sabato 31 gennaio 2009

Il ladro di bambini

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A Milano una bambina, Rosetta, di 11 anni viene prostituita dalla madre, che viene arrestata in flagranza. La bambina e il suo fratellino Luciano verranno affidati a 2 carabinieri per essere tradotti in un istituto per infanzia, di orfani o abbandonati, a Roma. Uno dei 2 carabinieri però a Bologna scenderà, per i fatti suoi, abbandonando Antonio da solo a sbrigarsi la faccenda.

La vicenda della bambina è nota, è un "personaggio" scomodo e l'istituto a Roma rifiuta, con un pretesto, l'affido. Ad Antonio verrà ordinato di portarli in un istituto in Sicilia, terra natia dei bambini. Inizia un viaggio molto lungo, Luciano è asmatico ed ha bisogno di riposo, Rosetta anche ha "i suoi tempi" e Antonio, di buon cuore e contravvenendo agli ordini, affezionandosi molto alla loro vicenda che li ha resi bambini-adulti, concederà molto, trasformando addirittura parte del viaggio in una piccola villeggiatura.

E' una storia tragicamente bellissima. Il film corre coi tempi giusti sul rapporto che lentamente e con pazienza il bravo carabiniere calabrese saprà costruire coi 2 bambini. Quando, al mare, cominceranno... si vedranno delle scene davvero importanti, come Cinema e come umanità. Confesso: qualche lacrimuccia m'è sfuggita e non me ne vergogno.
Anche il ritratto che ne viene fuori della Italia, dalle immagini e da piccoli frammenti di dialoghi, è assolutamente fedele. In Calabria mi è sembrato addirittura di riconoscere i posti dove Antonio era andato a trovare la sorella, ma mi sono accorto poi che gli somigliavano soltanto, come si assomigliano tutti i paesi lungo la nota SS Jonica devastati dall'abusivismo edilizio, da edifici scheletricamente imbastiti e mai terminati.

Una domanda resta da risolvere: chi è il "Ladro di bambini"? Il carabiniere? O chi gli ruba l'infanzia?

Davvero un film molto bello. Giustamente premiato: Gran Premio della Giuria a Cannes e il Felix per il miglior film europeo. 2 Nastri d'argento (regia, sceneggiatura).
Encomio ai 3 protagonisti: Enrico Lo Verso (Antonio), Valentina Scalici (Rosetta), Giuseppe Ieracitano (Luciano).

Ti ricordi di Dolly Bell?

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Vedrà il padre morire in casa per un tumore ai polmoni, ma subito il ragazzo saprà trovare la sua via. "Per 24.000 baci" di Dolly Bell, nome d'arte di una prostituta che lo avvierà alla scoperta del sesso, sarebbe capace di rischiare la vita, ma proprio lei, la ragazza, aveva predetto a lui il futuro, a lui che il padre aveva comunicato in continuazione l'importanza del comunismo e del materialismo che ne è alla base. Il ragazzo amava il padre e lo ammirava, non di meno era affascinato dal potenziale del cervello umano ed in particolare dalle tecniche d'ipnosi che praticava sul suo coniglio di casa, e proprio quando riuscì nell'impresa d'ipnotizzarlo lo vendette per uno scopo supremo.

Il ragazzo, in questo racconto posticcio che ho invertito temporalmente, è l'anima nuova di una Sarajevo dei primi anni '60 dove coesistono sentimento religioso in alcuni ed ideale comunista in altri. Le contraddizioni, anche divertenti, di ambo le parti emergeranno. Certe scene alla Casa del Popolo saranno esilaranti quanto sono serie le facce dei personaggi. Emergente è anche la malavita di taluni, prezzo inevitabile da pagare per una libertà seppur ancora embrionale.

Primo film di Kusturica che lo rese subito, giustamente, famoso.

giovedì 29 gennaio 2009

Gli innocenti dalle mani sporche

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Lui è un uomo ricchissimo e alcolista, vive di rendita a Saint Tropez con una moglie bellissima e molto meno attempata, che non può saziare sessualmente. Arriva casualmente un giovane e squattrinato scrittore, s'innamorano. "Tanto non vivrà a lungo" pensano i 2 amanti, e così decidono di farlo fuori. Il giovane scappa e lei sola ad affrontare le inevitabili indagini. Sulla donna e sull'amante cadono subito i sospetti, ma tante cose non quadrano...

E fin qui tutto bene, un bel giallo, ma siamo appena a metà film. Poi è un continuo cambiar volto alla storia, i personaggi invertono continuamente i ruoli, la vittima diventa l'omicida, e poi ancora.
Tutti possono fare tutto. Tutto può essere diverso da come appare e pur sempre coerente. Questo sembra dirci. Voyerismo, violenza, alcolismo, avidità, maschilismo misogino, una sequela di anti-virtù fa da collante alle vicende in continuo mutare.
La donna, l'unica che compare in tutto il film, la sola che catalizza le colpe che tutti i maschi le addossano, sopravviverà in qualche modo e chiuderà il suo incubo tornando sé stessa, disperatamente sola.

Ecco un grande Chabrol, che fa scuola.
Lezione di regia, talmente pregnante da oscurare, da distrarti, dalle pur splendide interpretazioni di una coppia eccezionale: Rod Steiger e Romy Schneider.

mercoledì 28 gennaio 2009

Storytelling

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L'arte di raccontare storie. Film originalissimo nei tempi di ripresa, al confine del real-tv.

Nel primo episodio, Fiction, più breve, un gruppo di studenti universitari segue un corso di scrittura con un famoso giornalista di colore.
Il giornalista sfrutta il suo ascendente per profittare delle studentesse. Una di queste, fidanzata con uno spastico, gli si concederà con coscienza come se la cosa fosse inevitabile, già scritta. Curiosa metafora su razzismi, pregiudizi, girato quasi come un noir pur facendo a tratti sorridere amaramente.

Nel secondo, Non-fiction, più lungo, divertente e forse più riuscito anche se meno misterioso, si rappresenta una famiglia medio-ricca col problema del figlio, svogliatissimo e teledipendente, che non si vuole iscrivere al college. Un regista fallitissimo ha l'idea di girare appunto un documentario sui licei di periferia e trova 'sto ragazzo la cui ambizione è quella di apparire in tv o al cinema, che quindi si presta volentieri. Anche la famiglia si presterà, permettendo alla troupe di filmarli in continuazione ed in ogni avvenimento. Comincia a quel punto un reality con vari risvolti tragicomici e la costante ed inquietante presenza di un diabolico bambino, il piccolo della famiglia, dalla intelligenza esagerata e cinica.
Il documentario, pur ritraendo eventi anche tragici, risulterà essere estremamente divertente. Il ragazzo ambizioso è davvero idiota al massimo, era inevitabile. Dopo la proiezione ci sarà ancora una scena da riprendere, la più tragica di tutte, ma anche questa vissuta fatalmente.

Tutto scorre come se ci fosse appunto un cantastorie a raccontare il tutto. Quella è la sensazione che si prova, e che a volte si manifesta con una voce fuori campo di stampo letterario.
Molto bello e particolare.

lunedì 26 gennaio 2009

Totò che visse due volte

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(breve premessa: la recensione contiene qualche volgarità ma non sono riuscito a trovare parole più adeguate.)

Film dal genere davvero indecifrabile. Cinico, come Cinico TV, la striscia che ogni tanto si vedeva su Rai 3 qualche anno fa, degli stessi autori. Blasfemo come poche cose ho visto tali. Ambientazione in una Palermo post-atomica senza tempo, periferie piene di calcinacci, branchi di cani randagi, topi e fogne in continuo, uno schifo totale sempre.

In quei luoghi si muovono un popolo di freaks al limite del guardabile. Solo uomini, anche per interpretare le donne, lerci e sdentati il cui puzzo esala persino dalla pellicola che li ritrae. La bruttezza rende meno contrastante la deformità di alcuni.

Sono riuscito a inorridirvi abbastanza?
Se no proseguiamo col descrivere i 3 episodi del film, ammesso che abbiano una trama con un senso compiuto. Ci provo.

Il primo è la storia di Paletta, scemo del paese maltrattato da tutto e da tutti con un bisogno mostruoso di sesso. Per "fottersi" Tremmotori, un'infernale "zoccola" che arriva in paese, per procurarsi i "picci" profanerà il tempietto che il boss del quartiere ha fatto costruire per la madre morta e che tutti venerano. Non sarà fortunato, né con la vomitevole Tremmotori, né col Boss.
Masturbazioni a non finire, individuali e di gruppo. Episodio sconcertante.

Nel secondo siamo in una camera mortuaria. Madre e fratello vegliano Pitrinu, checca "finissima" appena morto per causa ignota. Si teme l'arrivo di Fefé, il suo amante amatissimo, che il fratello di Pitrinu volentieri staccherebbe "a capa" a quel "sucaminchia fetusu". Fefé, riluttante, si fa convincere ad andare a trovare il fidanzato morto. Subirà qualche sputazzo in faccia, ma si mostrerà per il mostro che è ed è stato nei confronti di Pitrinu.
Cinismo all'ennesima potenza. M'ha entusiasmato.

Il terzo episodio è la vita di Gesù parodiata come peggio non si potrebbe immaginare. Don Totò fa sciogliere Lazzaro nell'acido. Un altro Totò (il vetero-gesù), che manda affanculo tutti quelli che gli scassano la minchia anche quando compie miracoli, andrà a resuscitare Lazzaro, che subito dopo comincerà a vendicarsi ammazzando i membri del clan di Don Totò. Totò subirà la delazione di un gobbo-giuda deforme che si vendicherà del fatto che mai è stato da lui guarito; in cambio Don Totò lo farà fottere con una "super-sticchia" con occhi dolcissimi ed un barbone da paura. Il tradimento non sarà in un giardino ma durante una cena (ultima? forse) nella quale gli apostoli s'abbuffano raccontando pure sconcezze e nel mentre passerà anche quella "bellezza" di Tremmotori. Il poverò Totò, che ha salvato Lazzaro, non farà una fine meravigliosa.
Ho dimenticato qualcosa? Ah sì: un angelo viene ucciso da un pazzo che vuole le sue ali, poi scappa con le sue ali ma finisce nelle grinfie di 3 ciccioni che lo sodomizzano e lo fanno sodomizzare anche da un malato mentale sesso-maniaco. Quest'ultimo, bisognosissimo d'amore, farà sesso anche con una statua che raffigura la Madonna.
Tutto raccapricciante. A mio parere, questo episodio è genialità cinica allo stato primordiale.

Il film fu vietato a tutti, cosa normale in uno stato islamicamente sottomesso al cattolicesimo. Poi dopo un ricorso fu sbloccato, ma restò pochissimo nelle sale.
Bianco e nero tetrissimo, scuro da oltretomba a volte, ed altre bianco abbacinante. Tutto parlato in siciliano strettissimo, gode fortunatamente dei sottotitoli.

Imperdibile ma... un film per tutti e per nessuno.

domenica 25 gennaio 2009

Station agent

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Finbar è un nano in pensione che lavora in un negozio di modellismo e si occupa di trenini. E' appassionatissimo di treni. Riceve in eredità da un amico una casa che altro non è che una vecchia, piccola stazione ferroviaria nella più tipica delle provincie americane di campagna, nel New Jersey, non più presidiata e vicino a molti binari morti. Ci andrà a vivere.

Farà amicizia, nonostante il suo carattere solitario e guardingo, con Joe, sudamericano che gestisce un chiosco proprio davanti casa sua, e con Olivia, donna separata e psichicamente scossa da tempo per la tragica morte del figlio ed anche per una recente separazione dal marito...
Sarà un crescendo d'amicizia sincera e pura, fra 3 persone molto diverse accomunate solo da una apparentemente cronica solitudine, con tanti eventi legati alle loro rispettive condizioni di vita, in particolare di Finbar e di Olivia. Joe sarà un simpaticissimo e sempre allegro compagno.

E' un film davvero molto originale e carino, che fonde insieme un po' dei miti noti d'America.
Quello della Frontiera, con questo luogo che è un po' un terminale della civiltà.
Quello dell'on the road che qua diventa un "on the rail". Finbar legge e studia sulla storia dei treni, gli piace anche solo guardarli e ci racconterà l'importanza che le ferrovie hanno avuto e continuano ad avere. Ama passeggiare sui binari morti per quello che hanno significato.

Splendida l'interpretazione del serafico e malinconico Finbar di Peter Dinklage.

L'appartamento

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Jack Lemmon è Baxter, impiegato in una immensa compagnia di assicurazioni, è scapolo ed ha un piccolo ma grazioso appartamento che concede ai suoi dirigenti per i loro incontri galanti extra-coniugali.
Shirley MacLaine è Fran, una semplice ascensorista nella stessa compagnia, bellissima e single. Anche Baxter è single, ed è innamoratissimo di Fran.

Fran sembra inavvicinabile per tutti. Quando Baxter, grazie anche alla carriera che i suoi servigi gli procura, acquisirà il coraggio di approcciare la ragazza, scoprirà tristemente che anch'essa è ospitata a volte nel suo appartamento, da un grande dirigente, lo stesso che provvede alla sua carriera. E' una storia "seria" però, almeno lo è per la ragazza, e molto. La trama, solo comica e sarcastica fin ad ora, comincia a questo punto a prendere anche connotati drammatici.
Il finale? Per una volta, senza violenza e con allegria e commozione, è quello che si vorrebbe vedere in queste storie dove le persone più umili subiscono prepotenze.

5 Oscar: miglior film, sceneggiatura, scenografia, montaggio e regia. A detta di tutti, però, anche i 2 attori protagonisti, davvero grandiosi, avrebbero meritato anch'essi l'oscar. Regia, soggetto e sceneggiatura di Wilder stesso, decisamente "un grandissimo".

E' un film di composizione strutturale perfetta. I tempi, gli eventi, tutto ha un ritmo preciso, continuo. Lezione di Cinema memorabile, Storia della Settima Arte.
Film studiatissimo, cercate pure in giro le curiosità che lo riguardano, come alcuni espedienti utilizzati da Wilder per enfatizzare al meglio, ad esempio, le ciclopiche dimensioni dell'azienda.
Non dimentichiamo poi l'anno di uscita del film, che contiene non pochi elementi di denuncia delle condizioni lavorative dei cosidetti colletti bianchi.

Visione obbligatoria per chi ama Il Cinema.

sabato 24 gennaio 2009

The Visitor - L'ospite inatteso

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Mi chiamo Walter. Sono vedovo da 5 anni. Insegno in una università ma ormai la mia vita è priva di gioie o di sofferenze che la rendano degna di essere vissuta. Mi limito a fare il necessario. Sopravvivo.
La mia collega non può andare a New York a tenere la conferenza, allora vado io, malvolentieri. Entro nella mia casa e ti trovo 2 giovani, una coppia, lui siriano e lei senegalese. Che ci fanno qui? Ma sì dai, che restino pure qui, mi terranno compagnia. Sono bravi ragazzi, lei fa collanine e braccialetti che vende al mercato, lui suona con le mani un tamburo dal suono splendido. Diventano quasi miei figli, mi ci affeziono, imparo persino a picchiare il tamburo con l'assistenza del ragazzo, Tarek.

Poi, quando comincio a scoprire una nuova vita, Tarek viene arrestato, senza una ragione: è solo un clandestino. Scopro che lo è anche la sua ragazza, che così non può andare in carcere a trovarlo. Mi faccio carico della situazione, viene anche sua madre a New York, che bella donna, che grazia nei suoi modi, che dignità.

Sì lo so, c'è stato l'11 Settembre, ma perché dobbiamo trattare così Tarek? Farò di tutto per aiutarlo, per tenerlo vicino a me e con lui anche sua madre, comincio a sognare una nuova famiglia...

Un film molto bello, una bella storia, bei personaggi.
Una storia attualissima. Da vedere.
Mi piace sempre di più Hiam Abbass, splendida attrice che interpreta la madre di Tarek e che ho già ammirato ne "Il giardino di limoni" e "La sposa siriana".

Io sono un autarchico

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Primo film di Nanni Moretti, girato in super8 ed in presa diretta, ha goduto successivamente di un restauro per suono e colore che è la versione che ho visto.

Parodia comica semiseria del teatro "alternativo" frutto del periodo ribelle degli anni '60-'70. Un gruppo di giovani, dolcevita e maglioncini a losanghe, camicie a misura e barbe dal look cubano, mettono insieme una commedia di Beckett (mi sembra, ma la rappresentazione è incomprensibile) stravolgendola ed interpretandola a modo loro. Training autogeni e di gruppo, chiacchierate inconcludenti e moralismi sull'ideologia di sinistra, il film è tutta una satira, divertente, su quello che era il pensiero politically correct del tempo e su tutte le sue contraddizioni.

Carino ed originale, questo film ha imposto Moretti all'attenzione del grande pubblico.
Meglio apprezzato da chi quegli anni li ha vissuti.

mercoledì 21 gennaio 2009

Pusher

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Frank è uno spacciatore di medio livello a Copenaghen. Ha una specie di fidanzata, una prostituta, Vic e un amico Tonny che collabora con lui. Milo è il trafficante serbo che lo rifornisce ed è già in credito con lui. Una serie di disavventure e di leggerezze lo porteranno ad avere, con Milo, debiti sempre maggiori e sarà alla costante ricerca di soldi ed ogni tentativo aumenterà invece il suo debito.

Tutto si svolge in una settimana in costante fibrillazione e Frank avrà la telecamera sempre addosso. Accadrà di tutto, copione già scritto per un personaggio di quel tipo.

Un cult per molti. A mio parere bello, pure parecchio, ma non esageratamente. Sicuramente spettacolare e ben girato.
Doveva essere l'anno giusto per questo "genere". Nel 1996 è uscito anche Trainspotting, decisamente un altro pianeta, avanti 5 lunghezze.

martedì 20 gennaio 2009

Little Odessa

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Un grandioso Tim Roth interpreta Joshua, un sicario spietato. Siamo a New York, in pieno inverno. La famiglia ebrea di origini russe di Joshua vive a Brooklyn, appunto in una grande comunità ebreo-russa, ma lui non la frequenta più per via della sua scelta di vita. Un "incarico" lo riporterà nel suo quartiere...

Difficile situazione familiare. Il padre lo ha rinnegato da tempo ed ha anche un'amante, la madre ha un tumore al cervello e a parte rari sprazzi di lucidità è in permanente sofferenza, il fratello minore non se la passa certo bene d'umore. L'arrivo di Joshua, che fatalmente andrà a ritrovare la sua famiglia, porterà non poco scompiglio. A parte il compito da portare a termine, il ritorno nel quartiere da cui manca da molto farà riemergere sopiti amori, rancori, e tante preoccupazioni. Tutti sanno di cosa si occupa Joshua e non sono affatto tranquilli.

Succederanno tante cose, che non svelo perché sarebbe un peccato rovinare la visione di questo film davvero notevolissimo. Ritmo costante e tensione pure. La vita di un sicario vissuta nella sua spietatezza come nei suoi affetti più cari. Momenti crudeli e momenti dolcissimi, sempre però con quel "non so che" che ti fa presagire un gesto inconsulto od un fatto eclatante in ogni istante. Bellissimo film, insisto. James Gray lo ha scritto e diretto: bravissimo. Ci sono alcune scene che danno emozione fortissima, sono diverse ma una su tutte: quella al cimitero ebraico, le lapidi a metà e lo sfondo della città, è arte.
Il finale sarà il destino del sicario, condannato alla sua scelta, di non dovere, o non potere, amare.

Ottimo per la stagione come visione. Tutti gli "esterni" sono girati in un ambiente imbiancato dalla neve e certamente hanno richiesto molta attenzione e pianificazione a regia e cast al completo. Ma è una neve fredda come il protagonista, certo non quella dei film natalizi.

Eccezionali le musiche. Non perdetevi i titoli di coda e alzate il volume che il brano lirico che sentirete è grandioso.

La seconda volta

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Un peccato svelare la trama di questo film, in fondo molto semplice. In breve, e per sommi capi, è il rapporto casuale e causale che viene a verificarsi, a 10 anni di distanza dal delitto, tra una terrorista in carcere in regime di semilibertà e la sua vittima, allora rimasta miracolosamente viva ma con ancora un proiettile nella testa, un docente universitario. Perfetti nei loro ruoli sia Moretti nel docente che Valeria Bruni Tedeschi nella più complessa parte della terrorista.

Film di breve durata, forse anche troppo. Riesce in ogni caso a toccare con precisione tutti i punti salienti di un argomento certamente difficile.

La storia non sposa alcuna parte né ne enfatizza risvolti melodrammatici. I 2 protagonisti si cercano e respingono in momenti diversi. C'è bisogno, soprattutto nel professore e comprensibilmente, di dare un perché alla propria sorte. Esigenza che verrà compresa e in parte condivisa dalla terrorista

Molto bello. L'avrei preferito di più lunga durata. Il film, come detto, è molto breve, ma lo dico egoisticamente, solo perché la trama mi coinvolgeva e avrei avuto piacere guardare ancora qualcosa. Quello che c'era da dire il film lo dice ed elegantemente evita d'indugiare.
Resta l'amaro in bocca nel finale, con la soluzione letteralmente gettata al vento dal professore, come le parole spese forse, nel cinema e nei dibattiti, su questo argomento, gli anni di piombo.

E' il cinema che mi piace, quando affronta questi temi di petto. Che apre la mente, che fa riflettere, senza risolvere e senza pregiudizi.
Assolutamente da vedere.

lunedì 19 gennaio 2009

Bedlam - Manicomio

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Siamo nel 1761 a Londra. Il manicomio esiste davvero e su si lui e sui suoi ospiti nascono veri e propri miti. Si può visitare, bastano 2 penny e si può entrare ad ammirare i mostri. Sims, il cinico e tirannico gestore, organizza dietro compenso persino degli spettacoli grotteschi coi suoi ospiti.
L'ironia, se così vogliamo chiamarla, è che il XVIII sec è chiamato "il secolo della ragione", ce lo dice lo stesso film all'inizio. Quello che però avviene a Bedlam di ragione, di umano, non ha nulla.

Una ex-protetta di un lord, dalla mente vivace e dall'animo sensibile, diventerà acerrima nemica di Sims, il quale però con abilità "politica" riuscirà a farla rinchiudere nel manicomio stesso. La donna, molto ben supportata moralmente da un amico quacchero, saprà però trovare, anche in quell'ambiente infernale, dignità e forza, e comincerà ad aiutare tutti i ricoverati coatti con tante piccole attenzioni facendosi amare da tutti loro. Sims la minaccerà ancora, perché nel frattempo stanno provvedendo i suoi amici liberi a tirarla fuori, cosa che lui deve impedire, ma non ha fatto i conti con l'imprevedibile reazione dei suoi "ospiti", che sarà terribile.

Bellissimo film e bellissima storia, ennesima occasione per riflettere su cosa sono stati i manicomi che sicuramente sono uno degli istituti che ultimo fra gli ultimi ha visto l'avvento della modernità. La situazione ritratta è durata, in molti posti, anche nei paesi più moderni ed evoluti, fino al XX sec inoltrato.
Film di produzione americana, a Londra ne fu impedita la distribuzione. C'è sempre un perché nella censura, e la regola è quasi sempre valida: ciò che è stato censurato merita d'essere guardato.

Straordinaria, cinematograficamente parlando, la fotografia e l'intensità noir complessiva. Boris Karloff che interpreta Sims è fenomenale, una vera icona del genere.

La femme infidèle - Stéphane, una moglie infedele

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Una famiglia benestante, un marito con un'impresa di assicurazioni, casa in campagna distante da Parigi dove lavora, una moglie molto bella ed annoiata e la solita, bellissima Stéphane Audran ad interpretarla. La famiglia appare tranquilla e felice, però la donna 2 o 3 volte a settimana incontra un giornalista, suo amante.
Il marito lo scoprirà e con un'ira, non si capisce se premeditata, lo ucciderà. Alla fine... non è chiaro il finale. Non è chiaro se a causarlo sono stati gli zelanti poliziotti, la moglie che ha scoperto che la sua relazione era nota, o che. E questo finale rende il film interessante.

La trama scorre con costanza. L'ansia dei protagonisti emerge con calma e precisione.
Un bel film.

sabato 17 gennaio 2009

Il vento fa il suo giro

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Philippe e la sua famiglia decidono di trasferirsi a Chersogno, antico paese di montagna dell'Occitania italiana. Provengono dai Pirenei, sono francesi ed allevano essenzialmente capre producendo ottimo formaggio; si sono trasferiti perché vicino alla loro terra hanno deciso di costruire una centrale nucleare e cercano un posto adatto.

Questi paesi normalmente la gente la vedono andar via. La vedono arrivare solo per villeggiature.
Passato un minimo e comprensibile sconcerto, soprattutto grazie all'entusiasmo del sindaco e di altri, si riesce a trovare ai nuovi paesani una buona sistemazione con casa, stalla e cantina adeguati alla loro attività. Organizzeranno anche una bella festa per il loro arrivo.
Purtroppo però gli scettici e contrari, piano piano, cominceranno ad avere il sopravvento, creando a Philippe e famiglia non poche difficoltà. I pascoli bisogna stare attenti a non sconfinare nei terreni privati non autorizzati, le capre che vanno dappertutto, e i bambini così, e la moglie cosà, persino i turisti, per lo più parenti di ex abitanti, hanno di che lamentarsi perché la puzza delle bestie infastidisce le loro grigliate. E' un triste crescendo con 2 finali, uno inevitabile ed un altro, il più triste, forse. Davvero molto severo il secondo epilogo, ma ha un carico simbolico estremamente profondo, forte, che come tutte le cose che colpiscono aiuta a ricordare.

Un bellissimo film, uno di quelli che lavorano sulla gente comune. Una storia d'invenzione assolutamente plausibile che ritrae a meraviglia territori, culture, mentalità che non si può non riconoscere. Posti bellissimi, che ho visitato nel corso del 2008 sia sul versante francese che in quello italiano e che mi ha fatto molto piacere rivedere. Molto belle anche le musiche.

Giustamente mantenute le lingue originali, sia il francese che l'occitano, anche questa una lingua e non un dialetto. Questi film devono essere fatti così, senza doppiaggi, perché i suoni della parola, come le immagini, i sapori, ecc... sono espressione vera di una cultura. Indispensabili, per i "forestieri" come me, i sottotitoli.

Bravo Giorgio Diritti, grazie. Speriamo ci regalerai altre perle come questa.

Donne in amore

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Due amici molto intimi, ricchi e benestanti nell'Inghilterra d'inizio '900. La loro amicizia spirituale è fatta d'intellettualità, dialoghi aperti su ogni domanda un uomo si possa porre, soprattutto sull'amore, sui suoi tipi e significati.
Due amiche molto intime, insegnanti in una scuola, in momenti diversi, diventeranno le loro compagne. Una è una donna semplice e diretta, cerca l'amore esclusivo della vita. L'altra (una bravissima Glenda Jackson che vincerà l'oscar) non è diversa nel cercare l'amore, ma è più intellettuale, distaccata, e dei due amici le capita quello più ricco ma anche per questo meno intellettuale è più schiavo dei suoi obblighi lavorativi e familiari che lo condizionano nei comportamenti. Sarà quest'ultima a vivere, appunto, le situazioni più drammatiche.

E' un bel film, merita d'essere visto.
Ken Russell s'è potuto sbizzarrire nelle sue "visioni" su una trama (da lui curata, tratta da un romanzo) che perfettamente si presta. La prima delle 2 ore sembra tutto un autocompiacimento del regista, fin noiosa, intellettuale all'eccesso pur con delle bellissime scene. Poi nella seconda parte il film acquista significato e si comprende la propedeutica della prima a cui è bene prestare attenzione.

giovedì 15 gennaio 2009

In the Bleak Midwinter - Nel bel mezzo di un gelido inverno

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Il film fa il verso, bonariamente, sia ad Amleto che, nel titolo, ad un'altra opera di Shakespeare.
Un attore disoccupato e mezzo esaurito mette insieme una sgangherata compagnia di attori per mettere in scena l'Amleto a natale in una chiesa sconsacrata. Tutto ai minimi termini (non hanno un penny che avanza), compreso il tempo ridottissimo per prepararla.

Espediente classico del dramma rappresentato che rappresenta i drammi personali di ognuno degli attori che partecipa alla messa in scena. Tipico humor inglese fatto di battute dirette e doppi sensi. Tutto tipico, nessuna originalità, ma scorre con piacevole ironia sulle vite dei personaggi.
Teatro nel film, per farla breve.

Carino e divertente.

Diario di un curato di campagna

4
Tutta opera di Bresson, tranne il romanzo omonimo del 1936 da cui è tratto, di Georges Bernanos.
E' la storia scritta di proprio pugno da un giovane prete assegnato ad una piccola parrocchia, in un paese che lo accoglie non proprio bene, poco credente, quasi ostile alla fede si direbbe. Non si ama dio per vari motivi: o perché la miseria te ne fa dubitare dell'esistenza o perché, anche nella ricchezza, le sofferenze che ogni vita porta con sé te lo fanno odiare.

Il prete non piace per gli stessi motivi per cui piace. E' un uomo semplice, puro e sincero. La sincerità è il suo più grande "difetto". Nessuno può restargli indifferente, non per sguardi magnetici o comportamenti prevaricanti, ma per una umiltà innata sorretta però da un amore assoluto per il prossimo che lo porta a parlare ed a comportarsi sempre con umanità senza la minima ipocrisia.
Egli stesso è portatore dei dubbi che vorrebbe risolvere nei suoi parrocchiani.
"Cosa importa? Tutto è grazia" dirà, quando risolverà.

E' una storia meravigliosa. Un viaggio interiore senza schermi che appassiona e dà grandi riflessioni. Un film da vedere molte volte, come fece Truffaut che lo vide decine di volte e lo volle vedere ancora fin negli ultimi istanti della sua vita. Comincio a capire il perché.

Questo film è un CAPOLAVORO IMMENSO.

La pietas è un tema caro a Bresson. Tutto il film ruota intorno all'amore divino ed è come leggere una preghiera che viene dal cuore, vera.
Io sono ateo ed agnostico ma questo non m'impedisce di apprezzare il valore della preghiera, del messaggio che essa può contenere. Ce n'è una che nonostante tutto amo da sempre, il Padre Nostro, la sola ed unica preghiera recitata pubblicamente da Gesù, che si può leggere al termine del Sermone della Montagna, unica e vera dottrina non inventata da uomini a lui postumi.
Il Padre Nostro è una preghiera fortissima, potente, responsabilizzante, non invoca divinità esterne ma la forza interna che deve anelare all'esempio dato da dio col suo figlio sceso in terra. Un esempio di responsabilità delle proprie azioni, di sacrificio di sé stessi per il bene comune, amore per il prossimo. La liberazione dal male avviene dai proprio comportamenti.
Io lo interpreto, il Padre Nostro, così, da molti anni, ogni tanto non lo recito ma lo leggo a memoria e mi piace farlo. Non so cosa dice la dottrina cattolica o di altri cristianesimi a riguardo, non posso riportarne.

Se avrete la pazienza e la fortuna di vedere questo film, durante l'intensissimo dialogo tra il prete e la contessa, una scena che andrebbe imparata a memoria, potrete ammirare la più bella spiegazione concreta del Padre Nostro senza che la famosa preghiera venga nemmeno citata.

Buona visione.

martedì 13 gennaio 2009

Once

2
Una dolce storia d'amore a Dublino, tra due giovani troppo divisi dalle vite personali quanto uniti dalla passione per la musica. Il ragazzo lavora col padre in un negozio che ripara elettrodomestici, ma la sua passione è la chitarra, la suona per strada. Di giorno suona pezzi noti per raccattare qualche spicciolo e la notte i pezzi che compone. Lei invece immigrata dalla Repubblica Ceca vive con la madre e la piccola figlia, e si arrangia con lavori estemporanei.

Sarà la ragazza a valorizzarlo, a fargli credere nella sue canzoni e a dargli ulteriore ispirazione, oltre che a suonare il pianoforte ed a cantare con lui.
Una settimana indimenticabile che cambierà le loro vite.

Un lunghissimo videoclip? Una variante del musical? Non ha importanza classificare questo film, girato in meno di 3 settimane con un budget minimale. E' un film gradevole, piacevole, di brava gente appassionata dell'arte che tocca le corde del divino.

Gli attori sono anche cantanti e musicisti veri. Il gruppo folk-rock irlandese "The Frames" ha fornito il meglio di sé. Il regista John Carney è l'ex-bassista. L'attore protagonista Glen Hansard membro fondatore e vocalist. L'attrice Markéta Irglová, carina, acqua e sapone con una voce dolcissima, è la sua compagna nella vita reale.

Un film come questo non può prescindere da una valutazione della musica e delle canzoni. C'è più musica che dialoghi.
A mio parere: bellissima. Soundtrack da procurarsi senza indugi.

Alexandra's Project

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Famiglia ordinaria. Lui capoufficio in buona carriera, 2 bei figli, villetta con giardino. Lei casalinga, perbene.
Dietro l'ordinario si cela spesso qualcosa, che più è nascosto e più è capace di produrre cose notevoli. La casalinga è frustrata, parecchio.
Oggi è il compleanno di lui. Tutto perfetto, auguri in casa al risveglio, festa a sorpresa in ufficio, persino una promozione, e stasera festa a sorpresa anche a casa. Si può chiedere di più?

La sorpresa a casa è grande. Tutto è spento, le stanze smontate, mancano anche le lampadine, sole cose che funzionano alla perfezione sono l'impianto anti-intrusione che lo chiude dentro ed il televisore con il videoregistratore. Una cassetta. Play. Inizia la vendetta della moglie.
Nulla sarà risparmiato al "povero" malcapitato, tutte le possibili torture psicologiche, fatte da chi lo conosce bene, da chi sa dove prenderti per farti soffrire, fino alla sofferenza finale, la peggiore.

Ma non c'è sangue o violenza fisica in questo thriller. Buio, pensieri, ambiente chiuso, tensione. La violenza che si pratica è quella che ti spezza l'orgoglio, ti distrugge tutte le sicurezze, ti toglie ogni prezioso sentimento. E' praticata senza pietà.
Terribili le parole dette dalla donna in alcuni momenti e solo chi è sposato le può comprendere. Stupiscono per quanto sono possibili, vere e semplici le situazioni che racconta e per le conseguenze che hanno procurato.

Molto bello. Perfetto l'orario notturno per vederlo. Eravamo entrambi al buio. Il protagonista del film che guardava il suo video ed io che guardavo lui, pensando che sono fortunato: mia moglie lavora, può darsi che non corro gli stessi rischi.

lunedì 12 gennaio 2009

Gli amanti crocifissi

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Film veloce, intenso, corre e rallenta quando serve, ti trasporta con sé.
Musica e ritmo del teatro ongaku, quei tamburi e quelle corde gutturali ti caricano di pathos.
Un gioiello del cinema giapponese.
Storia tratta da Chikamatsu Monogatari (Una storia di Chikamatsu), testo di teatro del drammaturgo Chikamatsu Monzaemon (XVII - XVIII sec.).

Mohei e Osan.
Il Giappone è nel pieno del suo medioevo. Vigono leggi dure e rigidissime. Una di queste prevede che gli adulteri, se non si suicidano, debbano essere pubblicamente crocifissi.
Il padrone di Mohei, pittore-artigiano di pergamene, è lo Stampatore ufficiale della corte di Kyoto, uomo molto ricco, autoritario. Osan è la giovanissima moglie del padrone. Fra di loro non c'è nulla se non amicizia e rispetto, ma un clamoroso equivoco li trasformerà in amanti. Prima sarà solo equivoco e fuga, poi durante la fuga si scopriranno davvero amanti, d'un amore incontrollabile che supera ogni paura, ogni timore per le possibili conseguenze.

La bruma su quel fiume li mostra soli, in un universo totalmente ostile piangono la loro felicità.
Amanti già morti navigano acque calme che solo loro sembrano increspare.
Le mani unite, in quell'amore eterno sublimano nel dolore lacrime dolci che accarezzano visi angelici, lucenti.
Sullo sfondo due croci daranno senso alle loro vite e puniranno, almeno una volta, il pubblico.

Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler

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Il titolo non è la solita "bella idea" dei distributori italiani. E' la traduzione precisa dell'originale.
Pronti via, uno si aspetta un film serio forse, dal titolo, invece è una commedia grottesco-satirica con qualche sprazzo di dubbio gusto, a mio parere, a tratti divertente, altre volte talmente senza senso che nemmeno gli attori che la interpretano, e ancora meno il regista, sanno quali facce, quali espressioni esibire per certi dialoghi e situazioni.

Indubbiamente sono un po' accecato dalle mie convinzioni politiche, estremamente avverse a nazismo e fascismo da far fatica a rispettare il titolo del film: l'ho scritto coi corretti maiuscoli di malavoglia. Alcune battute mi hanno talmente urtato che... forse era giusto così.
Chi non ha i miei limiti e riesce meglio a controllarsi sicuramente si divertirà guardandolo, e non lo biasimo, anzi lo invidio, era anche la mia intenzione, perché obiettivamente il film è divertente.

hitler è in crisi. Siamo a Dicembre del '44 e deve preparare il discorso di capodanno 1945. In una Berlino distrutta e devastata, un ammasso di mattoni, goebbels desidera che il suo grande vate riesca, con un'ultima decisiva spallata propagandistica, ad incoraggiare uno stremato popolo tedesco. Come fare? il grande capo è depresso, non riesce più ad esprimersi come una volta. Ci vuole un attore, bravo, capace di lavorare sull'oratoria come sulla psicologia. Fa arrivare questo attore: è un ebreo, "vive" in un lager con moglie e figli...
Iniziano una serie di scene una più assurda dell'altra, fino al tragicomico finale. Robe incredibili, apogeo della contraddizione. Ne esce un hitler pieno di complessi, con un'infanzia difficile, sfigato come pochi che ha trovato nella sua sciagurata vita giusto sfogo. Anche se fatto "per ridere", penso che questo ritratto non di discosti molto dalla realtà.

Questo film però ha un importanza storica, per un aspetto, ed anche questo finale non ve lo voglio dire, ve lo lascio indagare, ed è il motivo primo che mi ha spinto a guardare questo film che in Germania ha fatto discutere, a vario titolo, e non poco.... e giustamente!
Un aiutino: provate a cercare, sul catalogo che preferite, quanti film che trattano il nazismo in modo diretto, commedie o meno, sono stati prodotti in Germania. Perché questo film è una produzione assolutamente tedesca, anche se il regista è svizzero.

E se avete ancora un po' di tempo da perdere e avete qualche amico tedesco, provate a parlare con lui di nazismo, deportazioni, lager, soluzione finale. Chiedetegli anche quanto se ne parla in Germania. Nel 2008 sono stato a visitare Dachau durante un bellissimo viaggio motociclistico in solitaria e ho toccato con mano quello che già sapevo ma pensavo fosse una leggenda.
Anche in questo caso avrete di che sorprendervi. Io almeno mi sono stupito.

Insomma, è un film, per decisivi aspetti, importante. Dovevo vederlo.

domenica 11 gennaio 2009

The Night of the Hunter - La morte corre sul fiume

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Matteo 7:15-20 "Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo far frutti buoni. Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li riconoscerete dunque dai loro frutti."
Questo l'incipit.

Un infernale Robert Mitchum interpreta Harry Powell, falso pastore protestante che vaga in costante ricerca di vedove ereditiere da uccidere. E lo preannuncia parlando con dio, una specie di misogino maniaco. Viene arrestato per il furto di un'auto ed in carcere conosce un uomo che ha appena ucciso 2 persone per derubarle e che, prima di essere arrestato, lascia il ricco bottino ai 2 figli piccoli facendosi giurare che a nessuno, nemmeno alla madre, avrebbero rivelato dei soldi.
La "provvidenza" porta l'uomo, condannato a morte, in cella con Powell. L'uomo parla nel sonno e Powell individua presto la prossima vedova da uccidere... inizia l'incubo per i 2 bambini.

Tanti personaggi tipici dell'America d'inizio XX sec., con connotati altrettanto tipici di personaggi che non di rado si trovano leggendo fiabe, si susseguono in un'opera che fa coesistere noir ed appunto fiaba drammatica, con una narrazione brillante, ritmica. Ve li lascio godere tutti.

Film d'una bellezza impressionante. A mio parere, Capolavoro Assoluto.
La storia è sempre avvincente, non conosce soste.
Dopo l'omicidio della madre dei bimbi, però, diventa un quadro impressionista. Ogni fotogramma lo è. Mai mi era successo d'interrompere la riproduzione di alcune scene per rivederle più e più volte solo per godere della bellezza delle immagini in un bianco e nero perfetto. Molti fermo-immagine me li sono salvati e già adornano il mio desktop.
Non sono solo studi di fotografia, compiacimento di tecnici. C'è arte, messaggio.
Shelley Winters, l'attrice che interpreta la madre dei bambini, sembra una madonna che raccoglie le cattiverie del mondo, nel fondale, legata alla macchina, la gola aperta da parte a parte, gli occhi che sognano. Quei capelli che ondeggiano nella corrente delle acque del fiume come le alghe... quel viso puro è lo specchio della consapevolezza di cosa stava accadendo, poco prima di morire.
La lunga corsa nel fiume dei bambini in fuga. La fiaba drammatica, gli animali dalla riva che li vedono scorrere, la luce della luna. Una ragnatela in primo piano illuminata come una luminaria festiva li vede scorrere dormienti sulla barca, nel buio. Quando arrivano in una piccola radura, con una casa ed una stalla, l'ombra di una gabbia con un canarino nell'unica finestra illuminata, ti vien voglia di gridare per la meraviglia della scena. La forza dei bambini, la loro caparbietà, la loro capacità di soffrire, scopriremo poi.

Che tutti gli Dei dell'Olimpo si riuniscano, in ossequio ad un'opera degna, più che degna, di loro.

Bad Guy

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Etta Scollo, cantautrice siciliana che vive in Germania, canta una canzone straziante, non ne conosco il titolo, ma ritorna sempre sui "... tuoi fiori, per me..." con una voce sensuale e piangente, è un brano bellissimo in una scena che dice tutto, a metà della trama, vittima ormai domata la ragazza Sun-hwa, avviata alla prostituzione per vendetta dal "bad guy", gangster pappone, Han-gi. 2 foto da ricomporre, senza volto, che verranno ricomposte nel finale, disarmante.

Sun-hwa era una liceale. E' lei che canta la canzone.
Han-gi non ha origine, né arte né parte. Sembra un prodotto spontaneo della società, parla pochissimo e tanto meno interiorizza.
Tutto pare avere un destino ineluttabile, senza però che vi sia alcun disegno, sia esso divino o degli uomini. Le cose accadono, semplicemente.

Film davvero particolare.
Straordinario Kim Ki-duk. Al solito, ritrae la società con passione e distacco. Ho letto che è praticamente un autodidatta del Cinema, davvero incredibile.

sabato 10 gennaio 2009

Gertrud

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Trasposizione cinematografica di un dramma teatrale, del teatro mantiene rigorosamente i tempi e le ambientazioni estremamente statiche. Lezione di perfezione nel piano-sequenza, alcune scene lasciano impressionati. Fotografia in bianco e nero splendida.

E' una bellissima, poetica storia di una donna che ha eletto l'Amore a religione. Gli uomini della sua vita, quelli che ha davvero amato e l'ultimo, che ha sposato in un momento di disperazione personale, credono di amare, di amarla, ma lei in realtà smaschera sempre la loro incapacità di donare sé stessi, con purezza assoluta. Gli uomini non riescono, come lei, a mettere l'Amore al centro della loro vita: ricerca di successo, ambizione, il lavoro, tanti impegni in qualche modo riescono sempre ad avere la priorità sull'Amore.

Tutti i dialoghi sono bellissimi, da seguire con attenzione.
Il finale è la summa, la spiegazione.

Bellissimo film.

venerdì 9 gennaio 2009

Galileo

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La storia di Galileo è arcinota. Per una buona documentazione, solito Wiki.

Allora voglio solo complimentarmi, per l'ennesima volta, con Liliana Cavani, magnifica regista ormai entrata nell'Olimpo dei miei miti.
Anche questo film è scarno, o forse dovrei dire schietto, o crudo, non so trovare un aggettivo adatto, maledetta pochezza del mio vocabolario! La storia è vissuta come se fosse "in diretta". L'attualità e il valore dei dialoghi, del metodo scientifico che può e dovrebbe essere anche metodo di ragionamento per una persona virtuosa e di mente aperta, è sconvolgente.

Ricerca delle perfezione a sé stante, nessun autocompiacimento nella Cavani, giornalista e cronista che viaggia nel tempo.
Un momento solo di Cinema, un sogno, quasi premonitore, che Galileo farà prima di essere minacciato di torture se non avesse fatto piena abiura del libro "Dialogo". E quel sogno è la sola invenzione che è dato vedere, ma probabilmente non è invenzione nemmeno quella.

Giusto risalto è stato dato anche alla vicenda di Giordano Bruno, che Galileo ebbe modo di conoscere proprio a Venezia quando poi Bruno, tradito, venne consegnato all'inquisizione.
Bruno venne bruciato a Campo dei Fiori, a Roma, nel 1600. E' il mio mito di sempre, le scene del rogo mi hanno emozionato e commosso.
Grazie al film ho potuto riflettere ancora sulla diversa fine dei 2 personaggi. Galileo, come sappiamo, sopravvisse sostanzialmente incolume nel corpo anche se devastato nello spirito. Bruno provò a ritrattare in extremis, cosa che nel film non emerge, ma questo non lo salvò, troppe le parole "pesanti" espresse di fronte all'inquisitore senza la sottomissione che invece Galileo accettò, alla fine.
Il film non dà sentenze sui 2 atteggiamenti ed io nemmeno. Amo Giordano Bruno per quello che ha detto e scritto, non perché è morto martire delle sue idee. Un morto, quasi sempre, non serve a nulla. Bene ha fatto Galileo, tutto sommato sarebbe morto inutilmente e comunque le sue grandissime scoperte sono giunte fino a noi, nonostante tutto. Sono arrivate anche quelle di Bruno, che se avesse vissuto un altro po' avrebbe avuto modo di svilupparle ancora... chissà.
Due delle più grandi menti italiane di tutti i tempi.

Concludo con un'ultima, e non rara, nota dolente.
Prodotto dalla RAI, non è mai stato trasmesso. Fu addirittura vietato ai minori di 18 anni!
Ogni commento è superfluo.

giovedì 8 gennaio 2009

Gomorra

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Attraverso 5 delle innumerevoli storie di camorra contenute nel famosissimo e importantissimo libro di Roberto Saviano, Matteo Garrone intreccia con abilità una trama unica e se anche alcune delle storie hanno luoghi e persone distinti la percezione di unità, di inscindibilità delle vicende è netta.

Un ragazzino che deve compiere scelte di parte tra bande rivali. 2 ragazzi che vogliono fare i camorristi in proprio senza sottostare alla banda dominante. Il "distributore" dei proventi, soprattutto dalla droga, a tutte le famiglie del quartiere. Un sarto sfruttato sin da quando è bambino e che anche da adulto non può permettersi di "allontanarsi" dalla grande famiglia. Un cinico "trafficante di rifiuti tossici".

Terribile. Per motivi solo apparentemente diversi, sono tutte storie agghiaccianti. E tutte vere.
Il film è a mio parere straordinario, davvero fantastico è di grandissimo realismo nelle riprese e nell'audio in presa diretta. Buona parte degli attori sono proprio presi dalle strade di Scampia e di Casale (2 di essi sono tornati in galera di recente). Altri, come il bravissimo Toni Servillo, sono professionisti che nulla fanno per emergere dal film. Non sono istrioni, sono al servizio dell'orchestra. Bravissimi.

Non amo i campanilismi ma sono fiero del fatto che in Italia si sia prodotto un simile film.
Non amo nemmeno gli oscar, gli presto comunque attenzione e riconosco ovviamente che danno molta visibilità ad un'opera, quindi mi auguro che Gomorra lo vinca e possa essere visto in tutto il mondo con grande successo.

Sono anche fiero di quello che hanno fatto soprattutto gli abitanti di Scampia, con grande coraggio, lo dico con cognizione di causa.
Vivo a Milano ma le mie origini dicono Salerno. Non è Napoli, dista circa 80 km. Da bambino trascorrevo 3 mesi l'anno in quella bellissima città e giravo molto a piedi. Nonostante le raccomandazioni di nonni e parenti vari sono spesso finito in quartieri popolari cosiddetti "malfamati", paragonabili a delle "micro-scampia" se vogliamo. Il clima era quello, la paura che avevo era folle ma folle è anche un bambino curioso.
Quella che si vede nel film è realtà! Spaventosa...

Vorrei mettere l'accento su 2 punti che mi hanno dato molto da pensare.

Anzitutto l'incredibile bruttezza delle Vele di Scampia. Questi palazzi popolari dall'architettura pretestuosa, costruiti e mai assegnati, sono diventati terreno fertile per la malavita. Un ginepraio pazzesco pieno di anfratti, sembra fatto apposta Per.
Ricordo una affermazione di Schiller, il famoso poeta tedesco coevo, concittadino ed amico di Goethe, particolarmente sensibile all'estetica, che sostanzialmente diceva: dove c'è una brutta architettura non può vivere gente felice. Verissimo.

In secundis, altra cosa evidente: sembra che si nasca camorristi, purtroppo. In particolare la storia del bambino, Totò, è emblematica.
Nascere in un luogo simile, in un tale contesto, pare una condanna, un destino scritto dal quale è difficilissimo se non impossibile estraniarsi.
Ma non è del tutto vera questa cosa. Una speranza c'è. Roberto, l'apprendista trafficante di rifiuti avrà il coraggio e la dignità di abbandonare una facile e redditizia carriera. Meno male. Un segnale incoraggiante ci voleva.

Vedere questo film è un dovere, per tutti.

p.s.: se non conoscete l'idioma napoletano bene, meglio una versione sottotitolata.

martedì 6 gennaio 2009

Dillinger è morto

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Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Un architetto, un ingegnere, non so, un designer forse, sicuramente un bravissimo attore (Michel Piccoli) torna a casa dal lavoro.
Una giornata come altre, la moglie è già a letto, la cena sul tavolo apparecchiata dalla cameriera lo attende. Non è una cena gradita, ben apparecchiata ma insoddisfacente. Nemmeno la visione della moglie lo è. Inizia una notte introspettiva. Bisogna assolutamente fare qualcosa per rompere questo tran-tran.

Anzitutto prepararsi una cena adeguata (prodromi della Grande Abbuffata? Certo, a Ferreri, anche a guardarlo di persona, la buona cucina non deve dispiacere come argomento). Aromi, spezie, un bel pezzo di carne. E' un lavoro meticoloso, che distrae. Poi un po' di televisione. Spunta una vecchia pistola, un tantino grippata, andrebbe sistemata, allora smontiamola tutta, oliamola, altro lavoro meticoloso, altra notte che scorre. Intanto ceniamo. Che belli i super8 che ho fatto in tanti anni. Me li vedo, li rivivo, mi ci metto io nei filmini. Disinibito, mi sento libero. Una telefonata a quest'ora? E' per la cameriera, che non è proprio niente male, vediamo di che pasta intima è fatta: è buona. Nel frattempo la pistola è a punto, la moglie dorme, è una pistola a tamburo, fa un sacco di rumore, se funzionerà... spalanco le serrande, entra il primo sole... il mare è un bel posto per andarsi a rinfrescare, magari trovo una barca per partire, o per ricominciare.

Che film particolare, straordinario!
Rimani incollato al video da una flemma eccitante, tanto per usare un ossimoro.
Ferreri lo ha ideato, scritto e diretto. Genio.

The Coast Guard

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Corea del Sud. Confine costiero con quella del Nord, nemico da una vita. Pericolo: invasione di spie.
Una piccola guarnigione ha il dovere di sparare a chiunque tenti di valicare la zona.
Un soldato particolarmente zelante lo farà. Ucciderà il ragazzo di una coppietta che si era appartata di notte, col gusto del rischio, proprio in area vietata. Lo ucciderà con una violenza inaudita. I soldati già non erano in buoni rapporti con la popolazione civile, che evidentemente non ama questa "guerra permanente".

Al di là delle comprensibili rimostranze dei civili, il problema vero sono i 2 protagonisti, entrambi dei sopravvissuti della tragedia.
La ragazza impazzirà, perderà completamente il senno e continuerà a bazzicare intorno alla guarnigione. Purtroppo per lei è carina, purtroppo per lei continua a pensare al fidanzato ucciso, il cui nome è la sola cosa che pronuncia, penserà sempre all'amore e... ci saranno effetti funesti.
Il soldato anche perderà completamente la testa e diventerà, insieme e più della ragazza, un incubo per l'intera guarnigione. Personaggio terribile e ottima interpretazione, alla Mifune dei bei tempi.

Sarà in realtà pazzia collettiva. I 2 "pazzi" altro non faranno che evidenziare il delirio che sottintende, già di base, un servizio militare di quel genere.
Decisamente un film "denuncia", tra le varie cose.

Mi è piaciuto moltissimo. E' il primo film che vedo di Kim Ki-duk e devo proprio dire che il talento non manca. Le atmosfere, la tensione creata, la giusta dose di violenza, sono notevolissimi.
Guarderò certamente anche gli altri. Tra l'altro uno dei suoi film ha fornito il nickname a una mia cara amica cinefila, e ci sarà certo un perché!

lunedì 5 gennaio 2009

La promesse

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1996, Jean-Pierre e Luc Dardenne.

La promessa è quella di Igor ad Hamidou, immigrato clandestino nel Belgio ed operaio in un cantiere, appena caduto da un'impalcatura ed in punto di morte: prendersi cura della moglie e del figlio, che lo avevano appena raggiunto.
Il padre di Igor (bravissimo Olivier Gourmet, attore decisamente "da Dardenne") è un piccolo imprenditore edile che sfrutta e favorisce l'immigrazione clandestina per ottenere manodopera a basso costo. Durante un'ispezione del cantiere avviene il fuggi-fuggi di tutti gli operai e la fatale sciagura.

Igor attua, istintivamente, una rivoluzione umana. A volte i figli non sono tali e quali ai padri...
Manterrà la promessa come meglio non potrà. Andrà anche oltre.

Come sempre non c'è messaggio, nessuna demagogia, nessuna volontà di creare miti, eroi, esempi. La camera è discreta, meno affannosa che in altri film dei Dardenne, più statica, documentaristica.

Bellissimo, m'è piaciuto davvero tanto, comincio ad adorare i Dardenne.
Colpa della mia "virtuale" amica BadGuy.

Les biches - Le cerbiatte

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Stéphane Audran (Orso d'argento a Berlino per l'interpretazione) è una ricca, colta ed annoiata donna francese. Seduce una ragazza, di bellezza virginale, pittrice di strada che tira a campare.
L'amore saffico troverà, in un architetto innamoratosi della ragazza e ricambiato, un duro antagonista. La "ricca" però non si farà scavalcare facilmente e sedurrà a sua volta l'architetto, con pianificata strategia, anche se non immagina quale potrà essere la reazione...

Giudizio breve: guardabile. Miglior merito, le 2 attrici: Stéphane Audran e Jacqueline Sassard, bellezze da sturbo.
Chabrol non mi fa impazzire, devo essere sincero. Vedrò altri film, sono noti, forse cambierò idea. Questo è decisamente un po' fiacco. Sicuramente non all'altezza di "Donne facili".

Ho letto che in Italia il film è uscito con il titolo francese, insieme alla sua traduzione italiana, omesso degli spazi. "Lesbiches" deve aver aiutato non poco la curiosità dei maschi italiani. Delusi sicuramente dalla mancanza di nudo, probabilmente, come il sottoscritto, non avranno lesinato lodi alle doti statiche e dinamiche, estremamente ammalianti in posture e movenze, delle 2 protagoniste.

domenica 4 gennaio 2009

Il deserto dei Tartari

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Lo stesso Dino Buzzati, 36 anni dopo la pubblicazione del suo splendido romanzo, ha collaborato a curare il soggetto. Un aiuto non da poco.
E' un film che gode di bellezza propria, notevole. Indubbiamente aver letto il romanzo, una delle più importanti opere italiane del XX sec., aiuta ancora di più, non tanto a comprenderlo quanto ad apprezzarne il rigore, lo studio di ogni dettaglio, di ogni personaggio.

In breve: è la storia di un giovane ufficiale che viene destinato, come primo incarico, ad una fortezza di confine. E' un luogo ai confini della vita, oltre che dell'impero, che guarda su un deserto dal quale un nemico pare debba emergere dai sassi e dalla sabbia, ché altro non si vede.

Nulla, non accade mai nulla. La vita scorre nei riti, nelle liturgie ripetute e volutamente ripetitive della vita militare. Trascorrono mesi, anni in un romitismo apparentemente forzato, in una fortezza dalla quale si fatica a distaccarsi.
Arriveranno i Tartari alla fine? Vi lascio gustare 20 min. di finale...

Il film, come già detto, è impeccabile, tranne per 2 cose, pareri personalissimi.
L'attore protagonista Jacques Perrin, bravo certo, è mediocre se raffrontato al grandioso cast che ha nobilitato tutti gli altri personaggi: Francisco Rabal, Giuliano Gemma, Jean-Louis Trintignant, Laurent Terzieff, Max von Sydow, Philippe Noiret, Vittorio Gassman. Si poteva cercare meglio anche per il tenente Drogo, oscurato da cotanti mostri sacri.
Il finale, manca di alcune pagine di narrativa memorabili, come quelle che descrivono il momento della morte di Drogo. Solo in "La morte di Ivan Ilic" di Tolstoj ho letto cose paragonabili. Ne riporto un brano: "La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po’ il busto, si assesta con una mano il colletto dell’uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride." Quel "lei" è ...

Sono 2 imperfezioni che distaccano questo grande film dalla categoria "capolavori" ma lo mantengono nella categoria "grandissimi da vedere", sia chiaro.

Altrettanti i grandissimi meriti.
Aver coraggiosamente "concretizzato" in un anno (1907) e in un impero (quello austro-ungarico) una situazione che nel romanzo è volutamente indefinita nel tempo e nello spazio. Ciò ha certamente agevolato la narrazione e la "storicità" della trama.
Un Plauso Enorme poi alla scelta del luogo per le scene alla fortezza, d'una bellezza che non si può credere. Incredibile, da vedere. All'inizio ho pensato ad una ricostruzione da studi cinematografici, per quanto eccezionale. E invece no! Esiste davvero quel luogo!
Anzi, esisteva purtroppo. Riporto da Wiki: "Il film è stato quasi interamente girato nella antichissima città-fortezza di Arg-é Bam, nell'Iran sud-orientale. La città, gioiello architettonico citato anche ne Il Milione di Marco Polo, è costruita in mattoni di fango e argilla ed è stata quasi completamente distrutta dal catastrofico terremoto che colpì l'Iran nel dicembre del 2003, causando più di 40.000 vittime."

sabato 3 gennaio 2009

Elling

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Elling ha sempre vissuto in casa. La madre muore e viene portato in un istituto dove stringe una grande amicizia con Kjell, compagno di stanza.
Decisamente una coppia ben assortita.

Elling è fine e colto, amante dei libri e della poesia, non saprebbe piantare un chiodo in un muro. Ha un'ansia incontrollabile e mille fobie. Cerca spiegazioni per tutto e giustifica con forbita dialettica anche i suoi atipici comportamenti, dei quali ha chiara coscienza.
Kjell è quasi analfabeta ma è pieno di energia, enorme fisicamente. Un vero homo faber, capace di produrre opere artigianali di pregio come di riparare qualunque cosa. Uomo semplice nei modi come nei sentimenti.

Dopo due anni di clinica psichiatrica, il governo norvegese offre ad entrambi l'opportunità di condurre vita "normale" in società. Concede loro un appartamento in centro ad Oslo, un vitalizio ed un assistente sociale. Dopo una traumatica fase iniziale, entrambi troveranno modo e coraggio di uscire dal loro isolamento. Kjell troverà un amore ripagato ed Elling farà conoscenza con un importante intellettuale.

I film che trattano la malattia mentale, se da un lato possono disporre di un soggetto affascinante, dall'altro possono scadere nella banalità. Si può commuovere lo spettatore in modo scontato così come lo si può far sorridere sulle, sempre scontate, stravaganze dei "matti". E' un rischio reale.
Questo film è sempre sul filo del rasoio, da questo punto di vista, ma ne esce tutto sommato bene. C'è delicatezza e rispetto per i 2 personaggi, perde un po' in realismo nel finale, forse troppo ottimistico, guadagnando molto nella commedia con momenti estremamente esilaranti.

Film simpatico, leggero e divertente.
E' anche molto interessante. Il modo in cui la Norvegia segue i malati psichiatrici, almeno alcuni di loro, è esemplare.
Merita una visione.

I sette fratelli Cervi

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Dovevo vedere da tempo questo film. Passando casualmente durante un viaggio di lavoro, anni fa, davanti al loro museo a Gattatico (RE), nonostante la fretta mi fermai per un minuto di agnostico e rispettoso silenzio in loro onore.

Ogni mia riduzione della trama sarebbe volgare.
Meglio leggere le pagine di storia nel copioso Sito del Museo Cervi.
L'Istituto "Alcide Cervi" nasce con lo scopo di promuovere e realizzare attività scientifiche e culturali nell'ambito degli studi e delle elaborazioni delle materie che interessano l'agricoltura e il mondo rurale, indagati sotto il profilo storico, economico, sociale, giuridico, letterario e artistico.
In particolare, l'Istituto promuove ricerche, studi e iniziative in relazione alle esigenze dello sviluppo civile e sociale delle campagne e in rapporto ai movimenti popolari per il progresso dei lavoratori della terra e "ancora" in relazione alla partecipazione dei contadini alla lotta antifascista e alla Resistenza.
La parola "ancora" è virgolettata. Anzitutto lo studio del mondo rurale. Un po' stupisce, visto che la fama dei 7 fratelli è legata alla loro lotta partigiana.
Certamente questo era il pensiero di Puccini, ed anche di Zavattini che collaborò alla sceneggiatura: evidenziare anzitutto la natura contadina della famiglia Cervi. La prima e più lunga parte del film, la più bella, è un bellissimo ritratto della campagna bassa padana.

Difficile per me discutere di quest'opera in termini cinematografici, anche se lo meriterebbe. Solo questo: è un film ben fatto, più che degno del soggetto. Mi coinvolge troppo emotivamente. E' un documento storico, un giusto tributo ad una famiglia che fa onore all'Italia. Le vie e le piazze che la ricorderanno non saranno mai troppe. Non si parla di grand'uomini. Né di intellettuali, politici, scienziati. Sono persone comuni, un esempio immortale.

In Italia è stato a lungo censurato. Tuttora non compare spesso nei palinsesti. Vergognoso. Io lo renderei obbligatorio nelle scuole, insieme ad altri film. Ma non dobbiamo stupirci se conosciamo il nostro Bel Paese, dove la mamma del fascista è sempre incinta.
Fortunatamente ci sono anche Mamme Cervi. Ciò è molto incoraggiante.

Viaggio segreto

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Leo e la sorella minore Ale vivono a Roma sin da quando erano bambini. La loro infanzia è però trascorsa in provincia di Siracusa, in una bellissima villa di campagna, dove è stata bruscamente interrotta da un dramma familiare. Leo è uno psicanalista. Ale, ancora molto giovane e bella, aspira alla carriera di attrice e sta per sposarsi con un artista, ricco ed intelligente, di origine slava (bella partecipazione di Emir Kusturica).

Tra i 2 fratelli c'è una particolare relazione, strettamente legata al dramma che hanno vissuto.
Leo riceverà una lettera che lo riporterà nei luoghi natii. La casa è in vendita. Partirà senza informare la sorella, rivivrà gli eventi in sequenza causale fino ad arrivare al tragico evento, che stupirà.

Bellissima storia, drammatica e commovente. Regia raffinata con grande cura nelle riprese e nella fotografia. Anche la musica è ricercata e perfetta. Un grande film italiano, possiamo dirlo!
Le riprese a Siracusa, una delle poche città siciliane che ho potuto ammirare personalmente, sono davvero belle. La villa è un condensato dello splendido barocco siciliano e delle minimaliste ed essenziali masserie che parimenti meritano una visita, emanano un ritmo vitale particolare.
E la spiaggia? Forse quella di Fontane Bianche ma non ne sono certo. Quelle scene girate con lo sfondo del mare emozionano. Le rocce calcaree, d'un bianco abbacinante...

Cinema: cosa fa pronunciare questa parola con certezza? Me lo sono chiesto più volte durante la visione. La sceneggiatura, molto bella, poteva essere polverizzata in una di quelle schifezze immani che prendono il nome di fiction o novelas. Gli ingredienti ci sono tutti.
Invece questo è Cinema. Non ci sono dubbi. Ci sono i tempi di ripresa, la corretta enfasi data ad ogni inversione di narrazione, la musica, le interpretazioni dei bravi attori.
Difficile dare una definizione di Cinema in senso artistico. Forse è un "concerto di arti".

L'orchestra può suonare o steccare, agire in armonia o con snervanti aritmie. Dipende chi la dirige.

venerdì 2 gennaio 2009

Milarepa

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Difficile fare una sintesi della trama di questo particolare film.
Meglio leggersi la biografia di Milarepa, monaco tibetano vissuto a cavallo tra l'XI e il XII sec. . Il film racconta la sua storia.
Come in altri film della Cavani, regista che adoro, lo sforzo di rappresentare l'intima realtà oltre a quella esteriore, lo studio della storia, raggiunge livelli di vertice assoluto. Qui poi il soggetto si presta molto a fare emergere queste qualità.

La Cavani escogita un "gioco" narrativo che ha l'enorme valore di riportare al moderno ciò che può apparire solo antico. Uno studente che sta traducendo il libro di Milarepa si trova coinvolto in un incidente automobilistico proprio col professore che gli aveva commissionato il lavoro. Seduti nell'auto, feriti, lo studente racconterà tutto il libro al professore in agonia e il racconto illustrato vedrà i due come protagonisti stessi, traslati nel tempo e nello spazio. Il racconto diventa immagine della situazione, delle riflessioni dei due feriti.

Astenersi drogati d'adrenalina. Questo film è d'una lentezza asfissiante e la musica dodecafonica e onirica. E' chiaro lo scopo di portare la mente dello spettatore nella mente dei personaggi, una cosa d'una bellezza che mi ha lasciato estasiato.

Qualche nozione da quel poco che ho studiato anni addietro, solo per evitare generalizzazioni sul Buddismo che, religione antichissima, dopo l'avvento di Shakyamuni ha avuto innumerevoli derivazioni.
Il buddismo theravadin, del quale il tibetano è diretta emanazione, è fortemente meditativo ed introspettivo. Il film doveva, e c'è riuscito, creare un'atmosfera adeguata.
Il tibetano, a sua volta, ha avuto diverse scuole, molte delle quali di natura tantrica. Il percorso di Milarepa passa appunto dalla magia nera prima, alla magia bianca poi e alla fine, come percorso diretto all'illuminazione, alla percezione del nulla, dell'assoluta unità di tutte le cose.

Bellissimo, da rivedere più volte.
Uno dei rari casi in cui un film sembra un libro da sfogliare ed in cui la mente può creare immagini che superano quelle stesse della cinepresa.

Dimenticavo un dettaglio importante.
Il film è stato interamente girato in abruzzo. Una valida alternativa per chi, come me, ha una gran voglia di visitare il Tibet ma manca delle disponibilità per farlo. Non è una battuta. Le montagne abruzzesi hanno un fascino davvero mistico.
Purtroppo, di questi tempi, una visita in Tibet è molto problematica, a prescindere dalle disponibilità finanziarie. La cosa non mi consola affatto, anzi.

Les bonnes femmes - Le donne facili

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Titolo impietoso e maschilista, anche se non si capisce se lo è per accusare le donne o gli uomini. Propendo per la seconda ipotesi.
Il titolo poteva anche essere: Uomini cafoni e violenti. Non avrebbe dissonato.

Quattro belle e giovani commesse a Parigi, annoiate dal lavoro, da un padrone severo quanto ambiguo nei comportamenti, e piene di vita. Diverse nel carattere e nel temperamento, tutte alla ricerca dell'amore, che è speranza d'una vita felice.
Una è fidanzata con un tedioso pignolone, un'altra (Stéphane Audran) ha appuntamenti artistici "segreti", una è decisamente libertina e provocante. L'ultima malinconica e romantica ha uno spasimante motociclista che tarda a presentarsi ma si palesa in ogni momento della giornata. Arriverà, si presenterà l'occasione per farlo, e poi...

Che strano finale, doppiamente crudele. Una voglia di moralismo che lascia sgomenti . Si poteva evitare? Non lo so. Chissà, forse è il finale giusto, inevitabile. Certamente il finale, insieme alla scena della piscina, è il momento più "cinematografico" del film.

Bella prova di Ave Ninchi in una inquietante cassiera, premonitrice di sadici eventi.
Brava anche Stéphane Audran, incantevole, fresca moglie di Chabrol in quegli anni.

Sunset Boulevard - Viale del Tramonto

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Il film comincia col finale, o meglio col primo dei 2 finali. Un uomo, colpito a morte da 3 colpi di pistola, giace in una piscina con gli occhi sbarrati che guardano il fondo.
E' lo stesso uomo, Joe, che racconta la sua meschina storia. Sceneggiatore male in arnese, non riesce più a far produrre nulla nel cinema. Incontra casualmente, mentre fugge dai creditori, una anziana ed ormai ex-diva del cinema muto, Norma Desmond, famosa ai tempi quanto dimenticata oggi.
Norma è però ancora ricchissima ed accoglie in casa Joe, prima come aiuto sceneggiatore per una sua idea di film, poi come amante. Lo riempie di soldi, vestiti, oro... tutto il necessaire del perfetto mantenuto.
Inevitabilmente, passato il "momento del bisogno", Joe cercherà di evadere da quella dorata, e soffocante, prigione e... finirà come s'è detto.
Anzi no, non finirà con quella scena iniziale, ma con una scena impensabile, delirante!
Finirà con la scena che Norma stessa nemmeno poteva immaginare di dover girare...

Fantastico noir, malinconico, dedicato a 2 personaggi tipici del mondo sommerso hollywoodiano.
La diva in disarmo che altra vita non conosce se non quella del set cinematografico, della fama. Lo scrittore che non riesce a sfondare ma che strenuamente, fra menzogne ed anche umiliazioni, tenta la strada del successo.
La Strada, il Viale. Tante volte ho sentito nominare "Sunset Boulevard" e mai avevo fatto caso al suo significato: Viale del Tramonto. Traduzione testuale che Wilder interpreta in modo sinistro, ce ne mostra il lato oscuro, non meno vero di quello platinato. La descrizione su Wiki si presta a metafore:

Il Sunset Boulevard è una importante e famosa arteria stradale che si snoda nella parte Ovest della Contea di Los Angeles. Il viale si estende da Figueroa Street, nel centro di Los Angeles, fino alla Pacific Coast Highway che costeggia l'Oceano Pacifico e il quartiere di Pacific Palisades.
Il percorso si allunga per circa 35km all'interno dei quartieri di Echo Park, Silver Lake, Los Feliz, Hollywood, West Hollywood, Beverly Hills, Holmby Hills, Bel-Air, Brentwood e Pacific Palisades.[...]
Il viale è tortuoso ma mantiene sempre almeno due corsie per senso di marcia, anche se la mancanza di sparti-traffico e le numerose curve cieche, sono state motivo di svariati incidenti negli anni. Il Sunset è (insieme al Santa Monica Boulevard e al Wilshire Boulevard) fortemente congestionato con carichi di traffico ampiamente al di là delle sue capacità. Il risultato è che il manto stradale appare per lunghi tratti rovinato e pieno di buche.


Una strada lunga e tortuosa quindi, quella che attraversa Hollywood e Beverly Hills. Congestionata, piena di buche, pericolosa per enne motivi. Le curve cieche...
E poi quel nome: Viale del Tramonto.

Il film ebbe 9 nomination ma vinse l'oscar per le musiche e per la sceneggiatura. Non saprei giudicare il verdetto, poi gli oscar non sono un mio riferimento. Certo, l'attrice che ha battuto Gloria Swanson deve essere stata incredibile perché l'interpretazione di Norma è da 10 e lode con inchino e faccia a terra degli dei dell'olimpo. Giudicatela nell'interezza del film. Persino in una imitazione di Chaplin che lascia di sasso. E il finale...

Il Tramonto, il crepuscolo, la fine della giornata, o di una vita... una Diva non lo può accettare.
Vale anche per i Divi ovviamente. Film straordinariamente attuale.
Una raccomandazione, modesto e convinto parere, ai registi che volessero cimentarsi in un remake: per cortesia, fatelo ancora in bianco e nero.