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lunedì 29 aprile 2013

The Destructors (Aka: Marsellaise contract) - Contratto marsigliese

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“Essi vivono una vita dolce ma prendono parte ad un gioco per cui possono morire improvvisamente!”
“Aprile a Parigi è un tempo per gli amanti ... ma per '”I Distruttori” E' la stagione per uccidere!”
“Anche la malavita ha la sua aristocrazia ... la sua Alta società ... il suo Jet Set. Si chiamano "I distruttori".”
Frasi di lancio originali del film

John Deray - un omaggio programmatico al genere fin dal cognome- uccide le persone, per vivere. "E 'un uomo molto prudente ... Quando lui lavora, ottiene sempre un buon risultato. Ha molte donne ma nessuna fissa. Vive da solo. Guida auto veloci. "Ed è così che il personaggio è a noi introdotto, descritto in voice over da Maurice Ronet (icona del cinema francese e propriamente del genere polàr-noir da Ascensore per il patibolo” in poi) mentre Deray armeggia con il suo giradischi prima di tornare dalla splendida donna che lo aspetta nella sua camera da letto. Naturalmente, un personaggio così caratterizzato può essere impersonato solo dal “bad-ass” per eccellenza del cinema Brit anni '70, Michael Caine.

Contratto marsigliese” (distribuito internazionalmente come The Destructors akaMarsellaise contract) diretto dalla garanzia Robert Parrish è dedicato al co-protagonista Deray come “Carter” (Get Carter ) lo fu a Jack Carte r, seppur non arrivando propriamente al livello del famoso noir del 1971 di Mike Hodges. Così com'è, però, direi che il suo appello sarà probabilmente limitato dalla quantità di fan di Michael Caine che gli risponderanno. Certo, la prima mezz'ora del film è dinamite, mentre seguiamo il Responsabile dell'Ufficio di Parigi della DEA, Steve Ventura (Anthony Quinn,La Strada”, e qui un anno dopo la sua splendida interpretazione in “Rubare alla mafia è un suicidio”[Across 110th Street] [1973]), attraverso il suo crescente conflitto con un prominente cittadino francese e signore della droga del tipo di Jacques Charrièr/Fernando Rey in“The French Connection”, Jacques Brizard (James Mason, Intrigo internazionaletra i tantissimi). Alla fine, la loro situazione di stallo ispira Steve ad assumere un sicario per fermare Brizard in modo permanente, e Deray è chiamato, vecchio collega di Ventura, a portare a compimento il lavoro, senza che Ventura sapesse all'inizio della nuova professione di Deray. Il film si snoda un po' noiosamente verso la conclusione, in cui Caine e Quinn, uniscono infine le forze per combattere fianco a fianco.

La causa di questa parte centrale un po' statica è ovviamente il risultato della costante di spostamento dei protagonisti da Steve a Deray per tutta la maggior parte del film. Deray riesce ad andare a lavorare per Brizard grazie ad un incantesimo (cioè per motivi che il film non è del tutto sicuro di rendere plausibili, utilizzando la splendida figlia diBrizard, Lucienne/Maureen Kerwin), mentre, a parte, Steve continua a cercare modi legali per incastrareBrizard e far cadere il suo impero della droga. E davvero, una sola di queste tracce sarebbe stata sufficiente. Alla fine, però, “Contratto marsigliese” è ancora un film frizzante. Vi si trova l'azione, indulgente in alcuni inseguimenti automobilistici come accennato nella descrizione del Deray di sopra, e una colonna sonora ad opera nientemeno che di Roy Budd, la quale serve bene l'azione. Numerosi gli attori francesi presenti oltre al citato Ronet, anche Catherine Rouvel, e Marcel Bozzuffi in ulteriore ideale collegamento a “The French Connection” in un ruolo simile a quello sostenuto nel film di Friedkin.

Disponibile in italiano solamente su una vecchia (1989) vhs da nolo della Warner e dai rari passaggi televisivi, è da poco disponibile per la prima volta in digitale in formato DVD-R on-demand, nella Limited Edition Collection della MgM R1, prodotto dalle fonti di più alta qualità disponibile, cercando di trasformare la qualità della stampa stessa.

Tenendo presente che si tratta di un disco in formato DVD-R on-demand prodotta dalle fonti più alta qualità disponibile, cercando di trasformare la qualità della stampa stessa.

"'Round Midnight"
Musiche di Thelonius Monk & Cootie Williams
Parole di Bernard Hanighen (come Bernie Hanighen)
Cantata da The Fellings Quartet

Questo film è stato distribuito come “The Destructors” e viene indicato come tale in "The Films of Anthony Quinn", scritto da Alvin Marill.

Napoleone Wilson

domenica 31 marzo 2013

Romanzo Popolare

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«Bisogna averlo tutto,
tanto...anzi parecchio...
Per fare certe cose
ci vuole orecchio!»

Dedicata con veramente grande e infinita tristezza da "L'Armando", "Il Silvano", e " Il Palo", a Vincenzo Jannacci detto Enzo (Milano, 3 giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013)

In occasione della scomparsa dell'insostituibile e incasellabile Enzo Jannacci, un vero pezzo di storia meneghina "umana" e umanizzante, che già era purtroppo finita da tempo, la quale adesso se ne va anche nella figura del suo più splendido cantore, e vivido testimone di prima persona, non potevo esimermi dall'unirmi al commiato veramente sentito, scrivendovi queste righe al riguardo di una fra le sue migliori, fra le tante, "escursioni" e collaborazioni cinematografiche.

Vi parlo di "Romazo popolare", diretto nel 1974 da Mario Monicelli, per il quale Enzo oltre a comporre la colonna sonora e i lirici testi testi delle canzoni assieme all'inseparabile Beppe Viola, collaborò anche alla stesura dei dialoghi per la sceneggiatura di Age e Scarpelli più Monicelli, che vinse il David di Donatello 1975 come Miglior Sceneggiatura Originale.

Purtroppo non ho potuto rivedere il film, a tanti anni dalla sua ultima visione, a causa delle numerose scene di sesso, quindi chiedo al lettore di perdonare eventuali errori e/o omissioni dettate necessariamente da stupide fallacità della mia imprecisa memoria. "Romanzo popolare" è una commedia seppur amara abbastanza inserita nel solco di quella che fu la commedia italiana degli anni '70, abbastanza liberamente discostante per la maestria (seppur egli sostenesse "di che?")della regia di Monicelli qui al suo meglio, della recitazione di un perfetto e ispirato Tognazzi, e appunto, della sceneggiatura e dell'apporto come sempre geniale e lunare di Jannacci in veste di musicista e finanche ispiratore di temi e situazioni della "milanesità" di eroi proletari e più o meno esclusi e romantici.


"Romanzo popolare", tanto per dire, non è una commedia sexy anni '70 inserita nel contesto della fabbrica e dei proletari (cioè come quelle dotate di artisti del calibro di Lino Banfi, Gloria Guida, ecc., contro le quali non vi è assolutamente nulla, ci mancherebbe), ma è talmente "alta" e "bassa" al contempo, che corrisposta al modello di commedie sexy di successo dei '70 testè citato, ne rappresenterebbe semplicemente la loro "morte" per manifesta inferiorità e inadeguatezza, in tutto e per tutto. "Romanzo popolare" è come ho cercato di spiegare, almeno per metà, anche un film piuttosto serio.

Il caposquadra in una fabbrica, Giulio Basletti, leader sindacale influente (Ugo Tognazzi), e da tutti coloro che sono attorno a lui percepito come un eroe della classe operaia e sia sessualmente che politicamente, dagli atteggiamenti molto "liberali" (il quale sostiene e a cui piace vantarsi di avere "assestato" almeno 3'000 donne, che sempre sia lodato e santificato!) decide di sposarsi all'età di 51 anni con una sua "figlioccia" di 17 la quale non aveva più visto dal giorno del suo battesimo e adesso decisamente "cresciuta", Vincenzina Rotunno – ma guarda un po'! (Questo potrà sembrare abbastanza perverso, ma dal momento che è interpretata da Ornella Muti sono sicuro che nessuno potrebbe compatirlo). Egli crede anche di avere atteggiamenti moderni e progressisti sul sesso, ma questi atteggiamenti sono messi a dura prova quando al ritorno da un viaggio, inizia a sospettare che la sua giovane moglie gli stia mentendo e abbia intrapreso una relazione con un giovin ufficiale milite della ancora militarizzata polizia conosciuto durante una violenta disputa sindacale e divenuto "amico", l'Agente Giovanni Pizzullo, interpretato da un allora ancora incredibilmente magro e belloccio, Michele Placido al semi-esordio. E diventa addirittura pazzo di gelosia (e come non capirlo?) quando realizza che i suoi sospetti possano benissimo essere giustificati.


Divenuto quindi "un vecchio cornuto", la sua reazione non sarà né potrà essere così "tollerante", e ordinerà alla giovanissima moglie di andarsene da casa, per andare a stare a casa dell'ufficiale di polizia.


I due uomini si batteranno per lei, ma alla fine ella se ne andrà da entrambi, così diversi e lontani in tutto e per tutto. Gli anni passeranno. Il poliziotto si sarà ovviamente sposato con qualcun'altra. Mentre Tognazzi cercherà con la massima malinconia dettata anche dall'avanzante età di "riaccendere" la storia d'amore con Vincenzina/Muti, la quale è nel frattempo divenuta addirittura una stilista di successo, quindi eponima stessa della donna "emancipata" e "liberata".


Certo, "Romanzo popolare" rientra appieno in una italianità filmica tipica di quel periodo storico, facendo sì che "l'eroe" protagonista è fondamentalmente un comunista donnaiolo, e sua moglie sia circa per la metà una tradizionale giovane ragazza italiana della classe operaia e sempre per circa l'altra metà una moderna femminista sgallettata per il "free love" anni '70. Purtroppo per lei, anche Placido seppur giovane si rivelerà avere una mentalità non molto più moderna di quella di un qualsiasi picciotto "broccolino" del Queens quale si possono vedere nei film di Scorsese come "Mean Streets", e quindi per alcune "gravitas", nei discorsi e nelle ragioni ella dovrà alla fine comportarsi e pronunciarsi non molto dissimilmente da come avrebbe potuto fare una Scarlet O'Hara, in merito ritrovatasi nel mezzo del guado ad una solamente supposta "moderna" Italia, lacerata tra le nuove e in avvento "dinamiche dell'"amore" e delle relazioni tra i sessi. Come commedia sexy, d'altra parte, non è così divertente quali le citate in apertura, né mi pare di ricordare sembra mirare a essere particolarmente eccitante (nonostante le diverse e infartuanti scene di nudo della Muti). Il film è però in definitiva di tutto rispetto e molto brillante e vividamente coinvolgente, nella sua aura pienamente rientrante di "commedia domestica" di quelli anni; vitale di quella milanesità che il Monicelli dei suoi film migliori in assoluto – e "Romanzo popolare" è fra questi, almeno per gli anni '70 – aveva già pienamente colto e restituito con "L'Audace colpo dei soliti ignoti" molti anni prima, e qui grazie anche all'apporto sempre attento alle realta' degli umili e degli emarginati, e altissimo di Jannacci, in una rielaborazione che colpisce, di alcuni degli elementi di "Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca", realizzato da Ettore Scola alcuni anni prima.

Napoleone Wilson

domenica 13 gennaio 2013

La poliziotta

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Il mio più sentito omaggio, e di tutto il blog, a Mariangela Melato, recentemente scomparsa. Grandissima attrice milanese, di Teatro anzitutto e poi di Cinema, non ha certo bisogno di me per farne la biografia. Ho deciso di ricordarla con un film che per una come lei può sembrare "minore", in realtà è un vero Cult in quanto considerato il capostipite della c.d. "commedia sexy all'italiana", anche se qua tette e culi non se ne vedono, nonostante gli espliciti ammiccamenti delle locandine originali. Il salto di "qualità in carne esposta" ci sarà nei 3 sequel che vedranno protagonista Edwige Fenech: "La poliziotta fa carriera", "La poliziotta della squadra del buon costume", "La poliziotta a New York".
Steno e la Melato hanno aperto la strada e, proprio perché film leggero, è di quelli che meglio fanno apprezzare la bellezza di quest'ultima e la sua capacità espressiva. Per Gianna in "La poliziotta" vinse il David come migliore attrice protagonista. Si mise in gioco dopo aver fatto film importanti, con Elio Petri, Lina Wertmuller, Nino Manfredi, Florestano Vancini, Vittorio De Sica... scappellamento a lei con doppio inchino quindi.


Un po' di trama da wiki:
Il film racconta la storia di Gianna, descritta come una donna piacente e molto brava nella sua professione, sfruttata e annichilita a una posizione di inferiorità poiché vista dagli uomini come un oggetto. Ormai stanca di questa situazione decide di trasferirsi da Ravedrate a Milano, ma alla stazione del paese trova ispirazione per il suo riscatto: la possibilità di diventare vigile urbano. Si diploma con il massimo dei voti e dopo aver cambiato nome in Giovanna, in ricordo della Pulzella d'Orléans, entra subito in servizio, fiera del suo incarico, ma man mano che prosegue nel suo lavoro scopre come tutto il mondo politico sia un intrico di menzogne, truffe, clientelismi e nepotismi tra privati, aziende e Stato. I suoi oppositori tentano in ogni modo di emarginarla a incarichi duri o di minor importanza, poi di ostracizzarla e infine di diffamarla. La sua forza di volontà e il suo senso del dovere la portano comunque ad attirare l'attenzione dei media, riesce a portare al Ministero le sue denunce ma, anche lì, l'illegalità regna e queste vengono fatte sparire. La povera Gianna viene spedita in un posto vacante in una sperduta isola siciliana assieme al pretore che l'aveva spalleggiata.


Il DVD dei nocturniani la ritrae in primo piano, se lo merita tutto. La figura di Gianna rappresenta poi per l'epoca qualcosa di particolare. Come nella tradizione delle migliori commedie all'italiana - e Steno non è certo uno sprovveduto - il film calca la mano, senza mai diventare però pesante, sui pregiudizi dell'epoca verso le donne, sulla loro condizione di vita e, non poco, su alcuni problemi sociali, come quello dell'immigrazione dei meridionali al nord e della spaventosa e cinica corruzione politica connivente con compiacenti imprenditori che imperava e continua ad imperversare, distruggendo relazioni sociali e ambiente senza alcun ritegno. Non manca quasi nulla del malcostume nostrano, compreso un figlio del sindaco "baùscia" che per andare con due pupazze al bar lascia la macchina parcheggiata ad ostruire l'ingresso dell'ospedale alle ambulanze. "Una risata vi seppellirà" sembra dire il film a quella gentaglia ritratta...

Si ride, film divertente, con tanti attori importanti del genere e non solo: Orazio Orlando: pretore Patanè; Mario Carotenuto: il capitano dei vigili urbani; Armando Brancia: il senatore; Renato Scarpa: il farmacista; Gianfranco Barra: dottor Gargiulo, l'aiutante del pretore; Umberto Smaila: il figlio del sindaco; Renato Pozzetto: Claudio; Alberto Lionello: assesore Tarcisio Monti; Alvaro Vitali: Fantuzzi; Gigi Ballista: l'avvocato, primo datore di lavoro di Giovanna...

Dialogo che merita d'essere fissato avviene quando torna a casa dopo l'ennesima delusione dagli uomini e decide di andar via anche da casa, e da quel paese:


Giannina: eh no vacca miseria boia! sono stufa io! ma cosa sono io? due tette che camminano? un culo da toccare? basta, sono una donna sono! sono un essere umano sono! e se ne accorgeranno, eccome se ne accorgeranno!
mamma: ma che discorsi fai, io mica ti capisco!
Giannina: lo so che non mi capisci, se mi capivi mica stavi qua a fare la schiava al sultano
papà: sultano... sultano a me?
Giannina: parto, me ne vado... salgo sul primo treno e me vado... in capo al mondo vado!


Belle le location, soprattutto nella bergamasca. Non cercate il comune di Ravedrate, non esiste, è un nome di fantasia.
Là dove Gianna e il pretore si fermeranno a pranzo e a ballare si vede nello sfondo il famoso ponte tra Paderno d'Adda e Calusco d'Adda, posto dove (almeno fino a qualche anno fa, l'ultima volta che ci son stato) sorge un bel ristorante con un panorama stupendo, in quel punto dove il fiume forma una gola. Quel ponte è (o forse era) anche meta degli appassionati di "base jumping".
Se poi non ci siete mai stati, visitate Bergamo Alta, è un borgo stupendo e molte scene son girate lì.

Come detto, di carne al fuoco, nel senso degli argomenti, non ne manca. Tanti i piccoli episodi che meriterebbero citazione perché oggi a distanza di anni fan quasi tenerezza, aggiungono umorismo a quello già volutamente prodotto. Scegliendone uno sottolineo quello di quando Gianna, addetta al "nucleo censimento immigrazione interna", va a censire una famiglia di meridionali che vivono in delle catapecchie. Dettagli a parte, è roba di poco più di 30 anni fa, e sembra di vedere quello che ora avviene per i controlli degli extracomunitari clandestini. Mi ha lasciato a bocca aperta.

Insomma, senza tirarla troppo per le lunghe, un film da vedere.
Ancora un caro saluto a Mariangela Melato. Altre volte l'ha fatto senza pudori, anche nudi integrali A+B, ma qua non si spoglia per niente, però... guardatevela in look afro-sexy quando andrà a trovare l'assessore, e poi mi dite.
Robydick



























venerdì 31 agosto 2012

Bring Me the Head of Alfredo Garcia - Voglio la testa di Garcia (review #2)

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Il film inizia come un western con El Jepe (Emilio Fernandez), un ricco proprietario terriero locale, il quale scopre che sua figlia (o nipote, non è specificato) è incinta essendo stata edotta da un tale Alfredo Garcia (e per farselo confessare, dopo una caparbia e orgogliosa resistenza della ragazza, non esiterà a fargli spezzare il braccio dai suoi sgherri). El Jepe prende poi dunque un contatto tramite il suo presunto medico (uno splendido e vizioso Helmut Dantine) per una ricompensa di un milione di dollari (sì, è molto incazzato) a due stagionati sicari omosessuali (Gig Young e Robert Webber) per... Potargli la testa di Alfredo Garcia, attaccata al suo corpo oppure no.

I due sicari arruolano l'aiuto di Bernie (Warren Oates), proprietario e pianista di uno squallido bar mexicali per turisti, di Città del Messico ma come avranno a rendersi tardivamente conto, anche un uomo veramente con le palle. La fidanzata prostituta e cantante di Bernie, Elita, (Isela Vega) gli rivela che Garcia, il quale è stato anche un suo amante, è morto di recente in un incidente d'auto proprio dopo averla lasciata l'ultima notte, e che ella sa dove è stato sepolto. Bennie decide di compiere il viaggio fuori città per recuperarne la testa dalla tomba e ricevere il resto dei 10'000$, i soldi pattuiti con Dantine e i due killer frocio-sadici, ai quali ha fatto credere che Garcia fosse ancora vivo. Mentre attraversano la campagna messicana alla ricerca della testa , Bernie viene attaccato mentre Elita violentata da due specie di Hell's Angels, Pablo (interpretato dal "Richard Cliff of Country Music" stesso, ovvero un semi esordiente Kris Kristofferson). Bernie riesce ad uccidere i bikers e recuperare Elita, ma altri due cercatori messicani concorrenti uccidono Elita e derubano Bernie della testa di Alfredo, direttamente dalla tomba che egli aveva scavato di nuovo, nella splendida e visionaria sequenza in “effetto notte” del cimitero. In breve Bennie riesce ad ottenere nuovamente l'aiuto dei sicari frocioni i quali uccidono i familiari di Alfredo che si erano riappropriati della testa, prima di bussare di nuovo alla porta della suite d'albergo di lusso dei manager che l'avevano ingaggiato, e restituire la testa (dopo aver perso tutto) per una resa dei conti conclusiva da El Jepe.

Il film è considerato da molti come uno dei migliori risultati dell'intera filmografia interamente di capolavori di Peckinpah. (dopo un titolo come questo, negli ultimi dieci anni della sua vita, Peckinpah realizzò altri quattro film eccezionali come “Killer Elite” [1975], il suo primo e unico film di guerra, uno dei massimi capolavori del genere e cioè “La Croce di ferro”[The Cross of Iron](1977), lo splendido film anarchico di inseguimenti autostradali e avventure picaresco-virili “Convoy -Trincea d'asfalto” [1978], e il terminale, magistrale spy-movie nerissimo e paranoide, “Osterman Weekend” [The Osterman Weekend] [1983]). Si tratta dell'auto redenzione del monumentale personaggio di losers Bernie, interpretato da Warren Oates nel ruolo forse più rappresentativo dell'intera carriera propria carriera, quando egli (che ci crediate o no) riscopre il senso della vita e riacquista il suo rispetto di sé pur avendo continue, surreali e irresistibili, conversazioni con la testa decapitata di Garcia, chiusa in un sacco fetido e ricoperto di mosche per la putrefazione nella canicola della campagna messicana, in alcune delle sequenze migliori del film.
Il film è stato ovviamente girato davvero in Messico, ai Churubuscos Studios, e con una troupe e molti attori in parte messicani, Messico che da sempre è stato uno dei paesaggi e delle ambientazioni favoriti/e di Peckinpah, e per buona parte simboleggia sia la libertà che l'accettazione della morte, altro tema principe e ossessivo della filmografia del sommo Bloody Sam. Peckinpah disse che “Voglio la testa ..”, era stato l'unico film del quale abbia mai avuto il controllo completo, ovvero il Final cut, il montaggio finale. Questo si dimostra nell' evidenza data alla ricerca di una impossibile rivincita personale per il suo evidentemente amato e perdente protagonista, alla ricerca di senso in un mondo tanto feudalmente retrivo e brutale. Allo stesso modo, il film presenta diverse sequenze con il marchio registico simbolo di Peckinpah, ovvero l'uso del ralenty a coreografare la violenza assieme ad un prodigioso montaggio (al cui confronto sono ancora quasi tutti dei dilettanti o dei meri imitatori, Tarantino compreso, che comunque almeno lo sa rifare benissimo).

Anche se non è un western, questo è forse l'unico film i cui gli spettatori abbiano la possibilità di vedere un film interamente e definitivamente realizzato così come Peckinpah l'aveva concepito fin dall'inizio delle riprese, senza l'interferenza degli studios o di chiunque altro/i, nel modo in cui l'uomo Peckinpah voleva che i suoi film fossero mostrati...Ovvero compulsivamente visionari. Altro quindi che certi “Mercenari” cinematografici bolsi e bolliti, dalle battute stantie come una girella del 1978 e meramente parrocchiali, di oggi. Qui, abbiamo i “Mercenari” veri, tutti alla caccia di una “prova” della morte di un elusivo gran seduttore, il nostro amico Alfredo Garcia, con l'intenzione di consegnare la sua testa mozzata come prova che egli è stato eliminato al fine di raccogliere una taglia di un milione di dollari ...

Sam Peckinpah - spesso indicato come ho su scritto con il soprannome di "Bloody Sam", utilizzato sia dai fan che dai fortunatamente sempre meno numerosi detrattori - si trovava in una posizione particolarmente precaria quando realizzò questo film profondamente personale. Dopo essere stato nominato ad un Academy Award per “The Wild Bunch/Il Mucchio selvaggio” (curiosamente ma si potrebbe ancor più dire assurdamente, solo per la sceneggiatura, alla sua regia sensazionale non venne neppure accennato) ed avere ottenuto un enorme successo di pubblico e di culto, egli si assicurò un posto nel mondo del cinema come il grande regista che è stato ed è, a 28 anni passati dalla sua prematurissima morte, ma la sua personalità difficile e le cicliche lotte con l'alcol, la tossicodipendenza da ogni tipo di droga, stimolanti, psicofarmaci antidepressivi ecc... fece sì che la sua già latente paranoia iniziasse a diventare sempre più evidente. Il suo film successivo, il capolavoro thriller girato in Gran Bretagna “Cane di paglia” (Straw Dogs) (1971), alla sua uscita aveva creato un enorme scalpore, ma i più silenti veicoli della sua grande personalità autoriale e registica quali “L'Ultimo Buscadero” (Junior Bonner) (1972) e “La Ballata di Cable Hogue” (The Ballad of Cable Hogue) (1970) purtroppo andarono -almeno negli Stati Uniti, in Europa fortunatamente no di certo-, quasi inosservati. Un Peckinpah dunque sempre più cinico era giunto alla conclusione che il pubblico voleva da lui solamente la violenza al ralenty, ed egli avrebbe anche potuto aver ragione. Il fallimento commerciale e di critica del suo pesantemente rimaneggiato dalla MgM, ed ennesimo capolavoro incompreso, “Pat Garrett e Billy the Kid” (1973) (un rimontaggio dello studios che aveva reso sostanzialmente incomprensibile la densissima epica del film) aveva anche amareggiato a tal punto Peckinpah che decise di lavorare al di fuori del sistema degli studios, nel tentativo di riprendersi il controllo creativo. Garcia gli ha permesso tale controllo, anche se il particolarissimo risultato, un prodotto finale al confine con il surreale ha lasciato il pubblico dell'epoca freddo, e i critici del tempo addirittura agitando i pugni con un'indignazione quanto mai fuori bersaglio.

Come forse ci si potrebbe accorgere fin dal titolo, il film è il più vicino ad un horror che Peckinpah abbia mai creato nella sua carriera. Nominalmente scioccante e violento da un lato, però, il film non è nemmeno lontanamente vizioso o graficamente cruento, come alcuni dei suoi altri film. Invece, sguazza in un clima di squallore e di un tale squallore che uno si potrebbe sentire quasi pronto per farsi la doccia, dopo la visione di esso. La storia funziona come una sorta di pastiche di convenzioni del cinema noir, con il suo imbrogliato protagonista posto sopra a tutti(come detto in un'interpretazione geniale di Warren Oates) e sottoposto ad una calamità e una indignazione dopo l'altra. Lungo la strada, incontra una varietà di personaggi bizzarri, che vanno dalla coppia di sicari frocioni (Robert Webber e Gig Young, entrambi memorabili seppur in due ruoli di pochi minuti in n tutto il film) alla coppia di bikers stupratori (uno dei quali come detto interpretato nientedimeno che da Kris Kristofferson, in un suo rarissimo ruolo negativo), e in definitiva ridotto a tenere una condotta sconnessa, incoerente, da errante sproloquiante, che intrattiene conversazioni che hanno tanto il sapore della confessione, con una testa mozzata. Mentre la sezione iniziale del film deriva dal divertimento nella rappresentazione peckinphiana di Oates come un fallito che però una volta è stato un vero duro, e adesso aspira solamente ad avere l'occasione per dimostrare di poterlo nuovamente tornare e dimostrarsi, e il racconto alla fine lo costringe ad essere deciso e risoluto più che mai nel suo scopo, in ultima analisi, portandosi con sé una determinazione d'acciaio, come per esempio, un altro grandioso personaggio tipicamente peckinphiano, Pike/William Holden in “The Wild Bunch/Il Mucchio selvaggio”. Oates, in un raro ruolo di primo piano (e che nel medesimo 1974 sarebbe stato il protagonista anche di un altro capolavoro, per molte caratteristiche simile al film di Peckinpah, ma molto più misconosciuto: “Cockfighter” di Monte Hellman), dà qui una performance di tale calibro che avrebbe meritato un Oscar- ricoprendo una sorprendente varietà di emozioni nello spazio di meno di due ore, e mantenendo in modo efficace una complessa e totalizzante, vibrante umanità sempre insita nel suo personaggio. Facendo sì che ci si diriga ad ottenere uno dei protagonisti più accattivanti di tutti i film di Peckinpah, rendendo così unico e ancor più acuto il rimpianto che un attore come Warren Oates, seppur in ritardo non possa aver avuto la possibilità di interpretare ancor di più tali ruoli nella sua fin troppo breve carriera. Il cast di supporto è d'altronde impressionante. Isela Vega, notevole in tutti i sensi e famosa attrice e cantante messicana nata nel 1939, tutt'ora molto attiva, è seducente (rimane leggendario un suo servizio fotografico di nudo integrale da rendersi le cappelle “cabriolet”, su un numero del 1974 di Playboy) ed estremamente convincente, brava ed espressiva, come interesse amoroso di Oates. C'è difatti una credibilità e un realismo vibrante nella prestazione di Isela Vega che contribuisce fortemente al conferimento di un predominante nucleo umano al film. Robert Webber e Gig Young, sorprendentemente lanciati come killer maturamente finocchioni (fantastica la sequenza nella quale si rivelano come ultimi, quando al pianobar di Bernie, Webber sempre più infastidito dà addirittura una gomitata in faccia ad una delle prostitute avvinghiatesi, poichè lo sta toccando sempre più “pericolosamente” vicino al cavallo dei pantaloni, e tra l'altro era una mignotta messicana anche piuttosto trombabile) svolgono i loro piccoli ma decisivi ruoli quasi da “apparizioni speciali”, con grande forza e presenza, resistendo alla tentazione di trasformare e portare i personaggi nel campo degli stereotipi. Anche Kris Kristofferson fa un buon lavoro nel proprio cameo, anche se la sua sequenza si sente come forse l'unica digressione non estremamente necessaria.

“Voglio la testa di Garcia” è stato e rimane per sempre a testimoniarlo, un progetto profondamente personale per Peckinpah, solo apparentemente ammantato da un'aura comunque estremamente affascinante, da B-movie. Le persone vicine al regista durante la lavorazione poterono osservare che Oates fondamentalmente stesse “facendo” Peckinpah - egli infatti ne imitò le caratteristiche esterne (i baffi, gli occhiali scuri -proprio i suoi, che Oates gli prese, taluni manierismi), mentre incarnava qualcosa del regista mercenario, e in maniera preponderante l'atteggiamento nichilista. Il film riflette un qualcosa di molto amaro e malinconico, una disposizione alla vita ma soprattutto alla sua finis, che è stata a detta di tutti una parte molto determinante della psiche del suo autore in quel momento, e sempre più per gli ultimi anni. E fu per Peckinpah anche una sorta di colpo di grazia - un meditabondo, cupamente umoristico, profondamente sentito ritratto di un'ossessione che sarà ancora più nettamente in rilievo e senza alcun apparente contrasto con gli altri capolavori che Bloody Sam sarebbe riuscito a far seguire a questo (con l'eccezionale dramma sul fronte tedesco-russo della WWII, il menzionato “La Croce di ferro” con grandiosi protagonisti quali James Coburn, Maximilian Schell, James Mason, David Warner, Senta Berger ed ancora altri, mai anche tutti gli ancora non menzionati e rimasti suoi film, che avrebbero e hanno, colpito sempre nel segno).

L'unico film diretto da Sam Peckinpah in cui egli abbia avuto il final cut - tutti gli altri film vennero nuovamente montati dagli studios.

Alla sua uscita, venne vietato in Svezia, Germania e Argentina.

Warren Oates copiò proprio da Sam Peckinpah per fare la sua parte, fino a prendere in prestito un paio di occhiali da sole del regista.

Gig Young appare nel film al bar dove Warren Oates è a suonare il pianoforte. Quando lui e Robert Webber si congedano, Oates gli chiede il suo nome e Young risponde: "Fred C. Dobbs," un riferimento al personaggio di Humphrey Bogart in "Il Tesoro della Sierra Madre” .

Isela Vega ricevetta una nomination come miglior attrice all' Ariel Awards del 1975, assegnato dalla Mexicana Academia de Ciencias y Artesy Cinematograficas. Ha perso con Pilar Pellicer, che vinse l' Ariel per il suo ruolo in “La Chica” di Emilio Fernandez, che nel film di Peckinpah interpreta El Jepe.

Uno dei pochi critici in realtà a lodare il film alla sua uscita fu Roger Ebert, che avrebbe vinto il Premio Pulitzer per la critica l'anno successivo.

Nella scena in cui il sacerdote battezza il figlio di Alfredo, possiamo sentire (in latino), il nome del bambino: Samuel David. Il nome completo di Peckinpah è appunto Samuel David Peckinpah.

Uno dei film inclusi ne "I Cinquanta peggiori film di tutti i tempi (e come sono riusciti ad esserlo)" di Harry Medved e Ralph Lowell.

Graham Garden ha, per molti anni, ha fatto un gioco di parole del titolo di questo film in modalità di scherzo corrente della serie radiofonica della BBC "Mi dispiace che non ne abbiano la minima idea".

Nella scena all'interno del bar di Città del Messico, dove incontriamo per la prima volta Warren Oates intento a suonare il pianoforte, sul muro di mattoni dietro di lui vi è un finto biglietto da un dollaro con una caricatura di Richard Nixon. Peckinpah, dalle idee politiche notoriamente liberali, l'ha inserito lì per mostrare il suo forte disprezzo per Nixon, la cui presidenza stava andando a pezzi, al momento della realizzazione di questo film.

Secondo Garner Simmons, uno dei commentatori del commento audio del film presente nel dvd della MgM, il sacchetto di tela ruvida che Warren Oates porta nella sua auto è in realtà pieno di pezzi di carne, simulando la presenza della testa di Garcia, che attira le mosche. l film nacque da un soggetto scritto da Peckinpah insieme a Frank Kowalski, realizzabile soltanto in un'ambientazione messicana. Con l'aiuto del produttore Martin Baum si creò così una coproduzione USA-Messico.

Unico paese al mondo in cui è presente da maggio 2012 un'edizione in Blu-ray del film è stranamente l'Italia, pubblicato in un'eccellente copia interamente restaurata, dalla Koch Media su licenza MgM.


Da Wiki:

Cast
Il protagonista del film è Warren Oates, attore feticcio di Peckinpah utilizzato prima di questo film perlopiù come caratterista, e qui promosso per la prima volta al rango di protagonista. Subito dopo fece da co-protagonista con Peter Fonda il bello e completamente sconosciuto “92 Gradi all'ombra” (92 in the Shade) (1975) di Thomas McGuane.
La protagonista femminile è Isela Vega, ai tempi la più nota celebrità messicana, ex cantante di night.
Il ruolo di El Jefe o El Jepe è interpretato da Emilio Fernandez, vero ex generale dell'esercito messicano, valente e conosciuto cineasta del paese, noto grande amico del regista, e già il crudele e bestiale generale dell'esercito messicano de “Il Mucchio selvaggio”.

Riprese
Le riprese del film iniziarono il 1 ottobre 1973, e terminarono nel dicembre dello stesso anno. Peckinpah decise di girare il film interamente a Città del Messico, in luoghi fino ad allora sconosciuti alla macchina da presa, scartando città più ovvie, tipo Durango o Acapulco. Il film fu portato a termine, nonostante una settimana di piogge e l'opposizione dei sindacati hollywoodiani, che protestarono contro l'utilizzazione di attori e tecnici messicani.
Durante le riprese Peckinpah ebbe gravi problemi di salute, non mangiava, beveva vodka e ingoiava molte pillole. La sua segretaria, Katy Haber, lo aiutò a rimettersi in sesto, nascondendogli la vodka e le pillole, e facendolo mangiare. Per il resto le riprese si svolsero in un clima idilliaco e, per la prima volta nella sua carriera, Peckinpah ebbe il totale controllo sul film. Il regista infatti disse del film: «Buono o cattivo, bello o brutto, l'importante è che sia mio al 100%».

Accoglienza
Il film incassò in totale poco più di 2 milioni di dollari, e non si rivelò un gran successo.

Critiche
Le critiche statunitensi dell'epoca non furono molto tenere con il film. Il Wall Street Journal scrisse: «Il film è così grottesco nella sua idea di base, così sadico nelle sue immagini, così irrazionale nella sua trama, così senza tocco di regia nella sua realizzazione, che ci porta a una sola conclusione: Peckinpah ha bisogno di un analista». In Italia solo Giuseppe Turroni scrisse a favore del film, ritenendolo «il film della follia, del dialogo, della morte con la vita».
In seguito il film è stato rivalutato ampiamente, e definito una delle migliori opere di Peckinpah. L'anno scorso è stato proiettato sul gigantesco schermo di P.zza Grande al Festival di Locarno, e in una copia interamente restaurata, in occasione dell'omaggio della rassegna al grande regista.

Collegamenti ad altre pellicole
Lo stupro -non consumato- che Elita subisce da Paco (Kris Kristofferson) presenta le stesse modalità dello stupro presente nel precedente film di Peckinpah, “Cane di paglia. Come in quel film, infatti, anche qui la donna prima si oppone, ma poi sembra gradire la violenza, e anzi aiuta lo stupratore.
In “Fletch, cronista d'assalto” (1985) con Chevy Chase, in un ospedale qualcuno chiede: «Dov'è la testa di Garcia?»
“Le Tre sepolture”, diretto da Tommy Lee Jones nel 2005, ricalca la storia del film di Peckinpah.
"Sin City”, diretto da Robert Rodriguez nel 2005, presenta una sequenza, diretta da Quentin Tarantino, nella quale Benicio Del Toro parla con Clive Owen avendo una pistola piantata nella testa. Questo ricorda molto i deliranti dialoghi tra Bennie e la testa di Garcia.

Napoleone Wilson

venerdì 17 agosto 2012

Cellat - Il Giustiziere

8

Uscito in Italia in pochissime sale di terza visione e veri e propri “pidocchietti” o già “semi” a luci-rosse, deserte nella piena estate del 1975, e intitolato semplicemente “Il Giustiziere”, (come un coevo e ben diverso bel film ma sempre di vendetta, girato da Edward Dmytyk in Italia nel 1974, con George Kennedy, ovvero “Il Giustiziere”[The Human Factor]), “Cellat” nel titolo originale, è ovvero la versione turca de “Il Giustiziere della notte” (Death Wish) ('74) di Michael Winner, film che proprio in quel biennio '74-'75 stava ottenendo un'enorme successo internazionale.

Narra di Orhan (Serdar Gokham), un architetto come il Paul Kersey/Charles Bronson dell'illustre modello, il quale torna a casa dalle vacanze con la moglie Filiz, la sorella Sevgi, e il fratellastro Jahit. Pare che nel tempo in cui sono stati lontani, Istanbul sia caduta sotto la dominazione di una violenta ondata di crimine. Mentre Orhan è al lavoro, tre fumatori hippy con il popper (si capisce da subito che faranno qualcosa che non va bene perché hanno tutti quella risata malvagia che sfoggia ogni bad guy in ogni film di turkishploitation) seguono a casa Filiz e Sevgi e le violentano. Filiz muore sul tavolo operatorio mentre Sevgi è precipitata in uno stato catatonico. Con la polizia non in grado di aiutare, Orhan scambia po' di soldi in cambio di un mazzo di monete, li mette in un calzino sempre coma faceva Bronson nel famoso film, e scarica fuori di sé tutta la propria frustrazione su di un pappone.


Al ritorno al proprio lavoro, Orhan viene inviato in campagna a rilevare un terreno di proprietà del ricco Dogan, il quale ha intenzione di costruirci un albergo. Dogan accompagna Orhan per un po' al tiro al bersaglio. Orhan odia le armi (in tutto e per tutto copia carbone del “Death Wish” originario, ma stupefa Dogan per la sua innata perizia con la pistola, colpendo un essere umano a forma di bersaglio, nel cuore e in altri punti vitali ad ogni tiro, in modo che anche lui come Bronson si ritrova alla partenza infilata nella sua valigetta una cassettina rivestita di velluto e infiocchettata, contenente guarda caso una pistola e una fornitura di proiettili . Una volta che Orhan è tornato a casa scopre che Jahit ha messo Sevgi in un ospedale perchè non si è mai più ripresa dallo shock emotivo, mentre Orhan deciderà di passare quindi ad una terapia d'urto contro i criminali che infestano la città, sparando nottetempo ad un assassino e a un vizioso stupratore. Sulla tomba di sua moglie, confessa il suo piano per ripulire la città di parassiti e delinquenti fino a quando non sentirà di averla vendicata.


Egli continua proprio a compiere queste azioni , anche quando inconsapevolmente incrocerà gli assassini di sua moglie in un night chiamato "Love Story Club" (eh sì, si fa riferimento persino a "quel" libro / film). Nel frattempo, i poliziotti si sono resi conto che i proiettili usati per abbattere vari malviventi di Istanbul sono della stessa pistola. Quando uno degli assassini dà una collana di Filiz ad una prostituta, si può allora essere sicuri che Orhan lo scoprirà e che lui e gli assassini si incontreranno di nuovo.


“Cellat” - che si traduce come "Il Boia" - è ovviamente stato ispirato fino essere un vero e proprio tentativo di fotocopia, da “Il Giustiziere della notte” - tant'è che il titolo alternativo per il mercato anglofono internazionale è per l'appunto“Turkish Death Wish”- ma ha anche molto in comune con alcuni tra i thriller criminali italiani del tempo (tra cui alcuni dei più appropriati brani musicali, qui riarrangiati). E' abbastanza ben fatto e lo si può notare rispetto ad alcune belle inquadrature e movimenti di macchina, espressioni di una cinematografia per lo più ordinaria, ma competente. La sequenza dei titoli è un montaggio di testo stampato su coloratissimi frammenti di carta da disegno tecnico per le costruzioni (che non è sempre incollato al fondale senza problemi) come quella che utilizzano gli architetti, professione del protagonista del film, e ricorda quello che molti film italiani avrebbero fatto con i titoli ottici cinematografici, solamente da un paio di anni prima. I combattimenti sarebbero potuti essere un po' più convincenti se non fosse per gli ultra-enfatici effetti sonori, ma c'è uno scontro avvincente tra Orhan e alcuni teppisti su di un treno. L'azione spazia dal decisamente sopra le righe (tra cui ovviamente le risate malvagie) per condurre a sua volta alla figura opportunamente stoica e riflessiva del poliziotto Gorkhan (o del fratellastro di Orhan, Jahit). Se il poliziotto sembra una figura familiare in un film come questo, è ovviamente possibile riconoscerlo – un po' meno per la sua voce stridula - come il custode di questa raccapricciante storia, al pari di Vincent Gardenia nel film americano, il quale preferirebbe non dover parlare di questi avvenimenti né catturare Orhan, che saprà ben presto essere il colpevole.


Mentre il ritmo è abbastanza svelto e divertente (e, naturalmente, in gran parte involontariamente) in quasi tutto, il film nonostante la sua morale estremamente polarizzata non riesce emotivamente a centrare sempre l'appropriato registro. L'abbrutimento dell'aggressione e dello stupro di Filiz e Sevgi non è di certo in grado di ricreare mai minimamente quello shock veramente laido, disturbante e malato, della corrispondente sequenza con Jeff Goldblum e comapri, nell'illustre modello. Mentre è spesso interrotta dal montaggio con momenti di Orhan sul proprio lavoro. I tre fumatori col popper e teppisti sono ritratti come invidiosi - piuttosto che risentiti e pieni di odio- della ricchezza, ma invadono la casa Filiz in cerca di denaro (la distruzione della proprietà e lo stupro è il risultato seguente alla scoperta che Filiz e Sevgi non hanno abbastanza soldi). "Orhan l'architetto" - come egli si presenta a un certo punto - è ritratto come un uomo doveroso e rispettoso (egli è ritratto nella prima scena mentre stecca e stringe con la sciarpa della moglie la gamba rotta di un cane lupo zoppicante). Mentre la violenza contro le donne è sentita visceralmente, i momenti in cui Orhan è inquadrato sono piuttosto senza vita dal momento che è solo a fissare i fogli su una scrivania, un taglio di montaggio ci da infatti Orhan intento a tracciare una linea con penna e righello, mentre nello stesso istante Filiz è gettata dall'altra parte della stanza. Coinvolgendo in realtà involontariamente il nostro " architetto " in una luce sinistra.


Orhan ci viene inizialmente presentato come una persona pacifista (sarebbe stata allora una vita difficile la sua, nella Turchia degli anni '70) che si ritrova a diventare un vigilante ma nonostante alcune reazioni che sono il segno del suo senso di colpa, non è mai veramente permesso di confondere la linea del film dal momento che i cattivi sono sempre impenitentemente malvagi, senza senso di rimorso alcuno (e dei quali anzi si sentirà risuonare la cattiva risata turca più e più e più volte) vili, anche se, per questo, sappiamo che in questo film i cattivi saranno chiamati a pagare davvero. Il film si conclude su una nota brusca che non invita certo a riflettere.


“Cellat” che ho potuto rivedere dopo oltre tre decenni grazie all'amico Belushi, è stato recentemente pubblicato in un'edizione in digitale dalla benemerita etichetta turca Onar.. Trasferito da una copia ristampata recentemente, seppur con l'immagine a schermo intero, è generalmente in ottime condizioni. I colori sono molto buoni e stabili , mentre alcuni graffi e spuntinature, oltre a qualche fotogramma mancante, compaiono molto di rado. L'immagine brusca e il montaggio del suono è indicativo dei limiti tecnici della produzione, non degli elementi del trasferimento. Vi è inoltre ad un trailer molto enfatico che ripete il titolo principale del film ("Cellat ... Cellat CELLAT ...!") - Molto utile se non si sa come pronunciare correttamente il titolo - il disco comprende anche i teaser per l'interessante horror “Kadin Dusmani”e di una spy thriller diretta da Altin Çocuk che al momento non erano ancora release attuali della Onar. C'è anche un documentario di 25 minuti chiamato “Turkish Vengeance” con alcune deliziose clip dei film turchi di vendetta, filone di successo dell'exploitation anni '70 ancora non disponibili e una filmografia selezionata sempre di vengeance movie, una galleria fotografica e alcune biografie e filmografie. Questa produzione di collane di dvd sulla loro fiorente produzione di genere in filoni d'imitazione dei film di successo americani e italiani, si presenta con il trattamento riservato solitamente da una Anchor Bay o una Blue Underground verso ad esempio i film thriller italiani, o dalla Mondo Macabro per le pellicole più weirde e bizzarre (e questa essendo ovviamente l'unica edizione esistente del film, seppur non in inglese, è la migliore che si può ottenere per un titolo come questo). Prodotta in un edizione limitata di 500 copie, era fino a non molto tempo fa ancora disponibile direttamente dal sito web della Onar Films.

Napoleone Wilson

martedì 14 agosto 2012

The Terminal Man - L'Uomo Terminale

8

Harry Benson è un brillante scienziato informatico. Per tre minuti al giorno, è pura violenza omicida.”
Frase di lancio originale del film

[Benson sta descrivendo gli odori che sente prima che abbia un attacco] Benson/George Segal :- “C'è come un'odore di merda e di maiale in trementina.” [Ultime battute] Primo uomo dietro la porta :- “Vogliono * voi * dopo.” Secondo uomo dietro la porta :- “Dovrebbero smettere di mettere questi scherzi a giro!”

Secondo uomo dietro la porta :- “Prendono ancora Benson?”
Primo uomo dietro la porta :- “Questa mattina.”
Secondo uomo dietro la porta:- “Hanno veramente intenzione di mettere i fili nel suo cervello?”
Primo uomo dietro la porta :- “Certo.”
Secondo uomo dietro la porta :- “No merda!”

[il piccolo spioncino si apre nella porta per quello che sembra essere una stanza in isolamento dal punto di vista al suo interno; si vede l'occhio del primo uomo che sbircia dentro]
Primo uomo dietro la porta :- “E' tranquillo ora.”
[Si fa da parte, l'occhio di un secondo uomo appare]
Secondo uomo dietro la porta :- “Come si chiama?”
Primo uomo dietro la porta :- “Benson.”
Secondo uomo dietro la porta :- “Sembra a posto per me. Cosa c'è di sbagliato in lui?”
Primo uomo dietro la porta :- “Ahh, è pazzo.”
Secondo uomo dietro la porta :- “Quando lo porteranno fuori?”
Primo uomo dietro la porta :- “Questa mattina.”
[Chiude lo spioncino]

Benson :- [borbotta] Dr. John Ellis/Richard Dysart :- [Dopo l'operazione a Benson] “Come sta?” Dr. Robert Morris/Michael C. Gwynne :- “Paziente.” Dr. John Ellis :- “Tutto bene, signor Benson?” Benson :- [intontito] “Molto ... bene ...”Dr. John Ellis :- “Qualche dolore?” Benson :- “No. ..” Dr. John Ellis :- “Buono. Si rilassi ora.” Benson :- “Anche tu dottore ...”

Harry Benson (George Segal) è un brillante scienziato informatico che inizia a soffrire di black-out epilettici dopo aver ricevuto un trauma cranico in un incidente d'auto. Durante questi blackout gli si provocano delle terrificanti esplosioni di violenza, che includono le percosse della moglie e dei figli. Per aiutarlo a controllare la propria condizione un gruppo di medici elabora una procedura sperimentale per l'impianto di un chip di computer all'interno del suo cervello, che farà scattare un segnale atto a alleviare questi impulsi quando essi cominciano. Purtroppo le cose non vanno come previsto e le condizioni di Harry peggiorano terribilmente, in questa memorabile realizzazione cinematografica del quasi omonimo romanzo di Michael Crichton.
 
Lo stile registico di Mike Hodges in questo film risalta al massimo. Ogni scena ripresa dalla cinepresa si inserisce in un insieme senza soluzione di continuità. La prima ora è piena di scene e fondali che mostrano un quadro uniforme, grigio, come quello di un ambiente futuristico, mentre la seconda metà offre interni più bianchi, pur mantenendo l'aspetto modernista. Hodges mostra una consapevolezza terrificante di ogni dettaglio del film e rende anche il suono più piccolo come ogni dettaglio apparentemente più insignificante, parte integrante della storia. Dal punto di vista visivo è un'opera davvero brillantemente gestita e un capolavoro che avrebbe da sempre necessitato di maggiore attenzione. Il suo uso della musica classica di Johann Sebastian Bach (eseguita da Glenn Gould) è ugualmente efficace, all'utilizzo che ne compierà quasi contemporaneamente Norman Jewison in “Rollerball” ('75), altro capolavoro della fantascienza pessimista settantesca. Una scena in particolare, è unica, cioè quando Harry accoltella violentemente a morte Jill Clayburgh durante una delle sue crisi epilettiche, ma invece di sentire della musica martellante, ascoltiamo la morbida musica per piano di Bach attraverso i tasti delicati di Glenn Gould, mentre il sangue della vittima crea un labirinto di colore rosso tra le scanalature delle piastrelle bianche sul pavimento.
Le sequenze del film incentrate sull'operatività tecnologica, sono quello su cui esso è costruito, e sono particolarmente accattivanti, oltre a occupare la maggior parte della durata. E' assolutamente da apprezzare la grande cura che è stata presa per rendere il tutto seguente ad una logica molto credibile. La stessa complessa procedura dell'intervento chirurgico al cervello, diventa affascinante e avvincente da guardare, ed è difficile rendere attraente il praticare dei piccoli fori nella testa del paziente George Segal, e utilizzare piccoli tubi metallici per girare letteralmente dei granuli meccaniche in punti strategici del cervello.

Segal, per lo più conosciuto come attore protagonista di commedie leggere, (l'anno prima era stato il protagonista anche di “Una Pazza storia d'amore”[Blume in love] ['73] di Paul Mazursky) si prende qui una piacevole pausa all'interno del dramma. Svolgendo un ottimo lavoro e ottenendo di far sì che lo spettatore lo veda come un essere umano provando empatia per la sua situazione, anche quando ha la testa rasata che lo fa apparire esattamente come Howie Mandel.
La parte dove urla "Fallo smettere! Fallo smettere! ", come egli passa attraverso un'altra delle sue esplosioni di violenza è particolarmente dinamica e inquietante. Il bravissimo regista inglese Mike Hodges, che tre anni prima aveva diretto il grandioso film di gangster “Carter”(Get Carter) con Michael Caine, ha qui prodotto, diretto e adattato per lo schermo questo sci-fi thriller di rara declinazione clinico- fanta chirurgica, basato sul romanzo di Michael Crichton. “Il Terminale uomo” (così si intitolava il romanzo) era una mossa di carriera strana per Hodges, e, dopo che questo film si rivelò purtroppo un flop, non avrebbe più lavorato di nuovo negli States fino a sei anni più tardi con l' ancor più imprevedibile e sorprendente “Flash Gordon” prodotto da Dino De Laurentiis e in precedenza progetto non portato a compimento addirittura da Fellini, al quale comunque lavorò (nel frattempo Hodges era stato licenziato dalla direzione di “La Maledizione di Damien” [Damien: Omen II] ['78]). Anche se registicamente nel complesso “The Terminal Man” non è all'altezza in confronto al suo capolavoro massimo “Get Carter”, la direzione di Hodges è anche qui assolutamente brillante e aiuta a trascendere il materiale da ogni insorgente routine.

Come quasi tutti i film basati sui romanzi di Michael Crichton (che avrebbe anche dovuto dirigerlo, avendo esordito da regista l'anno prima e con grande riscontro di critica e commerciale, con l'eccellente adattamento cinematografico del suo romanzo “Il Mondo dei Robot”[Westworld] con Yul Brynner, James Brolin, Richard Benjamin), “L'Uomo terminale” soffre dalla sua fonte in quanto i libri del Crichton anni '70 erano già talmente perfetti che non era affatto facile trasporli sullo schermo, ma questo è senza dubbio il miglior adattamento della sua opera trasposto al cinema nel periodo (ancora di più sia di “Westworld” che “Andromeda” [The Andromeda Strain] ['71] firmato da Robert Wise, e comunque bellissimi). Purtroppo, è anche uno dei suoi meno conosciuti. Infatti “L'Uomo terminale” è una delle cose più rare di quel periodo in molti sensi- un vero e proprio film d'arte di Hollywood. E' anche uno dei film realizzati dagli Studios nei '70, tra i più freddi e “insensibili”, da questo lato quasi e con convinzione kubrickiano, dal lento, strisciante senso di orrore che ricorda sia 2001” che “Shining”. E' un' opera incentrata su una disamina di scienzo-fobia, nella quale questo brillante scienziato informatico interpretato da Segal si fa come detto impiantare un microcomputer nel proprio cervello (tutto questo immaginato da Crichton già nei primi anni settanta!) per prevenire gli attacchi violenti di cui soffre a causa di una lesione alla testa. Inutile ripetere, le cose vanno terribilmente storte e la cura è peggiore del male. Mentre, come in tutta l'opera di Crichton, gli sviluppi della trama sono ben annunciati, Hodges evita di sfidare le aspettative del pubblico. Questo può essere il motivo per cui certo consenso critico ha etichettato il film come noioso. Invece che a un thriller standard, Hodges è infatti maggiormente interessato alla creazione di un futuro distopico e ravvicinato, attraverso la creazione di un ambiente fortemente stilizzato che è così volutamente artificiosa, da risultare praticamente soffocante. Ogni momento è decentrato e stranamente incorniciato da alcuni altri incredibilmente forti, mentre le scene sono quasi sempre girate su sfondi bianchi. Con già il notevole “California Split” ('74) di Robert Altman, uno dei suoi film migliori, all'attivo nello stesso anno, Segal colpì tutti con la sua interpretazione inventiva e solidissima al contempo, offrendoci una prestazione fantastica. Un film in definitiva sottovalutato che solamente dl 2011 ha potuto godere di un'edizione in dvd R1, remasterizzata, sempre per la benemerita e sterminata collana della Warner Archive.

Il cast di supporto è solido a partire da Donald Moffat del quale in originale si può ascoltare il forte accento irlandese. Richard Dysart è memorabile come il luminare chirurgo che conduce l'operazione. Ha due delle migliori battute del film. Una è quando lui sta inserendo i chip per computer nel cervello di Segal affermando: "Questo è l'unico lavoro che può essere sia noioso che snervante allo stesso tempo." Un altra grande linea di dialogo si verifica quando un giornalista gli chiede se lui ritenga che questa procedura possa essere un tipo di controllo mentale e lui gli risponde: "Come si chiama l'istruzione obbligatoria fino al liceo?"
Joan Hackett, attrice molto brava e anche sottovalutata come bellezza fisica ed estetica, dà la sua interpretazione al solito solida come la Dott.ssa Janet Ross, medico che è più interessato al benessere del paziente che alle implicazioni della sperimentale procedura. Jill Clayburgh, in un ruolo degli inizi di carriere interpreta qui il tipo contrario a quello suo solito del tempo di ragazza e poi donna bionda un pò svampita, e nella parte della ragazza di Harry offre un cambio di marcia interessante. Sono presenti anche Victor Argo nei panni di un loquace infermiere, e il grande James “Howard Hunter di Hill Street Giorno e Notte” B.Sikking, nei panni di un sempre più preoccupato dirigente dell'ospedale, Ralph Friedman, i bravi e attivissimi caratteristi del cinema americano anni '70 Michael C. Gwynne, il Dr. Robert Morris, William Hansen, il Dr. Ezra Manon, e il super attivo tra cinema e tv Norman Burton, il Det. Capitano Anders che da la caccia al “Frankenstein” fuggito Segal.

Chi è attento e conoscitore dei volti della tv e del cinema americani anni '70, potrà riconoscere anche Robert Ito di sfuggita nei panni di un'anestesista, Lee DeBroux di un reporter, e il bravissimo Jack Colvin della serie storica di “Hulk”, nella breve apparizione di un detective della polizia, e infine anche di Steve Kanaly nel breve ruolo di un certo Edmonds.

Il film anche offre certamente una dichiarazione forte contro i potenziali pericoli della scienza medica, sempre attualissimi, e come il personale medico possa essere molto intelligente in un settore, ma molto immaturo e densamente egoista in altri. L'elemento di disumanizzazione è calcato in maniera approfondita per lo spettatore e in questo senso riesce magnificamente, ma non si può fare a meno di sentire che possa rivelarsi un po' ingiusto. Negli anni dal momento che questo film fu distribuito, i progressi in campo medico hanno migliorato la vita e la salute dei pazienti e della società nel suo insieme. La preponderanza degli aspetti negativi nel film sembra essere un po' troppo conforme ai sentimenti pessimistici della sua epoca e il suo punto di vista è decretato inesorabilmente in maniera un po' dogmatica. Anche se, non bisogna dimenticare che Crichton (in anni di molto successivi creatore e scrittore della serie tv forse più famosa e di successo, d'argomento e ambientazione medico-ospedaliera, naturalmente “E.R. -Medici in prima linea”) prima di divenire scrittore di grande successo è stato medico d'urgenza e come tale ha esercitato per anni, quindi sapeva bene di cosa stava parlando.

Michael Crichton aveva originariamente intenzione di scrivere e dirigere il film.

Il film non ha mai avuto una versione cinematografica nel Regno Unito.

Crichton venne licenziato dalla scrittura della sceneggiatura per il fatto che il suo script non aveva seguito il romanzo (che aveva scritto) abbastanza da vicino.

Il nome dell'ospedale, anche se nel film non viene mai menzionato, è "Babel". Esso è appena visibile in un basso contrasto (beige su bianco) sullo stemma sulle divise. Il logo è un cerchio, contenente il nome stampato orizzontalmente e verticalmente condividendo la centrale "B", simile alla croce Bayer.

Le uniformi ospedaliere indicano la professione di chi le indossa con una singola lettera sul colletto: "D" per il medico, "N" come nurse per l'infermiera, "T" per il tecnico, ecc. Esse sono altamente spersonalizzanti nello stile, con solo il personale "dissenziente" (il Dr . Manon e il dottor Ross) che mostra ancora un accenno di individualità nell'abbigliamento lavorativo.

Napoleone Wilson