venerdì 29 gennaio 2010

Tysnaden - Il silenzio

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Due donne, sorelle, ed un bambino sono in viaggio di ritorno, in sosta in un albergo di un imprecisato paese russo/slavo. Anna è sposata ed è la mamma del bambino. Ester è palesemente malata, beve e fuma tantissimo.

Anna scoppia di salute ed è uno spirito irrequieto, sanguigno. Senza particolari patemi cerca avventure sessuali, anche nello stesso albergo, persino senza premurarsi di non farsi vedere dal figlio.
Ester è molto affezionata al bambino e disapprova su tutti i fronti il comportamento della sorella.

Sono sorelle, ma si odiano...

Questo è l'ultimo film della "trilogia religiosa" di Bergman ed è proprio il nome assegnato alla trilogia che invoca la chiave di lettura di una trama altrimenti estremamente ermetica.
Entrambe le sorelle non manifestano mai un desiderio di preghiera pur nei momenti di sconforto. Pur avendo fatto scelte diverse di vita (Ester non s'è voluta sposare), sono entrambe estremamente razionali, agiscono secondo logica ferrea. Ester è molto malata, e nemmeno la percezione della morte l'avvicina al divino.

Il finale sarà, per un aspetto determinante, una manifestazione di grande cinismo.
Forse è proprio questo che si è voluto rappresentare, quello che produce una vita nella quale s'è negata la presenza di un'anima che va oltre il materiale. Ci sto ancora riflettendo...

Film dal ritmo lento ma ossessivo, che scava in profondità: semplicemente bellissimo!

Bergman è davvero Il Grande Maestro dei tempi di ripresa, dell'indagine emotiva dei personaggi. Ci sono pochissime parole, dialoghi essenziali e pregni, ancora una volta teatrali, potenti. Alcune frasi arrivano con la forza d'un ariete.
L'utilizzo di alcune situazioni che apparentemente non c'entrano nulla è funzionale al creare il grado di pathos necessario: i carri armati, la compagnia di saltimbanchi nani. Non ti poni la domanda "cosa rappresentano?", semplicemente ti trasportano nel regno dell'inquietudine, dell'inspiegabile; danno carica al dramma in corso.

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