L'arte simbolista di Kim Ki-duk in una perfezione estetica assoluta. Più che un film un quadro, meglio un Polittico in fotogrammi.
Lui, Jang Jin è in carcere nel braccio della morte; la sua esecuzione più volte rinviata per tentativi di suicidio è spesso citata nei telegiornali. Lei, Yeon, scultrice sposata con un musicista, in grave crisi matrimoniale dopo aver scoperto il tradimento del marito, sente nei confronti del condannato un bisogno irrefrenabile di conoscerlo, se ne innamora e con una banale scusa ottiene il permesso d'incontrarlo in carcere.
Tre i luoghi dove essenzialmente si svolge la trama.
In casa, dove il marito scoprirà l'incomprensibile infatuazione della moglie per il condannato e la interpreterà inizialmente come una vendetta nei suoi confronti, poi invece come una storia che deve seguire una sua fine, oltre che l'inizio, come la sua con l'amante che ha da poco lasciato dopo essere stato scoperto. Accompagnerà Yeon all'ultimo fatale incontro.
In cella, dove i compagni anch'essi condannati a morte vivono nei confronti di Jin, ormai muto per le ferite al collo procuratesi, un rapporto di odio-invidia. Vogliono forse dividere con lui tutto il loro implacabile destino, ma la donna è solo di Jin e non è semplice per gli altri sopportarlo.
Infine e soprattutto nella stanza degli incontri, in carcere, tra Jean Jin e Yeon. E' inverno ma lei s'agghinda a seconda della stagione che vuole portare in carcere, prima la primavera poi le altre. Mentre attende Jin tappezza la stanza con paesaggi e colori della stagione e quand'egli arriva attacca a cantargli una canzone sempre dedicata alla stagione stessa. Ignorando completamente il poliziotto nella stanza e le telecamere, terminato lo show si siede, e comincia a raccontare episodi della sua vita, uno su tutti quando, da bambina, "morì per 5 minuti", descritto con precisione. Qui, e siamo in "estate" nella stanza, si assiste ad un pezzo di recitazione della bravissima Ji-a Park da brividi.
L'ultimo incontro, l'ultima stagione, l'inverno, sarà un soffio d'amore.
Un soffio d'aria serve alla fragile vita per respirare, un soffio te la può togliere.
Da vedere.
Recensioni di Film, SerieTV e Teatro di ogni genere, epoca e nazione
sabato 31 ottobre 2009
venerdì 30 ottobre 2009
I recuperanti
Appena tornato dalla seconda grande guerra, Gianni s'arrabatta a qualsiasi genere di lavoro pur di riuscire a restare, con la sua promessa sposa, nell'amata terra: l'Altopiano di Asiago, ma è durissima. Prima in una falegnameria abusiva per necessità, perché la fame non aspetta permessi, poi conosce il vecchio Du che invece è sempre pieno di "sghéi".
Du fa il recuperante, professione in crescita nell'altopiano che ha visto cruentissime battaglie durante la prima grande guerra. Recupera ogni residuo metallico, soprattutto dalle armi e dalle bombe, che si trovano sepolte nel terreno. Mestiere, ovviamente, molto pericoloso, ma anche molto redditizio per i tempi.
Gianni, prima diffidente, si aggrega al Du, formano una società. Si procura anche un rilevatore di metalli, di quelli usati per sminare i terreni, e da quel momento gli affari cominciano a volare. Poi, nel finale, un fatto drammatico farà cambiare progetti al Gianni.
Attori protagonisti, Andreino Carli nella parte di Gianni e Antonio Lunardi in quella di Du, reclutati in zona. Il film d'altronde nasce con intenti documentaristici. Olmi lascia fare ai due interpreti e se Gianni si cala molto nel ruolo di attore tanto da sembrare davvero un professionista, l'istrionico Lunardi si limita, si fa per dire, ad interpretare sé stesso com'è, un montanaro verace, cinico, rude e radicato, con un vocione imperioso ed una dolcezza infinita quando occorre. "... lo vedi quel prato, in quella valletta, che verde che è? lì sono morti 3000 soldati. capisci? quell'erba la nutrono loro ...". Davvero fantastico personaggio il Du di Lunardi, indimenticabile!
Non era ancora finita la guerra dell'anno prima per la miseria che continuava a procurare, non era ancora finita la prima guerra, per il reddito che procurava ed anche, purtroppo, un ancora significativo tributo di morti.
Scene di natura e di vita popolare perfette. Olmi è il maestro dei maestri in questo.
Assolutamente da vedere se si ama questo regista.
Segnalo questa interessantissima intervista ad Andreino Carli.
Du fa il recuperante, professione in crescita nell'altopiano che ha visto cruentissime battaglie durante la prima grande guerra. Recupera ogni residuo metallico, soprattutto dalle armi e dalle bombe, che si trovano sepolte nel terreno. Mestiere, ovviamente, molto pericoloso, ma anche molto redditizio per i tempi.
Gianni, prima diffidente, si aggrega al Du, formano una società. Si procura anche un rilevatore di metalli, di quelli usati per sminare i terreni, e da quel momento gli affari cominciano a volare. Poi, nel finale, un fatto drammatico farà cambiare progetti al Gianni.
Attori protagonisti, Andreino Carli nella parte di Gianni e Antonio Lunardi in quella di Du, reclutati in zona. Il film d'altronde nasce con intenti documentaristici. Olmi lascia fare ai due interpreti e se Gianni si cala molto nel ruolo di attore tanto da sembrare davvero un professionista, l'istrionico Lunardi si limita, si fa per dire, ad interpretare sé stesso com'è, un montanaro verace, cinico, rude e radicato, con un vocione imperioso ed una dolcezza infinita quando occorre. "... lo vedi quel prato, in quella valletta, che verde che è? lì sono morti 3000 soldati. capisci? quell'erba la nutrono loro ...". Davvero fantastico personaggio il Du di Lunardi, indimenticabile!
Non era ancora finita la guerra dell'anno prima per la miseria che continuava a procurare, non era ancora finita la prima guerra, per il reddito che procurava ed anche, purtroppo, un ancora significativo tributo di morti.
Scene di natura e di vita popolare perfette. Olmi è il maestro dei maestri in questo.
Assolutamente da vedere se si ama questo regista.
Segnalo questa interessantissima intervista ad Andreino Carli.
giovedì 29 ottobre 2009
Into the Wild - Nelle terre estreme
Chris ha una visione della vita che all'inizio appare semplicemente minimalista. Non ama lussi e comodità pur avendo una famiglia agiata alle spalle, non riesce a farsene una ragione di valori come carriera, successo, ecc..., ma non per questo è nichilista.
Cerca qualcosa, dei valori di felicità assoluti, trova le risposte nei libri, importanti, che ama leggere e rileggere. Già prima di prendere la laurea ha chiaro cosa dovrà fare poi, e subito dopo la consegna dell'agognato (dai genitori) pezzo di carta parte. Molla tutto, soldi, carte d'identità e di credito, patente, e parte. La macchina la abbandonerà ben presto e sarà l'ultima traccia che lascerà ai disperati genitori.
Inizia un on-the-road caleidoscopico che è incredibile pensare sia ambientato nel 1990 che però molto si differenzia da vecchi miti di kerouakiana memoria.
Chris ha le idee chiare, sa cosa vuole, sa anche dove vuole arrivare come meta finale: Alaska, e soprattutto sa perché sta facendo questo viaggio. Non si droga, continua a leggere, riflette, è fondamentalmente alla ricerca di esperienze che confermino ed arricchiscano le sue riflessioni, quando ha bisogno di soldi cerca un lavoro che poi abbandona.
Fa molti incontri e con diverse persone instaura un rapporto di amicizia profonda. Non è un santone, non vuole esserlo, però dalla sua bocca esce il pensiero di una mente che si sta liberando da ogni pregiudizio, una mente che stacca il legame della propria Felicità da beni, oggetti, relazioni, mentre la ricerca nel continuo accumulo di esperienza.
Una scena su tutte, a Salvation Mountain, quando parla con un artista che tappezza di portiere colorate la parete della montagna. Dopo la sua descrizione, di quello che gli piace fare, Chris esce con una frase semplicissima "... allora tu credi veramente nell'Amore". M'è venuto l'umido agli occhi, a me e all'artista. Certe frasi, quando dette nei luoghi, nei modi e nei giusti toni ti piegano le gambe.
Chris faceva a tutti questo effetto, quello di essere una persona pura e tutti faticavano non poco a vederlo ripartire. E' comprensibile.
Si potrebbe dire davvero ancora molto. Mi fermo qua per non rovinare la visione, che ho appena terminato ed ancora mi emoziona.
Vi ho risparmiato il finale, che sarà in Alaska, dove arriverà ed andrà a vivere in un vecchio pulmann abbandonato da lui nominato Magic Bus. Qui inizierà la parte più dura, durissima del suo viaggio, un viaggio interiore senza sconti.
Dimenticavo un dettaglio: il film è la Vera storia di Christopher McCandless.
E' stata raccolta in un romanzo-biografia di Jon Krakauer, basato sui succinti diari scritti da Chris nel Magic Bus e dagli appunti che lo stesso segnava sui libri ritrovati, uscito anche in Italia col titolo "Nelle terre estreme". Sean Penn ha dovuto attendere parecchio per averne i diritti ma ne è valsa la pena. Al film ha collaborato anche la famiglia McCandless.
Bellissimo. Ma davvero tanto. Già un mio cult personale.
Chiudo con una foto del vero Chris, un autoritratto trovato in una macchina fotografica con il rullino ancora da sviluppare.
Cerca qualcosa, dei valori di felicità assoluti, trova le risposte nei libri, importanti, che ama leggere e rileggere. Già prima di prendere la laurea ha chiaro cosa dovrà fare poi, e subito dopo la consegna dell'agognato (dai genitori) pezzo di carta parte. Molla tutto, soldi, carte d'identità e di credito, patente, e parte. La macchina la abbandonerà ben presto e sarà l'ultima traccia che lascerà ai disperati genitori.
Inizia un on-the-road caleidoscopico che è incredibile pensare sia ambientato nel 1990 che però molto si differenzia da vecchi miti di kerouakiana memoria.
Chris ha le idee chiare, sa cosa vuole, sa anche dove vuole arrivare come meta finale: Alaska, e soprattutto sa perché sta facendo questo viaggio. Non si droga, continua a leggere, riflette, è fondamentalmente alla ricerca di esperienze che confermino ed arricchiscano le sue riflessioni, quando ha bisogno di soldi cerca un lavoro che poi abbandona.
Fa molti incontri e con diverse persone instaura un rapporto di amicizia profonda. Non è un santone, non vuole esserlo, però dalla sua bocca esce il pensiero di una mente che si sta liberando da ogni pregiudizio, una mente che stacca il legame della propria Felicità da beni, oggetti, relazioni, mentre la ricerca nel continuo accumulo di esperienza.
Una scena su tutte, a Salvation Mountain, quando parla con un artista che tappezza di portiere colorate la parete della montagna. Dopo la sua descrizione, di quello che gli piace fare, Chris esce con una frase semplicissima "... allora tu credi veramente nell'Amore". M'è venuto l'umido agli occhi, a me e all'artista. Certe frasi, quando dette nei luoghi, nei modi e nei giusti toni ti piegano le gambe.
Chris faceva a tutti questo effetto, quello di essere una persona pura e tutti faticavano non poco a vederlo ripartire. E' comprensibile.
Si potrebbe dire davvero ancora molto. Mi fermo qua per non rovinare la visione, che ho appena terminato ed ancora mi emoziona.
Vi ho risparmiato il finale, che sarà in Alaska, dove arriverà ed andrà a vivere in un vecchio pulmann abbandonato da lui nominato Magic Bus. Qui inizierà la parte più dura, durissima del suo viaggio, un viaggio interiore senza sconti.
Dimenticavo un dettaglio: il film è la Vera storia di Christopher McCandless.
E' stata raccolta in un romanzo-biografia di Jon Krakauer, basato sui succinti diari scritti da Chris nel Magic Bus e dagli appunti che lo stesso segnava sui libri ritrovati, uscito anche in Italia col titolo "Nelle terre estreme". Sean Penn ha dovuto attendere parecchio per averne i diritti ma ne è valsa la pena. Al film ha collaborato anche la famiglia McCandless.
Bellissimo. Ma davvero tanto. Già un mio cult personale.
Chiudo con una foto del vero Chris, un autoritratto trovato in una macchina fotografica con il rullino ancora da sviluppare.
martedì 27 ottobre 2009
Kids
New York (credo) bande di giovanissimi dei quartieri popolari, droga ma nemmeno tantissima, fancazzismo totale, vita priva di ogni morale e ambizione se non una: fare sesso. Ossessione soprattutto maschile e di riflesso anche femminile essendo il solo modo per convivere in quello che ora è di moda chiamare branco. C'è l'AIDS però con cui si comincia a fare i conti, anche in età giovanissima, uno spettro distante ma solo nelle loro menti.
L'america degli adulti disillusi non è da meno dei ragazzi, a ben guardare, è un regno di caos e di delirio diffuso dove ogni comportamento definibile come stravagante diventa usuale, lo si circonda quasi d'indifferenza.
Ho letto in giro che questo film è stato sceneggiato da un ragazzo, Harmony Korine, che all'epoca aveva solo 19 anni, probabilmente molto addentro alle vicende che ha raccontato con intima crudezza.
Un film da vedere, decisamente.
Solo una riflessione: è curioso che un film quasi interamente interpretato da minorenni, più che palesemente tali, sia agli stessi vietato nella visione.
Chissà spesso cosa andiamo a vietare noi "grandi": cose che potrebbero turbare gli animi giovani dei nostri figli o cose di cui non abbiamo il coraggio e la maturità di parlarne con loro? Meditiamo, popolo dei matusa, meditiamo.
L'america degli adulti disillusi non è da meno dei ragazzi, a ben guardare, è un regno di caos e di delirio diffuso dove ogni comportamento definibile come stravagante diventa usuale, lo si circonda quasi d'indifferenza.
Ho letto in giro che questo film è stato sceneggiato da un ragazzo, Harmony Korine, che all'epoca aveva solo 19 anni, probabilmente molto addentro alle vicende che ha raccontato con intima crudezza.
Un film da vedere, decisamente.
Solo una riflessione: è curioso che un film quasi interamente interpretato da minorenni, più che palesemente tali, sia agli stessi vietato nella visione.
Chissà spesso cosa andiamo a vietare noi "grandi": cose che potrebbero turbare gli animi giovani dei nostri figli o cose di cui non abbiamo il coraggio e la maturità di parlarne con loro? Meditiamo, popolo dei matusa, meditiamo.
lunedì 26 ottobre 2009
La stanza del vescovo
Uno è un avvocato che fa il mantenuto, è la moglie che possiede tutto. L'altro un giovane che scorazza il Lago Maggiore senza fissa dimora e tante donne da amare.
L'avvocato, libertino senza freni noto come tale in famiglia anche ai domestici, intuisce le opportunità che gli può dare la frequentazione del giovane e comincia anzitutto ad introdurlo in famiglia e poi a passare qualche giorno con lui. Nel secondo di questi "viaggi" decide di lasciare la moglie tramite una lettera, preferisce godersi la vita con l'amico e amanti giovani e accade che la moglie, durante la sua assenza, muore inspiegabilmente. Suicidio? Omicidio? Il finale chiarirà tutto, forse.
Ambientato nell'immediato dopoguerra, per sfondo uno splendido paesaggio lacustre, mischia inquietudini con confusione di vivere e un efficace giallo.
La splendida stanza per gli ospiti denominata "stanza del vescovo", che contiene le reliquie di un vescovo parente della moglie morto molti anni prima, sarà un contenitore di tante risposte.
Splendido Tognazzi nella parte dell'avvocato.
Non un capolavoro, Dino Risi ha fatto di meglio, ma un grande classico, basato su un importante romanzo.
Obbligatorio per un cinefilo. Da vedere.
L'avvocato, libertino senza freni noto come tale in famiglia anche ai domestici, intuisce le opportunità che gli può dare la frequentazione del giovane e comincia anzitutto ad introdurlo in famiglia e poi a passare qualche giorno con lui. Nel secondo di questi "viaggi" decide di lasciare la moglie tramite una lettera, preferisce godersi la vita con l'amico e amanti giovani e accade che la moglie, durante la sua assenza, muore inspiegabilmente. Suicidio? Omicidio? Il finale chiarirà tutto, forse.
Ambientato nell'immediato dopoguerra, per sfondo uno splendido paesaggio lacustre, mischia inquietudini con confusione di vivere e un efficace giallo.
La splendida stanza per gli ospiti denominata "stanza del vescovo", che contiene le reliquie di un vescovo parente della moglie morto molti anni prima, sarà un contenitore di tante risposte.
Splendido Tognazzi nella parte dell'avvocato.
Non un capolavoro, Dino Risi ha fatto di meglio, ma un grande classico, basato su un importante romanzo.
Obbligatorio per un cinefilo. Da vedere.
domenica 25 ottobre 2009
One Hour Photo
2002, Mark Romanek.
Avevo un gran bisogno di riconciliarmi con Robin Williams il quale, da L'Attimo Fuggente in poi, non mi aveva fatto vedere altro che robe insopportabilmente unte di retorica.
Avevo un gran bisogno di riconciliarmi con Robin Williams il quale, da L'Attimo Fuggente in poi, non mi aveva fatto vedere altro che robe insopportabilmente unte di retorica.
venerdì 23 ottobre 2009
À bout de souffle - Fino all'ultimo respiro
Grande esponente della Nouvelle Vague, non avevo ancora visto nulla di lui e comincio dalla sua opera prima. Film fantastico d'incredibile modernità nonostante sia del 1960, quindi direi che comincio davvero alla grande.
Michel è fondamentalmente un ladruncolo. Piccoli furti, automobili soprattutto. Poi inaspettatamente uccide un poliziotto per non farsi catturare ed è l'inizio della sua fine e della sua fama sui giornali.
Patrizia, una giovanissima americana di cui è innamorato, diventa il suo solo appiglio ad un'aspettativa di vita stabile, che guarda al futuro. Il resto è solo complicato, indefinibile, si vive per il momento successivo e nemmeno per la giornata. La ragazza è un amore, Humphrey Bogart un simbolo, tutto quanto s'è fatto è futile. Quello che si farà, il sogno di una grande fuga in Italia, la sola chimera inseguibile per cui valga la pena vivere, insieme a Patrizia.
Moderno. Nelle musiche, nelle riprese a braccio. Da vedere.
Belmondo strepitoso, un'icona.
Michel è fondamentalmente un ladruncolo. Piccoli furti, automobili soprattutto. Poi inaspettatamente uccide un poliziotto per non farsi catturare ed è l'inizio della sua fine e della sua fama sui giornali.
Patrizia, una giovanissima americana di cui è innamorato, diventa il suo solo appiglio ad un'aspettativa di vita stabile, che guarda al futuro. Il resto è solo complicato, indefinibile, si vive per il momento successivo e nemmeno per la giornata. La ragazza è un amore, Humphrey Bogart un simbolo, tutto quanto s'è fatto è futile. Quello che si farà, il sogno di una grande fuga in Italia, la sola chimera inseguibile per cui valga la pena vivere, insieme a Patrizia.
Moderno. Nelle musiche, nelle riprese a braccio. Da vedere.
Belmondo strepitoso, un'icona.
giovedì 22 ottobre 2009
La caduta degli dei
Amo questo regista, ma non me la sento di dire, come fa la locandina, che questo film è il suo capolavoro. "Morte a Venezia" è inarrivabile e non solo dagli altri film di Visconti.
Il pensiero mi va subito, a parte il titolo che ovviamente richiama Nietzsche e Wagner (autori che adoro nei rispettivi campi), al meraviglioso romanzo di Thomas Mann "I Buddenbrook", che ho letto anni fa e che se la memoria non m'inganna è enormemente più esteso ed articolato di questo film.
Qui la trama è nella sua essenza semplice. La storia della "caduta" di una potente famiglia tedesca, proprietaria di industria pesante metallurgica, nel breve periodo che va dal 1933 al '34, individuato con precisione dagli avvenimenti storici che intervengono, coi loro effetti, nella storia: l'incendio del Reichstag e la "notte dei lunghi coltelli". Intrighi, trame, passioni e perversioni, tutto totalmente soggetto a logiche di conquista del potere, con le SS a fare da terzo incomodo, arbitro e più spesso regista.
Il nazismo mi è apparso come un coprotagonista. Tutti diventano rappresentanti della totale caduta dei valori umani, vittime e carnefici. La crudeltà ed il cinismo di quasi tutti i componenti della famiglia paiono lo specchio di quelli dei gerarchi. E' geniale questo aspetto e in questo la grande intelligenza di Visconti emerge imperiosa proprio alla fine del lunghissimo film, quando cominci a chiedertene il significato più intimo.
Bellissimo quindi, ma...
Cast d'eccezione, sulle cui interpretazioni ogni tanto s'indugia. Fotografia e scenografia altrettanto eccezionali, da restare incantati per tanta perfezione, ma anche qui, ogni tanto, s'indugia, si perde un po' di ritmo.
Questi due aspetti fanno perdere perfezione al film: "imbaroccano il gotico", se mi si passa l'ossimoro, gotico che invece, mi sarebbe piaciuto, l'avesse fatta da padrone.
Visione doverosa per un cinefilo, come tutti i film di Visconti.
Il pensiero mi va subito, a parte il titolo che ovviamente richiama Nietzsche e Wagner (autori che adoro nei rispettivi campi), al meraviglioso romanzo di Thomas Mann "I Buddenbrook", che ho letto anni fa e che se la memoria non m'inganna è enormemente più esteso ed articolato di questo film.
Qui la trama è nella sua essenza semplice. La storia della "caduta" di una potente famiglia tedesca, proprietaria di industria pesante metallurgica, nel breve periodo che va dal 1933 al '34, individuato con precisione dagli avvenimenti storici che intervengono, coi loro effetti, nella storia: l'incendio del Reichstag e la "notte dei lunghi coltelli". Intrighi, trame, passioni e perversioni, tutto totalmente soggetto a logiche di conquista del potere, con le SS a fare da terzo incomodo, arbitro e più spesso regista.
Il nazismo mi è apparso come un coprotagonista. Tutti diventano rappresentanti della totale caduta dei valori umani, vittime e carnefici. La crudeltà ed il cinismo di quasi tutti i componenti della famiglia paiono lo specchio di quelli dei gerarchi. E' geniale questo aspetto e in questo la grande intelligenza di Visconti emerge imperiosa proprio alla fine del lunghissimo film, quando cominci a chiedertene il significato più intimo.
Bellissimo quindi, ma...
Cast d'eccezione, sulle cui interpretazioni ogni tanto s'indugia. Fotografia e scenografia altrettanto eccezionali, da restare incantati per tanta perfezione, ma anche qui, ogni tanto, s'indugia, si perde un po' di ritmo.
Questi due aspetti fanno perdere perfezione al film: "imbaroccano il gotico", se mi si passa l'ossimoro, gotico che invece, mi sarebbe piaciuto, l'avesse fatta da padrone.
Visione doverosa per un cinefilo, come tutti i film di Visconti.
martedì 20 ottobre 2009
La storia del cammello che piange
Film documentario girato nella Mongolia del Sud, Deserto dei Gobi, quasi interamente presso una tribù nomade di allevatori.
Siamo nel periodo in cui le femmine di cammello partoriscono i loro cuccioli e l'ultima a sgravarsi è una primipara che tra l'altro genera uno splendido esemplare bianco. Il parto difficile e doloroso però la porta a non affezionarsi al puledrino, ad allontanarsene ed è un problema perché non lo allatta nemmeno. Dopo diversi tentativi si arriva all'ultima speranza, quella di chiamare dal paese un "maestro di musica" che possa, con l'armonia delle note dello strumento che accompagna un canto di donna, riportare serenità nell'animale e il giusto rapporto tra esso e il puledro.
Indipendentemente da cosa riuscirà a fare, sarà una scena, quest'ultima, con una continua inquadratura del viso del cammello, di grandissima carica emotiva, una carica che è frutto di tutta la visione della vita dei nomadi mentre che ruota intorno a questo problema da risolvere. Mai un gesto o parola violenti, solo umana preoccupazione e partecipazione al problema dell'animale e del suo puledro.
Un film davvero bello, di una tenerezza infinita, pur senza alcuna scena impostata ad arte.
Da vedere
Siamo nel periodo in cui le femmine di cammello partoriscono i loro cuccioli e l'ultima a sgravarsi è una primipara che tra l'altro genera uno splendido esemplare bianco. Il parto difficile e doloroso però la porta a non affezionarsi al puledrino, ad allontanarsene ed è un problema perché non lo allatta nemmeno. Dopo diversi tentativi si arriva all'ultima speranza, quella di chiamare dal paese un "maestro di musica" che possa, con l'armonia delle note dello strumento che accompagna un canto di donna, riportare serenità nell'animale e il giusto rapporto tra esso e il puledro.
Indipendentemente da cosa riuscirà a fare, sarà una scena, quest'ultima, con una continua inquadratura del viso del cammello, di grandissima carica emotiva, una carica che è frutto di tutta la visione della vita dei nomadi mentre che ruota intorno a questo problema da risolvere. Mai un gesto o parola violenti, solo umana preoccupazione e partecipazione al problema dell'animale e del suo puledro.
Un film davvero bello, di una tenerezza infinita, pur senza alcuna scena impostata ad arte.
Da vedere
Il figlio della luna
Raramente recensisco la cosiddetta Fiction, ma questo film m'è stato consigliato perché tratta argomenti che mi riguardano molto da vicino e poi perché, mi han detto, è fatto bene e la storia che narra è molto interessante.
E' la storia vera, eroica e commovente di Fulvio Frisone nato con una tetraplegia spastica distonica grave al punto da impedirgli persino di parlare. Grazie soprattutto agli sforzi immani della mamma Lucia, Fulvio, apparentemente condannato ad una vita senza sbocchi, riesce a studiare con grandissimo profitto ed oggi è un affermato scienziato nel campo della Fisica. Finale quindi già noto, ma la vita di Fulvio è un continuo iniziare-finire: ogni singolo passo della sua crescita come studente e come uomo segna una lotta il cui unico risultato possibile per Lucia era la vittoria e non s'interrompeva la sua azione fino a quando non la otteneva. Cose banali? Mai quando sono vere e documentate.
Tantissimi gli spunti interessanti, anche sugli splendidi, nella sostanza, altri componenti della famiglia Frisone, ma meglio guardarsi il film. Dico solo che grazie all'instancabile opera di Lucia sono cambiate persino alcune leggi discriminatorie nei confronti dei disabili, e non è certo cosa da poco.
Obiettivamente non so che tipo di sensazioni questo film possa dare ad uno spettatore più neutrale di me. Io questi film li guardo come specchi della mia vita, il che non significa che perdo senso critico, anzi ho la sensazione di essere ancora più severo del necessario, ma certamente non ho la lucidità che dovrebbe avere un critico cinematografico, che per altro non sono. Il film è Reale, all'inverosimile, questo lo posso certificare senza meno.
Straordinario il coraggio di raccontare, senza veli, il momento critico del giovane quando la sua sessualità, inevitabilmente, emerge con tutte le sue necessità. Argomento un po' tabù, stupisce che sia stato trattato per un film trasmesso da Rai1 in prima serata. Onore al merito.
N.B.: si può vedere in streaming dal sito della Rai.
Posso solo confermare quindi appieno quanto riferitomi, ed aggiungo che, a mio modesto parere, "Il figlio della luna" non avrebbe affatto sfigurato al Cinema. Cinematograficamente parlando, "Le chiavi di casa" è più studiato, nella sceneggiatura, nella fotografia, mentre qui il realismo della narrazione prevale e giustamente, anche per la quantità di fatti narrati.
Però, davvero, ci sono dei momenti di Cinema Forte, quello che ti travolge. Uno è quello ritratto nella foto, con Lucia in un momento di disperazione che corre verso il mare senza coscienza. Vale da solo la visone e ce ne sono anche altri. Lunetta Savino nella parte di Lucia è straordinaria, non esagero.
Un'ultima menzione alla musica. Grazie a questo film ho conosciuto un gruppo musicale siciliano sorprendente, interprete della world-music, alla Deep Forest per intenderci, che accompagna quasi tutte le scene. Sono gli Agricantus. Se vi piace il genere teneteli a mente.
E' la storia vera, eroica e commovente di Fulvio Frisone nato con una tetraplegia spastica distonica grave al punto da impedirgli persino di parlare. Grazie soprattutto agli sforzi immani della mamma Lucia, Fulvio, apparentemente condannato ad una vita senza sbocchi, riesce a studiare con grandissimo profitto ed oggi è un affermato scienziato nel campo della Fisica. Finale quindi già noto, ma la vita di Fulvio è un continuo iniziare-finire: ogni singolo passo della sua crescita come studente e come uomo segna una lotta il cui unico risultato possibile per Lucia era la vittoria e non s'interrompeva la sua azione fino a quando non la otteneva. Cose banali? Mai quando sono vere e documentate.
Tantissimi gli spunti interessanti, anche sugli splendidi, nella sostanza, altri componenti della famiglia Frisone, ma meglio guardarsi il film. Dico solo che grazie all'instancabile opera di Lucia sono cambiate persino alcune leggi discriminatorie nei confronti dei disabili, e non è certo cosa da poco.
Obiettivamente non so che tipo di sensazioni questo film possa dare ad uno spettatore più neutrale di me. Io questi film li guardo come specchi della mia vita, il che non significa che perdo senso critico, anzi ho la sensazione di essere ancora più severo del necessario, ma certamente non ho la lucidità che dovrebbe avere un critico cinematografico, che per altro non sono. Il film è Reale, all'inverosimile, questo lo posso certificare senza meno.
Straordinario il coraggio di raccontare, senza veli, il momento critico del giovane quando la sua sessualità, inevitabilmente, emerge con tutte le sue necessità. Argomento un po' tabù, stupisce che sia stato trattato per un film trasmesso da Rai1 in prima serata. Onore al merito.
N.B.: si può vedere in streaming dal sito della Rai.
Posso solo confermare quindi appieno quanto riferitomi, ed aggiungo che, a mio modesto parere, "Il figlio della luna" non avrebbe affatto sfigurato al Cinema. Cinematograficamente parlando, "Le chiavi di casa" è più studiato, nella sceneggiatura, nella fotografia, mentre qui il realismo della narrazione prevale e giustamente, anche per la quantità di fatti narrati.
Però, davvero, ci sono dei momenti di Cinema Forte, quello che ti travolge. Uno è quello ritratto nella foto, con Lucia in un momento di disperazione che corre verso il mare senza coscienza. Vale da solo la visone e ce ne sono anche altri. Lunetta Savino nella parte di Lucia è straordinaria, non esagero.
Un'ultima menzione alla musica. Grazie a questo film ho conosciuto un gruppo musicale siciliano sorprendente, interprete della world-music, alla Deep Forest per intenderci, che accompagna quasi tutte le scene. Sono gli Agricantus. Se vi piace il genere teneteli a mente.
sabato 17 ottobre 2009
Under the skin
Una telecamera sempre in spalla, sempre addosso più implacabile di un grande fratello, entriamo a fondo nella vita di Iris, ne tocchiamo la carne viva talmente a fondo da infastidirci, ne sentiamo l'affanno, le angosce, tutta la sofferenza che l'ha portata molto vicina al baratro dopo la morte della madre con la quale ha avuto un rapporto mai completamente compiuto.
Film semplicemente ed intimamente delizioso, ottima opera prima.
Per una trama più dettaglia consiglio la visione.
Senza voto l'interpretazione di Samantha Morton, s'è letteralmente immersa nel personaggio con tutta sé stessa, arte che diventa confine del realismo: memorabile. Serva d'esempio a tante inutili belloccie plastificate buone solo per fare massa decerebrata ai botteghini.
Il bel Cinema che piace a me, quello in cui la trama e i personaggi la fanno da padrone, ha bisogno di questo: attori ed attrici che dimenticano sé stessi e proiettano nel loro essere interamente chi devono interpretare. Iris un po' bambina, figlia, sorella, amante fedele e poi promiscua, dalle n-sfaccettature richiedeva questo. Persino di cantare una canzone a cappella, da sola, davanti a un pubblico silente.
Film semplicemente ed intimamente delizioso, ottima opera prima.
Per una trama più dettaglia consiglio la visione.
Senza voto l'interpretazione di Samantha Morton, s'è letteralmente immersa nel personaggio con tutta sé stessa, arte che diventa confine del realismo: memorabile. Serva d'esempio a tante inutili belloccie plastificate buone solo per fare massa decerebrata ai botteghini.
Il bel Cinema che piace a me, quello in cui la trama e i personaggi la fanno da padrone, ha bisogno di questo: attori ed attrici che dimenticano sé stessi e proiettano nel loro essere interamente chi devono interpretare. Iris un po' bambina, figlia, sorella, amante fedele e poi promiscua, dalle n-sfaccettature richiedeva questo. Persino di cantare una canzone a cappella, da sola, davanti a un pubblico silente.
venerdì 16 ottobre 2009
Il Segreto del Bosco Vecchio
Il colonnello Procolo si congeda e una volta in pensione va ad amministrare, per conto del nipote Benvenuto, una terra di montagna dove si trova un bosco molto amato dalla gente del luogo, chiamato il Bosco Vecchio. Nonostante diverse "avvisaglie" che dovrebbero fargli capire che non si trova di fronte ad un luogo qualsiasi, il colonnello parte determinato col volerne sfruttare tutte le ricchezze che può fornire, in primis il legname. E' talmente deciso ed avido da tramare per disfarsi della presenza di Benedetto e potersi appropriare di tutta la tenuta...
Film "Olmiano" all'apogeo, bellissimo per amanti incondizionati di Olmi come il sottoscritto, certamente lungo e fin stucchevole per gli altri. Per me, ripeto, pur a una certa distanza dall'Albero degli zoccoli, questo film è bellissimo.
La pietas di Olmi qui abbraccia tutto, essere animati e non, senzienti e non. Tutti parlano e si esprimono, vivono nella fiaba. Gli animali e gli insetti, il vento, le ombre. Gli alberi non lo fanno direttamente, ma tramite i "geni" che vivono con essi e in essi. Procolo viene lentamente assorbito in questo mondo dove qualcuno o qualcosa ti vede e ti sente sempre e dove si percepisce una totale compenetrazione di tutto l'ambiente e di tutte le sue componenti.
Gli immobili e vivissimi alberi sono i protagonisti occulti di ogni scena, il simbolo di tutta la magia che pervade la zona. Forse, al di là dei "geni" citati, è l'aspetto meno fiabesco e più legato alla realtà di quanto non si pensi. Fin dai tempi antichi in molti luoghi, proprio dell'Italia, dove gli alberi hanno avuto ed hanno grande importanza, non è raro trovare nei loro confronti, in alcune tradizioni popolari o credenze vere e proprie leggi di vita che li riguardano. Per fare un esempio illustre, pare che Stradivari esigeva che il legno dei suoi violini, oltre che a provenire dal trentino, venisse tagliato tra il 20 ed il 21 di Maggio quando, diceva, tutti i boschi si mettono a cantare di concerto ed il legno è più adatto a suonare ma si possono fare mille altri esempi, legati alla produzione di qualunque manufatto col legno o sulla scelta degli alberi più adatti a star vicino a luoghi come chiese, cimiteri, piazze. Basta leggersi un po' di libri che narrano la tradizione contadina e boscaiola del nostro paese. Sicuramente sia Buzzati che Olmi non ignorano queste antiche sapienze, sempre in bilico tra realtà e leggenda, sempre legate a ragioni culturali e sociali e in qualche modo importanti a mantenere, per l'ambiente, il giusto rispetto.
Non ci può essere miglior interprete di Olmi dei romanzi di Dino Buzzati, a mio parere.
Perfetto Paolo Villaggio nell'interpretare il colonnello.
Film "Olmiano" all'apogeo, bellissimo per amanti incondizionati di Olmi come il sottoscritto, certamente lungo e fin stucchevole per gli altri. Per me, ripeto, pur a una certa distanza dall'Albero degli zoccoli, questo film è bellissimo.
La pietas di Olmi qui abbraccia tutto, essere animati e non, senzienti e non. Tutti parlano e si esprimono, vivono nella fiaba. Gli animali e gli insetti, il vento, le ombre. Gli alberi non lo fanno direttamente, ma tramite i "geni" che vivono con essi e in essi. Procolo viene lentamente assorbito in questo mondo dove qualcuno o qualcosa ti vede e ti sente sempre e dove si percepisce una totale compenetrazione di tutto l'ambiente e di tutte le sue componenti.
Gli immobili e vivissimi alberi sono i protagonisti occulti di ogni scena, il simbolo di tutta la magia che pervade la zona. Forse, al di là dei "geni" citati, è l'aspetto meno fiabesco e più legato alla realtà di quanto non si pensi. Fin dai tempi antichi in molti luoghi, proprio dell'Italia, dove gli alberi hanno avuto ed hanno grande importanza, non è raro trovare nei loro confronti, in alcune tradizioni popolari o credenze vere e proprie leggi di vita che li riguardano. Per fare un esempio illustre, pare che Stradivari esigeva che il legno dei suoi violini, oltre che a provenire dal trentino, venisse tagliato tra il 20 ed il 21 di Maggio quando, diceva, tutti i boschi si mettono a cantare di concerto ed il legno è più adatto a suonare ma si possono fare mille altri esempi, legati alla produzione di qualunque manufatto col legno o sulla scelta degli alberi più adatti a star vicino a luoghi come chiese, cimiteri, piazze. Basta leggersi un po' di libri che narrano la tradizione contadina e boscaiola del nostro paese. Sicuramente sia Buzzati che Olmi non ignorano queste antiche sapienze, sempre in bilico tra realtà e leggenda, sempre legate a ragioni culturali e sociali e in qualche modo importanti a mantenere, per l'ambiente, il giusto rispetto.
Non ci può essere miglior interprete di Olmi dei romanzi di Dino Buzzati, a mio parere.
Perfetto Paolo Villaggio nell'interpretare il colonnello.
mercoledì 14 ottobre 2009
The Man from Earth
Sinossi lunghissima da riportare anche se il film dura solo 1h 30'. Per chi vuole rovinarsi la visione consiglio quella dettagliatissima su Wiki, perfetta, della quale riporto solo il sommario e qualche cenno storico interessante sullo stesso film: "The Man from Earth è un film indipendente del 2007 scritto da Jerome Bixby e diretto da Richard Schenkman. Il film ha per protagonista David Lee Smith nel ruolo di John Oldman. La sceneggiatura di questo film fu elaborata da Jerome Bixby nei primi anni '60 e fu completata nel suo letto di morte nell'aprile 1998, ed è stata la sua ultima opera.
Il film narra la storia di un uomo di Cro-Magnon dell'età di 14.000 anni, John Oldman, sopravvissuto fino ai giorni nostri. L'intero film è girato in una piccola casa con veranda, a dimostrazione del bilancio risicato con cui questo film è stato prodotto. Il film si affida esclusivamente alla conversazione per lo svolgimento della trama, senza effetti speciali, azione, o musica elaborata, in quanto l'intero film non è altro se non una discussione intellettuale tra l'uomo di Cro-Magnon e i suoi amici professori e insegnanti, alla sua festa d'addio."
E' stato come leggere un libro, con le immagini del narratore. Un po' come fanno gli amici protagonisti, ti siedi con un bel whisky, qualche stuzzichino e ti godi dei dialoghi ed una storia sconvolgenti. John, non si capisce se ci è o ci fa, ha vissuto tutta l'evoluzione dell'uomo moderno, da che viveva di caccia e pesca ad oggi. Ha partecipato, a volte come semplice spettatore altre da protagonista, a vicende di fondamentale importanza storica. Nessuna domanda dei suoi amici lo mette in difficoltà mentre lui, invece, incrina alle fondamenta le certezze di tutti, soprattutto quelle religiose e sono proprio queste ultime quelle che creano turbamenti tali da portare poi a termine il loro incontro, con un finale spiazzante. In quei momenti di difficoltà, di tensione, emerge il Cinema, la regia: superba. Per il resto l'ego del cineasta si mette da parte, e fa bene, è la trama l'epicentro, i dialoghi.
Film decisamente d'analisi introspettiva che, anche per la tecnica scenografica, ricorda altre opere di stampo teatrale. Penso a The Big Kahuna, a Morte di un commesso viaggiatore, anche altri. Qui però l'analisi, o meglio l'autoanalisi, la fa lo spettatore su sé stesso. Tranne qualche breve passo scientifico e qualcuno di curiosità personale anche spicciola, le domande che i colleghi di John gli pongono e soprattutto le risposte date scavano nelle fondamenta delle convinzioni più diffuse sulla cultura del genere umano, le sue credenze e convinzioni sia religiose che non, con forza semplice e devastante. John lo afferma a un certo punto: "è tutto molto semplice", una breve frase che va colta senza distrazione.
Siete disposti a mettervi in gioco? Praticate la fede nel Dubbio? Allora non potete perdervi questo film!
Non lo siete? Vi piacciono le sane certezze delle tradizioni e delle religioni indubitabili? Lasciate perdere, potreste restarne estremamente turbati.
Un ultimo aspetto "tecnico" interessante, sempre da Wiki: "In quella che è probabilmente una mossa senza precedenti, il produttore di questo film, Eric D. Wilkinson, ha pubblicamente ringraziato gli utenti di BitTorrent che hanno distribuito il film senza avere permesso esplicito, affermando che ciò ha innalzato il profilo di questo prodotto molto al di là delle aspettative dei finanziatori. I produttori Schenkman, Bixby e Wilkinson hanno tutti scritto commenti sui forum di IMDb rispondendo alle domande dei fan".
E' fin troppo evidente, da quanto detto e letto altrove fino ad ora, che questo Capolavoro non ha fini di fama o fortuna, almeno a me pare così. Qui si Supera di infinite lunghezze la materia, c'è dietro lo scopo di una vita di Bixby, la volontà di lasciare qualcosa dopo di sé, la Summa finale di quello che la sua capacità ed intelligenza hanno prodotto nella sua Coscienza. Io almeno ho percepito molto forte questo aspetto.
Non importa come! L'importante è che il Messaggio si diffonda!
Spero nel mio piccolo di poter contribuire a questo scopo.
Il film narra la storia di un uomo di Cro-Magnon dell'età di 14.000 anni, John Oldman, sopravvissuto fino ai giorni nostri. L'intero film è girato in una piccola casa con veranda, a dimostrazione del bilancio risicato con cui questo film è stato prodotto. Il film si affida esclusivamente alla conversazione per lo svolgimento della trama, senza effetti speciali, azione, o musica elaborata, in quanto l'intero film non è altro se non una discussione intellettuale tra l'uomo di Cro-Magnon e i suoi amici professori e insegnanti, alla sua festa d'addio."
E' stato come leggere un libro, con le immagini del narratore. Un po' come fanno gli amici protagonisti, ti siedi con un bel whisky, qualche stuzzichino e ti godi dei dialoghi ed una storia sconvolgenti. John, non si capisce se ci è o ci fa, ha vissuto tutta l'evoluzione dell'uomo moderno, da che viveva di caccia e pesca ad oggi. Ha partecipato, a volte come semplice spettatore altre da protagonista, a vicende di fondamentale importanza storica. Nessuna domanda dei suoi amici lo mette in difficoltà mentre lui, invece, incrina alle fondamenta le certezze di tutti, soprattutto quelle religiose e sono proprio queste ultime quelle che creano turbamenti tali da portare poi a termine il loro incontro, con un finale spiazzante. In quei momenti di difficoltà, di tensione, emerge il Cinema, la regia: superba. Per il resto l'ego del cineasta si mette da parte, e fa bene, è la trama l'epicentro, i dialoghi.
Film decisamente d'analisi introspettiva che, anche per la tecnica scenografica, ricorda altre opere di stampo teatrale. Penso a The Big Kahuna, a Morte di un commesso viaggiatore, anche altri. Qui però l'analisi, o meglio l'autoanalisi, la fa lo spettatore su sé stesso. Tranne qualche breve passo scientifico e qualcuno di curiosità personale anche spicciola, le domande che i colleghi di John gli pongono e soprattutto le risposte date scavano nelle fondamenta delle convinzioni più diffuse sulla cultura del genere umano, le sue credenze e convinzioni sia religiose che non, con forza semplice e devastante. John lo afferma a un certo punto: "è tutto molto semplice", una breve frase che va colta senza distrazione.
Siete disposti a mettervi in gioco? Praticate la fede nel Dubbio? Allora non potete perdervi questo film!
Non lo siete? Vi piacciono le sane certezze delle tradizioni e delle religioni indubitabili? Lasciate perdere, potreste restarne estremamente turbati.
Un ultimo aspetto "tecnico" interessante, sempre da Wiki: "In quella che è probabilmente una mossa senza precedenti, il produttore di questo film, Eric D. Wilkinson, ha pubblicamente ringraziato gli utenti di BitTorrent che hanno distribuito il film senza avere permesso esplicito, affermando che ciò ha innalzato il profilo di questo prodotto molto al di là delle aspettative dei finanziatori. I produttori Schenkman, Bixby e Wilkinson hanno tutti scritto commenti sui forum di IMDb rispondendo alle domande dei fan".
E' fin troppo evidente, da quanto detto e letto altrove fino ad ora, che questo Capolavoro non ha fini di fama o fortuna, almeno a me pare così. Qui si Supera di infinite lunghezze la materia, c'è dietro lo scopo di una vita di Bixby, la volontà di lasciare qualcosa dopo di sé, la Summa finale di quello che la sua capacità ed intelligenza hanno prodotto nella sua Coscienza. Io almeno ho percepito molto forte questo aspetto.
Non importa come! L'importante è che il Messaggio si diffonda!
Spero nel mio piccolo di poter contribuire a questo scopo.
martedì 13 ottobre 2009
Il papà di Giovanna
Bologna, 1938. Giovanna è una ragazza con qualche problema psicologico, nemmeno troppo grave ma causa di costante e continua attenzione da parte del padre, professore nella stessa scuola frequentata dalla figlia. La madre è rassegnata invece nei suoi confronti, mentre il padre fa di tutto per consentire a Giovanna una vita il più normale possibile.
Un fatto tragico interverrà come un fulmine. Giovanna, in un impeto di gelosia, ucciderà proprio quella che era la sua migliore amica. Solo l'abilità di un ottimo avvocato le permetterà di evitare il carcere in un manicomio penale, a Reggio Emilia. Il padre, che si sente il solo responsabile della situazione, la seguirà, ogni giorno sarà da lei, si trasferirà a Reggio per starle più vicino, fino alla fine della guerra quando torneranno insieme a Bologna, loro due. E la madre? Che fine ha fatto?
Bellissimo ritratto di un padre devotissimo alla figlia. Non si possono emotivamente ignorare le sue sofferenze, ansie nei confronti della figlia.
Perfetto il ritratto "dei tempi", nei minimi dettagli, nei piccoli episodi, tutto estremamente funzionale alla trama.
Splendide, da incorniciare, anche le scene drammatiche dei fatti di guerra: c'è un tram, in un paesaggio devastato, che è poesia pura; il recupero dei corpi dopo un bombardamento.
Un Pupi Avati in grandissima forma. Silvio Orlando al solito bravissimo ed un Ezio Greggio che stupisce anche se non dovrebbe. Francesca Neri brava nell'interpretazione rispolvera i tempi migliori, quando era richiestissima nel cinema d'autore, peccato le storpiature chirurgiche subite dai suoi lineamenti in tempi recenti.
Un fatto tragico interverrà come un fulmine. Giovanna, in un impeto di gelosia, ucciderà proprio quella che era la sua migliore amica. Solo l'abilità di un ottimo avvocato le permetterà di evitare il carcere in un manicomio penale, a Reggio Emilia. Il padre, che si sente il solo responsabile della situazione, la seguirà, ogni giorno sarà da lei, si trasferirà a Reggio per starle più vicino, fino alla fine della guerra quando torneranno insieme a Bologna, loro due. E la madre? Che fine ha fatto?
Bellissimo ritratto di un padre devotissimo alla figlia. Non si possono emotivamente ignorare le sue sofferenze, ansie nei confronti della figlia.
Perfetto il ritratto "dei tempi", nei minimi dettagli, nei piccoli episodi, tutto estremamente funzionale alla trama.
Splendide, da incorniciare, anche le scene drammatiche dei fatti di guerra: c'è un tram, in un paesaggio devastato, che è poesia pura; il recupero dei corpi dopo un bombardamento.
Un Pupi Avati in grandissima forma. Silvio Orlando al solito bravissimo ed un Ezio Greggio che stupisce anche se non dovrebbe. Francesca Neri brava nell'interpretazione rispolvera i tempi migliori, quando era richiestissima nel cinema d'autore, peccato le storpiature chirurgiche subite dai suoi lineamenti in tempi recenti.
Boy A
Il libro omonimo di Jonathan Trigell, ispirato a fatti realmente accaduti in Inghilterra, era in lista da tempo e chi lo sa, magari lo leggerò lo stesso. La curiosità di vedere il film era troppa e mi ha fregato anche se, devo dire, ho visto qualcosa di splendido.
"A" è la lettera che indica un ragazzo in carcere, dove vi è entrato per aver preso parte, a 10 anni e con un coetaneo, all'assurdo ed efferato omicidio di una bambina. Due diavoli, secondo l'opinione pubblica.
Dopo 14 anni, adulto cresciuto dietro le sbarre, esce sotto le cure strettissime di Terry, un assistente che lo deve letteralmente crescere come un figlio. Tutto deve essere fatto col massimo riserbo: si chiamerà Jack. Ovviamente i giornali riportano della sua liberazione ma nessuno ne conosce domicilio e connotati; si fanno identikit, ipotesi, come per un ricercato anche se Jack dovrebbe essere un uomo libero.
Gli viene trovato un lavoro dove si comporta in modo eccellente, trova amici ed anche una fidanzata. Proprio un bel gesto, il salvataggio di una bambina vittima di un incidente stradale, gli procurerà una non-voluta fama, eccessiva per uno che dovrebbe volare molto basso... e mi fermo qua con la sinossi.
Riflessioni se ne sprecano, volendo. Solo qualcuna...
Su Jack, sulla sua condizione di vita, sul passato che non passa mai dalla mente, né dalla sua né, implacabilmente, da quella della gente. E' possibile appunto trovare una seconda strada, avere una seconda opportunità? E la violenza, che ha tanto segnato una vita e pare non abbandonarla mai. Jack è timido e riservato, spontaneamente, eppure percepisci sempre un potenziale in lui senza sapere se è il regista a volertelo trasmettere o sei te, spettatore, a sentirlo, col tuo pregiudizio. Non mi so rispondere a questa domanda.
Su Terry, sul suo difficile rapporto col proprio figlio che si sente abbandonato dal padre, il quale invece spende tempo ed emozioni a iosa per i suoi assistiti e non per lui, così almeno crede il figlio. Trama minore all'interno della principale, ma non meno interessante. Come padre mi ha turbato.
Sulla "massa" e sui media, che sembrano non conoscere pietà. Tutti paiono volere il Dio dell'Antico, vendicatore e implacabile e non il Gesù del Nuovo, empatico e compassionevole. Eppure quasi tutti, dove si svolge la storia, quelli che lo desiderano fare, pregano davanti ad una croce.
Nessuna risposta dal film, solo spunti su cui meditare. A me piacciono così.
E pensare che doveva essere un film per la tv! E' Cinema invece, e di spessore. Tutto, dal montaggio alle riprese alle interpretazioni, al giusto dosaggio di flashback e presente, è Cinema. Bravissimi Andrew Garfield nei panni di Jack e Peter Mullan in quelli di Terry.
"A" è la lettera che indica un ragazzo in carcere, dove vi è entrato per aver preso parte, a 10 anni e con un coetaneo, all'assurdo ed efferato omicidio di una bambina. Due diavoli, secondo l'opinione pubblica.
Dopo 14 anni, adulto cresciuto dietro le sbarre, esce sotto le cure strettissime di Terry, un assistente che lo deve letteralmente crescere come un figlio. Tutto deve essere fatto col massimo riserbo: si chiamerà Jack. Ovviamente i giornali riportano della sua liberazione ma nessuno ne conosce domicilio e connotati; si fanno identikit, ipotesi, come per un ricercato anche se Jack dovrebbe essere un uomo libero.
Gli viene trovato un lavoro dove si comporta in modo eccellente, trova amici ed anche una fidanzata. Proprio un bel gesto, il salvataggio di una bambina vittima di un incidente stradale, gli procurerà una non-voluta fama, eccessiva per uno che dovrebbe volare molto basso... e mi fermo qua con la sinossi.
Riflessioni se ne sprecano, volendo. Solo qualcuna...
Su Jack, sulla sua condizione di vita, sul passato che non passa mai dalla mente, né dalla sua né, implacabilmente, da quella della gente. E' possibile appunto trovare una seconda strada, avere una seconda opportunità? E la violenza, che ha tanto segnato una vita e pare non abbandonarla mai. Jack è timido e riservato, spontaneamente, eppure percepisci sempre un potenziale in lui senza sapere se è il regista a volertelo trasmettere o sei te, spettatore, a sentirlo, col tuo pregiudizio. Non mi so rispondere a questa domanda.
Su Terry, sul suo difficile rapporto col proprio figlio che si sente abbandonato dal padre, il quale invece spende tempo ed emozioni a iosa per i suoi assistiti e non per lui, così almeno crede il figlio. Trama minore all'interno della principale, ma non meno interessante. Come padre mi ha turbato.
Sulla "massa" e sui media, che sembrano non conoscere pietà. Tutti paiono volere il Dio dell'Antico, vendicatore e implacabile e non il Gesù del Nuovo, empatico e compassionevole. Eppure quasi tutti, dove si svolge la storia, quelli che lo desiderano fare, pregano davanti ad una croce.
Nessuna risposta dal film, solo spunti su cui meditare. A me piacciono così.
E pensare che doveva essere un film per la tv! E' Cinema invece, e di spessore. Tutto, dal montaggio alle riprese alle interpretazioni, al giusto dosaggio di flashback e presente, è Cinema. Bravissimi Andrew Garfield nei panni di Jack e Peter Mullan in quelli di Terry.
domenica 11 ottobre 2009
Frost-Nixon - Il duello
Non sapevo di questa vicenda, realmente avvenuta. Sapevo ovviamente dello scandalo Watergate, quello che portò alle prime e sino ad ora uniche dimissioni di un presidente Usa per impeachment, quelle di Richard Nixon nel 1974. Nixon evitò il processo, grazie appunto alle dimissioni ed anche al presidente successivo Ford, che gli "graziò" la cosa.
Non sapevo, dicevo, che un uomo dello spettacolo presentatore di varietà e talk-show, nemmeno un giornalista e nemmeno americano ma inglese, David Frost, riuscì a realizzare con Nixon una serie di interviste ancora oggi identificate come "il duello Frost-Nixon", registrate nel 1977. Frost rischiò tantissimo di suo, non trovando supporto in alcun network americano per le ingenti spese, ma alla fine riuscì in un'impresa la cui importanza è davvero storica.
Realizzò la trasmissione d'informazione più guardata e trasmessa al mondo di sempre, e soprattutto portò Nixon a confessare davanti alle telecamere e a tutti gli americani le sue gravi colpe, il suo comportamento estremamente illegale, fino a dire di avere tradito il popolo americano avendone tradito le regole delle sue istituzioni. Un risultato sbalorditivo se si pensa appunto a chi lo ha ottenuto e nei confronti di chi.
Ron Howard non tradisce la sua fama e realizza un film notevolissimo, ritraendo i due grandi protagonisti con realismo e nel loro giusto carattere e modo d'essere. Lo stesso Frost s'è complimentato personalmente.
Da vedere.
Non sapevo, dicevo, che un uomo dello spettacolo presentatore di varietà e talk-show, nemmeno un giornalista e nemmeno americano ma inglese, David Frost, riuscì a realizzare con Nixon una serie di interviste ancora oggi identificate come "il duello Frost-Nixon", registrate nel 1977. Frost rischiò tantissimo di suo, non trovando supporto in alcun network americano per le ingenti spese, ma alla fine riuscì in un'impresa la cui importanza è davvero storica.
Realizzò la trasmissione d'informazione più guardata e trasmessa al mondo di sempre, e soprattutto portò Nixon a confessare davanti alle telecamere e a tutti gli americani le sue gravi colpe, il suo comportamento estremamente illegale, fino a dire di avere tradito il popolo americano avendone tradito le regole delle sue istituzioni. Un risultato sbalorditivo se si pensa appunto a chi lo ha ottenuto e nei confronti di chi.
Ron Howard non tradisce la sua fama e realizza un film notevolissimo, ritraendo i due grandi protagonisti con realismo e nel loro giusto carattere e modo d'essere. Lo stesso Frost s'è complimentato personalmente.
Da vedere.
sabato 10 ottobre 2009
District 9
Un'invasione atipica di alieni, un'astronave in sospeso nel cielo, sempre lì da 20-30 anni, sopra Johannesburg, come se fosse guasta. Gli alieni sono scesi a terra ma non si sono impadroniti di nulla, tantomeno si sono integrati coi terrestri, che invece li hanno col tempo relegati in uno slam fuori dalla città denominato District 9 dove i Gamberoni, come li chiamano i terrestri, vivono in condizioni animalesche. La Multi National United (MNU), azienda privata che si occupa di armi, genetica, che so altro, con un vero e proprio esercito militare autorizzato, li studia da anni e vuole impadronirsi delle loro tecnologie, delle loro armi che però, hanno scoperto, funzionare solo se impugnate dagli stessi alieni.
I rapporti fra alieni e terrestri peggiorano, allora viene deciso un trasferimento degli alieni in una zona più distante dalla città. Se ne occupa MNU ed affida a Wikus van der Merwe, semplice impiegato, il comando delle operazioni di sgombero coatto. Durante le stesse però lo stesso Wikus si contamina con un fluido che, a poco a poco, comincia a trasformarlo in un alieno a lui stesso. Diventa la forma vivente del segreto che la MNU cerca da tempo e ... .
Non amo il genere, ma devo proprio dirlo: dalla fantascienza o emergono delle porcherie o, come in questo caso, dei film notevolissimi e, a volte, dei veri e propri capolavori (penso a Odissea 2001, Blade Runner, il primo Matrix, per fare qualche esempio).
Metafora fin troppo evidente dei problemi del razzismo trasportata in una situazione estrema. La trama è sviluppata come un'inchiesta giornalistica, con tanto di immagini di repertorio, tutto simulato benissimo.
Eccellente. Non lascia indifferenti.
I rapporti fra alieni e terrestri peggiorano, allora viene deciso un trasferimento degli alieni in una zona più distante dalla città. Se ne occupa MNU ed affida a Wikus van der Merwe, semplice impiegato, il comando delle operazioni di sgombero coatto. Durante le stesse però lo stesso Wikus si contamina con un fluido che, a poco a poco, comincia a trasformarlo in un alieno a lui stesso. Diventa la forma vivente del segreto che la MNU cerca da tempo e ... .
Non amo il genere, ma devo proprio dirlo: dalla fantascienza o emergono delle porcherie o, come in questo caso, dei film notevolissimi e, a volte, dei veri e propri capolavori (penso a Odissea 2001, Blade Runner, il primo Matrix, per fare qualche esempio).
Metafora fin troppo evidente dei problemi del razzismo trasportata in una situazione estrema. La trama è sviluppata come un'inchiesta giornalistica, con tanto di immagini di repertorio, tutto simulato benissimo.
Eccellente. Non lascia indifferenti.
giovedì 8 ottobre 2009
Il raggio verde
1986, Eric Rohmer.
"... sola, l'estate da sola è triste, nessun uomo mi vuole, dipenderà da me? ma io sono tollerante, mi sento bene con tutti, sì va be', non mi affanno a cercare divertimenti, non eccello in nulla, sono anche vegetariana, non godo nel mangiare e nel bere, che bisogno c'è? mi piace rafforzare
"... sola, l'estate da sola è triste, nessun uomo mi vuole, dipenderà da me? ma io sono tollerante, mi sento bene con tutti, sì va be', non mi affanno a cercare divertimenti, non eccello in nulla, sono anche vegetariana, non godo nel mangiare e nel bere, che bisogno c'è? mi piace rafforzare
martedì 6 ottobre 2009
Les diaboliques - I diabolici
In un collegio 2 donne coalizzano contro il loro despota, direttore dell'istituto. Una ne è la moglie, l'altra l'amante ed entrambe conoscono le reciproche posizioni. Già questa è una situazione davvero anomala, ma ha le sue ragioni.Escogitano un piano abbastanza complesso per eliminarlo, che riesce, fino all'inabissamento del corpo nella piscina del collegio. Quando però, con un pretesto, verrà fatta vuotare la piscina, il corpo...
Uno dei pilastri del noir europeo, continui colpi di scena senza soluzione di continuità.
Imperdibile.
Uno dei pilastri del noir europeo, continui colpi di scena senza soluzione di continuità.
Imperdibile.
domenica 4 ottobre 2009
Come Dio comanda
Provincia del Nord Italia. Rino è il padre, disoccupato, nazista, xenofobo, Cristian il figlio che adora il padre, ogni cosa che egli dice o fa rappresenta la strada da percorrere, entrambi sostanzialmente emarginati. Quattroformaggi, uno stordito causa incidente, il loro unico amico e loro per lui, sarà la variabile impazzita della loro vita e del film.
I valori, sociali e religiosi, il modus-vivendi di una parte d'Italia, l'incredibile facilità, quasi spontaneità con cui si materializzano personaggi come Rino. Spiazzante. Fa riflettere.
Fantastico socio-noir, nella scena notturna e piovosa della tragedia che colpisce loro e tutto il paese dove vivono si vedrà grande cinema.
Salvatores è un regista imprevedibile. Cavalca i più diversi generi cinematografici con incredibile capacità.
Sempre e comunque riesce a ritrarre un personaggio ed un tessuto sociale con poche, magistrali, immagini.
Bravissimo.
I valori, sociali e religiosi, il modus-vivendi di una parte d'Italia, l'incredibile facilità, quasi spontaneità con cui si materializzano personaggi come Rino. Spiazzante. Fa riflettere.
Fantastico socio-noir, nella scena notturna e piovosa della tragedia che colpisce loro e tutto il paese dove vivono si vedrà grande cinema.
Salvatores è un regista imprevedibile. Cavalca i più diversi generi cinematografici con incredibile capacità.
Sempre e comunque riesce a ritrarre un personaggio ed un tessuto sociale con poche, magistrali, immagini.
Bravissimo.
Yes Man
2008, Peyton Reed.
Si può bellamente evitare. Adoro Jim Carrey, ma 'sto film è davvero troppo banale.
Prima diceva sempre No, poi partecipa alla conferenza dell'imbonitore di turno, e si impone di dire sempre Sì.
Si può bellamente evitare. Adoro Jim Carrey, ma 'sto film è davvero troppo banale.
Prima diceva sempre No, poi partecipa alla conferenza dell'imbonitore di turno, e si impone di dire sempre Sì.
Tutta colpa di Giuda
Irena, attrice d'avanguardia, viene chiamata nel carcere di Torino, Le Vallette, per svolgere un'attività teatrale con un gruppo di detenuti. Sostenitore principale dell'iniziativa don Iridio, il quale propone anche di rappresentare La Passione di Cristo. Irena prima si sente inadeguata in quanto atea, poi accetta e comincia a documentarsi.
I problemi nasceranno quando si dovranno assegnare le parti ai detenuti: nessuno vuole fare Giuda. Il suo tradimento, il processo, la pena conseguente... c'è qualcosa che rende Giuda non interpretabile da un detenuto. Perché? Irena farà proprio il loro disagio ed interverrà sulla trama, stravolgendone ovviamente qualche aspetto.
Film bello, spesso divertente, risulta molto interessante anche per qualche dibattito spontaneo tra i protagonisti sulla religione, che è un tema sentito dai carcerati, tra i quali è in diffusione il Buddismo (più volte si sente recitare Nam-myo-ho-renge-kyo, il mantra del Buddismo di Nichiren Daishonin). E' possibile una religione di sola felicità?
Da vedere.
I problemi nasceranno quando si dovranno assegnare le parti ai detenuti: nessuno vuole fare Giuda. Il suo tradimento, il processo, la pena conseguente... c'è qualcosa che rende Giuda non interpretabile da un detenuto. Perché? Irena farà proprio il loro disagio ed interverrà sulla trama, stravolgendone ovviamente qualche aspetto.
Film bello, spesso divertente, risulta molto interessante anche per qualche dibattito spontaneo tra i protagonisti sulla religione, che è un tema sentito dai carcerati, tra i quali è in diffusione il Buddismo (più volte si sente recitare Nam-myo-ho-renge-kyo, il mantra del Buddismo di Nichiren Daishonin). E' possibile una religione di sola felicità?
Da vedere.
sabato 3 ottobre 2009
Tarda Primavera
La solita trama semplice incentrata su persone comuni. Noriko vive felicemente col padre ma a 27 anni è necessario che si sposi. Un matrimonio combinato, non sarà facile convincerla, è troppo legata al padre, vecchio professore di scuola rimasto vedovo e con lei solamente che può accudirlo. Che ne sarà di lui dopo?
giovedì 1 ottobre 2009
Fortapàsc
E' la storia di Giancarlo Siani, giornalista del Mattino di Napoli, inizialmente corrispondente da Torre Annunziata.
Senza alcun richiamo alla vita privata, o alla sua infanzia o adolescenza, il film si concentra tutto nei pochi mesi del 1985 che precedettero il suo omicidio perpetrato dalla camorra. Aveva solo 26 anni. Prima e dopo Siani, ad oggi, nessun altro giornalista è stato ucciso dalla camorra.
Giancarlo lavorava come "precario" nella piccola sede di Torre Annunziata, addetto alla cronaca locale. Inevitabilmente, come ogni giornalista-giornalista (diversi dai giornalista-impiegato) dovrebbe fare, dalla cronaca spicciola passa facilmente ad occuparsi della camorra, comincia a scrivere articoli sempre più pregni fino a quando scoperchia il vaso delle connivenze politica-camorra che emergono dalla gestione degli appalti (siamo ancora in gestione del post-terremoto).
Il Mattino lo promuove e lo chiama a lavorare in Sede a Napoli con un contratto regolare, ad occuparsi di sindacati, scioperi, ecc... . Solo perché è bravo? Mha!
Vive un breve periodo tranquillo, fino a quando un procuratore di Torre non viene a trovarlo per portargli importanti documenti sulle indagini che stava portando avanti prima. Inevitabile la "ricaduta" ed extra-lavoro ricomincia ad indagare. Torna a Torre e al bar dove sempre era salutato e sempre aveva fatto colazione riceve uno schiaffo e subito dopo il bar è completamente vuoto, nemmeno il barista c'è. Giancarlo è completamente solo...
Il termine Fortapàsc è un conio di Giancarlo. Inutile specificare la metafora chi intenda per assediati ed assedianti.
Visto per squisito interesse personale sulla storia del bravo giornalista, ho apprezzato molto la "giusta-misura" del film. Giusta nel non indugiare nella vita privata se non per minimi dettagli, nel non tediare inutilmente, come detto, sugli anni precedenti della vita di Giancarlo, nel non cercare inutili lacrime o commozioni. Film non documentaristico, con anche qualche scena spettacolare, ma tutto, ripeto, in giusta-misura.
Interessante il confronto col recente Gomorra, film estremamente più spettacolare, dinamico, duro. Ma le 2 opere stanno bene insieme. Gomorra ritrae molto la camorra nel sociale, nei suoi elementi di frontiera e, da non trascurare, di attualità, di questo periodo storico. In Fortapàsc si parla di quella degli anni '80.
Da vedere.
Nelle scuole lo metterei obbligatorio in visione, insieme ad altri, come Le mani sulla città, di Rosi.
Senza alcun richiamo alla vita privata, o alla sua infanzia o adolescenza, il film si concentra tutto nei pochi mesi del 1985 che precedettero il suo omicidio perpetrato dalla camorra. Aveva solo 26 anni. Prima e dopo Siani, ad oggi, nessun altro giornalista è stato ucciso dalla camorra.
Giancarlo lavorava come "precario" nella piccola sede di Torre Annunziata, addetto alla cronaca locale. Inevitabilmente, come ogni giornalista-giornalista (diversi dai giornalista-impiegato) dovrebbe fare, dalla cronaca spicciola passa facilmente ad occuparsi della camorra, comincia a scrivere articoli sempre più pregni fino a quando scoperchia il vaso delle connivenze politica-camorra che emergono dalla gestione degli appalti (siamo ancora in gestione del post-terremoto).
Il Mattino lo promuove e lo chiama a lavorare in Sede a Napoli con un contratto regolare, ad occuparsi di sindacati, scioperi, ecc... . Solo perché è bravo? Mha!
Vive un breve periodo tranquillo, fino a quando un procuratore di Torre non viene a trovarlo per portargli importanti documenti sulle indagini che stava portando avanti prima. Inevitabile la "ricaduta" ed extra-lavoro ricomincia ad indagare. Torna a Torre e al bar dove sempre era salutato e sempre aveva fatto colazione riceve uno schiaffo e subito dopo il bar è completamente vuoto, nemmeno il barista c'è. Giancarlo è completamente solo...
Il termine Fortapàsc è un conio di Giancarlo. Inutile specificare la metafora chi intenda per assediati ed assedianti.
Visto per squisito interesse personale sulla storia del bravo giornalista, ho apprezzato molto la "giusta-misura" del film. Giusta nel non indugiare nella vita privata se non per minimi dettagli, nel non tediare inutilmente, come detto, sugli anni precedenti della vita di Giancarlo, nel non cercare inutili lacrime o commozioni. Film non documentaristico, con anche qualche scena spettacolare, ma tutto, ripeto, in giusta-misura.
Interessante il confronto col recente Gomorra, film estremamente più spettacolare, dinamico, duro. Ma le 2 opere stanno bene insieme. Gomorra ritrae molto la camorra nel sociale, nei suoi elementi di frontiera e, da non trascurare, di attualità, di questo periodo storico. In Fortapàsc si parla di quella degli anni '80.
Da vedere.
Nelle scuole lo metterei obbligatorio in visione, insieme ad altri, come Le mani sulla città, di Rosi.
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