martedì 31 maggio 2011

Italia: ultimo atto? (L'attentato)

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Film decisamente raro che parla di terrorismo rosso, di un attentato ad un politico democristiano e che, il caso volle, uscì solo pochi mesi prima dell'attacco di via Fani. Distribuzione ai tempi brevissima, oggi se ne trovano solo rare vhs. Uscì anche in Spagna col titolo più esplicito di "Brigadas Rojas", ma il titolo italiano è stupendo secondo me. Chi poteva darmi una dritta simile se non l'amico/maestro Napoleone Wilson? Dovrei fargli un monumento ormai!

Un attentato quindi, uno solo. L'intera trama è propedeutica a quei pochi minuti di scena, che poi ci saranno, prima del finale. Pochi minuti della vita dei 3 terroristi, vita che invece ci viene mostrata in tutto il lungo precedere dell'evento e, brevemente, in quel che succederà dopo. Sono 3 giovani ma non giovanissimi, 2 uomini e una donna, a rappresentare i soggetti protagonisti del fenomeno del terrorismo. La donna (Marcella Michelangeli) ricca di famiglia ma dura e pura nelle sue convinzioni ideologiche. L'insegnante in un istituto tecnico industriale (Luc Merenda), colto quanto basta per rifiutare senza mezzi termini il modello consumistico del capitalismo. Uno "sbandato" (Andrea Franchetti) apolitico di fatto, appena uscito dal carcere in cerca di guadagno sufficiente a rifarsi una vita in Venezuela.

Una giornata con loro 3, null'altro viene ritratto dal film, coi loro pensieri che ci vengono detti a voce fuori campo e con gli eventi che li riguardano. Quei pensieri, per quanto piccoli e brevi, sono importanti, una specie di "breviario" semplice delle idee che c'erano dietro al terrorismo, perlomeno dietro a quelli che lo facevano senza doppi fini.
Roma è un contorno violento e glabro, lo vivono come un deserto anche nel pieno del traffico. Ormai sono in un'azione che portano avanti per decisione presa, in modo irrevocabile: ogni riflessione a riguardo è bandita. Lo sbandato ha in testa solo le donne e il dopo attentato, fa fin ridere in diversi momenti. Altra pasta la donna, coordinatrice del gruppo, fredda in ostentata "professionalità". Più ricco il personaggio dell'operaio, che a un certo punto dovrà scontrarsi, letteralmente, con dei compagni che ora hanno cambiato idea, non vogliono più portare a termine l'azione e cercheranno di fermarlo! E' l'aspetto più toccante, che fa riflettere anche alla luce di un finale "implosivo" del gruppo (mi ha persino ricordato lo scioccante "United Red Army" per certi versi). Finale implacabile anche per i loro ideali.

Un po' per le numerose immagini di repertorio, un po' per riprese e montaggio volutamente con colori asciutti quasi a non voler staccare troppo dal b/n di repertorio, forse anche per le pessime condizioni della vhs che ho potuto ammirare, il film sembra finzione all'interno di un documentario tanto è diretto, privo di fronzoli. Solo alcuni giochi della macchina da presa, che spesso trascorre tempo a ridosso dei 3, ci ricorderà che siamo di fronte a un film, dove set e soggetto sottostanno interamente ai desiderata del regista.

Cultissimo per me, spero tanto di trovare una versione di miglior qualità per una futura ri-visione. In DVD per ora non l'hanno pubblicato, ma mai dire mai. Decisamente un noir e anche d'azione, ma mi piace l'idea di metterlo ugualmente nei poliziotteschi come genere.

Curiosità: alla sceneggiatura, insieme al regista, ha lavorato anche Morando Morandini jr. (nipote del notissimo critico cinematografico) sia in questo che altri film di Massimo Pirri. Lo zio non fu particolarmente entusiasta del film, da lui votato 1,5/5.

lunedì 30 maggio 2011

Rolling Thunder

18

Dico subito che è un Olimpo senza margine di discussione. L'ho visto in lingua originale, e apprezzato comunque anche se ho capito poco di quell'accidentaccio di slang texano. Poi mi sono letto la recensione di Napoleone ed è stato come rivederlo. Consiglio di leggerla con attenzione e di assaporarne sia la competenza che la passione.


Candy/Cassie Yates.-“Che cazzo stai facendo?”
Johnny Vohden/Tommy Lee Jones:-“Sto andando ad uccidere un sacco di gente.”

Automatic Slim/Luke Askew :- [Ultima Battuta] “Porta il tuo culo quaggiù, flyboy!”

Linda Forchet/Linda Forchet :-“Perché rimango sempre invischiata con degli uomini pazzi?”
Maggiore Charles Rane/William Devane :-“Perché è l’unico genere che rimane.”

Janet/ Lisa Blake Richards [Lisa Richards] :-“Charlie…Ero così nervosa che…eh…Cliff è venuto un giorno a guidare fino qui. Ti ricordi di Cliff.”

Cliff/Lawrason Driscoll :-[a Mark, figlio di Rane] “Hey, nanetto corri! Non laggiù. Dai. Torna qui dai nanetto. Dai, corri. Spostiamoci adesso! Dai!”

Mark Rane/Jordan Gerler :-“Ti ricordi come ero, quando ero bambino?”
Maggiore Charles Rane :-“Certo che me lo ricordo, fino all’ultimo dettaglio.”

Maggiore Charles Rane :- [a suo figlio]”Non ti ricordi di me. Adesso ti racconto.”

Maggiore Charles Rane :-“Hai cambiato i capelli.”
Janet :-“Sì. Circa 100 volte nelle ultime 3 settimane.”
Maggiore Charles Rane :-“E non stai indossando un reggiseno.”
Janet :-“Nessuna li indossa più. Non te l’hanno raccontato?”
Maggiore Charles Rane :- “No. Ci avevano raccontato delle minigonne, ma non avevo nemmeno mai pensato di vederne più una.”
Janet :-“Oh bèh, ne ho una, ti va di vedermela addosso?”
Maggiore Charles Rane :-“No, non importa.”

Janet :-“Te l’ho detto già…Gli uomini qui intorno non rispettano nulla. Sai, non ti ho detto di tutti i ragazzi che hanno continuato a chiamarmi fino…Un sacco di vostri amici della base –che io non ho nemmeno mai guardato.”

Maggiore Charles Rane :- “Non credo di avere più alcun posto, qui. E soprattutto per te. Perché non andate a letto? Farò in modo di potermene andare definitivamente.”
Janet :-“Dove stai andando adesso?”
Maggiore Charles Rane :-“Sto solo andando a sedermi fuori in giardino.”

Maggiore Charles Rane :-“Ho avuto tutto, tutto funzionava, ma nulla è poi andato nel modo in cui avevo pianificato.”

Mark Rane :-“Perché vive fuori, nel capannone di legno?”
Janet :-“Solo perché è piccolo, e un posto tranquillo. Là fuori.”

Maggiore Charles Rane :-“Certo non ho più voglia di lavorare su questo.”
Janet :-“E io neanche.”

Linda Forchet :-“Io lavoro di notte.”
Maggiore Charles Rane :-“Quindi cosa stai facendo qui, ora?”

Linda Forchet :-“Bebe, l’uomo ha sete.”
Bebe/Jacque Burandt :-“Beh certo, non dovreste nemmeno essere qui.”

Linda Forchet :-“Tu sei un tipo molto silenzioso, non è vero?”
Maggiore Charles Rane :-“Nàh, io sono solo un po’ arrugginito per le conversazioni leggere.”

Maggiore Charles Rane :-“Vorrei ringraziarti molto per aver indossato il mio braccialetto per tutto questo tempo.”
Linda Forchet :-“E’ il meno che potevo fare. Vorrei aver fatto ben di più.”

Maggiore Charles Rame :-“Si impara persino ad amarla, la corda. Ecco come gli si batte. Ecco come si percuotono le persone che si torturano. Si impara ad amare persino le percosse. Quindi non sanno che quello che ti stanno facendo non ti fa più effetto, ormai.”

Maggiore Charles Rane [rivolto a Cliff]:-“Ascolta un attimo, spero che non ti dispiaccia se ti dico questo, ma apprezzerei davvero se non facessi finta di niente quando il mio ragazzo ti chiama papà.”

Texano/James Best (Sì proprio lui, lo sceriffo Ro”F”scoe P. Coltrane della serie TV celeberrima “The Dukes of Hazzard”(’77-’84). Best, attore attivissimo del cinema e della TV americana dagli anni cinquanta, è sempre stato ottimo anche in ruoli drammatici e/o di folle pazzoide non solo come in quelli comici o di commedia in coppia con Burt Reynolds, suo grande amico, che gli hanno dato enorme popolarità, ma come ad esempio nel capolavoro di Samuel Fuller “Il Corridoio della paura” (Shock Corridor)(’63)in cui interpreta uno dei ruoli più famosi del film, quello di Stuart, o come in questo film di John Flynn, di psicopatico criminale e assassino a sangue freddo.) :-“Ciao, Maggiore. Ti ho visto in TV, ti ho guardato bene. Davvero, ti ho seguito con attenzione. Inoltre abbiamo visto io e i ragazzi qui, darti un merdoso cofanetto pieno di dollari d’argento. E tra me e i ragazzi, ci siamo guardati e abbiamo pensato, che forse anche a noi ragazzi di un quartiere disagiato si potrebbe dare alcuni di quei dollari d’argento.”

Texano :-“Ora, noi siamo in grado di farti dire dove è quel denaro, prima o poi. Io ti suggerirei prima, perché il“dopo”, potrebbe essere per te troppo tardi.”

Automatic Slim :-“Ora non…Mostrarmi la solita merda di duro ufficiale. Perché ero proprio lì in Vietnam anch’io, con il resto di voi. Cioè stavo tutto il tempo a strisciare a faccia in giù nel fango, mentre i vostri jet ci volavano sopra.”

Automatic Slim :-“Stupido, e stronzo. Come ci si sente ad avere subito tutto questo per niente?”

Linda Forchet :-“Voi stessi avevate trovato una groupie principale.”
Maggiore Charles Rane :-“Che cos’e una groupie?” Questa parola è un po’ fuori dei miei tempi.”
Linda Forchet :-“Bene una groupie è una ragazza che si è innamorata di una rockstar o una stella del cinema. Qualcuno che lei nemmeno sa. Lui può anche adorarla per un cero periodo di tempo…, ma poi lei non riesce mai più a incontrarlo ma, bèh se lei avesse mai fatto davvero qualcosa per lui, qualcosa. Lei bèh, avrebbe forse potuto cambiare le cose.”

Cliff :-“Voglio dire. Io sono stato in alcuni di questi “giri”, e so bene che cosa si possa fare. Ma…,eh bene quello che ci si può fare e ciò che può succederti. Ma quando eri là non potevi che preoccuparti prima di tutto di te stesso, se e quando ti avrebbero preso per torturarti. Sai, ci hanno preso e torturato tutti.”

Cliff :-“Voglio mettere le mai su quei bastardi assassini.”
Maggiore Charles Rane :-“Passerà Cliff, tutto passa.”

Lopez/James Victor :-“Gringo, a Fat Ed piacciono le belle ragazze. Mi piacciono le ragazze belle gringo. Gringo, ogni corpo di bella ragazza.”

Maggiore Charles Rane :-“ [tirando e rilasciando infilzata con il gancio, la mano di Lopez] “Si può perdere, una mano del genere.”

Linda Forchet :- “Spero solo che io non sia per te solo l’occasione per arrivare a loro, Charlie Rane. Mi auguro che non sia tutto qui, quello che stai facendo.”
Maggiore Charles Rane :-“Non ha niente a che fare con questo, che devo fare?”
Linda Forchet :-“Forse sarà così. Quanti anni pensi che abbia?”
Maggiore Charles Rane :-“25.”
Linda Forchet :-[sorride] “Quasi trenta. Ho già fatto il giro del corso un paio di volte oggi.”
Maggiore Charles Rane :- “Beh, certo non si direbbe.”
Linda Forchet :-“Beh, io faccio la mattina. E dopo sono stata a fare festa per tutta la notte. Che ci faccio ancora qui da quando mi sono seduta, da sola a rimuginare su un qualche uomo senza valore. Ho avuto un paio di ‘ehm, sai com’è?”
Maggiore Charles Rane :- “Cosa vuoi dire?”
Linda Forchet :-“Solo che puoi fidarti di me. E voglio sapere se io, posso fidarmi allora di te. Ti voglio aiutare.”

Linda Forchet :-“Sapete dove posso trovare un ragazzo che si chiama Billy Sanchez?”
2° Barista/ Arturo R. Tamez, Jr. :- “Perché lo stai cercando? E’solo un buono a niente.”
Linda Forchet :- “Io non voglio niente da lui, voglio solo parlargli.”
2° Barista :- “Non è buono neanche per quello.”

Linda Forchet :-“Sai che non dovresti farlo. Non dovete contro tutti quei tipi. Potremmo io e te saltare in macchina e andarcene a mille miglia lontani da qui, dove nessuno saprebbe più niente di noi.”

Linda Forchet :- “Charlie, tu sei l’uomo più tranquillo che io abbia mai conosciuto.”
Maggiore Charles Rane :-“Sembrerà. E’ il fatto che io non riesco più a pensare a nulla da dire. Certo, i miei occhi sono aperti e ti sto guardando. Ma dentro sono morto. Essi hanno tirato fuori tutto quello che era dentro di me. A nessuno dopo, farò mai più male di quanto ne farò a loro.”

Cognato/Paul A. Partain :-“Questa probabilmente sarà l’ultima convertibile americana prodotta.”
Sorella/Jane Abbott :-“Che dici, niente più cabriolet?”
Cognato :-“No signora. Costano troppo ormai, una fortuna.”
Sorella :-“I giapponesi però hanno iniziato a farle già da tempo. Ecco che cosa succederà. Noi compreremo le Cadillac cabriolet dal Giappone.”

Sorella :-“Beh, anche i bianchi non fanno più cose buone. Ho comprato una TV fatta negli Stati Uniti perché volevo comprarla americana. E si è rotta in tre settimane. Quando l’uomo delle riparazioni è venuto per risolvere il guasto ha detto che tutte le sue parti erano state fatte in Giappone, in ogni caso. Così la prossima volta posso comprarne direttamente una fatta in Giappone.”

Maggiore Charles Rane :-“Li ho trovati.”
Johnny Vohden :- “Chi?”
Maggiore Charles Rane :-“Gli uomini che hanno ucciso mio figlio.”
Johnny Vohden :-“Aspetta solo appena che prenda i miei “attrezzi””
Maggiore Charles Rane :-“Sono in un bordello oltre a Juarez adesso. Ci sono i quattro che sono entrati in casa mia, e altri otto o dieci dei loro.”
Johnny Vohden :-“Andiamo, e facciamo un lavoro pulito.”

Candy :-“30 minuti -30 dollari.”
Candy :-“Maledizione, voglio solo che tu m’affitti non che mi acquisti.”
Candy :-“Se stai cercando un brivido a buon mercato, perché non te ne vai alle gare dei cani?”

Maggiore Charles Rane :-[al Texano] “è venuto il tuo momento!”

Maggiore Charles Rane :-“Così vorresti fare credere a me, di non aver mai sentito parlare di Melio, T-bird, o Automatic Slim?”

[ultime battute]
Johnny Vohden :-“Maggiore, le persone che affronteremo adesso là fuori, ci odieranno.”
Maggiore Charles Rane :-“Puoi metterti gli occhiali, John.”

Maggiore Charles Rane [il discorso del rientro in Patria, nella sua città]:- “E’talmente bello poter essere tornati indietro. Sapevamo tutti insieme, che ognuno di noi sarebbe tornato a casa e che dal Presidente in giù tutti erano dietro di noi al 100%. Era Dio e la fede nelle nostre famiglie che ci tenuti in carreggiata. Parlando per me, vorrei dire che l’intera esperienza ha fatto di me un uomo migliore, un ufficiale migliore e una America migliore, per quella che vedo con i miei occhi. Mille grazie.”

Dopo sette lunghi anni di prigionia conseguenti all’abbattimento del suo caccia durante la famosa operazione “Rolling Thunder”, il maggiore Charles Rane (strepitoso William Devane, come quasi sempre suo solito) fa ritorno a casa dal Vietnam del Nord, e dal famigerato “Hanoi Hilton”, il così soprannominato terribile infinito soggiorno dei P.O.W. (Prisoner of War) americani durante la guerra del Vietnam, venendo accolto con un bentornato da eroe, ma non accolto tra le braccia di una società cambiata per non parlare della famiglia. La moglie, ovviamente appena lo vede tornare chiede il divorzio, visto che adesso è da tempo impegnata con lo sceriffo della città, il giovane figlio di Charles conosce solo lo sceriffo, ma almeno riconosce quella di Charles come la sua figura di vero padre. Se qualcuno tra voi che leggete queste righe ci può riuscire per esperienza personale, immaginatevi un po’ come ci si possa sentire, quando non c’è posto per sé da nessuna parte, e si è costretti come Charles a vivere nella baracca di legno –laboratorio fotografico dietro la casa una volta sua, cercando di riprendere un minimo di parvenza di normalità in una routine di vita che oramai di normale, non ha proprio più nulla. Paradossalmente, la sua sanità mentale, conservata a prezzo di immani sforzi durante la sua prigionia, viene messa più a dura prova qui, a “casa”, che durante il suo lungo internamento in prigionia. Almeno lì, c’era la fortissima motivazione di resistere e sopportare tutte le umiliazioni, le torture e le mutilazioni, per il grandissimo affetto verso la moglie e il figlio, e il suo disperato desiderio di poterli un giorno, rivedere. Una volta tornato, ha dovuto anche scoprire che a parte il figlio,tutta la sua vita è stata annullata, sottratta.
Come se il dolore di perdere anni della sua vita e della perdita della sua famiglia, oltre che quella della moglie per di più ad un altro uomo non bastasse, un gruppo di spietati criminali prende in ostaggio la famiglia di Charles nell’irruzione a casa sua con il piano di rubargli i due mila preziosissimi dollari d’argento, monete di grande valore che il Governo ha dato ai P.O.W. tornati a casa, in rappresentanza dei giorni della loro vita trascorsi come prigionieri di guerra. Per Charles, appunto furono duemila.
Nuovamente umiliato, torturato e mutilato, questa volta insieme anche alla famiglia, Charles ricade nella sua formazione militare e si rifiuta di rivelare loro dove sono nascoste le monete, ma il suo giovane figlio non ha tale formazione. In breve, la moglie e il figlio di Charles vengono uccisi a sangue freddo per eliminare ogni eventuale testimone, mentre Charles sopravvive, creduto morto anche lui.

Ma quando uccidi con la pistola un uomo e la sua intera famiglia, è molto meglio fare un lavoro dannatamente sicuro e rapido. Perché una volta Charles sopravvissuto miracolosamente al mortale agguato, egli si prepara a scatenare una nuova guerra, contro gli spietati assassini della sua famiglia. Con un gancio scintillante al posto della sua mano, maciullata dal tritarifiuti del lavandino di cucina durante la mutilazione subita dai criminali per farlo parlare, caricatosi di un arsenale di armi da guerra, e di Johnny Vohden, un barista suo amico e veterano anch’egli dedicatosi alla vendetta (Tommy Lee Jones, sempre bravissimo), il Maggiore in lutto percorre nella sua Cadillac rosso fuoco –donatagli in “premio” dal Governo insieme ai maledetti 2000$ d’argento, a “simbolico” risarcimento- una difficile e solamente dolorosa strada, con una sola idea in testa, quella di fargliela pagare con la vita.

Super cult del “Revenge movie”, sceneggiato nientemeno che da Paul Schrader già vincitore di Oscar e appena dopo il simile per temi e ossessioni “Taxi Driver”(’75) di Martin Scorsese; “Rolling Thunder” ha negli Stati Uniti e anche in Gran Bretagna uno status enorme, avendo influenzato molti personaggi famosi e di cinema, pur non detenendo ancora un dvd ufficiale negli Stati Uniti almeno fino a pochi mesi fa, e questo è senza dubbio uno dei migliori film del filone della vendetta mai realizzati, grazie anche all’energia elettrizzante della sceneggiatura eccezionale di Schrader e alla migliore interpretazione della carriera di William Devane, oltre che degli eccellenti coprotagonisti Dabney Coleman e Tommy Lee Jones.
Il film proprio grazie alle interpretazioni ti cattura e non ti lascia mai più, e Devane per l’appunto dimostra come sia in grado di reggere da protagonista un film così drammatico e anche molto forte per situazioni e sequenze, e te ne accorgi fin da subito già dal bellissimo inizio sull’aereo che lo riporta a casa. Devane è proprio eccezionale in questo film, nella sua caratterizzazione di uomo esteriormente e apparentemente in pieno controllo di sé, mentre interiormente come spesso accade completamente a pezzi, incapace totalmente di potersi adattare alla vita piena di niente e astratta che gli è stata creata e imposta, solamente da altri.
Come detto sopra, il Maggiore Rane è un uomo d’azione che si ritrova con niente più per cui combattere ancora, e danneggiato irreparabilmente. Molto bello è poi l’allusività così tipica della scrittura di Schrader ad una certa tensione sessuale tra i personaggi amici di Devane e Lee Jones. C’è un preciso punto del film nel quale Tommy Lee Jones ammette di avere avuto grossi problemi nel fare di nuovo l’amore con una donna, dopo un periodo particolarmente oscuro della sua vita, che è talmente ben scritto e tratteggiato da colpirti indelebilmente per la finezza descrittiva di cosa voglia dire e di quali indelebili, pesantissimi strascichi, lasci dietro di sé una lunga deprivazione sessual -affettiva nella mente di un uomo normale. Come spesso è accaduto nelle sceneggiature di Schrader (uomo lontanissimo dall’omosessualità più o meno latente, anzi tutto il contrario uno degli uomini più eterosessuali e “ossessionati” dal sesso –e dalle donne- dell’intero cinema hollywoodiano, basti dare una scorsa ai suoi film da regista, non escluso l’ultimo “Adam resurrection”, per non dimenticare il precedente “Auto Focus”[2004], e compagno nella vita di donne come Nastassja Kinski), viene potentemente indicato che forse Rane durante il suo lungo internamente si era lasciato andare al “conforto” di un altro uomo.
In definitiva, “Rolling Thunder” è praticamente in tutto uno splendido film, è certamente anche un film d’”exploitation” e a basso budget, fino alla fantastica orgia di violenza verso il finale, quando il “body-count” cresce in maniera esponenziale, ma non è certo come film nel suo complesso, da relegare solamente come ulteriore, ennesimo, Rip-Off de “Il Giustiziere della notte”(Death Wish)(’74) di Michael Winner. Qui, senza nulla togliere al comunque eccellente film con Charles Bronson, c’è molto di più, la trama è certo brutale ma tocca anche argomenti importanti come l’onore, il dovere, la colpa e la responsabilità, l’amicizia, la solidarietà, l’infedeltà come tradimento e i costi psicologici enormi della guerra. Ma questi sono solo una parte, dei molteplici bellissimi, strati di lettura e di contenuto del film.

Film diretto da John Flynn, e qui bisogna incominciare a parlare del regista, ottimo autore di genere
-già nei cinque anni precedenti a questo-, di “Organizzazione crimini”(The Outfit)(’73) da Jim Stark, e nel biennio successivo de “I Violenti di Borrow Street”(Defiance)(’79), titoli cultissimi del noir e del thriller metropolitano violento, regista sottostimato ancora oggi fuori dalla cerchia dei veri cultori ed esperti dei generi americani, eppure sempre preciso e dall’ottimo ritmo, più che mai perfetto in “Rolling Thunder”, dove riesce sempre a controllare ad ogni livello la cruda vicenda, senza mai vergognarsi o tirarsi indietro di fronte alle sue spaventose implicazioni. La sceneggiatura (co-scritta, insieme a Schrader, da Heywood Gould) è superbamente delineata nei suoi realistici cambiamenti e nelle sue implicazioni molto avverse esistenzialmente, di vita e di morte. Rane ripete a sé stesso domande sul perché non sia mai morto laggiù in guerra e sia ancora vivo, mentre alla guida della macchina si dirige per la sua vendetta anche contro i suoi fantasmi oramai personali. Il sottogenere del “Revenge movie” si arricchisce grazie a questo film di inediti campi d’azione da esplorare e restituire oltre che alle tematiche da proporre allo spettatore, nello splendore del personaggio di Devane e della sua violenza come reazione (una nozione di cui farà abile riutilizzo Gaspar Noè in “Irreversible”[2002]). Nel merito proprio dell’azione in “Rolling Thunder”, (e specialmente la conclusiva sparatoria nella “Confraternita”) essa è altamente cinetica e coinvolgente, e quasi mai al cinema si è potuto assistere ad una fuga con i risultati che ha offerto in seguito, come qui.
Altro che, come qualcuno potrebbe sempre credere a scorrere la trama (però balza subito agli occhi,di vita vera, e tragica), che questo possa essere un film di propaganda “mascherato” sotto la sua evidente drammaticità, invece il mondo rappresentato nel film non è certo quello che ci è stato proposto con le sue risposte incorporate o le sue semplici enunciazioni propagandistiche, come bandiere mosse al vento, in molti film americani nelle ultime decadi. Qui è mostrata ma una larga, vasta, disaffezione pubblica verso la guerra in Vietnam, spinta dalla giovane, coscienziosa generazione di registi che realizzarono, producendoli, lavori i quali potessero riflettere gli impatti negativi della guerra su tutti gli aspetti della vita americana anche dopo che il conflitto si concluse. Quando la guerra terminò “ufficialmente” nel 1975, molti soldati ritornarono quindi negli Stati Uniti, alcuni per la prima volta dopo tanti anni, e ciò che trovarono ad accogliergli fu qualcosa che sarebbe eufemistico definire come certo non qualcosa di simile ad un “benvenuto agli eroi”. Questa è una delle nozioni portanti che da il carburante all’energia oscura del film di John Flynn, un cult genuino ancora di più oggi di quanto lo fu nel 1977, il quale descrive bene dei personaggi alcuni anche spaventosi, ma troppo ben studiati, e del loro inserimento nelle sanguinarie trappole di un thriller sulla vendetta.
“Rolling Thunder”è quindi sì innegabilmente,una sorta di film d’”exploitation”, ma crudemente romanticizzato, -e come detto, inspiegabilmente quasi invedibile per anni- incrementando quindi le difficoltà d’inquadramento dentro una qualsivoglia classificazione, interpretato da giovani attori ( a parte Devane e Best) come il giovane co-sceneggiatore Paul Schrader, destinati poi realizzare molte altre grandi cose. Nel caso di “Rolling Thunder” in particolare, hanno sempre avuto ragione i numerosi fan di questo film presenti in Usa e in Gran Bretagna. Il film è diverso da ogni altro del filone dei “Revenge movie” anche per la sua unicità di ritmo, da film drammatico fino al punto di ebbolizione, prendendosi il tempo di umanizzare i suoi personaggi per migliorare agli occhi dello spettatore quelli che saranno i loro primi due atti di violenza. Riuscendo quindi mirabilmente a instillare una profonda sorpresa quando inevitabilmente, occorrendo perderla si deve lasciar perdere ogni residua sensibilità, durante la spaventosa resa dei conti finale nel bordello.
La violenza nei personaggi di Devane e Jones ci viene ben mostrato come sia certo emozionale ma anche, e in modi non vacui, d’altra parte fortemente caratterizzata dall’essere stati addestrati militarmente, in un certo qual senso quindi “nati” per affrontare anche simili esperienze. Il film mostra mirabilmente, nei suoi personaggi principali, come in loro torni veramente vivo ciò che loro riconoscono -che sia corretto o no- quando la loro vita come in questo caso è minacciata o brutalizzata, il ritorno come un’eco mentale delle ritualità utilizzate sin dai tempi del loro addestramento per andare a combattere in Vietnam, o qui in Patria, come supporto alla campagna per lo sforzo bellico. I personaggi di “Rolling Thunder” portano in ogni senso, la guerra dentro di sé, e quelli che sono tornati proprio dalla guerra, in un certo senso l’hanno portata anche a casa, trovandone un’altra che non erano forse veramente pronti a dover combattere.
Devane è sempre stato d’altronde un’ attore caratterista di rilievo, ma qui dimostra con grande forza di essere egli stesso un superbo attore protagonista, uno tra i maggiori della sua generazione. Il personaggio di Rane è una complessa creazione, e Devane maneggia questa complessità cogliendo qualcosa di profondo durante le sue interazioni con il giovane figlio e eventualmente, con Linda. Jones sostanzialmente è un po’ in disparte da tutto questo, sparendo per consistenti parti del film, ma ritorna potentemente durante l’assedio finale rimanendo in piedi ad uno dei più spaventosi “redde rationem” cinematografici.

Il film fu originariamente prodotto e previsto per la distribuzione dalla Twentieth Century Fox; era infatti tra i titoli preminenti nei loro listini per le uscite dei film nel 1977. Tuttavia, il consiglio di direzione degli Studios fu grandemente disturbato dalla violenza del film finito, e venne perciò presa la decisione di svendere il film alla gloriosa casa di produzione e distribuzione indipendente, la American International Pictures.

Quentin Tarantino com’è noto, chiamò la sua casa di distribuzione Rolling Thunder Images, proprio in omaggio a questo film. La Rolling Thunder Images ha ripubblicato in dvd B-movies, classici di culto, film indipendenti, film d’”exploitation” e film stranieri. L’azienda purtroppo è fallita per una sempre maggiore flessione nelle vendite dei suoi titoli.

Nel suo libro del 1982 “Adventures in the commercial screen”, il famoso e oscarizzato sceneggiatore William Goldman, che assistette ad una proiezione in anteprima di questo film, descrive che alla fine del film vi fu “la più violenta reazione degli spettatori negli ultimi anni…Il pubblico in realtà si alzò proprio dai posti a sedere e cercò di assalire fisicamente gli uomini degli studios di produzione del film presenti tra di loro.”

Kris Kristofferson era stato imposto come protagonista del film nella parte del Maggiore Charles Rane, ma si tirò poi indietro e il ruolo venne trasferito a William Devane.

Luke Askew contrasse una grave intossicazione alimentare durante le riprese del film e si ammalò gravemente, ragion per cui il giorno che venne girata la famosa scena in cui William Devane squarcia il cavallo dei pantaloni di Askew con la sua mano-gancio, è stata girata con quell’espressione di dolore sul volto di Askew, quanto mai vera.

Napoleone Wilson

domenica 29 maggio 2011

Plaza Suite - Appartamento al Plaza

16

Come per "La strana coppia", anche qua siamo di fronte ad uno splendido adattamento cinematografico di una commedia di Neil Simon. Stavolta c'è il solo Walter Matthau a farla da mattatore, in tre atti/episodi tutti nella stessa identica stanza al Plaza, in ognuno dei quali interpreta diversi personaggi accompagnato di volta in volta da eccellenti coprotagoniste femminili.

Atto I: Il matrimonio fallito
Una coppia attempata, lei (Maureen Stapleton) molto innamorata ma poco corrisposta, lui imprenditore sempre super impegnato il quale, salterà fuori, ha una relazione extraconiugale. E' il giorno del loro anniversario e in quella stanza ebbero la loro luna di miele...

Atto II: Il matrimonio tradito
Un produttore di Hollywood cerca una donna per sfruttare "al meglio" alcune ore libere che ha e troverà una vecchia fiamma (Barbara Harris), dopo tanti anni sposata con prole, la quale però, con le giuste "stimolazioni" alla sua vanità...

Atto III: Il matrimonio temuto
Una ragazza che sta per sposarsi si chiude in bagno facendo scena muta. Disperazione ed ogni sorta di espediente dei genitori (lei è Lee Grant) per tirarla fuori da lì e convincerla a raggiungere ospiti e prete che da tempo l'attendono...

Il secondo episodio è divertente, col tira e molla della donna sul "glie-la-do-sì-o-no?", ma certamente il "minore". Gli altri 2 invece eccellono per motivi diversi.
Il primo per drammaticità e qua un encomio enorme va all'attrice di grande scuola, Maureen Stapleton, che interpreta un "caso tipico" non solo americano di casalinga che ha dedicato tutto al successo del marito e si ritrova in una condizione di totale distacco da lui, perché il suo dedicarsi ha voluto dire vivere lontano.
Il terzo richiede assolutamente pannolini o pannoloni a scanso di rischi se si hanno anche minimi problemi d'incontinenza perché c'è da morire dal ridere letteralmente! Il non-sense della situazione, con cappottamento sul finale, porterà i 2 genitori alla disperazione, con gesti conseguenti.

Immenso Walter Matthau! Nel terzo episodio "è lui", il burbero cattivo che tutti amiamo con aggiunto un attaccamento ai soldi che creerà un tormentone di quella scena. Nei 3 atti però lo si può ammirare in tante diverse modalità interpretative e per chi non l'ha mai visto in simili parti risulterà sorprendente. Non solo burbero quindi, ma attore a tutto tondo. Mito.

Nei miei Cult. Se amate come me il Teatro molto ben portato nel Cinema è una visione obbligatoria, e divertente per tutti.

sabato 28 maggio 2011

La voglia matta

17

L'ingegnere Antonio (Ugo Tognazzi) non ci pensa proprio a sposarsi. E' ricco, ha una bella donna per fidanzata, è un 40enne ancora in gambissima, forte di carattere e di fisico, tutto lavoro e vita godereccia, dorme 4 ore a notte. Parte con la spider per andare a trovare il figlio affidato ad un collegio e nel viaggio "impatterà" in una comitiva di giovani in vacanza, rimasti in panne con la macchina.

Nel gruppo c'è Francesca (Catherine Spaak), una ragazza appena sedicenne, che farà da subito la "stupidina" con Antonio il quale non riuscirà, pur millantando distacco, a restarle indifferente. Per lei è un gioco, per lui inizialmente anche, forse, ma poi si farà trascinare in un vortice di eventi e vivrà la stessa vacanza coi ragazzi, lui adulto in una ganga di giovani e giovanissimi, completamente fuori luogo, illuso che Francesca possa davvero diventare una sua compagna di vita, illusione di cui è cosciente e che non riesce però a dominare. Nemmeno le continue e ripetute umiliazioni, alcune delle quali veramente pesantissime, riusciranno a distoglierlo dal suo "matto" intento.

Attenzione: questo non è proprio un Lolita all'italiana perché Antonio non sarà mai ricambiato, anzi, e per certi aspetti è fin più crudele del capolavoro di Kubrick (il quale, "curiosamente", è dello stesso anno). Non faccio paragoni impropri nemmeno tra i registi, pur avendo grande stima per Luciano Salce, ma insomma, sono film diversi anche per budget e aspirazioni. Evitare anche comprensibili paragoni con altri imprenditori lombardi col vizio delle minorenni, più che altro perché Francesca sarà anche insopportabile ma non millanta illustri parentele e Antonio ha solo 40anni (oggi a 40 anni ci si dà del "ragazzo", ai tempi si era uomini di mezza età).

Evitare infine, e qua la smetto di pontificare, di sottovalutare questo film! Complice la mia età mi sono messo nei panni di Antonio e ammetto che Francesca e compagnia, con me invece che con lui, avrebbero subito torture sanguinarie tali da ispirare all'amico John Gulager "Feast IV - Rivers of blood" (non cercatelo, film purtroppo inesistente). Per Francesca un trattamento alla Martyrs per il gran finale.
Sono cattivo eh? Be', fare la fine di Antonio, perché questo film non ti lascia un barlume di speranza, proprio non mi va giù. Mi chiedo se ce la farei, o se non, piuttosto, proprio come il forte-ma-debole lombardo, soccomberei di fronte alle grazie della giovane che ha sedici anni ma è donna fatta e finite e che donna accidenti! In fondo non è che Antonio se l'andasse a cercare una storia così, gli è capitata tra capo e collo, come si dice. Maledetto chi ha messo in commercio le pastiglie blu, ché da quando ci sono quelle siamo pieni di "antoni" anche ben più in là con gli anni.

Film consigliato decisamente.

venerdì 27 maggio 2011

Nude Nuns with Big Guns

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Splendido il titolo in rima, che si presta anche a non pochi doppi sensi che risulteranno affatto velati. Suore nude "co' tuttu u pilu de fora" quando lavorano nella raffineria di droga al servizio di gentaglia molto pulp che per uno sgarro da nulla le sbatte in un bordello a svolgere i peggio servizi; suora vestita, una sola, eroina in missione per conto di dio, armata di tutto punto quando si tratta di operare la vendetta a coefficiente di pietà pari a zero.

La storia nei dettagli la lascio da scoprire. Fornisco un po' di elementi sparsi: c'è una gang per la raffinazione e lo spaccio di droghe al cui vertice c'è un porporato con preti e suore a capillarizzare l'organizzazione; c'è una banda di sbandati violentissimi che si occupano dello spaccio e della gestione d'infimi bordelli; ci sono le suore rese schiave che lavorano nelle raffinerie; c'è la citata eroina (inteso come donna eroe); altra gente rastrellata tra la monnezza più viscida e cinica dell'umanità. Siccome l'eroina per vendicarsi (e per compiere la missione assegnatole da dio, non dimentichiamo il dettaglio) massacra l'organizzazione cattoclericale, il porporato si rivolgerà alla cricca dei bordelli per farla eliminare, ma...

Confermo quanto riferitomi: "filmaccio", nel senso che piace a me del termine, decisamente pulp! Violenza gratuita di più che buon livello, sangue in giusta quantità, qualche richiamo con fare da superiori ad altri film (se rocky si ricuce un taglietto qua la suora si estrae da sola un proiettile da un fianco, tanto per dire!), attoracci alcuni ma altri tosti, storia ad andamento stroboscopico a volte mentre altre volte procede a colpi d'accetta, espedienti filmici di quasi ogni genere (virate in b/n, virate in rosso, fermo immagine, didascalie stile fumetto... manca quasi nulla). Un B-movie fatto bene, non so se mi spiego!

Vera leccornia per una serata all'insegna di Bacco e Venere! (a me il tabacco ormai è precluso...).
Per i maschietti andiamo alla grandissima! Meglio stargli lontano al termine della visione, avvertenza rivolta alle gentil sesso se veramente gentili sono, perché se invece tendono alla suora protagonista o in lei troveranno ispirazione per vendette a lungo represse allora, cari "colleghi" maschietti, consiglio fuga a gambe levate perché la citata suora, omosex e incattivita a bestia con noi, mira volentieri in basso con quei pistoloni che usa.
Omo avvisato... rimane omo. Forse.

Buon divertimento!

Menù: non potendo tagliar droga, c'ho dato di coltello su un ciocco di Pecorino di Pienza con del pane pugliese cotto a legna. Avevo il mio "solito" Barbera di casa, che non sfigura mai. Ero molto allegro al termine della visione, Appagato è il termine preciso. Dieta (questa sì è una parola che fa orrore!) rinviata a data da destinarsi.

giovedì 26 maggio 2011

La polizia incrimina la legge assolve

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Questo è uno dei primi film del genere poliziottesco, e tra i primi anche per qualità a mio parere. Vertiginoso, per azione e tensione. Vista l'ambientazione che oltre a Genova prevede Marsiglia, lo accosterei senza patemi all'illustre French Connection di Friedkin, senza sfigurare.

Franco Nero (grande!) è il commissario Belli, uomo anima e corpo per il proprio mestiere, che insieme al capo commissario di Genova (James Whitmore) è in piena battaglia coi narcotrafficanti. Le indagini però portano ai piani alti della finanza ed industria del capoluogo ligure, inoltre le principali bande che si occupano del traffico, tra Genova e Marsiglia, sono in una spietata battaglia tra loro. Anche coi poliziotti non saranno teneri. Solo l'aiuto di un boss (Fernando Rey) permetterà di dare una definitiva svolta alle indagini, il quale però non sarà un pentito, semplicemente farà coincidere coi suoi gli interessi della polizia.

Come anticipato, spettacolo ed azione a grandi livelli! Macchina da presa messa da tutte le parti, inseguimenti in macchina e a piedi, agguati e sparatorie, tanta violenza mai gratuita però veramente dura e mostrata senza troppi veli. Musiche che sgommano come le Alfa Giulia e Citroen DS del film, scritte dai fratelli Guido & Maurizio De Angelis; ne metto un brano in calce alla rece.

Non ho capito bene il perché del titolo, sembra più uno specchietto per allodole che altro. Non c'è nessun delinquente che finirà assolto dalla legge, tanto meno ci saranno impedimenti legali o burocratici alle indagini, salvo ovviamente casi "eventuali" di corruzione e collusione di figure di potere giudiziario con le bande. Insomma, nulla dei messaggi invece molto più diretti, ed equivocabili, del successivo "Il cittadino si ribella". Qua morale e politica sono completamente assenti, se non per la cronaca.

Poche chiacchiere oggi. Se non l'avete visto godetevelo appena possibile.
Tra i miei Cult.

mercoledì 25 maggio 2011

Winnebago Man

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Avete mai sentito nominare tal Jack Rebney, aka (also known as, conosciuto anche come) "Winnebago Man"? Sapete cosa sono i "viral video"? Se rispondete No ad almeno una delle due domande questo documentario fa per voi. Nel mio caso la risposta era No ad entrambe, ed è risultata una visione interessante e divertente, pure un po' commovente in qualche momento. Ha vinto molti premi come si vede dalla locandina, non è un caso.

Alla fine degli anni '80 Jack è un videovenditore della Winnebago Industries, azienda dell'Iowa che produce camper e motorhome. Durante 2 settimane di difficili riprese di spot, con una troupe portata all'esasperazione, Jack ha imprecato a più non posso, perennemente incazzato con qualcosa. Tutti i c.d. "fuori onda" vennero raccolti dalla troupe ed inviati ad una trasmissione specializzata nel trasmettere filmati bizzarri. Jack Rebney, che nel frattempo aveva cambiato lavoro ed era introvabile, divenne suo malgrado famosissimo. La VHS che lo ritrae nelle sue esternazioni divenne oggetto di culto negli USA ed anche fuori. Tra i fan di Jack anche Ben Steinbauer, regista e autore di questo film. Con testardaggine, un investigatore privato e un po' di fortuna, qualche anno fa riuscì a rintracciare "The Angriest Man in the World" (l'uomo più arrabbiato del mondo) che davvero era andato a vivere in solitudine, il quale nel frattempo, grazie ad un amico e a youtube ha scoperto di essere celebre e perché era celebre... la faccio breve: Jack accetterà, in qualche modo, di farsi intervistare da Ben, ma le vicende andranno un po' per le lunghe per vari motivi, però con un Successo eccezionale nel finale. Ve lo lascio godere.

Il film che in partenza sembra voler essere un'analisi dei citati viral video poi in realtà diventa una biografia, rispettosa e veritiera, di Jack. Questo lo dico: quando Jack scoprì di essere una specie di zimbello pubblico la cosa non è che gli fece molto piacere. A chi ne darebbe? Nel film vengono menzionati anche altri casi equiparabili e ci sono persone che hanno visto la loro vita irrimediabilmente compromessa. Jack però viveva in solitudine, ciononostante accettò l'intervista in primis per porre rimedio alla sua reputazione. Farà una tenerezza incredibile vederlo nel finale, anziano e cieco, abbracciato con affetto e gratitudine dai suoi fan. Di cosa lo ringraziano? Vedere il film se interessa... in ogni caso non farsi fuorviare dal caso "Winnebago Man", i viral video rimangono comunque una forma di aggressione, non a caso nel link di wiki si parla esplicitamente di bullismo e anche di altri reati.

Come dicevo ho risposto No alle domande sopra. Però intendiamoci su una cosa: avrei anche potuto guardare una volta con curiosità il video, e farmi qualche risata così come me ne sono fatte di risate, e di gusto, durante il documentario. Ok, ma da lì a diventare un fan di Jack Rebney ce ne passa! A rasentare il ridicolo non è il buon Jack ma proprio i suoi fan a mio parere. C'è gente che la vhs con le incazzature di Jack l'ha vista un'infinità di volte, altri che la considerano curativa per i momenti di malumore. Forum e Blog nel web alla sua caccia nel periodo che era irreperibile... Ma santi dei, e sarebbe Jack quello "strano"?!? E' una forma di delirio collettivo, quella di erigere a miti personaggi simili, che mi è impossibile comprendere realmente.

Attenzione anche ad altre cose, ma siccome sono stanco di scrivere le lascio come Dubbi: non è che il "viral marketing" come idea nasca dai viral video? E siccome da pensiero nasce pensiero... ma quella merda di televisione urlata, volgare, piena di cafoni che più sono cafoni e più vanno bene per talk-show, reality e compagnia escrementizia, non è forse altro che una specie di "viral tv"? E dai, ancora, maledetta testa... perché fermarsi con questa sequenza di riflessioni in causa-effetto: non viene il dubbio che, se si è dei gran ammiratori di "viral video" per non dire "viral tv" magari, ma dico magari eh!, si è dei "viral people"?
Se qualcuno possiede il farmaco adatto a tamponare questa pandemia, per cortesia, ne faccia uso e menzione, ché siamo in una situazione desolante...

Veramente molto interessante, consigliatissimo, da vedere col cranio aperto e disponibile.

martedì 24 maggio 2011

Spasmo

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Molto difficile catalogare questo film. A me non viene di definirlo horror, insufficiente la quantità di paura e/o violenza per rientrare nella nobile categoria. Lo "declasso" a thriller e si fa per dire, perché in questo senso è tra i miei Cult, tensione e mistero sono notevolissimi! Con un pizzico, in questi termini apprezzabile, di horror.

Era passata quasi un'ora quando alcune scene cominciavano a fornire prime spiegazioni a un mistero che fino a quel momento aveva solo accumulato una serie di fatti che già di per sé non si spiegavano, men che meno avevano tra loro una minima relazione, se non quella data dai protagonisti. Cadaveri che spariscono, altri che compaiono, bambole di gomma a grandezza naturale violentate (???) e abbandonate in giro, intrighi vari ed eventuali. Ben poco di raccontabile per evitare spoiler, dico solo che tutto ruota intorno a 2 fratelli, eredi di una fortuna industriale, e che uno di questi dovrà difendersi da un tentativo, molto strano, di omicidio.

Ancora una volta non sono d'accordo con il regista, che pare non ami molto questo film, cosa che riporto per "sentito dire" (edit. voce rivelatasi errata, vedi commenti). A me invece, a parte qualche recitazione da film cantinaro che però oggi gli conferisce un po' di "fascino bis", è piaciuto molto. Ho solo rischiato di mandare il cervello in ricotta, c'era fin troppo mistero. Le recitazioni piuttosto algide hanno favorito, di fatto, l'ulteriore ambiguità dei personaggi che fino alla fine, tranne un paio, non si comprende se sono amici o nemici della vittima predestinata.

Grande encomio alla trama quindi, che regge molto bene, con un finale eccezionale per inventiva e perversione! La scena finale mi ha tanto ricordato l'amatissimo Mario Bava, in "Il rosso segno della follia" dove il protagonista, da solo, è un concentrato di quanto, in questo film, sono...

A mio parere film imperdibile.

lunedì 23 maggio 2011

The Ultimate Warrior (aka: The Barony) - Gli avventurieri del pianeta Terra

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Recensione in anticipo di un anno: il film nel 1975 narrava di New York post apocalisse atomica nel 2012. Vuole essere di buon auspicio, ché nonostante Fukushima pare l'abbiamo ancora scampata ma c'è sempre gente che ha la testa dura, bene non abbassare la guardia.
Scusate se ho approfittato per dire quel che penso a riguardo del nucleare, sia civile che militare, m'è risultato inevitabile, in fondo questo è pur sempre un blog. Film di grande livello, tra i miei Cult e mi limito a dire questo, siamo nel regno dello SciFiMust, passo la parola a Napoleone.


“A Film of the Future”
Tagline originale del film.

Melinda/Joanna Miles :-“ Ecco Carrot. Lui è lì, e sempre portatore di menzogne.”
Carson/Yul Brynner :-“Sembra essere un giovane molto sicuro di sé.”

Carot/William Smith :-“Andremo all’inferno entrambi, tu e io!”

Ambientato in un 2012 oramai già presente, purtroppo non nelle modalità da olocausto della razza umana del film, nel quale in un mondo che sembra devastato anche da una sorta di peste, un uomo solitario Carson, interpretato da Yul Brynner, battaglia quotidianamente con i predoni di lande o città senza più Dio per chi ci ha mai pure creduto, né legge. Unitosi ad un’idealista, Il Barone, interpretato da Max von Sydow, si sforza di compiere insieme a lui l’impari tentativo della ricostruzione di un mondo migliore.
La paura di un potenziale olocausto a livello di distruzione del genere umano come già più volte suddetto ha generato un intero sottogenere nel cinema della fantascienza, il quale va da film seri e gravi come “L’Ultima Spiaggia”(On the Beach)(’59)di Stanley Kramer, a buoni prodotti d’imitazione e puramente “exploitativi” come “2019:Dopo la caduta di New York”(’83)di Sergio Martino. Il film di Robert Clouse è molto affascinante anche perché esattamente nel 1975, parte e si situa precisamente fra questi due estremi.
Qualche parola in più sarebbe ora giusto spendere su Robert Clouse come regista, sceneggiatore dei suoi film, qui come per “Enter the Dragon”, che pone sempre abbastanza chiaramente lo sguardo sulla natura umana in ogni contesto e genere di film –e ne ha praticati molti-, sia nelle sue manifestazioni migliori che in quelle senz’altro molto meno che nobili, data anche la situazione di “The Ultimate Warrior”che già di suo non incoraggia i lati più nobili dell’animo umano. Da una parte, il paternalismo benevolente rappresentato da Max Von Sydow, a comando della Comune “buona”, che si batte quotidianamente per costruire un futuro migliore per i propri figli; contrapposti ferocemente a loro ”l’altra parte”, la “Famiglia” dei malvagi comandati dal cattivissimo William Smith/Carrott. Tutti personaggi ben scritti nella sceneggiatura, quindi molto ben caratterizzati e di riuscita per lo spettatore. Il personaggio di Carson interpretato da Yul Brynner in particolare, riuscendo nella caratterizzazione di uno dei primi veri “eroi anti-eroi” alla Snake Plissken e alla Mad Max della fantascienza avventurosa e “survivalista”, è enigmatico e apparentemente cinico e indifferente come i suoi più famosi successori, e rappresenta una grossa novità non potendo essere il classico protagonista “buono” di facile leggibilità in termini puramente eroici, ma, come Snake Plissken dopo di lui è anche un mercenario e al suo attraversamento di vari orrori non da che un’apparente, preponderante, insensibilità e distanza dalla sofferenza. Tuttavia, alleandosi con il personaggio di Max Von Sydow, finisce per combattere anche lui disinteressatamente e rischiando la vita sulla linea del fuoco per proteggere tutto ciò per cui i “buoni” hanno combattuto e si sono sacrificati. Anche Brynner/Carson dunque, finisce per diventare un personaggio “buono”. Molto intelligentemente poi, il film si chiude senza fornire un vero reale “lieto fine”, ma anzi con il classico “finale aperto”. Seppur aperto ad una adesso concreta e possibile speranza verso il futuro.
Tutta questa impostazione morale da una parte e la molta azione che lo contraddistingue dall’altra, fa di “The Ultimate Warrior” un film molto affascinante e ben diretto fino alla fine, nonostante il budget che mise a disposizione la Warner non fosse stranamente dei migliori.
Le scenografie pur realizzate non con molti mezzi sono suggestive, gli esterni del quartiere della Comune sono -ed è evidente- strade e palazzi resi abbandonati e diroccati degli Studios della Warner a Burbank, California, le medesime scenografie postatomiche piene di cumuli di macerie di palazzi e carcasse arrugginite di camion e auto, dove un paio di anni prima avevano girato anche la serie tv de “Il Pianeta delle scimmie”. Un cenno è doveroso anche alla colonna sonora di Gil Mellè, uno dei più noti pionieri americani della musica elettronica per il cinema, che utilizza il sintetizzatore in maniera molto suggestiva in diverse sequenze, come il tema sui titoli di testa, una serie di foto fisse in bianco e nero di N.Y. spettrale e disabitata, che durante le scene d’azione come lo showdown finale tra Brynner e Smith e la lunga fuga a piedi degli inseguiti nelle grandi gallerie abbandonate della Metropolitana. Tornando alle interpretazioni e al trio di attori principale, Brynner è veramente carismatico al massimo nella parte di Carson, un protagonista veramente impressionante. Senza inutili leziosismi di “overacting” e priva di apparente sentimento, è veramente centrata con un’ampia visione sul senso del personaggio e dei suoi scopi. Brynner, come Kurt Russell per Snake Plissken e Mel Gibson per Mad Max, riesce a rendere il personaggio affascinantissimo per il pubblico, consentendo in tal modo di inaugurare un grande culto verso questo tipo di personaggi, pur mantenendo un alone di necessario mistero su quasi tutto, di lui. A sessant’anni compiuti e al suo terz’ultimo film, Brynner è oltremodo in forma fisica eccellente, e come molte altre volte, sembra eseguire alcune difficili e pericolose sequenze d’azione e di combattimento, egli stesso. William Smith, del quale non ho potuto esimermi dal parlare diffusamente già sopra, è scelto bene nel cast come suo avversario, il bandito omicida dal nome improbabile di “Carrot” ovvero “Carota”, ma è voluto per contrasto del nome con la sua natura di bastardo psicotico e irrimediabile. Ruolo forse di non grande profondità ma che Smith restituisce con la sua consueta finezza e arguzia, dando come al solito ben più spessore di quanto ne avrebbero avuto naturalmente, a molti dei suoi personaggi. E quei suoi irresistibili, lievi, tic facciali da schizoide. La scena finale di lotta tra i due è impressionante e ben girata, anche perché entrambi sono così atletici e grossi, compensando il tutto in maniera molto uniforme. Max Von Sydow, in un’altra delle sue innumerevoli interpretazioni americane, appena un biennio dopo quella indimenticabile di Padre Lancaster Merrin ne “L’Esorcista” e lo stesso anno di quella di Joubert, il killer efficientissimo, silenzioso e intellettuale de “I Tre giorni del Condor”(Three Days of the Condor)(’75)di Sydney Pollack, è sempre un titanico talento della recitazione, e proprio nel ruolo del Barone porta il giusto equilibrio di stanchezza e forza morale al suo stoico personaggio (proprio come per l’impersonificazione dell’anziano e malato Padre Merrin). Il resto del cast a partire da Joanna Miles che interpreta la figlia di Sydow non è probabilmente all’altezza di loro tre, ma anche se blandamente è abbastanza adeguato nelle caratterizzazioni. I componenti della gang di Smith però sono forti. Anche per questa attenzione alla scrittura dei personaggi e ai loro caratteri, “The Ultimate Warrior” è quel film interessante del sottofilone posta apocalittico che è, oggi poi col fascino vintage anni’70 che potentemente emana, molto di più.

Come giustamente fa notare Richard Scheib, imprescindibile critico recensore americano specializzatosi nella fantascienza, l’horror e il fantasy, molto bella di “The Ultimate Warrior” è la sequenza d’apertura che così colpì anche la mia attenzione quando ragazzino, vidi il film la prima volta. Un’apparentemente “normale” scena in un qualcuno sta catturando dei piccioni appollaiati su quelle che sembrano le travi di un fienile, solo per avere improvvisamente spezzata questa pace da delle mani che appunto “scippano” questi piccioni e li chiudono in dei sacchi. La cinepresa allarga all’indietro e ci mostra che quello che sembrava essere un granaio è in realtà un grande ufficio abbandonato e che ci sono delle trappole approntate in alto sulle travi –è questo uno splendido momento di inversione di quello che appare a prima vista, ovvero ciò che dovrebbe essere l’essenza stessa della fantascienza distopica. Secondo Scheib il “milieu” sociale all’interno dell’enclave comandata dal Barone è “ben abbozzato” , “donandogli attraverso lo script di Clouse, un pessimismo nero in cui tutta la speranza umana è struggentemente ridotta a un singolo pacchetto di semi e a una lotta disperata per la sopravvivenza, o per del latte in polvere o dei pomodori rubati.”
Sempre come ben nota Scheib questo film di Clouse imposta anche molto del modello che avrebbero poi ripreso numerosi film di cyborg dal basso budget, imperniati sulla kick-boxing, a partire dal buon “Cyborg”(1989)di Albert Puyn appunto, con Jean-Claude Van Damme.

“The Ultimate Warrior” o, come nel suggestivo titolo italiano molto anni ’70 “Gli Avventurieri del pianeta terra”, è una gemma in Italia ancora molto sotterranea dell’aureo filone della fantascienza apocalittica prodotto tra la fine degli anni sessanta e quella dei settanta, la fantascienza cinematografica che si potrebbe far racchiudere idealmente tra “2001:Odissea nello spazio” e “Guerre stellari”. D’oro perché la maggior parte delle pellicole che si produssero in quel periodo erano ben realizzate, concepite e ancor di più scritte, erano fantasiose ma anche seriose, e quasi mai grevi come molte di oggi. “Arancia meccanica”, “Rollerball”, “L’Altra faccia del pianeta delle scimmie” [… ], “2022:I Sopravvissuti”(Soylent Green)(’73)di Richard Fleischer,”2000:La Fine dell’uomo”(No Blade of Grass)(G.B.’70)di Cornel Wilde , oltre tantissimi altri che ben meriterebbero di essere qui citati…, tutti oramai dei classici, che riuscivano soprattutto nei loro finali potentissimi e definitivi, ma anche in molti altri momenti, a raggiungere la vera poesia e un vero senso di struggimento nostalgico verso un passato comunque molto migliore di un futuro ambientato in un mondo opprimente e dispotico, quando non distrutto in ogni sua risorsa e bellezza naturale, o ambientato dopo un collasso della società. “The Ultimate Warrior” è uno dei rari precursori del filone postatomico o comunque post apocalittico a cui poi si sono rifatti modelle pressoché perfetti come “Mad Max” ed “Escape from New York”, ed uno dei pochissimi film ad avere prefigurato New York abbandonata a sé stessa e ad un medioevo prossimo venturo senza più civilizzazione né legge,nel quale tutto è lasciato alla mercè della sopravvivenza più ferina perché oramai si può considerare tutto e tutti senza alcun futuro. Carcasse abbandonate di auto, graffiti dappertutto e l’erbaccia seppur grigia cresciuta ovunque selvaggiamente, i quartieri divisi in fazioni che sanno anch’esse molto di medievale a cominciare dagli indovinati costumi “poveristici”,un poco tra il “fricchettone” anni ’70 e gli abiti rurali da lavoro che potrebbero anche benissimo essere -anticamente e tipicamente americani-, “westerner”, niente più petrolio né tantomeno energia elettrica, se non alimentata da generatori elettrici con la poca benzina rimasta, custodita e preziosa come il bizanio di “Titanica” memoria cinematografica, bellissima la sequenza tra “Il Barone”/Max Von Sydow e Carson/Yul Brynner nello studio di Sydow, e la sua considerazione sulle Cadillac Fleetwood del 1981, all’osservazione di Carson del fregio da cofano che “Il Barone” tiene sulla scrivania….-“Mio padre ne aveva una. Furono le ultime che vennero costruite. Era talmente felice quando poteva guidarla, fu l’ultimo duro colpo per lui quando finì anche la benzina e non potè più farlo.”
Max Von Sydow, nel ruolo del Barone (“The Barony” fu anche il titolo del film in U.K.), leader di una pacifica comunità di 50 o 60 persone, barricate nel centro città di N.Y., il fatto scatenante per cui la società e collassata non è rivelato nel film, ma in qualche travagliato modo, contrastato da mille avversità, si cerca di far ripartire la cosiddetta “civiltà”, ma le strade sono in larga parte controllate dalla “legge” dettata da bande di “pazzi” violenti asserragliati in gruppi rivali e in perenne lotta, come la banda comandata da Carrott/William Smith (grande caratterista del cinema e della TV americana, per chi scrive uno dei più grandi, carismatici, in assoluto, tra le sue centinaia di apparizioni e ruoli, sempre memorabili, nobilitando anche film i quali altrimenti non fosse solo per la sua presenza, e la sua grandissima “faccia”, non sarebbero stati così meritevoli d’attenzione, fu anche il padre di Conan/Arnold Schwarzenegger, ovvero “King Conan” nel capolavoro [‘81] di Milius, e regalò memorabili ruoli in “Rusty il Selvaggio” (Rumble Fish)(’83), e “I Ragazzi della 56° strada”(The Outsiders)(’83)di Francis Ford Coppola,oltre che essere stato il protagonista di tutti i bikers movie più memorabili, filone di cui era la vera e propria icona più rappresentativa, come nel forse più bello di tutti , “The Losers”(un Mucchio di bastardi)(’70)di Jack Starrett.)
La “Comunità” del Barone ha una fornitura autosufficiente d’acqua, alcuni bambini, (il nipote del Barone è lì lì per nascere), verdura fresca grazie ad un piccolo orto sul tetto di un palazzo curato dal genero, l’ortovivaista Cal (Richard Kelton). Yul Brynner, al solito in una sua magnifica interpretazione,- alla pari con quell’altra sua celebre nella fantascienza cinematografica- , de “Il Mondo dei Robot”(Westworld)(Usa’73)di Michael Crichton, interpreta Carson, un “anti-eroe”, guerriero mercenario in cerca del migliore ingaggio, il quale viene convinto ad assoldarsi con il Barone. Egli, con l’aiuto di Carson,fa del suo meglio per contrastare l’anarchia dominante, ma un attacco compiuto dagli uomini di Carrott, unito a brontolii di dissenso all’interno del complesso equilibrio per la coesistenza e la sopravvivenza, attuato all’interno della Comunità,determinano la rottura dell’incantesimo che sorreggeva questo delicato equilibrio, e dunque la fine del sogno utopistico di ricostituzione in qualche modo della civiltà,del Barone. E di egli stesso. Presagendo la prossima fine, egli manda allora via Carson con sua figlia incinta (Joanna Miles), e un’inestimabile sacchetto di preziosissimi semi, nella speranza di poter instaurare un altro salvifico e autosufficiente sistema sociale in una pacifica isola abitata da un’altra comunità di sopravvissuti. La bellissima parte finale del film si svolge durante questa frenetica e disperata fuga di Carson e della figlia incinta del Barone attraverso un percorso segreto che li deve condurre al mare, tra le gallerie abbandonate della metropolitana di New York. Ma Carrott e i suoi uomini, venuti a conoscenza grazie alla spiata di un traditore di questo disperato, ma salvifico e risolutore tentativo, si gettano all’inseguimento dei due. Ben consci entrambi che solo uno dei due, tra Carrott, e Carson, sopravviverà all’inevitabile scontro, essendo i semi la cosa più preziosa che rimanga nell’intera città.
“Gli Avventurieri del pianeta terra” è un film di fantascienza colpevolmente ancora oggi –a trentacinque anni dall’uscita cinematografica- sottovalutato e male inquadrato nel genere, in Italia. Eppure, è un film molto potente nell’ambito della fantascienza cinematografica seria di quegli anni, (e che insieme a “Anno 2670:Ultimo atto”[Battle for the Planet of the Apes][Usa’73] di Jack Lee Thompson, è come detto un raro e molto evidente precursore di “Escape from New York” e “Mad Max”, due dei film considerati unanimemente rinnovatori e influenza tori definitivi del fantastico e della fantascienza), il collasso graduale della società all’interno della Comunità del Barone è descritto in modi terrificanti, come verso la fine erano diventati anche i modi del Barone per mantenere l’ordine: un uomo accusato falsamente di aver rubato un pomodoro dai giardini sul tetto è gettato bendato e con i polsi legati fuori dalla Comunità, oltre le barricate fatte con le carcasse di automobili e pullman, nella terra di nessuno popolata da cannibali di strada, i quali escono come branchi di topi dagli scantinati per sbranarlo(come appunto i “pazzi”, i predatori notturni e cannibali che vivono nelle fogne, in “Escape from New York”), la splendida lotta feroce, animale, tra Carson/Brynner e Carrott/Smith è molto brutale, e al culminetermina con una orribile, affascinante,trovata.
E’ stupefacente, come questo film, realizzato con un cast eccellente e un’ottima troupe, oltretutto realizzato dal regista e dai produttori di “Enter the Dragon”(I Tre dell’Operazione Drago)(’73), a tutt’oggi con i dvd/Bluray e tutto il resto, uno dei più grandi successi commerciali della Warner Bros, dal 1973, -e questo fu l’ultimo film che i realizzatori realizzarono subito dopo, quindi praticamente “a carta bianca”-sia ancora oggi poco conosciuto ai non cultori del genere. Perché “The Ultimate Warrior” non è solo un grande film d’azione e non poteva essere altrimenti essendo stato diretto da Robert Clouse, maè anche un eccellente dramma sociale d”anticipazione”, come alternativamente si definisce il genere della fantascienza in Francia, il quale ancora oggi merita quel riconoscimento ufficiale che gli è dovuto, anche per essere stato d’ispirazione così evidente a molti altri film.

Napoleone Wilson

domenica 22 maggio 2011

Golakani Kirkuk - I fiori di Kirkuk

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Film a cura della Contemporaneista del blog, l'amica Laura alla quale passo subito la parola.

“fammi entrare nel giardino dei tuoi occhi”.

Questo film, ti entra nel cuore, negli occhi, nell’anima. Non è una semplice storia d’amore. L’amore tra Najla e Sherko. I fiori di Kirkuk è molto di più. E’ la storia della fine del regime di Saddam Hussein, è la storia di chi vuol stare dalla parte delle vittime della guerra o di chi sceglie di stare dalla parte dei carnefici.

Un film che ha un impatto emotivo molto forte, coinvolgente quasi sconvolgente e la storia tra i due ragazzi è un pretesto per raccontare tutto ciò che gli gira attorno. Un corollario di corruzione, distruzione e sottomissione.

Attraverso gli occhi della protagonista, noi riusciamo a vivere un momento della storia che ci è stato velocemente e superficialmente raccontato dai media. Un po’ come Najla anche noi, da ciechi, iniziamo a vedere e ad inorridire. Iniziamo a scegliere con chi stare. Coraggio o codardia. Non c’è altra scelta. E Najla sceglie di essere anche lei vittima fra le vittime: annullerà se stessa per cercare Sherko.

E la ricerca del suo amore diventerà un continuo incontro con la compassione, disperazione, sofferenza e senso di giustizia. Najla è l’inno alla vita in un Irak corrotto e nefando.

La città di Kirkuk, infatti, è stata la città più devastata del Kurdistan iracheno, ripetutamente bombardata per tutti gli anni ’80.

Il regista, Fariborz Kamkari, asserisce che “i fiori di Kirkuk è il primo film di ambientazione irachena senza soldati americani. E la protagonista è una donna che non è una moglie, non è una madre, non è sottoposta ad un uomo e decide liberamente del suo destino. Per la prima volta vedrete una musulmana che non risponde al solito stereotipo. Ma una donna forte – come ce ne sono tante qui da noi – che ha combattuto per i suoi diritti, quelli del suo popolo, dei curdi e dell’umanità in generale.”

Questo film si "vede" e si "sente" in tutta la sua drammatica disperazione.


Ammiro molto la sensibilità di Laura, femminile e giovanile, com'è lei d'altronde. Sono proprio contento di ospitarla, la ringrazio di cuore.

Dal mio punto di vista (cioè: vecchio cinefilo inacidito) il giovane regista curdo mi pare sia stato molto imbrigliato dai numerosi finanziatori pubblici italiani. Il film, la cui storia è certamente affascinante, poco o nulla ha, stilisticamente parlando, di quei luoghi e di quelle culture. In compenso ha quel "saporaccio" di fiction italiota che procura eritemi pruriginosi al solo nominarla. Altra nota dolentissima: i curdi hanno subito nefandezze spaventose, che si intuiscono ma vengono troppo poco mostrate e questo è male, anzi malissimo.
Ribadisco quindi: il Cinema è altra roba. Questa, sempre secondo il citato vecchio cinefilo inacidito, è fiction per la tivvù.

Mi voglio astenere dal dare il colpo di grazia a questo film, per 2 ragioni.
La prima è che ho percepito delle capacità da parte del regista, che mi piacerebbe vedere in futuro esprimersi più liberamente in una produzione un po' meno impastoiata di questa.
La seconda è che la triste ed irrisolta vicenda dei curdi ha avuto ed ha tuttora talmente poca visibilità, anche nel cinema, che mi fa dire "ben venga" persino ad un film del genere.

Grazie a Laura possiamo quindi proporre due punti di vista, mi pare bellissima questa cosa!

sabato 21 maggio 2011

Italian Secret Service

9

Nino Manfredi è Natalino, noto come "Capellone", così lo chiamavano durante la guerra quando era un abile partigiano. Fu anche onorevole grazie alla costituente, ora però doveva sostenere esami di scuola coi ragazzini anche per un banale posto pubblico.

Viene contattato da un americano, che egli aveva salvato da fucilazione durante la guerra. Questi con fare losco lo ingaggia per commettere un omicidio, di un presunto nazista, facendo passare tutto come operazione dei c.d. servizi. In cambio anche un'importante somma in dollari. Natalino però non se la sente di uccidere, allora subappalta il compito a un conoscente per la metà del compenso, il quale a sua volta e per le stesse ragioni di Natalino subappalterà per la metà della sua metà... alla fine verrà fuori una sgangherata banda composta da Natalino ed altri 4.
Risultato ovvio: la vittima predestinata la farà franca. Verrà anche fuori che non è un nazista ma un americano che vuole dare ai sovietici la formula della Cola-Cola e proprio la parodiata azienda è in sua caccia e lo vuole eliminare. Un casino dietro l'altro, Natalino e C. formeranno la "Italian Secret Service" agenzia di spionaggio industriale, per arrivare a trattare direttamente coi bolscevichi la cessione del prigioniero e quindi della formula.

Film divertente che merita decisamente la visione!
Alcune battute sono davvero irresistibili ma ogni espediente comico è buono, dalla gag alla situazione al limite del grottesco, all'equivoco e pure il tormentone. E' il mondo dei servizi segreti sbeffeggiato alla maccaronica. Tutto funziona bene grazie al notevole cast che potete leggere in locandina la cui abilità da caratteristi, perché è così che tutti operano, copre una sceneggiatura non proprio perfettissima.

venerdì 20 maggio 2011

Duo luo tian shi - Angeli perduti

19

La notte ad Hong-Kong, parimenti al resto del mondo, è come se 2 popolazioni si dessero il cambio. Mentre quella diurna e prevedibile va a dormire una meno scontata ma non meno vera si risveglia... Film visionario su personaggi né in né out, semplicemente "extra", proposto e recensito dell'amico Dr.Nick (al secolo Nicola, quando non è in sala operatoria). A lui la parola. Io chiudo qua la mia presenza, ringraziandolo tantissimo, pezzo splendido.


Più o meno la storia è andata così. Allora bello, immaginati che io ero in questa città ok? Un sacco di occhi a mandorla ok? Un sacco di neon azzurri e rosa e verdi pure ok? Ora io non so se te hai presente, però so che vivi in una grande città quindi più o meno una metropolitana la sai com'è, ecco, pensala che sta fuori da sottoterra. Si bello hai capito bene, diciamo che è sopraelevata.
Io me ne stavo in uno di questi vagoni e mi rigiravo tra le dita un pacchetto di paglie che non ti so dire la marca perchè io il cinese non lo so leggere. E qua bello lasciami aprire una parentesi, perchè va bene che ci sono stato poco, ma ad hong kong fumano davvero tutti un sacco. Fumano come turchi. Più dei turchi. Fumano come più turchi tutti insieme. Che poi si dice ah l'inquinamento rovina l'atmosfera, ma io dico che là l'aria è piena di fumo cazzo, mica gas di scarico o scoregge di vacche. Te lo dico io che ci sono stato.
Comunque ti dicevo, ero su questo vagone e passo praticamente sotto un'appartamento e vedo che c'è una finestra e dietro questa finestra c'è una luce
gialla accesa e illuminata da questa luce gialla ci sono dei vestiti che uao! e dentro questi vestiti c'era una donnina che amico non ti dico a cos'ho pensato la mezz'ora dopo. Però non so, c'era pure qualcosa che non andava in lei. Certo, fumava, come tutti, ma i suoi occhi bello. Quelli non me li scordo.
Erano occhi di chi è disposto a tutto, e dico tutto, occhi di chi spera in un amore invisibile, erano occhi di chi si ubriaca e di chi ascolta quella canzone a ripetizione solo per farsi del male. Io dico che stava aspettando il suo uomo, forse sarebbe arrivato a momenti. A quel punto del mio viaggio ancora non potevo sapere, ma lei era triste e io pensavo che forse avrei dovuto consolarla. Sicuro avevo una mezza idea su come fare.
È con questi pensieri che me ne scendo dalla metropolitana che sta fuori da sottoterra e passo davanti a questo baracchino che vende gelati, e ora ascoltami bene bello perchè la storia si fa davvero assurda.
Immaginati questo ragazzo tutto orientale occhi a mandorla e senza erre. Immaginati però pure che lui non aveva neanche le altre lettere, lui era muto. E bello, nonostante questo handicap ti assicuro che era molto, ma molto, loquace. Convincente direi. Perchè te lo dico? Beh almeno lasciami finire il discorso no?
Allora, c'era sto muto qua dietro al baracchino dei gelati che quando passo mi fa un gesto per dire ehi ne vuoi uno? Io gli dico no bello guarda che sono le quattro e mezza non ho voglia di un gelato. Così lui si ruota la punta dell'indice sulla guancia come per dire guarda che è buono, non sai che ti perdi! Ma io ormai non gli bado più e mentre faccio per superarlo lo sento afferrarmi da dietro e in un istante sono per terra con lui sopra la mia schiena. Lo guardo e sorride. Gli chiedo cosa vuole e lui fa per prepararmi un gelato. Bello io il tuo cazzo di gelato non lo voglio! Lui sorride e comincia a ficcarmi il gelato in faccia per far si che io lo mangi. Ti giuro bello che mi volevo muovere, ma lui era un toro e continuava a sporcarmi ovunque col suo dannatissimo gelato.
Ok ok! Lo mangio! Te lo pago! Levati però cazzo, lo mangio! Lo pago!
Sorride. Me ne fa un altro.
Sorride.
Bello ti giuro io non so quanto sono stato lì. Ho mangiato almeno quattro gelati ed ero lercissimo. E mi era rimasta una sola sigaretta, dannazione.
Pago. Sorride. Me ne vado. Sorride. Vaffanculo, gli dico.
Mi metto poi a camminare per le strade al
neon di questa città e non fare quella faccia lì se ti dico che mi giravano già alla grande. Ho ben pensato che un bicchierino potesse tirarmi su.
Entro in questo bar, un sacco di fumo, come sempre, pochissima gente. Ma i miei occhi sono tutti su una donnina con addosso dei vestiti da uao! illuminata da una luce
gialla. Si bello, hai capito bene, al bancone c'era la tizia della finestra. Stava bevendo qualcosa che forse era gin. Era ubriachissima. Da vicino era ancora più bella, amico, ti giuro. Subito mi scordo di quel coglione muto e mi siedo lì vicino, ordino un whiskey e faccio portare un altro gin alla tizia. Lei sorride, mi avvicino e ci presentiamo, tiro fuori l'accendino e le accendo la sigaretta che si sta portando alle labbra. Che labbra amico. E che gambe! Mi sto già facendo grandi programmi per la serata quando lei apre bocca.
Era tutto troppo perfetto, bello. Ci doveva essere qualcosa che non andava.
Singhiozza. Tira. Beve. Si distende sul bancone e piange. Mi racconta che è innamorata. Mi racconta che non ha mai visto il suo amore. Mi racconta che non mi può dire che lavoro fa lei o lui perchè poi probabilmente non tornerei più a casa.
Quelle parole bello, erano come ghiaccio nei miei pantaloni. Faccio mente locale, mi rilasso e ordino da bere. Ascolto.
Stiamo lì tutta la notte, lei è ubriachissima davvero. Alla fine mi dice che il suo uomo è un assassino. Un assassino, le dico. Sì, dice, ammazza la gente, come quelli come te.
Dice che devo stare attento sennò viene il suo uomo e ammazza quelli come me, compreso me.
Mi dice che era il migliore, mi dice pure che vuole smettere. Beve. Se smette non avranno mai più motivo di lavorare insieme. Tira. Saranno due vite che viaggiano su corsie diverse. Ordino da bere, di nuovo.
La mia vista cominciava a ballare, quando noto quelle due bellissime gambe che si alzano e vanno verso un juke box. Mette una canzone che presumo fosse la 'loro' canzone. Anche se ormai non so più quanto la parola 'loro' faccia parte di quel rapporto.
Amico, ormai anche te l'avrai capito che non avrei combinato nulla. Decido che ne ho abbastanza, mi alzo, pago, non la saluto, esco.
Piove che Dio la manda, o Buddha, non so bene qua chi è che governi le sfighe. Per strada mi ricordo di aver più e più volte ripensato a quelli come me che muoiono. Muoiono a decine, mi dicevano quelle gambe bellissime al bar.
Bagnato e pensieroso svolto un angolo e incrocio un tizio. Giacca
nera, catenella, maglia bianca. È sporco di sangue, ma lo noto dopo questo. Bagnato, pensieroso e confuso svolto un altro angolo.
C'era quest'osteria bello. Vetri in frantumi, pareti
rosse. Ma non tinte bello, era sangue. Era il sangue di almeno una quindicina di tizi stesi per terra, tizi morti sforacchiati che erano esattamente come me. Mi prende una fifa blu e accelero il passo, ripenso anche alle parole della donna al bar. Faccio due più due. Era quello il suo uomo. Quello che ammazza le persone come me. Quello era il suo amore, un assassino senza pietà. Chissà se riuscirà davvero a smettere.
La pioggia mi calma e penso che era bello quando la donna del bar diceva 'amore'. Le sue labbra facevano movimenti che mi attanagliavano, avrei voluto baciarle.
E invece ero qua sotto una pioggia che Dio la mandava insieme a Buddha.
Avrei voluto entrare nelle sue mutande, dannazione.
E invece la pioggia mi aveva bagnato tutte le sigarette.
Avrei voluto avere un ricordo migliore di questa città.
E invece tutto quello che mi son portato a casa sono quattro gelati e quindici morti ammazzati.
Bello ascoltami.
Hong Kong.
Non ci andare. Mai.


giovedì 19 maggio 2011

Il maestro di Vigevano

25
Per film come questi io vado in visibilio, lo dico subito. E' il Cinema d'impegno e intrattenimento (drammatico) per eccellenza, pregno di significati, ben girato, attori da sogno, semplice e diretto, ti fa fare anche qualche pur amarissima risata. Grandi ovviamente i meriti del romanzo omonimo di Lucio Mastronardi. Visto oggi poi si aggiunge ai meriti anche l'interesse storico, per la società e lo stile di vita di allora. Olimpo ovviamente, e mi divertirò a farne un foto-racconto, entro i limiti imposti dall'evitare spoiler.

Intanto passo un attimo la parola all'amica Petrolio (al secolo Milena), grande estimatrice come me di Elio Petri, alla quale ho chiesto un contributo a riguardo.

Il ricordo della lettura del libro è troppo vivo quando scelgo di vedere questo film nel 1995 e rimangono fortemente radicate in me l'amarezza e la sottile ma incisiva vena di sconforto quando lo rivedo oggi. Ho sempre scelto di posticipare la visione rispetto alla lettura. Il motivo è da ricercare nella grande e fondamentale passione che mi cuce a doppio filo ai libri. È assai potente la forza della immaginazione che scaturisce dalle pagine e dalle parole e l'immagine che ne prende forma è viva e reale: il tono di voce, l'espressione del viso, le movenze del corpo, i luoghi, gli oggetti, la gente, gli sguardi, i mormorii. È perciò grande, spesso, la delusione che segue il momento in cui assisto alla rappresentazione visiva della vicenda scritta. In questo specifico caso è velatamente legata alla esperienza da lettrice, come un errore facilmente eludibile grazie all'ammirazione nutrita nei confronti di Petri e Sordi: l'origine romana del protagonista nel film, quando quella originale nel libro era lombarda. Nulla toglie alla bravura del regista che io amo follemente, nulla sottrae alla carriera magnifica dell'attore del quale m'affascina la mobilità e l'intelligenza dello sguardo, la metamorfosi a cui sottopone tutto il viso. Intatta e degna di nota l'immagine grottesca e caricaturale, una grande linea rossa segnata con pugno duro sotto quello che era il mondo piccolo borghese dell'Italia del dopo guerra nel quale ancor più risaltano i tratti dei vincitori e attenuati, fino a scomparire, sono la mitezza, la caparbietà e la sofferenza dei vinti. La scuola, l'ambiente in cui si svolge la vicenda, che avrebbe dovuto esercitare il ruolo (suo proprio) di educatrice, preparatrice e far da trampolino perché spiccassero il volo le coraggiose intenzioni e si concretizzassero gli slanci, è invece la fucina della mediocrità, è fonte di umiliazione e oppressione. Mombelli, avvilito, passivo, non è artefice del proprio destino, sprofonda nella gretta realtà in cui è immerso… quanto amaro è questo ritratto? Troppo, così opprimente da schiacciare e sopprimere qualsiasi emozione, persino il lato comico, troppo esasperato a volte; tutto è vacuo, devitalizzato, distaccato, la vicenda, così come l'avventura di cambiamento, di intraprendenza, di successo vissuta da Mombelli, l'insegnante che diventa industriale per poi miseramente fallire, inizia e finisce. La voglia di riscatto, appena spiccato, compie un volo breve e il tonfo non si sente, come quello del martello pesante che scaglia sul ponticello di legno alla vista della moglie in dolce compagnia. Tradito, sbeffeggiato, fedele. Si rimane vuoti, ma illesi. E allora? Forse l'avrei resa più amara, io. Cosa, altrimenti, pretendere da una nera scrittrice di nero?


Contributo strepitoso al solito. Grazie di cuore a Milena.
Il mio parere, come avete letto e leggerete, è decisamente più entusiasta del suo, ma va detto che non ho letto il libro, fattore importantissimo.

Vigevano è una località in provincia di Pavia, meta obbligatoria anche per i milanesi per qualche gita in primavera. La piazza inquadrata qui dall'alto, anche se non grandissima, è considerata tra le più belle d'Italia e, fidatevi, la fama è meritata. E' un contesto classico di "provincia lombarda" dei tempi, credente ma non troppo bigotta, operosa... Vigevano è nota ancora oggi come "città delle scarpe", rinomata per qualità e quantità di produzione del particolare capo d'abbigliamento. Ai tempi era piena di "fabbrichette".

Simpaticissimo inizio che inquadra dal basso pedoni in piazza. Questo è il nostro protagonista, Antonio Mombelli, che ci racconta la storia. "...ognuno qui a vigevano porta le scarpe che può, che deve e che merita...", parte del suo incipit, frase che vuol già dire molto, perché se il Può è scontato, quel Deve e quel Merita sono segno di una società che esige che ognuno stia al suo posto, con ruoli e gerarchie definite. Non siamo alle caste però, le gerarchie non sono inviolabili.

La faccia di Alberto Sordi nei panni del maestro è indimenticabile. Una parte che è di grande drammaticità, eppure a vederlo, in molti momenti, seppure amaramente non si può fare a meno di ridere. Ruoli che quando ricoperti da attori così diventano un marchio, nessuno potrà mai Osare confrontarsi con l'albertone su questa parte. "...maestro elementare di gruppo b, quarto scatto, coefficiente 271, 19 anni di servizio... mancavano 6 mesi e 1 giorno alla pensione. in fondo i maestri sono come i bambini, basta un nulla per farli felici."


mercoledì 18 maggio 2011

The Odd Couple - La strana coppia

24

Film di tale fama, meritatissima, che la mitica coppia Jack Lemmon e Walter Matthau è poi diventata sinonimo de "La strana coppia". Sempre a causa della infida "Sindrome di Moby Dick" della quale ho già parlato, non l'avevo mai visto per intero, sempre e solo a sprazzi in passaggi televisivi colmi della insopportabile pubblicità. Una mancanza indecente a cui ho dovuto porre rimedio.

Breve sinossi: Felix (Jack Lemmon) vaga per New York appena lasciato dalla moglie, depresso e con propositi suicidi. Finirà in casa di Oscar (Walter Matthau) dove è in corso il periodico pockerino a cui partecipa abitualmente. Anche su pressione di Oscar (che è separato da un po' di tempo ormai), Felix si fermerà lì e provvederà di sua iniziativa a non far pesare la sua presenza occupandosi delle faccende domestiche. In brevissimo la casa di Oscar da discarica camuffata da appartamento diventerà più lustra della vetrina di un gioielliere! Eccezionali poi le doti gastronomiche di Felix. Eccetera eccetera... non scendo in dettagli.
Commedia esilarante come poche, dove il duo Lemmon - Matthau ha trovato definitiva consacrazione in ruoli perfettamente congeniali. Quasi interamente ambientato in casa di Oscar, il film si concede pochissimi momenti di esterno mentre per il resto è proprio come assistere ad un ripresa di teatro.

Senza nulla togliere al regista, il genio in questione è l'autore della commedia omonima da cui il film è tratto, Neil Simon. S'è inventato una vicenda di soli uomini che rappresenta una satira perfetta della vita di coppia. Felix tutto precisino è una massaia igienista e frustrata che basta una briciola sul pavimento per farle accendere le sirene del pronto intervento. Oscar il classicissimo burbero trasandato che però, sotto sotto, preferisce mangiare un polpettone ben cotto invece dei suoi soliti tramezzini e patatine. Chiaro che il fatto che siano due uomini a riprodurre questo "quadretto" rende il tutto più bizzarro e divertente, anche se poi, viste le situazioni personali dei 2 protagonisti, è tutto perfettamente plausibile.

Quello che mi ha stupito vedere, che proprio non era presente nella mia memoria, è stata quella velata ma sostanziale situazione di "omosessualità asessuale" che viene a crearsi tra i due. Per quanto strana la loro è una vita di coppia in tutto e per tutto, a parte appunto il sesso, e sottile, o meglio intelligente ed elegante da parte di Neil Simon inserire nel testo il fatto che ogni tanto si chiamino tra di loro usando i nomi delle rispettive mogli. Questo "chiamarsi da mogli" sarà attuato prima da Felix, fresco abbandonato, e lo si attribuirà al fatto che non riesce ad accettare la situazione, poi però ci cadrà anche Oscar e sarà qualcosa di più di un lapsus.

Al di là quindi della sequenza senza fine di gag e battute, questo film ha connotati interessanti e moderni anche dal punto di vista "socio-familiare", una parolona ma ci sta. Chissà cosa ne pensa un noto intellettuale nostrano  (che il mondo c'invidia!!) su questi argomenti, al quale farei questa domanda: "Felix ed Oscar potevano considerarsi una famiglia?" E poi, dubbio amletico: "ma questo film, un po' ambiguo, è rispettoso della Costituzione italiana?" Roba da non dormirci la notte e nemmanco il giorno!

Indipendentemente dalle risposte, film da Olimpo, quasi inutile dirlo.