ma anche sodali tra loro e ogni tanto qualche festicciola rompe la routine. Pian piano, senza una trama definita, con un racconto di una serie di episodi, le varie figure emergono, e sarà un continuo alternarsi di momenti amaramente comici e di drammatici, non c'è una pausa, fino al finale, questo sì veramente duro.

Imperdibile! Tra i miei Cult. Anzi nell'Olimpo.
La parola a Napoleone Wilson, è uno dei suoi film.

[Improvvisando una “sorta” d’approccio psicologico di convincimento “al contrario” su una ragazza che sta minacciando di gettarsi giù da un palazzo] –“Dai, fallo vai, puttana, buttati!”-
Tim McIntire/Roscoe Rules


“Saluti, ed allucinazioni, Sergente Yanoff.”
James Woods/Harold Bloomguard


“I Ragazzi del coro” (1977, 23/12, prima uscita americana) di Robert Aldrich, è oggi diventato soltanto “Les Choristes”(2004) di Gèrard Jugnot, onesto film francese del 2004, a giudicare almeno da una ricerca su Google, dove l’inconfrontabile capolavoro di Aldrich sembra incredibilmente “sepolto” anche lì. E un po’ fa persino inc.
Eppure quando uscì, anche in Italia giustamente fece molto scalpore, e già prima dell’uscita era seguito da una larghissima e duratura fama di scandalo pari solo a quella di “Cruising”(’80) di Friedkin, così come era molto famoso il bellissimo libro dell’ex poliziotto di L.A., Joseph Wambaugh, da cui il film era tratto.
Film che, per merito del “tocco” di Robert Aldrich, demolisce come nessuno prima si era mai nemmeno avvicinato, non solo in America, ma ancor di più in Italia, la marcissima e arbitraria istituzione della polizia.
Molto più di quanto non riuscì a fare il comunque bellissimo best-seller di Wambaugh, però molto più prudente e “positivo” nei caratteri che il film, “I Chierichetti”, pubblicato nel 1975.
Difatti, bisogna spiegare che sul finale della sua splendida carriera Aldrich, come giustamente rilevò Kezich recensendo il film alla sua uscita italiana, Aldrich aveva raggiunto e creato per sé un particolarissimo stile che Kezich battezzò e coniò dell’ “Aldrich’s touch” come opposto possibile e “degenerato” del “Lubitch’s touch”, tanto famoso per la commedia hollywoodiana degli anni trenta come sinonimo inimitabile di ottimismo, grazia d’intenti, leggerezza stilistica e d’argomento.
L’”Aldrich’s touch”, che fosse applicato ai temi e ai toni della commedia –come qui ne”I Ragazzi del coro”, in cui ce ne sono molti, pur se in film molto disilluso e amaro, con un fondo veramente nerissimo e cupo- ne era l’esatto opposto più esteriore, la grevità e il pessimismo voluto e inseguito, il picaresco più barocco nei personaggi e nelle situazioni, assoggettato ad una fortissima disillusione esistenziale e personale oltre che professionale, nonostante gli enormi e numerosi successi anche di pubblico della sua carriera, un paio sui tanti, “Quella sporca dozzina”(’67) e “Che fine ha fatto Baby Jane?”(’62),dell’Aldrich più maturo, inserito in un’opera e un percorso filmico demolitorio e derisorio allo sbeffeggio più caustico, feroce, delle istituzioni, per le quali l’Aldrich di quegli anni mostrò tutto il suo più veemente, virulento, meravigliosamente ipertrofico, disincanto e disprezzo.
E qui in primis, confrontandosi con la prima e più importante comunità corporativa di servi dei padroni, la polizia. La “Thin Blue Line”, quel sottile confine divisorio che dovrebbe “ to serve and protected” dovrebbe, la società “sana” dal crimine…
Forse, solo insieme al molto simile e reciprocamente, molto stimato Peckinpah, c’era in quel periodo un regista comunque proveniente dal sistema hollywoodiano degli anni’50 e ’60 così visceralmente, e affascinantemente però contraddittorio, come Aldrich.
Una carriera quella di Aldrich, che in ogni genere affrontato e gli ha affrontati praticamente tutti, non ha mai accusato il benché minimo declino, e che anche con “I Ragazzi del coro” riuscì a realizzare un’opera unica, irripetibile e inconfondibile, del suo personalissimo style, addirittura in quello stesso anno finì la quasi contemporanea lavorazione di un vero e proprio capolavoro, solo di recente riconosciuto per il suo reale valore e coraggio profetico, il fantapolitico “Ultimi bagliori di un crepuscolo”(Twilight’s Last Gleaming)(’77).
Fantastico il numeroso e compositamente ineguagliabile, cast.
Con Charles Durning in uno dei suoi rari ruoli da protagonista, come al solito bravissimo, alla guida di una compagnia di attori irresistibili, compresi alcuni noti caratteristi della televisione degli anni’70 come Vic Tayback il cuoco della popolare serie “Alice”, bravissimo nel fare lo sbirro della buoncostume, lo “specialista” nel fare le checca di mezza età adescatore di froci nei gabinetti pubblici, Burt Young subito dopo Paulie di “Rocky”, semplicemente fantastico come detective umano e della sezione minorile, Don Stroud, Randy Quaid il fratello brutto ma bravissimo di Dennis (“L’Ultima Corveè”(The Last Detail)(’73)di Hal Ashby, con Jack Nicholson), Louis Gossett jr. prima dell’Oscar per il ruolo del Sgt. Istrut. di“Ufficiale e gentiluomo”, James Woods, Perry King il poliziotto a cui piace il bondage –strepitoso il personaggio della “professionista” per sadomasochisti, Clyde Kusatsu, Chick Sacci, Robert Webber, Charles Haid, Blair Brown di cui già avemmo parlato complimentosamente per “Chiamami aquila”, David Spielberg, George DiCenzo,Tim McIntire e chi più ne ha ne metta, tutti di alto livello.
Menzione ineludibile nel ricordo però al personaggio di McIntire/Roscoe Rules, poliziotto ottusissimo e violento, razzista e sessuomane/sessista, oltre che naturalmente, omofobico, il quale ci regala forse la più bella sequenza dell’intero film, e Aldrich a questo personaggio ne ha regalate molte.
Quando insieme al “partner” Perry “Riptide” King/Baxter Slate, si recano a “sedare” dei violenti disordini in un palazzo popolare di neri e portoricani.
Ovviamente, finiranno per essere giustamente massacrati di botte entrambi, dai portoricani e dai neri adesso insieme, tutto per colpa dei metodi a dir poco brutali e violenti di Roscoe Rules, che per affermare la propria belluina autorità strappa un baffo sanguinolento dalla faccia del capofamiglia portoricano (un tipo enorme e dall’incazzatissimo sudore all’aglio) davanti a tutti, credendo di poterlo fare per umiliarlo e sminuirlo agli occhi di tutti, dei suoi come dei neri.
Quello che in un crescendo di violenza parossistico e parodico insieme succede dopo, grazie all’esplosiva regia di Aldrich assume quasi un tono tra il crudo e il fracassone, il drammatico e lo sgangherato, momento perfetto ed epitomico di un film che vuole essere maudit, e riesce ad esserlo scientemente.
“Intervento esemplare” sarà l’unica cosa che riuscirà biascicando a profferire a mò di mesto sberleffo, il giovane collega a Rules, prima di perdere i sensi in attesa dell’ambulanza, con la faccia e la testa rotta a perdere copiosamente sangue.


Un film maledetto, che tra i primi, si addentra ad esplorare il disfacimento morale delle grandi città degli Stati Uniti come L.A., in piena “era” post-Vietnam.
E anche mostrandoci le “mine vaganti” che erano molti reduci traumatizzati, come nel film i personaggi dei due poliziotti, Don Stroud/Sam Lyles claustrofobico per trauma subito in guerra , e il suo collega James Woods/Harold Bloomguard.
Bellissimo tra l’altro l’inizio prima della sequenza dei titoli di testa, con i vietcong che gli cercano in una grotta con i lanciafiamme, e Woods con la mano premuta su Stroud in preda al terrore, nell’oscurità gli impedisce di fare rumore per un intero minuto. Origine del trauma che sarà all’origine della sua claustrofobia, sequenza a cui con uno stacco incredibile e improvviso fa seguito la sequenza dei titoli con la musica d’organo e un pugno guantato di pelle nera da uniforme di poliziotto sfonda la vetrata artistica colorata, a “quadro contro luce”, da chiesa.
E attacca “I’ve Been Working on the Railroad” riarrangiata dal grande Frank De Vol, compositore quasi fisso di Aldrich, per le colonne sonore.
Si tratta di un ritualistico coro maschile, che ben delinea quella che sarà la marcia e deviata “mascolinità” su cui è incentrato il film.
Ritualismo da “chierichetti” che come metaforizzava bene il romanzo, sarà poi praticato anche durante la loro appartenenza da Stroud e Woods come dagli altri, nel Corpo della Polizia di Los Angeles (la “mitizzata” L.A.P.D. di un’infinità di film e telefilm), nel quale sguazzeranno a modo loro in debosciati baccanali tra rancorose sbornie alcooliche a cascata, battone, colleghe-puttane, o colleghe nevrotiche e frustrate, e basta.
Fantastica la scena in cui Barbara Rhoades (“Senza palle”-nella letterale trad.italiana del suo “nomignolo”-Hadley) senza slip e con solo l’accappatoio addosso perché è appena uscita dalla piscina, si siede su di un tavolino da caffè di vetro trasparente, e Chuck Sacci (“Padre”-come fosse un prete-Sartino) (il Bluto Blutarski/John Belushi di “Animal House” del Dipartimento di Polizia) nascosto sotto al tavolino slurpa con le labbrone e la lingua al vetro in prossimità della vulva di lei.
Segue una volta scoperto ovviamente,–sarà anche per com’è brutto, e perennemente sbronzo e trasandato- reazione isterica e violenta di “Senza palle”Hadley…
La sequenza strepitosa in cui Durning/Balena Whalen (in originale “Spermwhale, Whalen”) e Perry King/Baxter Slate incastrano pistole alla mano il loro superiore stronzo George Di Cenzo/ Tenente Grimsley a letto in un motel a ore con una mignotta da loro ingaggiata.
O quando lo sbronzo e ancora più stronzissimo McIntire/Roscoe Rules viene ammanettato ad un albero del Griffith Park a Downtown, L.A., dove la “squadraccia” fa le sue “festicciole”notturne alla finedeil turno di servizio, tra una birra e una battona, tre battone e due birre.
Insomma, dicevamo, ammanettato a “bùo punzone” come si dice a Livorno, coi pantaloni abbassati e offrendo dilatato l’ano peloso, perché è stato talmente stronzo che ad uno scherzo dei suoi colleghi nemmeno più trucidone del solito, s’è messo a sparare con la pistola d’ordinanza rischiando di fare secco qualcuno.
Insomma, lasciato solo così non passerà di lì a poco la più macchiettistica delle checche da “cesso pubblico nel parco” che tanto piaceva a George Michael…?(proprio lui fu arrestato lì, mentre “provò” di “addescare” un poliziotto, Griffith Park, L.A.) Uno tutto vestito dalla giacchetta in giù di rosa, compreso –mi pare- il barboncino al suo guinzaglio, che incomincerà a concupirlo e volerlo “slusciare”, scosso dalla notturna occasione “offertagli” così lussuriosamente “vertiginosa”, per lui.
Reazione ovviamente imbelvita e trucidissima del nazistoide Rules, splendidamente comica, in quanto non può nulla perché ammanettato.
Poco prima tra l’altro, durante un “intervento”sempre lo stronzissimo e abbietto Rules aveva provocato il suicidio vero di una aspirante tale, una giovane ragazza di colore sconvolta, seduta sul bordo del tetto di un palazzo,
incominciando data la pericolosa frustrazione e rabbia repressa del personaggio, ad insultarla razzisticamente e sessualmente, pensando lui così di “smuoverla” e cogliendo anzi sicuramente, il tragico e agghiacciante effetto opposto.
Basterebbe citare com’è doveroso queste sequenze, per riuscire a restituire forse un minimo qual è il “marchio di fabbrica” aldrichiano di questo film, la demenza degradata di un pazzoide gruppo completamente al maschile, che non può avere propositi morali, e chi di loro ne ha, se ne ha, (come certamente in parte e alla sua maniera ma comunque avendoceli, per proteggere i “suoi” uomini e mettere così la sua prossima pensione in gioco,il personaggio di Durning/”Balena”Whalen) , è destinato irrimediabilmente alla sconfitta, perché si dovrà scontare con una morale “nazionale” ancor più depredata e degradata, nelle e dalle istituzioni, che dell’abuso hanno costituito “la” norma.
Qui, esemplarmente rappresentate/a dal Capo del Dipartimento Riggs (un sempre grande Robert Webber).
Quanto mai sempre attuale, o no…?
L’intento registico di Aldrich fu di demolire talmente l’istituzione dell’L.A.P.D. da far sì che Joseph Wambaugh, pur sempre un’ex poliziotto dello stesso Dipartimento e autore come detto dell’originale best seller (libro che vende bene, ancora oggi ogni anno nel mondo, insieme al sempre suo “The Onion’s Field”(Il Campo di cipolle), da cui fu tratto un altro bel film -non quanto quello di Aldrich, però-, diretto nel 1979 da Harold Becker, con protagonista uno splendido James Woods.); si dissociasse dall’adattamento a film del libro sganciandosi dalla sua lavorazione per poi rinnegare e citare addirittura in giudizio Aldrich, infatti la molta agiografia dell’L.A.P.D. presente nel libro ad uso e consumo degli stessi “ragazzi” ex-colleghi di Wambaugh non poteva che scontrarsi frontalmente con il “tocco” sprezzante e demolitorio, sublimemente “grossolano” di Aldrich, tant’è che dopo l’uscita del film Wambaugh accuserà Aldrich persino di “autoritarismo” nella realizzazione dell’opera, ma è innegabile che nonostante queste accuse e questi conflitti, nessuno meglio di Aldrich poteva individuare la vera angoscia che si celava dietro tutte quelle divise ritratte alla fine abbastanza agiograficamente da Wambaugh.
La pervasiva crudezza di tutto il film, che senza mezze misure (altro “forte” dell’Aldrich “post” “L’Imperatore del Nord”(The Emperor of the North Poole)(’73), probabilmente il suo capolavoro massimo, dei’70) ostenta alla “M*A*S*H*”, laddove nel capolavoro di Altman era quasi sempre “piacevole”, in “The Choirboys” al contrario è quasi sempre acre e appesantità di amara/e grevità.
Anche per ciò i punti di contatto , come film “precursore” dei film della serie di “Scuola di polizia” (seppur il primo [‘84]di Hugh Wilson, era un ottimo prodotto d’”evasione”fintamente “eversivo”) li possono vedere solo alcuni “dementi”, in quanto –e soprattutto-“I Ragazzi del coro” è veramente, e oggi ancor di più un film ideato concepito, e creato, per “battere il sistema” nell’unico modo forse possibile, con il delirio di personaggi alla fine da esso espulsi in quanto “spurghi”, come il grandissimo “Balena” Whalen/Charles Durning, mentre film come quelli di “Scuola di polizia” alla fin fine sono essi stessi parte di quel medesimo sistema. Non potranno mai “accodarsi” ad un film come quello di Aldrich, che le “file”, le “rompe”.
Non si può ma, che come spettatori, accodarsi all’irresistibile sghignazzante, drappello della “Sporca dozzina” dell’L.A.P.D., personaggi desolati dalla vita,(i “characters”di Burt Young, Charles Haid, Vic Tayback, Blair Brown) che devono abituarsi a “scorrere nella merda”, come da imbattibile battuta ad un suo superiore di “Balena”Whalen, durante il film …
-“Io so solo che la merda rotola in discesa, e noi, siamo esattamente in fondo ad una vallata”.-
Poi copiata, e ripresa da tutti, in altri film.
Napoleone Wilson

martedì 25 gennaio 2011

I viaggiatori della sera

35

Film di fantascienza "sociale". In un futuro non ben definito il mondo conduce un controllo totale sulla popolazione e ne gestisce il ciclo di vita. Gli anziani, raggiunta una certa età, devono obbligatoriamente recarsi in villaggi vacanze, luoghi senza ritorno, e lasciare spazio alle generazioni successive. I villaggi ovviamente non hanno capacità d'accoglienza infinita e hanno le loro buone regole di smaltimento.

Vedremo la partenza, il viaggio e la permanenza al villaggio di una coppia: Orso (Ugo Tognazzi) e Niky (Ornella Vanoni). Ad accompagnarli gli stessi figli, con annesso nipote, come prevedono le regole. La coppia contesta la situazioni, ha anche gli ultimi singulti di vita da hippy. Orso tenterà anche una fuga ma alla fine cederanno, non c'è proprio via di scampo. Il villaggio-carcere li accoglierà proprio come un all-inclusive di quelli attuali, tranne che da lì non si esce più se non per partecipare a delle "particolari" crociere. Finale da ribelli.

Il film è veramente modesto, privo di continuità tra le situazioni, quasi citazionista. Non so cos'altro ha fatto Tognazzi come regista e mi autocensuro da giudizi ulteriori, sarebbero impietosi verso la sua gloriosa carriera come attore. L'ho guardato per la curiosità della trama, tratta da un romanzo omonimo di Umberto Simonetta, che sottende non poche metafore. Anche se portato ai limiti, lo stile di vita che ritrae è un j'accuse complessivo non tanto verso il modo in cui viene trattata la terza età quanto la diffusa freddezza e cinismo che travolge sempre più spesso le relazioni umane. Espressioni troppo dirette fanno perdere però interesse, si vorrebbe capire meglio da sé il senso di quello che vedi, invece fa tutto il film e in modo puerile: ti mostra i fatti e te li spiega pure con dialoghi scontati.

Va be', rimane la curiosa storia, si può guardare per questo.
Poche scene di nudo bastarono per vietarlo ai 18, ora "declassato" ai 14... no comment.

Eccessivamente bassa a mio interessato parere, ma qua mi rivolgo all'autore del libro e non a Tognazzi, l'età dell'eutanasia forzata: 49 anni. Santidei, a me oggi rimarrebbero 4 anni prima delle "ferie"! Per non parlare di molti amici frequentatori del blog, veri e propri zombie. In "La Leggenda Di Narayama" (capolavoro!) almeno fino a 70anni si arrivava, e che diamine!

lunedì 24 gennaio 2011

Yatterman the movie - Yattaman il film

27

E' il film tratto da una serie manga, appunto Yattaman, di grandissimo successo perlomeno in Giappone non so dire altrove. Sono completamente fuori dai miei generi qui, ma non potevo perdermi l'ultima "fatica" dell'amatissimo Miike, mio regista di culto per eccellenza capace di tutto! Dal fantasy all'horror estremo passando per thriller, noir... nulla gli è precluso.

Gli Yattaman sono ragazzi eroi, una specie di Power Rangers con base nella bottega di un negozio di giocattoli dove curano i loro costumi ed armamenti, in particolare un grosso cane robot, lo YattaCan. Una volta la settimana (curiosa questa cadenza) sfidano in combattimento il Trio Drombo composto da 2 bizzarri bravacci al servizio della fascinosissima Doronjo (la vedete in locandina, Kyoko Fukada, donna da perdere la testa!). Dietro al Trio un perfido personaggio che si fa passare per il Dio dei Ladri.

Per farla breve: Yattaman e Trio si ritroveranno a combattere per conquistare i 4 pezzi necessari a ricostruire la pietra Dokrostone. Chi la possiederà intera acquisirà enormi poteri, potrà far sparire qualunque cosa, persino i giorni della settimana, il tempo, palazzi, nessun limite alla fantasia. Ovvio che i nostri eroi si opporranno a questo progetto. Il resto lo lascio scoprire con la visione, da voi in Italia dovrebbe uscire a breve e spero solo che non lo rovinino col doppiaggio (spassosissime le esclamazioni giapponesi) o peggio tagliando qualcosa.

Non so se per opera del magnifico cineasta o perché il manga già prevede ciò, fatto sta che pur in un film per bambini c'è una completezza di argomenti impensabile, non mancano infatti storie d'amore con tanto di allusioni sessuali seppure molto stigmatizzate. Regia, fotografia, montaggio, musiche, spesso con uno sguardo a film famosi come Indiana Jones o alcuni western, tutto è fantastico e se fossero sempre così i film per "bambini" ci sarebbe da correre spesso al cinema, per una volta coi genitori felici come i figli di farlo!

Mi preme sottolineare il fatto, al di là dell'immensa qualità del prodotto, che è un film divertentissimo per tutti. L'ho visto insieme ad uno dei miei figli, ci siamo scompisciati, talmente pieno com'è di battute e situazioni esilaranti non di rado grottesche e demenziali. Veramente sorprendente!

Subito tra i miei Cult, un godimento eccezionale da non perdere!
edit:
appena in tempo poco prima della pubblicazione...
leggo ora su wiki che: "Il 28 gennaio 2011 la versione doppiata e adattata per il pubblico italiano arriverà nelle sale cinematrografiche. Sarà inoltre, a detta della direttrice di doppiaggio in una intervista sull'adattamento presente sul sito New Bokan, censurato nella scena prima dell'esplosione della Virgin Roader e sarà doppiata abbassandone i toni.".
Ecco, come avevo predetto, ma non era difficile... bocca mia statte zitta altrimenti partono strali di fuoco tali che mando anche il blog in autocombustione!

domenica 23 gennaio 2011

Sette note in nero

14

Una donna inglese è fresca sposa di un ricco possidente in Toscana. Ha poteri paranormali, delle visioni di accadimenti, sin da bambina. In un casolare del marito che vuole ristrutturare scoprirà un cadavere in un muro proprio a seguito di una visione, ma è una visione del passato o di possibili eventi futuri? La salverà un orologio da polso con carillon...

Film importantissimo (pare) per Fulci, amato da Tarantino e con remake di altri. Eppure, in senso buono, potrei liquidarlo brevemente: bello ed intenso; giallo e thriller con sapienti tocchi gore; trama studiatissima a tavolino per i tempi dei colpi di scena; inversioni di rotta su chi e perché è il colpevole precise.

E' stata una visione di puro godimento, senza menate, senza effetti particolari o acrobazie di macchina da presa o di fotografia. Nei film precedenti ho visto di meglio su tutti i fronti, ma ha Qualcosa che forse solo un superesperto di Cinema può spiegare, o un esperto di gialli. Fatto sta che per quel Qualcosa si rimane incollati al video, tesi ed attenti e se si interrompe un attimo la visione è solo per il bisogno di tirare il fiato.

Il più baviano dei film di Fulci sinora visti.
Poche chiacchiere e tanti fatti il mio amato Fulci, come Bava. Questa rece per coerenza la chiudo qui, tranne per qualche frame, le immagini parlano meglio delle parole.

sabato 22 gennaio 2011

The Steel Helmet - Corea in fiamme

21

1951, Samuel Fuller.

Primo film di guerra di colui che è poi diventato tra i registi di riferimento del genere, un Vero Maestro. Indimenticabile la visione de "Il Grande Uno Rosso". 
Tra questo ed il capolavoro citato passano 29 anni. La distanza in termini di budget è ancora più consistente, anche rapportata alla svalutazione. Qua siamo al cospetto di un film bianco e nero estremamente scarno, sia per mezzi che per ambientazione scenografica. Si parla di guerra ma di battaglie, e senza particolari eccessi, se ne vedrà una sola nel finale; per il resto piccoli combattimenti, schermaglie, e diversi dialoghi.

Anche qua l'accento è sul tormento umano di chi si trova a vivere una condizione da combattente come scontata, inevitabile. Un soldato, che ambisce a diventare pastore al ritorno in patria, dirà che è lì perché è necessario esserci, una frase che mi ha colpito. Storia sul "male di vivere", questo piccolo manipolo di soldati è estremamente isolato per quasi tutto il film. Solo la morte di un bambino toccherà nell'intimo uno dei protagonisti, il famoso sergente Zack, mentre ogni altra vittima è salutata con freddezza. Un momento su tutti: uno degli uomini salta in aria su una trappola e Zack chiede subito se la vittima indossava lo zainetto con all'interno una scatola di sigari che a lui interessava.

Intimo, cinico, con atmosfere buie e nebbiose che isolano in un microcosmo. Gli uomini sono così oppure, se vogliamo essere benevoli, lo possono facilmente diventare. Se vogliamo ancora, più socraticamente diciamo che emerge questa "natura umana" che in condizioni di pace risulta, nei più, essere latente. Molti di loro arrivano ancora caldi dal fronte della seconda guerra mondiale, come Zack, che in quel contesto è una divinità ed ha fama quasi da immortale. E' fin evidente che per lui un ritorno alla vita civile sarà pressoché impossibile, diventato com'è un "deus ex machina" da guerra.

La grande firma di Fuller, che accomuna i 2 film, è quel Silenzio Assoluto rotto solo dai rumori necessari. Lo si "sente" violento non solo nei momenti di riposo ma anche e soprattutto nei combattimenti. Possono sembrare surreali eppure secondo me sono di grande realismo, evidenziano le emotività dei protagonisti in modo netto.

Tra i miei Cult anche per motivi di contenuto (vedi commenti ai frame) che vanno valutati alla stregua dell'anno di uscita di questo film, e sotto questo aspetto siamo a livelli d'eccellenza. Nel 1951 gli Stati Uniti erano nel pieno della guerra in Corea (1950-53) e farne un film, proprio quell'anno, con anche il maccartismo in pieno fulgore, voleva dire avere attributi veramente notevoli! Ho letto che ai tempi fu tacciato in Europa di anticomunismo e robe simili. Chissà, qualcuno avrà forse fin pensato fosse un'apologia dei soldati americani, già che c'erano.
Non biasimo nessuno, 60anni fa forse anch'io avrei detto cose simili, erano altri tempi. Oggi è più facile dire che erano congetture inconsistenti. Certo, qualche piccola concessione all'eroismo dei soldati americani non era proprio evitabile, e perché evitarla poi? I soldati, che come sempre sono per la maggior parte gente del popolo, veramente andavano lì a rischiare la pelle! A me è sembrato un film estremamente anti-bellico, persino rispettoso dei coreani, trattati con dignità e in quegli anni non era cosa scontata.

Visione consigliatissima.

venerdì 21 gennaio 2011

Porcile

18
1969, Pier Paolo Pasolini.

2 vicende apparentemente slegate si alternano fino a fondersi nel finale. Da una parte un ambiente glabro, vulcanico (scene girate sull'Etna), nel medioevo. Dall'altra un contesto contemporaneo, una ricchissima famiglia tedesca.

Nel medioevo un giovane soldato incontra diverse persone e situazioni. Nessuno parla, breve eccezione nel finale. Fenomeni di cannibalismo, sacrifici a divinità.
La famiglia tedesca ha un figlio che manifesta comportamenti incomprensibili, come la difficoltà ad innamorarsi della giovane figlia di altri industriali. Ama moltissimo i maiali.

Si capisce che non c'ho capito un beato pene?
Non è del tutto vero eh, ma è il modo in cui il messaggio arriva, il simbolismo estremo ad avermi reso il film criptico. Per me forma e sostanza non sono scissi.
Se mi metto lì ad analizzare uno ad uno tutti i dialoghi letteralmente (a parte i trallallero trallallà, che proprio...) va bene tutto, ma che c'entrano coi cannibali medioevali non saprei dirlo, perché recitano con quel parlare da scemi nemmeno, con quelle esclamazioni infantili. Non c'è una situazione "normale" che sia una, tutto è totalmente estraneo alla realtà. Da Pasolini non mi aspetto cose "normali" però accidenti, mi sono venute 2 sacche! Non è il Cinema, arte anche complessa ma popolare, che mi piace e mi diverte sempre. Mi duole dirlo ma è la verità, film troppo distante e lontano dalla gente comune che egli ama ed ha amato ritrarre. Avrei voluto vede' la gente de' borgata che m'è affine al cine, dopo la visione de 'sta robba... a voja le pernacchie che volavano!

Ho chiesto all'amica Petrolio (al secolo Milena) un contributo per questo film, da alcuni considerato il capolavoro di Pasolini; l'avevo chiesto prima di vederlo, non pensavo diventasse così essenziale per me.
Ecco il suo testo:

M'affaccio. Il letto è sfatto. Ho scostato appena il lenzuolo. S'avvertiva un fetore insopportabile. Ma non ne scorgo l'origine. È ancora intenso. Sudore e brividi. Paradosso e delirio. Capogiro. M'appoggio alla testiera. Ma scivolo in basso. Assurdo; annaspo, affondo e non riesco ad aggrapparmi ché non ho più le mie dita. Tu ti sporgi e mi guardi stupito e divertito: afferrati, ti tiro sù. A cosa ti servono? - grugnisci - a morsi sarei capace di staccarti un braccio. Io non obbedisco. Non voglio. Né ascoltarti, né tanto meno fidarmi. Ho la nausea, ma continuo a nutrirmi di sussurri estenuanti e strazianti dubbi. In gran segreto. Mi nascondi. Inconfessabile propensione al sudiciume. Io ne sarei affetto? Al tuo pari? Né diverso, né copia. Ma io voglio vivere, padre. Lasciami vivere. Lascia… Vuoi che diventi come te: maschera di dolore e di godimento, sei divorato da sporche pulsioni e gemi, e urli, ti rotoli selvaggio e mai pago. Non mi avrà, né mi avrete. Né vivo, né morto. Io lo detronizzerò. Mi ribellerò alla sorte sua. Me ne ha lasciato i segni. Li custodisce nel cassetto, insieme a fango e letame, li tirerò fuori, e li condirò, e li darò in pasto insieme a me… né sveglio, né vinto.
Chissà mai qual è la verità dei sogni
oltre a quella di renderci ansiosi della verità.


Ecco, già con questo le cose si chiariscono parecchio! si fa per dire... Poi uno si chiede perché Milena ha un nick che richiama Pasolini! Niente, il pene continua a raffigurare al meglio la mia comprensione del film.

Tutto questo Milena me lo ha inviato prima che io vedessi il film, era il 4 Gennaio.
Oggi (14.1.11) le ho scritto dicendole appunto "guarda, mi spiace, ma non l'ho capito..." anche perché mi rattristava averla coinvolta proprio in un film che non mi aveva preso, e lei che è persona di rara squisitezza mi ha risposto con questa mail:
... a dir la verità è uno dei film di Paso che ho rivisto ben 15 volte da quando c'è BungonDeBungoni… pensa te! Non volevo sbagliarmi a giudicarlo uno dei porci di cui parla il film (chiedendo scusa a loro). Non so, a me fa l'effetto opposto, ho paura di avere a disposizione talmente tanti significati che chiedo a me stessa: ma sei sicura, non è che stai esagerando? :)))) Ed è, essendo io una grande appassionata di teatro, una delle trame di Paso scritta proprio per il teatro e infatti tempo fa ho visto un meraviglioso spettacolo in cui si traspone il film… Oggi come oggi è uno dei film più crudi e allo stesso tempo ben innestati nella realtà quotidiana: un giovane che non riesce a decidersi, se confessare il suo segreto, se opporsi alla borghesia tanto odiata, se uccidere il simbolo della borghesia, suo padre, se… se… se… ma non farà nulla di tutto ciò, non confesserà, né si opporrà, né ucciderà, né fuggirà, né… né… né… ambiguità e doppia, tripla, quadrupla identità, dolcezza e struggente addio alla ragazza che lo ama e non riamata va via… uno stupendo monologo, il pezzo teatrale più drammatico e sanguinante che io abbia mai sentito! Ma prima di tutto per me questo film è socialmente utile, in una situazione come la nostra, c'è l'eterna contrapposizione tra l'ideale e l'indifferenza e il conformismo, l'inerzia e l'impegno politico, il latente principio di bestialità nazista e la voglia di combatterlo. Ed è per questo che Paso nomina spesso Grosz artista che nei suoi dipinti ispirati all'iconografia popolare e riprendeva allo stesso tempo stili del passato… guardando le sue opere fiaba-apocalisse nelle quali ritraeva la società del dopoguerra tedesco io ci vedo molto della nostra… un gran letamaio e tanti porci che ci sguazzano.

Ecco, grandi lodi a Milena-Petrolio, gratitudine e ammirazione infinita per lei. Solo mio conio "BungonDeBungoni", onomatopeica variante del nome d'un intuibile stomachevole personaggio che nei miei blog è assolutamente innominabile.

Da vedere.
Solo di una cosa ho certezza: un giudizio "moderato" per un film del genere è impossibile.

p.s. del 17.1.11
E' curiosa questa rece, la rileggevo ora.
Avrei anche potuto fare "il figo", leggere ed accumulare opinioni a destra e a manca per scrivere un articolone da dottorone, ma il principio base con cui è nato il blog m'ha portato a esporre quello che ho pensato al termine della visione. Come sempre, anzitutto le sensazioni, il piacere della visione, come uno che va al cinema, esce e comincia a pensarci su.
Ciononostante, parlare in termini non lusinghieri di un film di Pasolini mi faceva veramente star male, provavo imbarazzo, e vergogna. Siamo soli solo se vogliamo esserlo; ho chiesto e Milena m'ha aiutato. Uno dei post più brutti che mi preparavo a pubblicare è diventato, per me, uno degli Indimenticabili.
Bellissima questa cosa, ed istruttiva. Mi piace tantissimo la parola Istruttiva.

giovedì 20 gennaio 2011

Chariots of Fire - Momenti di gloria

30

Quest'anno ricorrono 30 anni dall'uscita di questo Capolavoro come giustamente il prezioso amico Napoleone Wilson mi ha ricordato; siccome non l'avevo mai visto per intero m'è sembrata occasione opportuna di provvedere finalmente.

Siamo in Inghilterra appena dopo la fine della prima guerra mondiale. Alla prestigiosa università di Cambridge, frequentata dai più ricchi rampolli d'Albione, la pratica dello sport è anch'essa storicamente fiore all'occhiello (e lo è tuttora, perlomeno lo era ancora nel 1984, anno che l'ho visitata personalmente). E' qui che si iscrive Harold Abrahams, di origini ebraiche, ottimo velocista. Eric Liddell ha ancora più talento naturale di Harold, pastore protestante frequenta l'università di Edimburgo, nazionale di rugby scozzese ma in atletica gareggerà, come avviene anche oggi alle olimpiadi, col Regno Unito. Saranno i 2 principali protagonisti, all'inizio sportivamente rivali. Alle Olimpiadi di Parigi del 1924 arriveranno come sfidanti dei velocisti americani, dominatori incontrastati del tempo sulle brevi distanze.

Evito di entrare troppo in dettaglio nella trama, una storia di fatica, lavoro, determinazione, molto formativa senza scadere nella retorica. Se l'avete visto è inutile farlo e se invece non l'avete visto, come me fino a ieri, Dovete assolutamente provvedere. Pur con qualche piccola concessione narrativa, riporta una storia vera, molto interessante, con una fotografia ed una ricostruzione storica bellissime. Luoghi, costumi, tutto è fatto con rigore. La colonna sonora di Vangelis poi, che ascolto da sempre, è celebre forse anche più del film stesso: musica elettronica con richiami alle melodie dell'epoca restando moderna, un vero colpo di genio che ha messo d'accordo tutti, sia i musicofili più raffinati che i grezzi da taverna come chi scrive.

Diverse le cose che mi hanno colpito, ed anche istruito.
Anzitutto la figura di Eric Liddell. Grandissimo talento, è un uomo dai principi religiosi ferrei che applica con buon senso, ma su una cosa non transige: la Domenica è dedicata al Signore quindi non si lavora né gareggia né si svolge alcuna attività secolare. In nome di questo rinuncerà ad alcune gare delle olimpiadi che si svolgono in quel giorno, dove aveva pur ottime opportunità, senza cedere alle pressioni di nessuno, compresi i reali del suo paese. Adesso non entro nel merito del dettame religioso in sé, non è questo che m'importa, ma non ho potuto evitare di ammirare la decisione e la forza morale dell'uomo. Subì attacchi anche dalla stampa ma restò inflessibile, e sereno. Pur avendo derogato in nome dello sport a diverse cose quella della Domenica era troppo, lo avrebbe privato di coerenza e dignità. In fondo terminate le gare sarebbe tornato alla vita di tutti i giorni, ma con che faccia? Fa pensare, in questi tempi di degrado morale vomitevole di molti personaggi pubblici è veramente ammirevole.
Molto diverso il discorso di Harold Abrahams, che vede nella corsa anche una forma di rivalsa delle tante, piccole magari ma frequenti, pregiudiziali che subisce a causa del suo essere ebreo. Qua l'aspetto notevole è ancora la determinazione, ma non dettata da una vocazione religiosa bensì da uno spirito indomito, che non vuole perdere mai. Non è un arrivismo becero, anzi! Pagherà un allenatore personale (tra l'altro di origini italiane ed arabe) e contro tutti si metterà a lavorare su se stesso con professionalità, curando la tecnica: insomma, lavoro ed intelligenza "laica" per arrivare ad uno scopo. Altra ammirazione da parte mia.
L'amicizia finale dei 2, il portarsi reciprocamente complimenti ed in trionfo... quanto vorremmo vedere sempre, nello sport, scene di questo genere?

Senza nulla togliere al film, mi ha ispirato una riflessione che non posso proprio trattenere.
Soprattutto con Harold, come con altri di Cambridge, ci si rende conto che praticare lo sport era ai tempi un privilegio, diciamo anche questo va'! Il film lo mostra benissimo, basta notarlo senza farsi troppo incantare dalla bellezza del tutto, e senza dimenticare che al mondo la maggior parte della gente, soprattutto allora, era povera anche nel blasonato vecchio continente. Scena clamorosa: un giovane che si allena nel parco di famiglia agli ostacoli, e per controllare di riuscire a saltarli senza nemmeno sfiorarli farà mettere su ognuno di loro una coppa di champagne colma per poi verificarne il contenuto dopo la corsa. Dimmi te! Certo, lo sport dilettantistico era "nobile" sì, ma proprio in tutti i sensi. Harold si pagò l'allenatore di tasca sua come detto.
Per quanto si possa criticare lo sport odierno, con tutti i suoi problemi di doping, commercio, ecc..., non si può negare che nei paesi mediamente sviluppati è attività alla portata di tutti. Chiaro che mi riferisco agli sport di più pura essenza, di fatica: per correre ci vuole gamba, cuore, polmoni e cervello, non soldi e volendo manco le scarpe sono indispensabili. Ci vuole anche tempo libero, ma qua il discorso s'allunga troppo.

mercoledì 19 gennaio 2011

Roma violenta

21

Obbligatorio mettere tra i Cult il film campione d'incassi al botteghino del genere poliziottesco: 2.750.000.000 lire nel 1975. E' anche il film che vede protagonista, per la prima volta, l'ormai famoso Commissario Betti, con attore un'icona del genere, Maurizio Merli.

Subito sui titoli di testa una rapina su un bus dei servizi pubblici, e ci scappa il morto, un ragazzo giovanissimo. Arriva Betti, uno che ha a cuore la giustizia e non può tollerare che carte bollate ed avvocatucci, insieme a magistrati pignoli con la legge, gli impediscano di punire i criminali: se può arrestarli bene, altrimenti spara. Grazie alle "squadre speciali", agenti scelti che agiscono in borghese come infiltrati nella malavita e fanno da informatori, troverà il filone giusto, e saranno mazzate!

Poi ancora scippi con feriti, rapina al supermercato con morto e fuga con ostaggio, fino alla scena leggendaria del film. Durante un pedinamento l'osservato entra in banca per una rapina, Betti interviene con un agente speciale, sparatoria, morti, lo speciale ferito gravemente ma Betti non ci pensa su, sale sull'Alfa Giulia all'inseguimento della BMW in fuga. Emozionante è dire poco, poi ne parlo nei frame sotto. Gli costerà caro; causa anche la sua fama di giustiziere "alla callaghan" verrà dimissionato per "comportamento non consono" e a noi pubblico girano i carmeli: tifiamo per lui. Finirà, con qualche titubanza, in un corpo volontario di vigilantes finanziato da commercianti e professionisti per proteggere il loro quartiere, e giù botte ancora, poi vendette, ritorsioni...

Film d'Azione, nitido e inattaccabile da ogni speculazione politica, filosofica o sociale: le si faccia pure se si vuole, a lui non danno né tolgono nulla. Bellissimo, di grande svago, gente tosta da una parte e dall'altra. Malavita romana di piccolo e medio cabotaggio dal grilletto facile, difficoltà enormi per la polizia di fronteggiarla con mezzi ortodossi. Tutto qua e tanto spettacolo.

Solo una cosa, che m'è piaciuta moltissimo: l'idea dei vigilantes, della giustizia fai da te, non passa anche se a lungo ho dubitato venisse quasi giustificata. Niente, mi spiace legaioli e squadraioli dei nostri giorni, ma proprio non passa e nel film troverete spiegazioni perfette al perché. Curiosamente, giuro non l'ho fatto di proposito, è di pochi giorni fa la recensione dello splendido "Vigilante", ma non facciamo paragoni impropri sullo sprone alla "giustizia fai da te" tra i 2 film: qua è iniziativa di commercianti e professionisti con al soldo altri professionisti, là è un movimento volontario che parte dal basso, ma poi sono diversissimi i contesti sociali in cui questo avviene... Non mi dilungo oltre.

p.s.: Marino Girolami è il vero nome del regista. Franco Martinelli/Frank Martin è uno pseudonimo.

martedì 18 gennaio 2011

In the Mouth of Madness - Il seme della follia

30

Parte con il ricovero coatto in un ospedale psichiatrico di un uomo che suscita molto interesse dai medici. E' come in preda a delle visioni e quando alla fine si calmerà, nella sua camera d'isolamento, la riempirà di disegni di croci, come anche il suo corpo.

L'intero film prima del finale è un flashback. L'uomo si chiama Trent, era un investigatore che lavorava per stanare frodi alle assicurazioni. Viene chiamato da una casa editrice, quella che pubblica i libri di Sutter Cane, fenomeno editoriale del momento, genere horror che conta un'infinità di seguaci, alcuni di loro sembrano come ipnotizzati da quei libri, uno di questi aveva assalito Trent, prima che prendesse l'incarico, in modo apparentemente inspiegabile.
Lo scrittore è scomparso, proprio mentre l'editore ha promesso l'uscita dell'ultimo romanzo, appunto "In the Mouth of Madness", e Trent andrà alla sua ricerca insieme alla redattrice Linda. Finiranno in una località che non esiste sulle cartine, Hobb's End, che però è perfettamente descritta nell'ultimo libro di Cane, quello che deve ancora uscire...

Tensione dal primo all'ultimo istante, un grandissimo Carpenter che, mi pare, per una volta ha avuto a disposizione anche discreti mezzi, non mancano effetti speciali e i mostri sono di buona fattura. L'arrivo ad Hobb's End sarà il definitivo ingresso di Trent nel romanzo di Cane, cesserà il rimbalzare dalla realtà al romanzo. Trent diventerà un personaggio nelle mani dello scrittore. Il finale è molto carpenteriano, una storia che va ad influenzare tutta l'umanità, con una sorpresa (che non posso spoilerare) che fa molto riflettere e fa perdere letteralmente il senso della realtà.

Non saprei dire dell'originalità del film in termini assoluti. Io è la prima volta che vedo una simile forma narrativa e mi è sembrata veramente geniale. Viene portata alle estreme conseguenze quella che può essere l'immedesimazione di un lettore con un libro; fenomeno piacevolissimo in sé, quando leggo un romanzo mi piace "entrare" quasi fisicamente nella storia, solo che qua il confine fisico tra realtà ed immaginazione viene abbattuto.

Fantascientifica e satirica la prospettiva che i romanzi di uno scrittore possano plagiare grandi masse fino a creare una sorta di pazzia collettiva. Attenzione, ripeto, al finale.
Mi è scappata una risata al pensiero che possa accadere una cosa simile, magari qua da noi, vista la media libri pro capite letti, ma a parte questa battuta non mancano, sempre qua da noi, momenti di delirio collettivo per un libro, pensate alle resse in libreria, almeno fino a qualche anno fa, per le saghe di maghetti che qua nel blog non è nemmeno ammesso nominare!

Al di là di significati più o meno reconditi, è un film intenso e spettacolare, decisamente da mettere in carnet.

lunedì 17 gennaio 2011

Girolimoni, il mostro di Roma

23

Olimpo tra i più obbligatori! Un film che contiene, nella "piccola" Storia Vera di Gino Girolimoni, una grandissima quantità di spunti sulla storia d'italia del tristemente noto ventennio fascista, fino ad uno splendido finale intorno al 1961, anno della morte di questo personaggio che voleva essere anonimo e gli eventi costrinsero a diventare Qualcuno.

Damiani mi perdonerà se mi limito a dire che il film è bellissimo, anzi di più!, girato meravigliosamente e con un'interpretazione di Nino Manfredi memorabile, e non solo lui, tutti bravissimi gli attori. Preferisco parlare della storia, così tragicamente bella e coinvolgente, anche grazie al grande regista che l'ha riprodotta realisticamente, con fedeltà e solo un dettaglio è ipotetico, non riportato da wiki ma giustificato da altre fonti, desumibile dalle indagini.

Girolimoni, figlio di enneenne, era un giovane uomo single diremmo oggi, fotografo lavorava in proprio e se la passava più che bene, possedeva persino un'auto, cosa non da tutti nel 1926. Dopo una serie di delitti orribili, violenza carnale e quasi sempre omicidio, ai danni di bambine piccolissime tra gli 1 e i 5 anni il duce, che non può ammettere una cosa simile, decide che Deve essere trovato il colpevole e i suoi tirapiedi trasformano "il" in "un" (era sottinteso) mettendo insieme un castello d'improbabili indizi uniti a testimonianze palesemente false di bambini, dementi ed altri palesemente interessati solo ai soldi della taglia. Come ben detto nel film, c'era di mezzo l'onore del governo, le promozioni dei tirapiedi e soprattutto la ferma volontà di ripristinare la pena di morte in italia, cosa che poi avvenne, pena a furor di popolo per fatti di cronaca come quelli, che poi doveva servire al dittatore per liberarsi dei dissidenti. Notizie a piena prima pagina dopo l'assurda incriminazione, trafiletti invisibili 11 mesi dopo quando venne liberato di nascosto. Parole del duce (che di trovare il vero colpevole se ne impippava): Girolimoni è stato Uomo-Notizia, ha svolto il suo ruolo prima, ora il suo ruolo doveva essere "scomparire"; divieto assoluto di parlarne sui giornali, tutti indistintamente da lui pilotati. Quando uscì il povero Gino trovò solo terra bruciata, nessun indennizzo, provò a cambiar cognome ma avrebbe dovuto cambiare continente. Girolimoni nel frattempo era diventato sostantivo ed aggettivo, pare che a Roma qualcuno lo usi ancora in tal guisa, una condanna a vita.
Indagini successive portarono seri indizi a carico di un prete straniero che viveva a Roma (ma tu pensa...) però l'ipotesi che fosse qualcuno che vivesse vicinissimo ad alcune vittime è quella proposta dal film, e qua siamo sull'ipotetico che dicevo: un giovane protetto da amicizie e parentele mentalmente deviato. Una delle vittime porta decisamente in quella direzione, mentre le altre sono più casuali ma compatibili.

Ci sono diversi film che parlano di "errori giudiziari", ne ho visti recentemente di importanti. "Detenuto in attesa di giudizio" è proprio errore nel senso più puro del termine. "Sbatti il mostro in prima pagina" già è più affine a questo, c'è l'uso indiscriminato del giornale ma è una vicenda che, pur influenzata dalla politica, è circoscritta ad un solo quotidiano e molto pilotata dall'ambizione di un capo redattore, inoltre è solo ispirato da fatti di cronaca. Qua invece siamo di fronte a avvenimenti realmente accaduti, molto gravi quelli di cronaca, gravissimi quelli giudiziari volutamente e forzatamente falsati, una giustizia totalmente pilotata dalla politica e la diffamazione a mezzo stampa è l'ultima, fatale, goccia che fa esondare il dramma.

La parola "incredibile" stona, oggi di fatti come questo ne conosciamo molti e sono avvenuti nelle dittature come nelle democrazie, un esempio su tutti, Sacco e Vanzetti, per citare un altro ottimo film che ho visto. Non di meno il film è terribile, così come il coraggio e la dignità di Gino Girolimoni suscitano ammirazione e sdegno per le infamità da lui subite.

Ancora encomio a Damiano Damiani e a Nino Manfredi per aver in questo modo, con l'arte popolare d'eccellenza che è il Cinema, contribuito non solo a riabilitare il buon Gino Girolimoni ma ad evidenziare, perlomeno moralmente, i veri colpevoli di quanto è accaduto a lui, che ebbero anche la grave colpa di non trovare poi il vero assassino.

domenica 16 gennaio 2011

Vigilante

18

Il Bronx è un quartiere invivibile, infestato di droga, criminalità e violenza brutale. Un gruppo di cittadini, per lo più ex poliziotti, si organizza per sopperire alla mancanza di sicurezza e giustizia, fare in proprio quello che per vie legali è impossibile ottenere.

Marino ha una bella famiglia, moglie e un figlio piccolo. E' al lavoro mentre lei interviene per difendere un benzinaio dalle prepotenze di una banda, un gesto che le costerà caro: questi andranno a casa sua, mentre il marito non c'è, la ridurranno in fin di vita ed uccideranno il figlio. Dopo un processo farsa sarà Marino e non il capo della banda a finire in prigione, un mese per oltraggio alla corte e le prigioni, si sa, per le brave persone non sono posti proprio indicati da frequentare...

Il nostro protagonista uscirà piuttosto nervosetto dal carcere e andrà a trovare gli amici vigilante che già prima avevano cercato di convincerlo ad operare con loro, ma prima lui credeva fermamente nella legge e nel diritto. Ha cambiato idea, la guerra ha inizio e nessuno dei colpevoli dell'ingiustizia subita, a nessun livello, deve scampare.

Un plot semplice, storia di vendetta e giustizia fai da te. M'è piaciuto per il suo fascino, duro e concreto privo d'inutili estetismi, tipico dei film di quegli anni anche se non è tra i più noti. Musica e scelte fotografiche molto carpenteriane tanto da sembrare un film del grande regista.

Un filone, quello dei Giustizieri, che ha riscosso sempre un discreto successo e che ti fa sempre un po' combattere interiormente sulla questione: è giusto o meno quello che fanno? Non è mica tanto semplice rispondere, perlomeno pensando al film, perché se vedo degli invasati in camicia nera o verde organizzare delle improbabili ronde mi viene da ridere e piangere a un tempo e non ho dubbi, vade retro!, ma qua la situazione, le condizioni, l'assenza di ogni motivo di genere politico o peggio ancora razziale, ti mostra questi uomini in una luce diversa, sono disperati che non vogliono soccombere ad una violenza che parte nelle strade e prosegue nelle istituzioni. Emblematico il momento in cui il nero a capo dei vigilante spiega bene un concetto fondamentale: quella gente non si evita scappando in campagna o nelle montagne, prima o poi arriverà anche lì. Visione che mi sento di sottoscrivere.

Forse solo per amanti del genere, ma è un film d'azione vecchia maniera, con belle atmosfere, che può piacere a tutti. Per gli onnivori come me è da non perdere.

sabato 15 gennaio 2011

Signori, in carrozza!

6

Altra pietra miliare della coppia Aldo Fabrizi e Peppino de Filippo. Stavolta Aldo è un conduttore di vagoni letto che fanno la spola tra Roma e Parigi mentre Peppino fa il mantenuto a casa sua, fratello della moglie, scroccone e pure ladro all'occorrenza.

Si scoprirà presto che Fabrizi ha una doppia vita con doppia famiglia, una a Roma con la moglie regolarmente sposata, ed un'altra a Parigi, dove ha un'altra donna e pure una figlia (non ho ben capito se sua o di primo letto di lei). Gli verrà offerto di passare, dopo tanti anni di treno, ad un posto in ufficio; dovrà scegliere se a Roma o a Parigi. Sceglierà Parigi, la ama di più, peccato che Peppino, che è in fuga da creditori agguerriti, come una zecca lo seguirà fin lì...

Commedia d'equivoci, con molte gag divertenti, ma non è certo il capolavoro a cui hanno partecipato i 2 illustri protagonisti. Confesso che mi aspettavo di più, la consiglio solo se siete fan di entrambi come me. Molto interessante il tema trattato per i tempi, c'è una sostanziale bigamia in gioco, roba da far storcere il naso non poco ai bigotti moralisti di cui mai la madre fu sterile da noi. Forse anche per questo ho un residuo di delusione; alla commedia potevano essere aggiunti aspetti drammatici importanti nel finale, pur facendo felice quella ignobile categoria di persone citata, realizzando così un film completo a tutto tondo, e Fabrizi ne sarebbe stato degno interprete, ne sono convintissimo! Invece il finale stempera e degrada ancora sulla gag, riposiziona il tutto sulla "semplice" commedia.
Si poteva fare molto meglio, sicuramente, anche allora.

Ho detto "pietra miliare" all'inizio solo perché Fabrizi è diventato un'icona anche nel cabaret come uomo in divisa da ferroviere o tramviere, aveva sicuramente un affetto particolare per questi mestieri anche se non ne conosco le reali ragioni, probabilmente legate alle sue popolari origini. Chissà, se non avesse fatto l'attore forse avrebbe tentato quella carriera, fortunatamente non è stato necessario. E' stato il mio motivo sprone per vederlo.

Io con l'occasione consiglio uno splendido film, attinente solo per la professione ritratta, questo veramente imperdibile (è una rece vecchia, un po' miserrima): "Il Ferroviere" di Pietro Germi.

venerdì 14 gennaio 2011

Cabaret

24

Gli americani nel musical, più ancora che per altri generi, sono a mio parere imbattibili (dissi la stessa cosa più o meno dopo la splendida visione di Chicago). Capolavoro da Olimpo con Lode di dei e semidei in seduta plenaria, bellezza di immagini e musiche senza tempo. Ma c'è anche una storia dietro, non è "solo" show di musica e balletti...
La carissima amica mod, che ama questo film, m'ha concesso d'intervistarla a riguardo: è la migliore recensione che poteva capitarmi di proporre. Sedetevi comodi...

robydick
Una show-girl di origini americane capricciosa e d'infantile vitalità; uno studente inglese sessualmente incerto; un conte tedesco disimpegnato; un'affascinante e ricca ebrea; un cacciatore di dote. Sullo sfondo gli spettacoli del Kit-Kat, un locale trasgressivo nella Berlino di Weimar del 1931, durante l'ascesa del nazismo. Qual'è il trait d'union, se c'è? Oppure, per dirla con altre parole, quale "umanità" si vuole evidenziare con questi personaggi?
mod
ma è ovvio: sono tutti gli "outlaw", visti come tali dalla borghesia ben pensante - quella che rende possibile il pensiero fascista in tutte le epoche (oggi più che mai). tutti i personaggi sono estremamente affascinanti, liberi da ogni vincolo morale, puri, se vogliamo da qualunque inquinamento bigotto, belli, poveri ma con del talento oppure ricchi sfondati e totalmente decadenti. Se il film avesse avuto un seguito li avremmo ritrovati tutti in un campo di concentramento. magri, torturati ed impauriti - ma sempre con lo stesso talento, la stessa poesia e grazia. Insomma è un po' il Leitmotiv del film: la bellezza la puoi umiliare ma non la puoi uccidere.
Sally Boles anche in un lager sarebbe riuscita a rimediare un po' di smalto verde per le sue unghie!



robydick
Il Kit-Kat sembra voler essere un'oasi di libertà in un mondo che va irrigidendosi, pare evidenziare il contrasto tra ciò che le persone sono realmente prese individualmente e ciò che sono collettivamente nel sociale. Il film, e questa è una delle critiche possibili, pare andarci troppo leggero sul tema del nazismo, pur mostrandone a più riprese la faccia violenta e intollerante (l'uomo ucciso per strada, i canti patriottici in campagna, i nazisti tra il pubblico nel finale, altre...). Curioso che un altro musical famosissimo, uscito solo 1 anno prima, tratti anch'esso un periodo storico pieno di violenze: "Il violinista sul tetto". Altra nota su cui vorrei un tuo parere: ho trovato eccezionale il balletto col passo dell'oca, una satira allegra ma diretta, che ne pensi?
mod
ma che cazzo di domanda è?! leggero??? tu sei proprio un cineasta del nuovo milennio allora - dove tutto è reso più che reale da effetti speciali incredibili. Oh! è un film degli anni 70, grazie a Dio, e non una vaccata di film-verità-con-effetti-da-action-movie.
Il film ha delle scene che in me, che lo conosco a memoria battuta per battuta, creano una angoscia profonda. il cane sgozzato, l'urlo di Sally nel sottopassaggio della ferrovia, il ragazzo-mostro che canta l'inno alla "nuova patria". il nazismo/fascismo era ed è proprio quello: l'orrore e la paura si percepiva, mica si vedeva. è come oggi. figa per tutti e intanto andiamo a fondo senza neanche esserne più informati.
Insomma il vero orrore è il messaggio "non preoccupatevi. mangiate e bevete che va tutto bene."
ma quale cazzo di leggerezza?!
il balletto del passo dell'oca mi fa bagnare ogni volta. è come se joel gray facesse l'amore con tutte quante le ballerine. un amplesso morboso e in fine mortale. la perfetta metafora per far vedere la fine che si fa in un regime. Ora che te ne accorgi che non arrivi all'orgasmo ma alla morte sei già fottuto.



robydick
La musica, pur bellissima e trascinante, non rappresenta di per sé il picco d'originalità del film. Può esserlo stato in Europa, non per gli americani dove il musical già da anni era nei teatri. L'interpretazione però, cantata e soprattutto coreografica divenne lezione anche per le successive rappresentazioni in teatro e portò Bob Fosse e ancor di più Liza Minnelli nel mito. Dove stanno quindi le peculiarità, perché il film lascia tutti a bocca aperta? E' immaginabile un remake dopo tanta perfezione e quale attrice odierna potrebbe ripetere l'immensa prestazione (vocale, danzante e recitativa) di Liza Minnelli?
mod
niente remake. solo sul mio cadavere! non vorresti mica che una...chessò...catherine zeta-jones si mette a cantare "Herr"...o "money, money, money"?! Mi viene la nausea al solo accenno di pensiero!
Il film lascia tutti a bocca aperta perché TUTTO e TUTTI funzionano come una grande orchestra. Tutti sono in uno stato di grazia. E poi Bob Fosse faceva l'amore con le ballerine. con Liza e con Joel. E magari anche con Michael (York), persino con quello che dirigeva le luci. Hai voglia! Impossibile fare un film brutto cosi!



robydick
La mia passione per il Cinema mi ha insegnato che quando una persona adora un film è perché l'opera, in qualche modo, la rappresenta, ha toccato corde intime importanti, nella commedia come nel drammatico procura gioia ed emozione solo a nominarla. Per chiudere questa intervista, e per quanto ti è possibile raccontare della tua esperienza personale di vita, potresti coinvolgerci nella tua Passione per Cabaret?
mod
allora, inanzitutto è una domanda che a liza minelli non avresti mai fatto! cosa cazzo ti fa pensare che ti risponde la mod?!?
La mia esperienza di vita è proprio mia e di pochi altri ma posso dirti cosa mi ha emozionato di più di Cabaret.
La musica. E i testi. Kander e Ebb sono due compositori che hanno amato moltissimo Liza MInelli e vice versa. Si sente in ogni nota e in ogni frammento di testo. Le canzoni poi raccontano dei fatti sull'amore e il senso della vita che sottoscrivo. "If you could see her through my eyes" (se solo poteste vederla con i miei occhi), cantata da Joel Gray, è la mia preferita. Tratta della bellezza di un amore senza pregiudizi. Nessuno di noi ne è davvero capace. Esiste solo nei film come Cabaret o nelle fiabe.
Scene preferite, anche se non me li hai domandate, sono Sally Boles che dice, cercando di parlare come una Signora, che ha passato "tutto il pomeriggio 'bumsenando' come una matta!" e poi, mentre Liza canta "Maybe this time", le scene tra Liza e Michael. Mi ci ritrovo. So cosa vuol dire essere sboccata e far svenire gli altri intorno a te - e so anche cosa vuol dire l'intimità che non ha bisogno di parole fra due persone!

are you satisfied or can I do anything else for you?
:) love, mod



Mi son beccato qualche spazzolata ma ne è valsa davvero la pena, sono Più che soddisfatto! Film descritto magnificamente e luoghi comuni sfatati, sciolti come il burro su una piastra rovente. Ci sono delle perle poi...
Nulla da aggiungere, se non un grande ringraziamento a te mod, ciao.