martedì 30 aprile 2013

Kiseichuu: kiraa pusshii (Aka: Sexual Parasite - Pussy Killer)

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Il modo migliore per scardinare quella visione dell'estetica cinematografica, così morigerata e tutto sommato anche un po' antipatica, sulla quale l'occidentale medio ha costruito le proprie categorie di riferimento, sarebbe scoperchiare il calderone del trash prodotto nel paese del Sol Levante. Cosa che per fortuna non avviene, se non per leggerissime gradazioni, tutte confinate nella sicurezza delle alcove di gusto, delle nicchie virtuali, delle cartelle più segrete che noi spettatori conserviamo nei cassetti della nostra percezione. E che lì restano, stimolando la fantasia di un cinema dell'estremo che solo con grande difficoltà potrebbe un giorno essere sdoganato sulle antiche coste europee. Sexual Parasite: Pussy Killer, traslitterazione anglofona dell'impronunciabile Kiseichuu: kiraa pusshii, è infatti un prototipo abbastanza fedele di quel modo di pensare, più che di fare, il cinema, e che in un certo senso spinge le idee dell'asiatico in direzioni diametralmente centrifughe non solo rispetto alle nostre, ma soprattutto rispetto a un concetto di genere che, qui da noi, dev'essere chiaro, preciso e ai più decodificabile.

Takao Nakano (Big Tits Zombie), specializzato come molti coevi in produzioni pinku eiga, non si fa problemi di coerenza né di logicità, e struttura la sua sinfonia dell'assurdo come un pasticciaccio escrementizio a base di salivazioni, fluidi lubrificanti, vomito e strane secrezioni gelatinose, tra le quali si incastonano i germi di una trama risicata ma divertente. Il film inizia con un improbabile team di ricercatori alle prese con una rarissima specie di parassita dentato e serpentiforme, che una volta recuperato da un lavacro amazzonico, si infila nella vagina della bella e occhialuta Sayoko (Yumi Yoshiyuki). Non credendo alle funeste profezie di un saggio stregone della giungla, che vede nella creatura una rappresentazione di un qualche demone fluviale, il duo così contaminato ritorna in patria, permettendo alla creatura di crescere dentro il corpo della giovane fino a quando il marito, esasperato e sconvolto dalla situazione, non chiude la consorte nella cella frigorifera. Tutto è sotto controllo, ma ecco che qualche tempo più tardi la macabra prigione sarà violata da un gruppuscolo di cinque sgallettati di città che, in panne con la macchina, si rifugiano in questo cottage tranquillo e sperduto in mezzo ai boschi per spassarsela. Il parassita così liberato si potrà infatti riprodurre ovulando delle disgustose sanguisughe rossicce che, avvolte in un liquido amniotico e oleoso, abbandoneranno il corpo dell'ospite madre per ritrovare nell'acqua il proprio habitat originario, e utilizzarla come veicolo per inerpicarsi negli orifizi indifesi delle vittime (una delle quali, Natsumi Mitsu, avrà la geniale idea di fare il bagno). Ma poi l'entità immonda, una volta adattatasi all'utero del proprio bersaglio, diventa un serpentone bruttissimo e verdastro, che scatenando non meglio precisabili reazioni ormonali, costringe il corpo infestato ad avere rapporti sessuali con il primo che capita, in modo da tranciargli il pene durante il coito. 

Il film di Takao Nakano si trasforma presto in un tripudio barocco di evirazioni, sventramenti e sesso gratuito, epici combattimenti corpo a corpo in salsa cripto-saffica, frizionamenti di sangue, muchi e spume schifose, defecazioni di parassiti e penetrazioni. Il clou lo si raggiunge quando la stupenda Ryoko (Sakurako Kaoru) si veste come Lara Croft, bandana, mutande e canottiera, coltelli e pistole appese alle cosce e alla cintola con tanto di nastro adesivo; la bella si getta nella rissa, pesta, accoltella e massacra, uscendone chiaramente vittoriosa dopo aver strangolato la rivale con le sue stesse intestina e averne bruciato il mostro con i cavi della corrente. Sexual Parasite parrebbe la scanzonata parodia del ben più serio Il demone sotto la pelle, o almeno è a questo modello putativo che qualcuno lo ha associato (per non parlare del remake mai dichiarato, Denti, di Mitchell Lichtenstein); ma in realtà la cultura cinefila del suo sgangherato regista parrebbe rifarsi piuttosto a una misconosciuta pellicola di Douglas McKeown, Deadly Spawn (1983), un epigono di Alien che ne modella tanto le creature quanto la conclusione. Ma Takao Nakano si dimostra anche fine conoscitore delle italiche glorie, tanto che non rinuncia al brano Deep Down, che a suo tempo scandì il ritmo di Diabolik (1968) di Mario Bava e che qui è citato in una scena di ebbrezza collettiva, tra striptease, tettone e culetti nipponici superdotati. Sia chiaro, sono soltanto suggestioni, perché di “nostrano” l'abile mestierante giapponese non conserva pressoché nulla, confezionando un cinema diversissimo dalla nostra capacità di accettazione e inserendosi allora in quel solco dell'immaginario tracciato da ben altro vomere: per intenderci, quello dei vari Noboru Iguchi (Zombie Ass: Toilet of the Dead) o Yoshihiro Nishimura (Tokyo Girl Police).
Marco Marchetti








lunedì 29 aprile 2013

The Destructors (Aka: Marsellaise contract) - Contratto marsigliese

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“Essi vivono una vita dolce ma prendono parte ad un gioco per cui possono morire improvvisamente!”
“Aprile a Parigi è un tempo per gli amanti ... ma per '”I Distruttori” E' la stagione per uccidere!”
“Anche la malavita ha la sua aristocrazia ... la sua Alta società ... il suo Jet Set. Si chiamano "I distruttori".”
Frasi di lancio originali del film

John Deray - un omaggio programmatico al genere fin dal cognome- uccide le persone, per vivere. "E 'un uomo molto prudente ... Quando lui lavora, ottiene sempre un buon risultato. Ha molte donne ma nessuna fissa. Vive da solo. Guida auto veloci. "Ed è così che il personaggio è a noi introdotto, descritto in voice over da Maurice Ronet (icona del cinema francese e propriamente del genere polàr-noir da Ascensore per il patibolo” in poi) mentre Deray armeggia con il suo giradischi prima di tornare dalla splendida donna che lo aspetta nella sua camera da letto. Naturalmente, un personaggio così caratterizzato può essere impersonato solo dal “bad-ass” per eccellenza del cinema Brit anni '70, Michael Caine.

Contratto marsigliese” (distribuito internazionalmente come The Destructors akaMarsellaise contract) diretto dalla garanzia Robert Parrish è dedicato al co-protagonista Deray come “Carter” (Get Carter ) lo fu a Jack Carte r, seppur non arrivando propriamente al livello del famoso noir del 1971 di Mike Hodges. Così com'è, però, direi che il suo appello sarà probabilmente limitato dalla quantità di fan di Michael Caine che gli risponderanno. Certo, la prima mezz'ora del film è dinamite, mentre seguiamo il Responsabile dell'Ufficio di Parigi della DEA, Steve Ventura (Anthony Quinn,La Strada”, e qui un anno dopo la sua splendida interpretazione in “Rubare alla mafia è un suicidio”[Across 110th Street] [1973]), attraverso il suo crescente conflitto con un prominente cittadino francese e signore della droga del tipo di Jacques Charrièr/Fernando Rey in“The French Connection”, Jacques Brizard (James Mason, Intrigo internazionaletra i tantissimi). Alla fine, la loro situazione di stallo ispira Steve ad assumere un sicario per fermare Brizard in modo permanente, e Deray è chiamato, vecchio collega di Ventura, a portare a compimento il lavoro, senza che Ventura sapesse all'inizio della nuova professione di Deray. Il film si snoda un po' noiosamente verso la conclusione, in cui Caine e Quinn, uniscono infine le forze per combattere fianco a fianco.

La causa di questa parte centrale un po' statica è ovviamente il risultato della costante di spostamento dei protagonisti da Steve a Deray per tutta la maggior parte del film. Deray riesce ad andare a lavorare per Brizard grazie ad un incantesimo (cioè per motivi che il film non è del tutto sicuro di rendere plausibili, utilizzando la splendida figlia diBrizard, Lucienne/Maureen Kerwin), mentre, a parte, Steve continua a cercare modi legali per incastrareBrizard e far cadere il suo impero della droga. E davvero, una sola di queste tracce sarebbe stata sufficiente. Alla fine, però, “Contratto marsigliese” è ancora un film frizzante. Vi si trova l'azione, indulgente in alcuni inseguimenti automobilistici come accennato nella descrizione del Deray di sopra, e una colonna sonora ad opera nientemeno che di Roy Budd, la quale serve bene l'azione. Numerosi gli attori francesi presenti oltre al citato Ronet, anche Catherine Rouvel, e Marcel Bozzuffi in ulteriore ideale collegamento a “The French Connection” in un ruolo simile a quello sostenuto nel film di Friedkin.

Disponibile in italiano solamente su una vecchia (1989) vhs da nolo della Warner e dai rari passaggi televisivi, è da poco disponibile per la prima volta in digitale in formato DVD-R on-demand, nella Limited Edition Collection della MgM R1, prodotto dalle fonti di più alta qualità disponibile, cercando di trasformare la qualità della stampa stessa.

Tenendo presente che si tratta di un disco in formato DVD-R on-demand prodotta dalle fonti più alta qualità disponibile, cercando di trasformare la qualità della stampa stessa.

"'Round Midnight"
Musiche di Thelonius Monk & Cootie Williams
Parole di Bernard Hanighen (come Bernie Hanighen)
Cantata da The Fellings Quartet

Questo film è stato distribuito come “The Destructors” e viene indicato come tale in "The Films of Anthony Quinn", scritto da Alvin Marill.

Napoleone Wilson

sabato 27 aprile 2013

Wai dor lei ah yut ho - Dream Home

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Di fronte a un talento manifesto come quello di Ho-Cheung Pang, regista di Hong Kong qui da noi pressoché sconosciuto, rimosso e rigorosamente non distribuito, persino le nostre più integerrime punte di diamante si sentirebbero piccole e inutili. È talmente bravo, il nostro, che non soltanto costituisce una ventata di freschezza in un cinema di genere spesso omologato (sempre che abbia ancora senso utilizzare questo termine per riferirsi alla post-modernità), ma riesce addirittura, seppur indirettamente, a mostrare la sostanziale incomunicabilità tra la nostra cultura e la sua. O la loro, cioè quella dei tanti musi gialli che sulle coste nostrane sembrano tutti uguali, che al cinema paiono tutti uguali, ma che in realtà, se messi alla prova, stupiscono per l'innovazione delle loro pellicole, per il vigore delle loro idee, per la riforma radicale che in qualche modo riescono a comunicare attraverso un atteggiamento estetico come minimo particolarissimo.

Ciò che colpisce di questo cinema è innanzitutto la capacità di estremizzare ogni fronzolo della rappresentazione, di trasmutare la regolarità in eccesso barocco, di ricalcare quanto altrimenti sarebbe stato comprensibile anche senza ulteriori sottolineature: ciononostante la perfezione registica di questo Dream Home (da non confondersi con il quasi omonimo Dream House di Jim Sheridan) è talmente sofisticata da permettersi l'ingresso a pieno merito nell'empireo dei magnifici, così dettagliata sotto il profilo concettuale da trasformare una pellicola in buona sostanza fastosa e ridondante in una perla regolarissima e ben intagliata. Merito di questo mestierante, che tra l'altro ha all'attivo diversi titoli romance, tra cui Love in a Puff (2010) e Love in the Buff (2012), nonché alcune dark comedy come Exodus (2007) e Vulgaria (2012), è forse l'aver saputo inscenare una riflessione lucidissima, e proprio per questo inquietante, sulla crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l'intera economia mondiale.

La protagonista è infatti Cheng-Lai Sheung (Josie Ho), bella come una bambola di porcellana e troppo perfettina per essere normale, che senza mai perdere la calma, né scompigliarsi l'ordinata pettinatura, vende ambigui prodotti finanziari per telefono. Viene da una famiglia difficile, è cresciuta in un brutto quartiere malfamato prima che venisse sfrattata da alcune grandi aziende edilizie interessate ad abbattere il rione per costruirci degli eleganti complessi residenziali. Ha però un grande sogno, che accarezza giorno per giorno, nutrendolo con le più astruse aspettative e trasformandolo, forse senza nemmeno averne coscienza, in un'ossessione emotiva e affettiva a cui è impossibile resistere: comprare uno spazioso (e costosissimo) appartamento con vista mare, esattamente ciò che da bambina aveva promesso prima al nonno, poi alla madre, ma che purtroppo morirono prima che la ragazza potesse anche solo cominciare a risparmiare il denaro necessario. Lai è però decisissima, e niente le farà cambiare idea, nemmeno quando gli anziani proprietari di uno stupendo appartamento su Victoria Harbour decidono di rompere l'accordo siglato con la donna e di non vendere più. Quella stessa notte, però, Lai penetra in un grattacielo del centro, massacrando undici persone apparentemente senza motivo... 

Dream Home si divide in due grandi poli, costantemente correlati l'uno all'altro, e che anzi si intersecano in numerosi momenti, lasciando dapprima basito lo spettatore, ma finendo quindi per comporre un puzzle del grottesco assolutamente coerente e, perché no, persino profondo. Da un lato, seguiamo la quotidianità di questa giovane donna, il suo passato, i problemi di tutti i giorni, il rapporto sentimentale con un uomo ammogliato che la utilizza soltanto come un materasso d'albergo alla fine del lavoro. Dall'altro, in ordine cronologico sfasato, fatto di pezzi che si incastrano in efficacissime prolessi, di continui ribaltamenti di prospettiva, la vita notturna di Lai, che vestita di tuta, cappello e “attrezzi da lavoro”, seleziona le proprie vittime, e le massacra seguendo gli estri più fantasiosi e malati a cui Ho-Cheung Pang è riuscito a pensare: il custode viene strangolato con una fascetta, e nel tentativo di rimuoverla con un taglierino si squarcia da solo la carotide. Allora è la volta di una donna incinta, sbattuta a terra e costretta ad abortire, e soffocata da un sacchetto di plastica a cui viene succhiata l'aria per mezzo di una aspirapolvere. A una prostituta viene fracassata la testa contro un cesso, a uno spacciatore vengono estratte le budella, segate le dita, piantato un proiettile in bocca. Un suo amico viene sventrato a coltellate, castrato e il pene reciso gettato accanto all'amante, che subito dopo è impalata con una doga di un letto, e così via. Si potrebbe andare avanti ancora, ma si priverebbe il fruitore del piacere della pellicola, che per l'intero suo minutaggio riesce a stupire, a sfrangiarsi in mille gradazioni, a insaporirsi con le forme di una violenza capace di disturbare, divertire, ma anche e soprattutto di far riflettere su ciò che è ormai la società. E per quanto questo geniale mestierante hongkonghese non si faccia mancare nulla, mostrando, esibendo, rimarcando con tutta la verve creativa possibile immaginabile, il suo film non è mai un eccesso di cattivo gusto; e persino quando potrebbe esserlo (il ragazzetto sbudellato che si fuma una canna prima di morire, guardando ormai tranquillo le proprie intestina sparpagliate), il bravo Ho-Cheung Pang costruisce comunque un'opera efficace e bisognosa forse di più letture e interpretazioni. In una società incerta, fatta di capitalismo finanziario, spostamenti di denaro e crisi striscianti, ciò che resta all'individuo è forse e soltanto la normalizzazione della follia, l'unico elemento capace di dare un senso a ciò che ormai dipende per intero dai flussi di mercato.

Marco Marchetti







venerdì 26 aprile 2013

Psycho IV: The Beginning

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«Hai incontrato Norman ... ora incontrerai la madre.»
Frase di lancio originale del dilm

"Psycho IV: The Beginning" dura 96 minuti ed è stato realizzato nel 1990. Fu girato per la tv via cavo e successivamente per il lancio nell'home video. Vi è nonostante questo una certa violenza nel film, pur se non eccessiva, ma inusuale per i canoni televisivi dell'epoca.

Un pò di "PLOT"
In una chiacchierata con un ospite radiofonico, Fran Ambrose, sta conducendo un programma su alcuni personaggi che hanno ucciso le loro madri. Il Dr. Leo Richmond è anch'egli lì nello studio a prendere parte al programma radiofonico in diretta. Egli ha difatti avuto in trattamento alcuni uomini che avevano ucciso le loro madri.

Da qualche parte in una città, un uomo che è nella sua cucina sta ascoltando il programma radiofonico di Fran. L'uomo è Norman Bates/ Anthony Perkins. Egli chiama Fran, dicendo di chiamarsi "Ed" e gli inizia a parlare di come aveva ucciso la propria madre. Parla con Fran e il Dr. Richmond per qualche minuto prima di riagganciare. Deve parlare con sua moglie, Connie, per un po '. Avevano una cena speciale, in programma per quella notte.

Fran non rimane certo contenta che "Ed" abbia riattaccato. Voleva richiamarlo e quindi gli chiede in onda se può lui richiamare. Lo fa. Parla di più su sua madre e delle troppe donne che ha ucciso. Fran gli fa delle domande per tenerlo a parlare. Norman inizia così a parlare della prima donna che aveva ucciso.

Norman era allora un giovane che gestiva il motel di famiglia con la madre. Vivevano in una grande, ricercata e spettrale casa, la quale era vicino al motel. Normano aveva in responsabilità la maggior parte della gestione dell'hotel e sua madre passava la invece maggior parte del suo tempo in casa. Una notte, una giovane donna si fermò presso il motel e iniziò a colpire la fantasia di Norman. Lui non era interessato a lei in un primo momento, ma già dopo pochi minuti sembrava anche troppo interessato. E' poi dovuto andare fino alla casa per controllare sua madre, dicendo alla ragazza di aspettarlo in albergo, ma lei lo seguì fino a casa. Norman, vestito con gli abiti di sua madre, la uccise. Un'altra notte, Norman ragazzo stava baciandosi con una donna
molto più grande nell'auto dei lei nel bel mezzo della notte. Norman ebbe una battuta d'arresto perché doveva andare a dare alla madre la sua medicina. Quando egli tornò, era nuovamente vestito con i suoi abiti e uccise la donna.

Norman e sua madre, Norma (Olivia Hussey, stupenda), avevano uno strano rapporto. Erano madre e figlio, ma Norma lo avrebbe picchiato spesso comunque. Norma aveva certamente qualche tipo di problema mentale e Norman assisteva a quelli che erano i suoi attacchi di isteria, almeno una volta, di nuovo e di nuovo. Norma aveva intanto iniziato a frequentarsi in casa con un uomo di nome Chet/ Thomas [Tom] Schuster. Norman era scioccato dal fatto che sua madre lo avesse fatto installare a casa e avesse una nuova relazione, e non la stava certamente prendendo troppo bene. Chet ha iniziato dunque a trascorrere alcune notti con Norma a casa, e Norman era sempre più sconvolto nel vedere Chet in giro per la casa a dormire in camera della madre e a sentirli fare sesso. Norman diventò ancora molto più infelice quando Norma gli disse che lei e Chet
stavano per sposarsi. Norman era molto possessivo di sua madre, e non voleva certo dividere la sua attenzione con nessuno. Quindi prese misure drastiche.

Norman dice dunque a Fran che sta per uccidere ancora. Fran cerca di capire e trovare un modo per fermarlo. "Ed" gli racconta allora come lui e la moglie Connie si fossero incontrati, ovvero in ospedale psichiatrico quando lui era ricoverato e lei una dottoressa. Norman era però ancora turbato e pieno di problemi. Chi stava progettando di uccidere? Avrebbe davvero ucciso ancora?

"Psycho Iv: The Beginning" non è riuscito male e per essere diretto da un anonimo carneade televisivo come Mick Garris, si può dire che è stata la sua opera più riuscita nell'intera lunga carriera, ma avrebbe potuto essere ancora migliore. Parte del film è interessante, ma in altre parti è immancabilmente noioso e inutile. Certamente messo a confronto con gli altri sequel come "Psycho II" o " Psycho III" è un gradino sotto, ma ancor meno in questo caso, nessuno pretendeva certo di poter neppure per miracolo fare qualcosa di eccelso
come l'originale hitchcockiano . Anche tutti coloro che hanno ovviamente amato l'originale possono però trovare alcune parti di questo film molto interessanti, e senza rimanere troppo delusi rispetto a loro eventuali aspettative. Se qualcuno non ha addirittura ancora mai visto " Psycho", può darsi che non troverebbe nulla di questo film interessante perché non sarebbe stato al corrente di quello che era successo in "Psycho". Il film potrebbe allora essere molto noioso per chi non abbia ancora familiarità con il personaggio di Norman Bates.

"Psycho IV: The Beginning" è stato concepito per essere uno spaventoso, film di suspense come lo "Psycho" originale, ma non costruito come fosse veramente di paura o di suspense. La maggior parte di ciò che avviene nel film viene mostrato attraverso flashback e si trova ambientato nel passato. È noto come quegli eventi risulteranno, quindi non sono in alcun modo costruiti di una suspense vera. Non credo che neppure le scene in cui il giovane Norman (interpretato da Henry Thomas, sì proprio lui, l'Elliott di " E.T.- L'extraterrestre") uccide, siano particolarmente efferate. Non può naturalmente essere scioccante o sorprendente vedere Norman indossare gli abiti di sua madre come se fosse nello "Psycho" originale, la prima volta. Alla fine del film, quando esso viene riportato nell'ambientazione al giorno d'oggi, c'è un po' di suspense, ma solo un pò per volta. Ed è forse l'unica vera suspense presente nel film. Se siete alla ricerca di un film di paura di suspense, non perdete allora il vostro tempo con questo.

Comunque, "Psycho IV: The Beginning" è raccontato principalmente attraverso dei flashback del passato di Norman. Il film non è però confuso in alcun modo. E' anzi molto chiaro quando vi è un flashback e quando si è tornati nel presente. La maggior parte del film è ambientata nel passato, ma ci sono alcune scene che sono situate nel presente, sparse per tutto il film. Le scene ambientate nel passato di Norman giovane ci mostrano la madre ancora viva. Quelle scene aiutano a mostrarci perché Norman sia divenuto così incasinato come egli è. Questi passaggi sono interessanti. Norman e sua madre sono entrambi più giovani di quello che era ipotizzabile fossero in quel periodo temporale. Era ben immaginabile che la mamma fosse più vecchia e soprattutto, molto meno avvenente di Olivia Hussey quarantenne, quando è morta. Norman e sua madre sono vicini, forse troppo vicini. Hanno un rapporto strano, e sembrache ci siano alcuni suggerimenti che vi potrebbe essere stato coinvolto persino un incesto. Per lo meno, Norman ha alcuni sentimenti innaturali per la sua madre. Le poche scene che mostrano queste cose potrebbe essere troppo inquietanti per un prodotto televisivo, quale fu concepito, " Psycho IV: The Beginning", però ci sono, perlomeno suggerite.

Le sequenze di "Psycho IV: The Beginning", che invece sono ambientate al giorno d'oggi sono noiose e un po' sciocche. Fran conduce un talk show radiofonico e discute con delle persone che hanno ucciso le loro madri. Norman ascolta il programma e la chiama al telefono, Ma "Ed" poi si blocca e la richiama più di una volta. Egli sostiene di stare per uccidere ancora. Penso che sia strano, che Norman continui a chiamare e richiamare di nuovo senza che venga rintracciato. Fran entra in alcuni argomenti con il dottor Richmond e con altre persone che lavorano presso la stazione radio su quello che Norman sta dicendo. Vuole lasciarlo continuare a parlare. Queste scene avrebbero dovuto essere di suspense, ma falliscono. Queste sequenze non riescono a destare l'interesse, e forse il film stesso sarebbe stato meglio se il tutto sarebbe stato tutto incentrato sul passato e appena nel presente, così da essere più legato e approfondito nell'esplorazione del rapporto di Norman con la madre.

Ci sono alcune scene con un po' di violenza in "Psycho IV: The Beginning", Norman uccide più di una persona nel film, e gli omicidi sono mostrati. La violenza non è eccessiva, ma dopo che sua madre muore, Norman tiene il suo corpo in casa per un lungo periodo. Poi la porta nella sua "bottega" di tassidermia e la imbalsama. Non viene mostrato quello che fa, ma è accennato. Almeno questo momento, è molto inquietante per un prodotto televisivo dell'epoca. Vi sono anche presenti diverse situazioni sessuali-scabrose, ma non c'è nudità nel film, e gli atti sessuali non sono ovviamente e fortunatamente, presenti davanti alla macchina da presa. Tuttavia, si è accennato al fatto che Norman ha alcuni sentimenti innaturali per la sua madre, Norman ha purtroppo per lui gravi problemi importanti con il sesso, e continua ad avere tutti questi pesantissimi problemi al giorno d'oggi, ovviamente molto peggiorati con il passare del tempo e dell'età.

La madre di Norman come detto in "Psycho IV: The Beginning" appare realmente viva. Ella passa la maggior parte del suo tempo in casa, e ha sicuramente vari problemi mentali. Non è più giovanissima, ma oltre a essere come detto molto più giovane di quanto si sarebbe pensato, è anche molto bella e sensuale. Il suo rapporto con l'unico figlio, Norman, è quello maggiormente esplorato in questo film. Questo aiuta a spiegare perché Norman ha i problemi che ha. Norman è rimasto incasinatissimo nel suo passato, ed è ancora più che mai incasinato nel presente. Vedendo Norma Bates e ogni sorta dei suoi problemi, ci aiuta a capire di più su questi problemi di Norman. Qualcosa che è direttamente conseguenza dai problemi nati dai legami del passato di Norman, a un problema che sta avendo con la moglie quella notte.

Non è che vi sia chissà quale ulteriore nuovo sviluppo per il personaggio di Norman in "Psycho IV: The Beginning", non c'è tutto infatti questo nuovo sviluppo per Norman. Esso si basa solo su ciò che si conosce del suo carattere. C'è sicuramente molto più sviluppo per il personaggio di Norma, in quanto ci è mostrata viva. Gli altri personaggi, Connie e Fran, sono quasi del tutto poco sviluppati. Sono nel film soltanto per contribuire a portare avanti la trama.

La recitazione in "Psycho IV: The Beginning" è di buon livello, ma avrebbe potuto essere migliore. Una parte di essa è in realtà piuttosto mediocre. Anthony Perkins torna a impersonare Norman Bates di nuovo, e la sua performance in questo film ne è ancora la cosa migliore. Pur in evidente "overacting" in alcune scene, e in altre nelle quali sembra solo leggere le sue battute senza emozioni, è comunque funzionale ai tic e alle pulsioni sommerse del personaggio che ben conosciamo. CCH Pounder è anche lei brava come Fran, ma il suo personaggio così come è non è realmente necessario nel film, ed è uno di quelli che avrebbe potuto essere decisamente sviluppato meglio.

Donna Mitchell è presente solo in alcune scene, come Connie. La sua interpretazione non impressiona, fa la sua parte ma senza particolari picchi, e compare solamente verso la fine del film. Henry Thomas è in realtà abbastanza bravo come il giovane Norman Bates, Olivia Hussey è presente in scena per la maggior parte del tempo, e a volte anche lei si impegna decisamente in scene "overacting", forse a causa della stessa sceneggiatura, ma assieme a Perkins, è la cosa migliore del film.

"PERSONAGGI"
Norman Bates/Anthony Perkins - Attualmente vive in una bella casa con sua moglie Connie. Sono passati svariati anni in cui non ha ucciso più nessuno. Lui e sua moglie hanno dei piani per una cena speciale. Ma si stanno anche trovando in disaccordo su qualcosa. Norman ha ancora dei gravi problemi legati al suo
passato, è infatti ancora pieno di questi gravi problemi mentali mai risolti.

Connie Bates/Donna Mitchell - E' la moglie di Norman. Lei lo ha incontrato quando era un paziente in un ospedale psichiatrico. Connie sa tutto del suo passato. Sta ancora lavorando all'ospedale, e sembra amare davvero il marito.

Fran Ambrose/CCH Pounder - E' la nota giornalista e conduttrice di un talk show radiofonico. Ella cerca di continuare a parlare con Norman. Dice che vuole provare a convincerlo a non uccidere di nuovo, ma soprattutto pensa che la storia di Norman sia molto buona per lo share del suo programma.

In definitiva, "Psycho IV: The Beginning" non è certamente il migliore dei sequel di "Psycho", ma è meglio di quello che ci si poteva aspettare, e gli spettatori che hanno familiarità con il personaggio di Norman Bates possono trovare alcune delle informazioni sul suo passato e soprattutto interessanti notazioni su Norma. Come detto a metà recensione, forse coloro che non hanno familiarità con "Psycho" non lo gradiranno nella stessa misura, ma lo si può guardare tranquillamente e con piacere, se si è con piacevolezza interessati ai personaggi e alle vicende dei tre film precedenti. Questo fu tra l'altro il primo film in assoluto ad essere girato agli Universal Studios in Florida.

Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films, Usa Anno 1992 Nominato al Saturn Award come Miglior prodotto Televisivo di Genere.

Il nome dello psicologo in questo film è Dott. Leo Richmond. Lo psicologo che ha spiegato la condizione di Norman nel primo film era il dottor Fred Richmond, interpretato dal grande Simon Oakland, quindi è suggerito che questo sia un suo parente.

La prima volta che Norman chiama il programma radiofonico, dice che il suo nome è Ed. Robert Bloch , autore del romanzo originale "Psycho", ha basato il personaggio di Norman Bates sulla vita reale del celeberrimo serial killer del Wisconsin e cannibale, Ed Gein.

Diversi finali sono stati girati al fine di mantenere segreto il finale. Janet Leigh spiegò questo quando ha introdotto il film alla sua prima trasmissione nel 1990.

L'unico dei sequel "Psycho" a utilizzare il tema originale di Bernard Herrmann.

L'interno della camera da letto della madre è leggermente diverso dai set dei film precedenti di "Psycho". Nel film, la camera ha un bagno e un armadio in più.

I turisti/visitatori che nella realtà agli Universal Studios in Florida possono avvicinarsi alla casa vera e propria che è stata utilizzata nel film, potranno vedere che accanto non vi è nessun motel.

La casa utilizzata per il film è stato ripresa nel parco di Orlando, poi smantellata poco dopo aver girato,insieme al motel.

Olivia Hussey non ha avuto un provino per il ruolo di Norma Bates, gli è stata offerta la parte direttamente e immediatamente ha detto di sì quando le fu chiesto se era interessata a interpretare il ruolo.


Il film è stato girato in 24 giorni.

Quando prese parte alle riprese della prima scena dell'omicidio, Henry Thomas fu così coinvolto nella parte dell'accoltellatore che la lama del coltello è scivolata nella sua mano e tagliandolo, gli ha causato qualche danno ai nervi. Fino ad oggi ha ancora una cicatrice.

La scena in cui Norman stacca due metà della mela con le mani, è stata improvvisata da Anthony Perkins. Nello script, Norman originariamente doveva prendere un coltello da macellaio e tagliare in due la mela con un taglio netto e preciso, ma Perkins sentiva che era troppo banale.

Perkins e lo sceneggiatore di "Psycho III" Charles Edward Pogue avevano originariamente lanciato un'idea per "Psycho IV ", che consisteva nel fatto che la casa di Norman e il motel erano stati trasformati in un'attrazione turistica per i week-end dell'horror, e che adesso dei produttori cinematografici di Hollywood volevano trarre un film sulle note vicende. Norman sfugge quindi dal manicomio con un paziente muto per impedire all'attore che è stato scelto dai produttori, di impersonarlo. il weekend dell'horror si chiude e Norman torna a casa sua e presentatosi agli inconsapevoli produttori, viene preferito lui per interpretare sè stesso! Pogue sostiene che era stato concepita per essere una commedia nera, ma la Universal si oppose all'idea.

Il solo sequel nella serie di "Psycho" a non presentare clip dalla famigerata "scena della doccia" dall'originale.

Il regista Mick Garris ha definito Anthony Perkins l'attore più difficile con il quale abbia mai lavorato.

Contrariamente alla credenza popolare e rivelato da Janet Leigh, un solo finale è invece stato girato per il film. Il regista Mick Garris ha dichiarato nelle interviste che Janet Leigh aveva detto nella sua introduzione per la trasmissione del film su Showtime channel che dei finali multipli furono stati girati, ma che in realtà si trattava solo una trovata pubblicitaria da parte della Universal.

Quando Anthony Perkins ha visto la prima proiezione del film, egli lo definì il migliore di tutti i sequel di "Psycho".

Quando lo sceneggiatore Joseph Stefano ha cominciato a scrivere questo film, ha ignorato la storia della S ignora Spool nell'arco dei due film precedenti e ha utilizzato principalmente il primo film, del quale fu lo sceneggiatore, come materiale di partenza.

Nei titoli di testa, le guarnizioni sulla torta di compleanno di Norman sono state fatte da un vero e proprio fornaio.

Durante la pre-produzione, ci sono stati degli incontri per discutere se i flashback del giovane Norman dovessero essere girati in bianco e nero per fare riferimento al film originale.

Dopo la prima messa in onda del film su Showtime channel, circolarono voci in giro che un quinto film era in fase di sviluppo, il quale si sarebbe concentrato sul figlio appena nato di Norman. Tuttavia nessuna di queste voci era vera e un altro film di "Psycho" non sarebbe stato realizzato fino al 1998 con il remake di Gus Van Sant.

L'unico film che mostra Norma Bates viva, nei film precedenti lei era sempre un cadavere mummificato.

Napoleone Wilson

giovedì 25 aprile 2013

Roma città aperta

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Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Girata nell'immediato dopoguerra, questa pellicola ha potuto usufruire di scenografie, costumi e mezzi autentici e irripetibili; la fotografia cupa di Roberto Rossellini (diretta da Ubaldo Arata) contribuisce a dare drammaticità alle scene. I personaggi principali sono interpretati da due giganti del Cinema italiano: Aldo Fabrizi (don Pietro Pellegrini) e Anna Magnani ( Pina); solitamente ascrivibili alla commedia.

La trama parte lenta per poi accelerare dopo la scena storica della Magnani, che cade uccisa da una raffica di proiettili, correndo dietro al camion tedesco che trasporta dei prigionieri. Stiamo parlando – che ve lo diciamo a fare – di una delle scene più belle del Cinema di sempre. Da antologia anche la scena in cui don Pietro maledice i nazisti e poi prega in ginocchio davanti al corpo di un partigiano torturato a morte. Questi due personaggi si trovano quasi per caso ad essere coinvolti in una rete di ribelli che vogliono liberare la Roma occupata, dove la gente affamata assale i panifici di fronte alla rassegnata impotenza della polizia.
Il capo di questa rete di partigiani è Luigi Ferraris (Marcello Pagliero) e tra i suoi elementi c'è anche una ballerina della rivista, Marina Mari (Maria Michi) che lo tradirà rivelando il suo nascondiglio alla tedesca Ingrid (Giovanna Galletti) che raccoglie informazioni per i nazisti usando le sue “amiche”.


A parte la recitazione degli attori in divisa tutti gli altri – bambini compresi – hanno una performance davvero eccellente. E' rilevante come questo film riesca a conciliare fiction e documentario, come avviene negli odierni film d'inchiesta. Pensiamo a registi come Ken Loach, per esempio. Benché Roma città aperta sia molto più di un film-documentaristico. Con questo film Rossellini contribuisce a creare quell'insieme di pellicole che verrà definito “neorealismo”; il quale non ha confini certi – se non dopo i capolavori di Vittorio De Sica – in quanto non si tratta di una scuola cinematografica, bensì di un insieme di registi e autori accomunati dal comune intento di denunciare attraverso una attenta ricerca della realtà, anche attraverso l'uso di attori non professionisti.

Otto Preminger una volta disse che «la storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta». Ed è proprio grazie alla contingenza degli elementi storici e scenografici di cui parlavamo all'inizio che Rossellini riuscì a compiere il salto di qualità a cui sembrerebbe far riferimento il regista austriaco. Una analisi che si potrebbe condividere se completata citando il precedente capolavoro di Luchino Visconti, Ossessione, (1943) dove non a caso stava per essere scritturata Anna Magnani nella parte della protagonista. Se Visconti introduce novità come l'attribuzione di caratteristiche erotiche e sensuali ad un personaggio di sesso maschile e velatamente ci parla anche di omosessualità; Rossellini velatamente inserisce, in Marina Mari, un personaggio che fa uso di droghe; inoltre affronta il tema della tortura – con tutti i limiti imposti dalla decenza dell'epoca – senza risultare datato, anzi, oggi si potrebbero fare scene di tortura, semplicemente suggerendola, con poche immagini e facendo sentire solo le urla, proprio per andare oltre i cliché di genere e la semplice speculazione voyeuristica. Esattamente quel che fece Rossellini in questo film, quasi 70 anni fa.

Giovanni Pili

mercoledì 24 aprile 2013

The Hobbit: An Unespected Journey - Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato

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Ritorno alla terra di mezzo, con un film che è un prequel de Il Signore degli anelli.
Dopo mirabolanti vicissitudini ecco che Peter Jackson, rimette in mano il progetto, e lo dirige lui.
Tre film, saranno tre film che si susseguiranno per raccontare la storia di Bilbo, e le sue avventure che lo hanno portato dritto davanti all’anello, che poi ha preso dal Gollum, che riappare in questo film.
Questa volta il protagonista è Bilbo, che deve unirsi a un'altra compagnia per liberare la terra dei nani, che è stata occupata da un drago, ma l’ombra dell’anello cammina sulla nuova compagnia di nani durante la loro missione, ed è minacciosa, il male non può essere sconfitto in un batter d’occhio. All’inizio Bilbo, da buon hobbit non ha intensione di viaggiare, ma vedendo la sua casa grazie a Gandalf letteralmente invasa dai nani, non può non accettare la proposta del suo vecchio amico e si mette in viaggio con loro.

Premessa: Chi si aspetta grandi battaglie e colpi di scena forse rimarrà deluso, di certo non è la trilogia precedente ma resta comunque un ottimo film che mischia con intelligenza fantastico, avventura.
E’ anche un viaggio iniziatico verso una crescita spirituale, questa volta Peter Jackson narra gli aspetti psicologici dei personaggi, ci fa entrare dentro la compagnia di nani, ci fa vivere le sfumature della vita, quasi come lo spettatore sia un hobbit che insieme a loro si accinge a vivere quella avventura, l’amicizia, il coraggio, i litigi sono concentrati ai massimi livelli creando empatia nello spettatore e riuscendo a carpire ogni lato della vita.

Spesso sono proprio gli effetti speciali che seminano ombre sui personaggi, e Peter Jackson trasformandosi in narratore, riesce a coadiuvare queste sensazioni nello spettatore, appena citate di sopra, ovviamente ci sono anche gli effetti speciali, ma a differenza della trilogia, in cui prendevano il giusto ruolo, sono ben dosati e messi al momento giusto.

Molto bello l’inizio dove si vede Bilbo anziano che scrive il suo libro di memorie, che sarebbe poi Lo Hobbit, andata e ritorno, si vede anche Frodo, ma solo in un piccolo cameo, un inizio malinconico che fa presupporre molte di quelle sorprese.

Se penso che questo film sia minore della trilogia? No, non lo penso innanzitutto perché è una storia a parte, e deve essere presa per quella che è…fare confronti con il Signore degli anelli è sbagliato, perché prima di tutto è un'altra storia, secondo è più concentrata sul lato umano e le emozioni sono spinte al massimo rispetto alla trilogia precedente, questo fa si che lo spettatore nonostante la tensione che è minore rispetto alla trilogia, si concentri su aspetti diversi, più universali e più umani rivelando un lato nascosto della magnifica opera di Tolkien, ovvero la capacità di creare emozioni semplicemente raccontando i protagonisti, e scusate se è poco.

Un film che aggiunge molto alla trilogia precedente, e nonostante tutto rimane sempre uno spettacolo incantevole per gli occhi e per il cuore, stavolta inserendo i veri sentimenti oltre agli effetti speciali, il che non guasta mai.

In conclusione, tuffatevi anche voi nel viaggio con Bilbo, sono sicura che ne uscirete rinvigoriti ed emozionati, proprio come è successo a me.

Da non perdere.

ArwenLynch























martedì 23 aprile 2013

Il mondo perduto: I cortometraggi di Vittorio De Seta

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I documentari sono stati restaurati in una raccolta dalla Cineteca di Bologna nel 2008. (Ndr)

Quando il maestro Vittorio De Seta, nel cuore degli anni cinquanta, gira Il Mondo Perduto, il volto di contadini e pescatori è bruciato dal sole e sferzato dal vento. Il boom economico è ai primi passi, ma la società filmata dal regista siciliano, che successivamente scelse la Calabria come terra elettiva, è distante anni luce dal triangolo industriale e dal progresso che tutto divora e trasforma nel nord del paese.

Tutto ruota attorno alla civiltà contadina con il suo sistema di valori che di lì a qualche decennio, come sosterrà Pasolini, verrà cancellata dal consumismo e dalla televisione.

Il film esce nel 1955 ed è formato da nove corti di nove minuti, girati fra la Sicilia, la Calabria e la Sardegna.
A parlare non sono gli uomini, ma i suoni, i rumori, i canti, i volti dei personaggi che si muovono e si agitano in un forte legame con l’ambiente circostante.

La Cinepresa di De Seta è presente, ma discreta; il suo punto di vista è di parte, come nella lezione neorealista, ma senza marcare l’egemonia culturale dell’intellettuale, un tratto distintivo che segnerà tutta la filmografia del regista.

Nella scelta narrativa legata al tempo, prevale l’unità aristotelica di riprendere tutto nell’arco di una giornata, in genere dall’alba al tramonto, seguendo uomini e donne nel rito quotidiano del lavoro; che siano pescatori, braccianti o minatori delle zolfatare il loro tempo viene scandito dal lavoro, in un ciclo che sembra ripetersi in eterno.

In questo De Seta affida al montaggio e alla sonorizzazione aggiuntiva la funzione di armonizzare il rapporto fra uomo-tempo e lavoro, in un ideale viaggio millenario composto da piccoli poemi staccati e al contempo uniti fra di loro.

Questo tratto è marcato in particolare negli episodi legati al lavoro in mare come “Lu tempu di li pisci spata” o “ I contadini del mare”, dove tecniche e riti millenari della pesca del pesce-spada e del tonno, perdurano fino alla seconda metà del novecento, salvo poi di colpo sparire sotto a causa del progresso economico a tutti i costi.

Gli accenti etnografici, sottolineati nelle tradizioni religiose, evidenziano il debito dovuto alla letteratura di Carlo Levi e ai primi studi di De Martino.

Tuttavia il modo di raccontare quelle storie, in alcuni tratti vera “poesia epica”come ha sostenuto Goffredo Fofi, era fuori moda al tempo ed è fuori moda per certi versi ancora oggi, perché non scade mai nella retorica politica o mitica del mondo dei vinti, ed esclude il commento della voce narrante che era tipico del documentario classico.

Un capolavoro della nostra cinematografia, così lontano dalla smania contemporanea di voler piacere a tutti i costi al pubblico, segno di libertà che da qualche anno è stato riscoperto ed ha fatto sobbalzare sulla sedia anche registi come Scorsese.

Fabio Cuzzola