Breve News di premessa:
Questa è la prima di una serie di recensioni che verranno pubblicate anche dal blog Laboratorio di filosofia e politica dell'immagine, un'iniziativa di recente intrapresa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste. E' una proposta alla quale ho aderito con molto piacere. I film di questa serie saranno su loro indicazione o concordati, sulla base dei progetti che hanno in corso.
Chuck Tatum è un giornalista estremamente cinico ed ambizioso. Ripiegato nella mite Albuquerque dopo essere stato cacciato da un quotidiano di New York, trova posto in un piccolo giornale locale. "Tell the Truth" campeggia incorniciato in redazione, ricamato dalla moglie dell'integerrimo direttore, ma non è un motto che Chuck condivide. Non solo. Lui sa bene che "Nessuna nuova, buona nuova" è una massima che funziona, tranne che per i giornali, per i quali invece "La buona notizia non fa notizia". Ha le idee chiare su cosa serve a vendere i giornali, e lo dice chiaro al giovane fotoreporter con cui è in viaggio, mettendosi nei panni del lettore medio: "Un uomo muore e noi vogliamo sapere tutto di lui. Ne muoiono cento, mille, e nemmeno leggi la notizia". Siamo ancora all'inizio, manca soltanto l'occasione giusta per capire dove un uomo come Chuck si può spingere, e arriva proprio durante quel viaggio.
Leo Minosa è rimasto intrappolato dentro una montagna sacra agli indiani, località turistica ad ingresso gratuito annessa ad una di quelle "tipicamente americane" stazioni di servizio sperdute nel deserto, dove Chuck e il ragazzo si fermeranno per rifornire. Venuti a conoscenza della situazione da Lorraine, bellissima e disincantata moglie di Leo, Chuck prende immediatamente l'iniziativa di incontrare Leo e poi di coordinare i soccorsi. Ovvio, ha una sola cosa in mente: il grande scoop. Che ci sarà, ma tutto deve durare un po' di giorni per compiere appieno i propositi di Chuck, molto più di quanto dei normali soccorsi impiegherebbero a salvare Leo...
Un film di qualità stilistica insuperabile. Parliamo di Billy Wilder, tra i massimi registi di sempre. Esibisce chiaroscuri perfetti ad ogni occasione, scene di dialoghi tesi in interni con macro su dettagli di persone o oggetti, cupissime discese nell'oltretomba della buca di Leo, campi aperti desolati o con masse di persone eccitate. L'arrivo del treno speciale, la discesa di gente vociante che corre alla "festa" (vedi il secondo titolo, "The Big Carnival"), tutta la calca che ne deriva, credo abbia ispirato i finali caotici di John Landis. A rendere la visione obbligatoria di questo film da Olimpo ci sono anche le interpretazioni senza voto possibile di Kirk Douglas e Jan Sterling, rispettivamente Chuck e Lorraine, due figure che si attraggono nel reciproco disprezzo.
L'argomento solo apparentemente non è nuovo. Ben 10 anni prima un altro genio, Orson Welles, era uscito con lo sconvolgente "Quarto Potere". Questi due capolavori sono accomunati dalla descrizione del potere della stampa (oggi diremmo più ampiamente "dei media"), e si differenziano per almeno due aspetti. Il primo è da subito evidente, e cioè che mentre Citizen Kane manipola a suo vantaggio la notizia dando versioni false, qua Chuck non farà dei falsi reportage ma manipolerà direttamente il fatto a suo vantaggio. Confesso di non saper dire quale dei due comportamenti sia più scorretto. Il secondo aspetto è che la "focale" in esame si sposta da chi dall'alto manipola a chi, dal basso, chiede, in una sorta di follia inconscia collettiva, di essere manipolato. E' questo secondo aspetto, più tardivo ad emergere dalla visione ma anche più persistente, che vorrei approfondire per concludere.
Chi è più cinico? Chuck che cerca di procurarsi il prodotto più amato dai lettori o lo sceriffo corrotto che capirà dal giornalista che quella è un'occasione per ritrovare il consenso popolare necessario ad essere rieletto? I "turisti del macabro" che accorreranno a vagonate o le ferrovie che per loro organizzeranno treni speciali? Lorraine che farà affari d'oro nutrendoli e facendo pagare l'ingresso al parco dove sorge la montagna o i gestori del luna park che verrà impiantato per l'occasione? L'elenco, del quale ho fatto solo qualche esempio, prosegue volendo e comprende protagonisti e comparse, queste ultime essendo componente fondamentale. La maggior parte di noi compreso chi scrive è solo comparsa nel mare magnum delle notizie e quando il film finisce ti poni una domanda, che come dicevo arriva tardiva: io a quale di quelle comparse sono assimilabile? Una solida percezione che in quanto pubblico possiamo pilotare le notizie, anche solo l'esposizione delle stesse, ci aiuta sia a scegliere le fonti d'informazione e ci responsabilizza: nel momento in cui compriamo un giornale o premiamo un tasto sul telecomando esprimiamo un voto significativo. Anche se non siamo "spiati" dall'apparecchio dell'Auditel, perché il suono del televisore si spande, s'insinua nel nostro cervello, ci farà parlare di quel che abbiamo sentito e propagherà il suo messaggio anche se ne parleremo male. "Ace in the Hole" è diretto, non usa nemmeno metafore per raccontarsi, ma non è detto che faccia centro con chiunque. Come ho detto, non è raro che inconsciamente vogliamo essere manipolati, ad una verità inconfutabile preferiamo una non-verità perché ci viene comoda e ci giustifica, e non è raro nemmeno che la negazione della verità venga fatta consciamente. Con che faccia i parlamentari che a maggioranza votarono contro, quando fu chiesto loro se un certo personaggio era sincero nel dire che Ruby "rubacuori" era la nipote di Mubarak, potrebbero guardare un film del genere? Loro la notizia l'hanno volutamente distorta persino in una sede istituzionale.
L'esposizione della verità dovrebbe essere il principio primo di chi pubblica notizie e il punto di partenza per chi pubblica opinioni. Dovrebbe essere il suo "Giuramento di Ippocrate". Sappiamo che non è quasi mai così, e anche senza arrivare ai "Reporter des Satans" come nella locandina tedesca, persino da parte di chi è in buona fede. Anche io che non ho alcuno scopo di lucro sono sicuramente vittima del desiderio di compiacere al pubblico.
Eccomi quindi non più tra le comparse, ma dalla parte di Chuck, in un certo senso. Non sto dopotutto fornendo notizie di un film? Dovrei chiedermi se le sto scrivendo solo con l'intento di riportare fedelmente qualità e contenuti del film, indipendentemente dal giudizio di qualsiasi lettore. La mancanza d'interesse economico - insisto perché non va mai sottovalutato nei media che devono portare a casa soldi per vivere - mi pone in una condizione vantaggiosa, ma la tentazione di parlare ad auditores è sempre dietro l'angolo, il consenso è appagante. Visto che ci sono cascato? Quante volte ho scritto "ad auditores" nelle mie recensioni? Mai. E' chiaro che il fatto che questo pezzo sarà letto da degli universitari mi sta influenzando. Rischio persino di mettermi a parlare della Dialettica Eristica, così ben codificata da Aristotele, dell'abuso che se ne fa nei giornali e nei dibattiti televisivi. Ma non esageriamo...
L'utilizzo di una perforatrice, che nel caso di questo film è sciagurato, mi ha inevitabilmente portato alla mente il caso di Alfredo Rampi, detto Alfredino (Roma, 11 aprile 1975 – Vermicino, 13 giugno 1981). Trentanni dopo questo film in Italia abbiamo avuto il primo caso di tragedia vissuta in diretta televisiva. Ne abbiamo parlato in occasione della recensione dell'ottimo film documentario di Fabio Marra "L'Angelo di Alfredo" (2011), dedicato ad Angelo Licheri, l'uomo che eroicamente andò più vicino a salvare il bambino. Non fu una vicenda di sfruttamento mediatico quella, ma che audience che ebbe! Fu un fatto che a chi del mestiere insegnò molto, e da lì a far battaglia su chi è il primo a dare notizia dei bombardamenti in Kuwait, o sull'attentato alle torri gemelle, a mettersi a far plastici su ogni genere di vicenda, il passo è stato spontaneo e breve.
Robydick