Aldo Moro/Roshan Seth [Ai suoi carcerieri delle Brigate Rosse]: “Io sono un uomo mite, la politica è sporca, fatta da mediocri, la cura non sempre è della democrazia ma la ricerca dei voti.”
Con questo film, Aurelio Grimaldi ha dimostrato che è ancora possibile se solo se ne ha il coraggio, intraprendere la ricerca per veicolare ben altre verità, e non addomesticate e già preconfezionate, persino in Italia. Sulla cruciale e dolorisissima “Operazione Fritz” di Via Fani e i successivi disperati e mestissimi, 55 giorni del sequestro, sono stati è vero, versati fiumi d'inchiostro, tra migliaia di articoli scritti, libri, cinque processi durati oltre un ventennio con tutti i procedimenti legali connessi, e, a partire soprattutto dal Moro Quater, un profluvio di ripetute “confessioni” e “controconfessioni” dei brigatisti , un'infinità di deposizioni più o meno spontanee ed accordate, mentre forse uno solo di essi, il “pentito” più famoso Peci, scrisse un libro davvero illuminante e molto importante,“Io l’infame”. Che cosa può tentare di dirci ulteriormente un film, in due ore al massimo, soprattutto a chi come me è più che documentato sui fatti e sul periodo? Tanto e utilmente, soprattutto se pensiamo ad una visione di quegli avvenimenti non soltanto con la prospettiva di una visione e di un'atmosfera “conciliatoria” e “autoassolutoria” per tutti, di questi anni, ma con lo spirito e l'indignazione di molti propria del 1978. Non certo quell'indignazione finta da seconda repubblica, propria dei giovani di oggi. E nell'intento stesso dell'operazione portata avanti con questo film, Grimaldi è stato molto bravo.
Scegliendo di rappresentare -utilizzando una definizione per forza di cose consunta- quei giorni bui, della “Notte della Repubblica”, con i toni accesi, arrabbiati fino anche al fanatismo, delle ore stesse nelle quali il presidente DC e precedentemente già capo del governo Aldo Moro, venne rapito da un commando delle Brigate Rosse dopo una sanguinosa strage. Tutto questo avvenne il 16 marzo del 1978, data oramai celeberrima, a Roma, in Via Fani traversa di Via della Camilluccia, quartiere di Monte Mario.
Proprio quello stesso giorno, il governo presieduto da Giulio Andreotti avrebbe dovuto aprire per la prima volta nella storia della Repubblica, aprire lo stesso governo all'entrata dei comunisti di Berlinguer, il compimento del cosìddetto “compromesso storico”.
Quel giorno e i successivi 55 del sequestro provocarono un terremoto persino in un paese come l'Italia, abituato da sempre a sopravvivere quasi indenne e dimentico praticamente a tutto, cambiandolo per sempre soprattutto per la classe politica e i suoi equilibri, che però come al solito fecero in gran parte finta di non accorgersi di nulla, né che alcunché fosse veramente successo.
Le stesse Brigate Rosse ne uscirono inconsapevolmente sconfitte, anche se all'apparenza allo zenith della loro potenza.
Un'onda lunga che avrebbe portato il suo cataclisma solo dopo molto tempo, infrangendosi con lo Tsunami di Tangentopoli nel 1992: questa è stata forse l'unica vittoria delle Brigate Rosse, troppo proiettata in avanti per le loro strategie contestualizzate interamente al momento storico, protese soprattutto a mettere in estrema difficoltà il suo nemico più duro a sinistra: il PCI. Le lettere dalla prigionia di Moro, soprattutto quelle decine indirizzate alla Democrazia Cristiana, ebbero un effetto devastante, ma anche questo poco riconosciuto e valutato per l'importanza del suo impatto, dall'inadeguata Direzione Strategica brigatista, e grazie anche alle quali di lì ad un decennio, si sarebbe assistito a quello che era uno degli obiettivi principali delle Brigate Rosse, la dissoluzione della stessa DC.
Prima ancora, dopo cinque anni, sarebbe nato il primo governo con un Primo Ministro non democristiano, cioè il repubblicano Spadolini, seguito da quello del socialista di destra Craxi; attuandosi così la definitiva cancrena e il seguente disfacimento del sistema politico espressione della Prima Repubblica. Il Pci invece, l'altro pilastro del “Partito della fermezza” oppostosi ad ogni possibilità seria e concreta di trattativa con le BR, si vide sbarrata definitivamente ogni possibilità di accedere alla “stanza dei bottoni” governativa, e avviandosi concretamente verso lo sfascio e la parcellizzazione; dieci anni dopo come detto ci sarebbe stata tangentopoli e per i comunisti la scissione della Bolognina, e tutto il disfacimento susseguente e suddetto. Moro scrisse in una lettere un celeberrimo anatema: “ il mio sangue ricadrà su di voi”, -il quale è il titolo del secondo e mai terminato capitolo girato da Grimaldi, di questa che sarebbe dovuta essere una trilogia-, che seppur soltanto metaforicamente, pare essersi compiutamente realizzato con la convulsa ed epocale implosione della Prima Repubblica.
In questo bel film di Grimaldi la vicenda viene finalmente mostrata senza didascalismi, ma emerge per piani separati. Innanzitutto ci mostra come nessun altro film italiano sul periodo degli anni di piombo, che lo stato oltre ad essere quasi completamente inadeguato e pachidermico, al tipo di sfida che viene portata alla sua massima intensificazione da parte di un'avanguardia combattente, è uno stato che sa opporsi soprattutto con la promulgazione delle famose leggi speciali, le quali arrivano a mettere in forse l'esistenza stessa dello stato di diritto; e le libertà principali degli stessi cittadini, oltre a provocare a sinistra e nell'autonomia extraparlamentare come anche nella stessa base del PCI, un grande conflitto con coloro che non capiscono né approvano il “compromesso storico”. Fu proprio in quei giorni che vennero espulsi dalla CGIL alcuni delegati sindacali che si erano resi colpevoli soltanto di aver diffuso un volantino: il famoso slogan additato dall'instauratosi clima da caccia alle streghe, era: “Né con lo Stato, né con le Br”.
Il film di Grimaldi è pure rimarchevole per come riesce bene e meglio di ogni suo predecessore, a calarsi nel clima e nell'atmosfera plumbea e allucinata di quel periodo, quando a cadere vittima è uno degli uomini più rappresentativi di quello stato che paradossalmente è nel suo momento di maggiore debolezza ed impaccio, facendo anche trasparire come il governo fosse internamente diretto dagli esperti americani dell'antiterrorismo, completamente sottomesso ai loro interessi, mostrando una faccia feroce e un emergenzialismo solamente di facciata.
Un famoso aneddotto, riferito dalla vedova di Moro in seguito alla sua tragica fine, si riferisce ad un inquietante episodio avvenuto al marito durante la sua ultima visita di Stato negli Stati Uniti, quando il Segretario di Stato americano Henry Kissinger, durante un incontro a Washington avrebbe ammonito Moro per la sua apertura ad un probabile appoggio dei comunisti al governo, con la suddetta frase: “potrà avere tragiche conseguenze” .
Quel viaggio di Stato si concluderà con un malore di Moro durante una messa nella Cattedrale di San Patrick a New York. Il pesante avvertimento fu sempre smentito regolarmente in primis da Cossiga ed Andreotti. Dati gli interessi custoditi e le verità nascoste dai due, merita certamente ampio credito la rivelazione della Signora Moro.
Molto bravo l'attore britannico-indiano Roshan Seth (il quale aveva interpretato anche Nehru nel Kolossal “Gandhi” ['82] di Richard Attenborough) che interpreta nel film la figura dell'On. Moro, il quale ci restituisce con partecipazione la passione di quei giorni di prigionia, coinvolgente tutti i protagonisti compresi i carcerieri, ma senza facilitazioni buonistiche e scappatoie catto-comuniste alla “Buongiorno, notte” ('03) di Marco Bellocchio, impersonando sì la figura di un Moro umano e dai forti sentimenti, ma senza ritrarsi come tutti i film precedenti, dal mostrarci anche tutte le sue amletiche incertezze, e le sue ignavità quando era a capo di governi monocolore DC, come pure le divisioni che si produssero tra gli stessi BR, quelli irriducibili dell'ala più militare riconducibile allo stesso Mario Moretti e a Prospero Gallinari, e quelli più dubbiosi e possibilisti su una scarcerazione di Moro, e riconducibili a Valerio Morucci e Adriana Faranda, che però non facevano parte della Direzione Strategica.
Il film di Grimaldi è quello più “politicamente scorretto”, fra tutti quelli che sono stati realizzati in Italia sugli anni di piombo, ed è anche quello più cronachistico e meno narrativo, quello che riesca a ricostruire meglio le posizioni e le inestricabili ambiguità ed eterodirezioni di convergenti e paralleli interessi per dirla con Moro, dell'”Attacco al cuore dello stato”, ricostruendolo con quello che manca a quasi tutti i film italiani che vorrebbero rievocare quei fatti: l'invenzione registica. Grimaldi è perciò riuscito a realizzare un film veramente di vibrante drammaticità e non soltanto di impotente didascalismo, ma per una volta di violenta indignazione, sconvolgente nella sua virulenza, solamente per chi non ha vissuto in prima persona quel periodo, ma questo film a differenza degli altri te lo fa capire. Qui è lo Stato che ne esce davvero con un'immagine a pezzi, anche perchè il film riesce a conferire un'adeguata prospettiva storica, non le BR, pur non dimenticando certo le vittime del terrorismo, e stavolta giustamente e appropriatamente, da “entrambi le parti”.
Ho apposto in testa a questa recensione una frase di Moro nel film che lo riassume interamente: anche qui certo, Moro è raffigurato in pieno declino soprattutto morale e psicologico, così duramente provato dalla tragica e disperata esperienza. Probabilmente rassegnato alla sua prossima e consapevole morte, lo statista riconosciuto da entrambi gli schieramenti, colui di cui avevano bisogno tutti, da Rumor, a Restivo e Gui per potersi solo fare imbeccare a prendere decisioni, nei momenti più bui come dopo Piazza Fontana, come mostrato nell'ultimo film di Giordana, è adesso fatto cinicamente passare per pazzo, dagli stessi dirigenti DC. I quali sproloquiano di Sindrome di Stoccolma, questa volta invece imbeccati da Steve Pieczenik, l'esperto di strategia antiterrorismo inviato a Roma dal Governo americano, e che nei fatti, sarebbe stato tra i veri direttori occulti dell'operazione. Ma Moro seppur in declino, non lo era affatto in quanto a lucidità mentale, quando in una delle sue lettere più terribili definì l'amico dei tempi della FUCI Zaccagnini un dirigente e un segretario lui sì, affetto da caratteriale debolezza, “con una debolezza che rasenta il cinismo.”
Come qualcuno giustamente scrisse in una delle rare recensioni presenti in Italia di questo film, -ampiamente boicottato mercantilmente, alla sua quasi impossibile uscita cinematografica nel 2004-, citando Carlo Levi e “Il Coraggio dei miti”, e in riferimento auspicabilmente anche al popolo d'Italia, che apparentemente prono e servilmente sottomesso, nei passaggi più tragici della Repubblica, può utopicamente alzare finalmente la testa e dimostrare il meglio di sé, esigendo di chiedere conto al potere del suo sporco e sempre cinico operato. Trattandosi di Moro, con quella frase forse voleva comunicare ciò che dice in un passo il suo amato Vangelo: beati i semplici. L'uomo, l'essere umano, che viene fuori dall'immagine de-umanizzata dello statista. A differenza del commissario interpretato magnificamente da Gaetano Amato, torturatore di innocenti presunti brigatisti, su mandato stesso dello Stato, e quindi del potere governativo. Il film si chiude con la frase che dà il titolo al film, contenuta nell'ultima, straziante lettera ai figli, al piccolo amatissimo nipotino, alla vedova Norella, forse sì davvero un anelito ed un augurio: “ Se ci sarà la luce, sarà bellissimo”.
L'Andreottiano
sul valore della ricostruzione dei fatti, avvenuta per piani paralleli come dici, mi fido delle tue parole, caro Andreottiano "napoleonico"...
RispondiEliminail film è di grande fattura in sé, confermo le tue parole. visione sconvolgente come doveva essere. certo che, sicuramente almeno in quei giorni, quanto avveniva in italia non differiva molto da quanto avveniva in cile o in argentina... visione obbligatoria.
le br, gli faccio questo appunto, furono proprio indelicate a presentarsi a moro, il giorno dell'esecuzione, senza incappucciarsi. non ricordavo questo dettaglio. tutto sommato, sia i più oltranzisti che i "moderati" fra loro, mostrarono sempre competenza sugli argomenti e rispetto per la persona, tranne che nell'ultimo fatale incontro.