mercoledì 20 giugno 2012

Extremely Loud and Incredibly Close - Molto forte, incredibilmente vicino

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Un film può essere filosofico senza esserlo per davvero, nel senso che partendo da premesse altre rispetto al messaggio che lo spettatore potrebbe cogliervi, finisce per farsi inconsapevolmente promotore di una riflessione cinematografica, culturale o finanche antropologica indipendente dai suoi contenuti.

È il caso di quest'ultimo lavoro di Stephen Daldry (quello di Billy Elliot e The Reader), la cui chiave di lettura è da ricercarsi forse nei titoli di coda, quando nella semioscurità sudaticcia della sala, i commenti del pubblico si inalberano in una struttura a opinioni corali, dove a un aggettivo specifico ne segue uno di segno opposto, e a una determinata visione delle cose si affianca una congettura ad essa contraria. Proprio in tale ingarbugliata ramificazione di percezioni, capita spesso di imbattersi in un parere curioso, vuoi per la sua banalità, vuoi per la supponente convinzione con cui è pronunciato, ma di sicuro abbastanza affascinante da finire rimasticato tra le ganasce di chi ascolta. Molto forte, incredibilmente vicino è allora divenuta, per quello stesso rigore alchemico che trasmuta, attraverso la peristalsi cerebrale dei giudizi, la merda (filmica) in oro, una pellicola “bella”. Non profonda, interessante, originale, ma soltanto bella. Come se qualcuno, pagando un corrispettivo economico per accedere alla proiezione, fosse messo d'ufficio nelle condizioni di assolvere senza nemmeno vagliare le testimonianze, o viceversa di condannare soltanto per un indiscreto sentito dire. Ho pagato, e quindi ho il diritto economico (leggi potere d'acquisto) di sciorinare tutte le cretinerie che più mi si confanno.

Siamo nel 2012, l'Occidente crasso e opulento crede nelle profezie maya, considera ancora Forrest Gump un capolavoro (di cui Molto forte... ha mutuato lo stesso sceneggiatore, Eric Roth) e spende soldi in neri tempi di crisi per profondersi in encomiabili elogi della spazzatura. Pecunia non olet, si sa. Così come si sa che tutto ciò che è a stelle e strisce, per una qualche imperscrutabile deviazione del senso comune, odora di fresco e pulito nonostante il retrogusto di muffa.

Ma veniamo al pomo della discordia. La versione trentacinque millimetri del romanzo di Jonathan Safran Foer, pubblicato nel 2005, è oscena nel senso etimologico del termine, perché inscena, appunto, tutto ciò che per buona educazione sarebbe opportuno, se non esplicitamente necessario, relegare al dietro le quinte dello spettacolo. E lo fa nel modo più pornografico che ci possa essere, ovvero l'abbuffata sinestetica che, da Baaria a Hugo Cabret, ha ormai fatto da apripista per un sottogenere cinematografico in cui l'esibizione (del meraviglioso come del tragico) coincide con l'espansione delle proprie prerogative estetiche. C'è questo ragazzetto in età prepuberale, Oscar Schell (Thomas Horn) che viene coinvolto dal padre (Tom Hanks) in una bizzarra caccia al tesoro per le vie della città: il genitore dissemina indizi per i parchi pubblici, abbandona tracce invisibili nel legno infradiciato di vecchie altalene, inserisce improvvisate segnaletiche nei posti più reconditi e strani, pur di evidenziare l'esistenza di un ipotetico Sesto Distretto, un quartiere metropolitano affondato nel ventre argilloso dei nuovi complessi residenziali e industriali. Così ogni giorno il ragazzo parte per le sue esplorazioni, monitorando tutte le peculiarità geologiche offerte dalle sporadiche aree verdi della Grande Mela, le curvature urbane, gli intrecci e i viluppi dei piani regolatori che potrebbero nascondere, nei loro immobili ventri di cemento, una moderna Ilion avvoltolata nell'oblio. E alla sera, tornato a casa, vaglia dinnanzi agli occhi attenti del padre le sue scoperte, convinto che lo svelamento dell'enigma è sempre più vicino.

L'ombra lunga dell'undici settembre incombe però sulla altrimenti idilliaca famiglia Schell, e quando il padre muore nel crollo delle torri, Oscar non riesce ad accettarne la dipartita. Scartabellando tra i ricordi del genitore defunto, il giovane s'imbatte in una chiave dimenticata sul fondo di un vaso d'antiquariato: non si sa cosa apra, ma un'unica indicazione, stampigliata a penna sulla busta (il cognome Black), è il fondamentale indizio per un'ulteriore indagine, quella definitiva, che permetterà allo spaurito ragazzo di cogliere il senso di tutto ciò che gli sta capitando. Dev'essere quella la soluzione, che come un fil rouge impercettibile unisce le leggende metropolitane del Sesto Distretto all'attentato di Al-Qaida, la morte del padre alle motivazioni che hanno portato proprio alla sua scomparsa e non a quella di qualcun altro. Ecco che aiutato dall'anziano nonno (Max von Sydow), Oscar rende visita a tutti i Black di New York, sperando che uno di loro gli riveli ciò che quella misteriosa, accattivante chiave è in grado di dischiudere: entra nelle loro case, si sofferma ai capezzali dei malati, porta conforto agli scoraggiati, e soprattutto ne ascolta le frammentarie, sofferenti storie. Da ognuno di loro impara qualcosa, a ognuno lascia qualcosa di sé.

Pur sapendo che la sua ricerca sarà probabilmente inutile, e che forse la chiave non aprirà nulla, il ragazzo vuole credere alle fiabe, ne ha bisogno, come ne ha bisogno l'intera America, che scava in una immaginifica età dell'oro (il giovane protagonista, cappellaccio, zaino in spalla e vettovagliamento da Giovane Marmotta, finisce non a caso per somigliare alla versione MTV di un Tom Sawyer) per ritrovare una ormai compianta innocenza morale. Il cinema statunitense elabora il suo lutto collettivo, pur a distanza di anni dalla tragedia delle Torri Gemelle, ma lo fa seguendo la via più abbordabile e scriteriata, con un'uscita in punta di piedi dal fragore degli aerei (o delle bombe?) per entrare nel mondo favolistico della raffigurazione allegorica. Così, il giovane Oscar cessa di essere un ragazzino spaventato per trasfondersi nell'idea archetipica di un'intera generazione, un surrogato (cinematografico e soprattutto culturale) che fa della sua compiaciuta mitopoiesi l'ultima frontiera della civiltà americana.

Purtroppo quella di Daldry è una cosmogonia urbana tutta di facciata, che parte da un fatto di cronaca, ormai già sedimentato nella storia, per inalberarsi in una disamina chiacchierona e impastata di liquirizia: come sempre, si urla quando si potrebbe sussurrare, si sottolinea ciò che di buona creanza si è in grado di evincere, e si dà corpo immaginifico, plasticamente scenografico, a concetti e suggestioni che qualunque persona dovrebbe soltanto fantasticare. Molto forte... diventa allora, forse senza nemmeno volerlo, uno sbrodolio continuo, un gocciolare caramellosità per boccaloni diabetici, un parlottio adulatorio e lusinghiero, che crea i suoi miti, artificialissimi, lontani anni luce da un humus folcloristico e letterario, per il semplice motivo che l'America di grandi miti non ne ha. Daldry (e tutta la schiera di manieristi à la Méliès) si divide allora tra l'invenzione e il gioco di prestigio, reggendosi in equilibrio instabile tra le intuizioni del primo ambito e le furberie del secondo. Il trucco è evidente, pacchiano, logorroico, e di conseguenza del tutto inaccettabile.

Ormai va di moda essere spielberghiani pressoché su tutto, come se l'imitazione ad libitum del regista di Cincinnati rappresentasse di per sé un pedigree di altissima qualità da sbandierare ad ogni cerimoniale da Oscar, o grazie al quale fare esibizione di una concezione altolocata e al tempo stesso popolare del cinema. L'ha capito Scorsese, che oggi il pubblico è immaturo, vuole sentirsi bambino, essere coccolato e preso per mano, e a quanto pare l'ha capito anche Daldry, che pure con The Hours aveva girato un melodramma abbastanza sofisticato da non cadere nella mediocrità di quasi tutto il recente cinema statunitense. Purtroppo il tentativo di guardare al passato, o di rielaborarlo secondo le direttive concettuali di un modernismo barocco e di tutto comodo, è perso in partenza, in parte perché il classicismo magico, quello di Frank Capra per intenderci, è talmente ben inserito nel suo contesto (un'America veramente ingenua e campagnola) che ogni citazione apparirebbe quantomeno indigesta; e in parte perché qualunque cineasta, nel momento in cui utilizza la scrittura filmica per intavolare un'analisi collettiva sul cinema o la società, in questo caso la società post-undici settembre, non può prescindere dalle più recenti pellicole che hanno già sviscerato e interpretato l'anzidetta tematica. E l'hanno fatto con rabbia, con dolore, con la passione virulenta che l'età adulta sottende. L'America è cresciuta, perché il mondo è cresciuto. Se qualcuno non lo comprende, non resta che ricorrere al vecchio adagio morettiano, mai così urgente come in questo momento di cambiamenti e laceranti ferite: pubblico di merda.
Marco Marchetti


28 commenti:

  1. tu sei lo stesso che aveva demolito col tritolo Polisse, vero? Se ricordo male chiedo venia...che dire anche a questo hai fatto barba e capelli. Io non sono un entusiasta di questo film , credo che il mistero di quella chiave era meglio se rimaneva insoluto, detesto la retorica americana e qui se ne sparge ma il finale di questo film mi ha toccato, molto più del film stesso. Secondo me strepitoso Max Von Sydow che tira fuori tutto il Charlie Chaplin che è racchiuso dentro di lui...

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  2. Anche se hai più boria di Claudio Martelli quando era un pischello, sarà agghiacciante per entrambi, ma stavolta sono completamente d'accordo con te, su tutta la linea,"cari"ssimo.
    E' tremendo Safran Foer stesso abbia dato l'imprimatur e ogni sorta di collaborazione ad un'opera così programmaticamente ruffiana, e di una stuporistica "commotività", irritante oltre ogni eccesso possibile e debilitante di saccarosio. "Ogni cosa è illuminata" non mi aveva comunque entusiasmato, ma in confronto ha questo...Liev Schreiber era un ottimo regista.E' officiale Stephen Daldry è un regista da signore del servizio da tè delle cinque. Peccato per "Billy Elliot". Dopo, soltanto film leziosi quanto la porcellana rosa istoriata del Water di casa di Ru Paul.
    Unica nota -parzialmente positiva- la colonna sonora inutilmente "simil-Philip Glass", del solitamente bravissimo Alexander Desplat.

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  3. applausi!
    d'accordo alla grande su tutto (romanzo a parte, che non ho letto quindi non posso commentare)

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  4. Il film non è male, anche se l'ho trovato prolisso e a tratti stancante dal guardarlo, insomma, non è certo il miglior film di Stephen Daldry, gli ho preferito gli altri che ha diretto, ma qui ha calcato di troppo la mano, c'è troppa carne al fuoco, troppe scene commoventi, troppa speranza...insomma se dosava un po' meno gli ingredienti invece di buttarli senza controllo il film sarebbe stato migliore, eh la recitazione di Tom Hanks, ma per favore...l'attore che ho imparato ad apprezzare con Philadelphia e Forrest Gump è un pallido ricordo da un po' di tempo a questa parte, spero che si ripigli.

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  5. Non lo guarderò mai e nemmeno leggerò il libro, comunque COMPLIMENTI GIGANTI per questa rece, mi sa che me la stampo e me la studio, voglio imparare anch'io ad argomentare (e a prendere per il culo usando forma e contenuto insieme come nel primo capoverso) così. Bravissimo M.M.

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  6. Come scrissi il giorno della pubblicazione,in merito al film in oggetto ero comunque d'accordo praticamente in tutto con la rece de Martelli, che ovviamente nonostante questo non si è mai fatto alcunchè "vivo" in nessun modo.Sai com'è, era troppo occupato a scrivere sul cinema e i film di Pozzetto, esegeta e apostolo sacerdotale del cinema
    ostilmente pretenzioso di un Bruno Dumont,ein cui si fa
    l'esegesi nientedimeno che di "Ricky e Barabba" e "Infelici e contenti", e cito
    testuale, che secondo lui il primo è persino una "geniale rivisitazione all'italiana di
    "Una Poltrona per due"(!!), [...] laddove "Ricky e Barabba" non è, solo una riflessione
    sulla mancanza di valori di una società corrotta dal denaro, ma uno
    straordinario esempio di scrittura filmica(!!), che intreccia saldamente la
    comicità alla coerenza di una narrazione perfettamente geometrica e
    consequenziale(!?). Ultimo film di rilievo(!) per Sylva Koscina(aggiungerei io,
    pòraccia rispetto ad una filmografia come la sua, è stata davvero una donna sfortunata)", e riguardo a "Infelici e contenti", altra solenne schifezza : Neri
    Parenti dirige per la terza volta Pozzetto, mescolando le carte della sua
    comicità altrimenti pecoreccia: lo fa con estremo garbo (!?), accarezzando il
    social drama (!!!! Grin Grin Grin Grin Grin) con l'idea geniale (!!!!!!! Lips Sealed Lips Sealed) di due disabili che,
    abbandonati e spesso discriminati, riescono comunque ad aiutarsi a vicenda, il
    primo contando sulla libertà di movimento del secondo, e il secondo affidandosi
    alla vista del primo. Sembra una favola morale, ma il finale è puro cinismo da
    Black Comedy" (il Marchetti delira, c'è un limite a tutto Shocked Shocked Cheesy Grin). Così come stanno
    facendo oramai sbandando da tempo, e l'ho scritto facendomi pure per questo bannare, se si rivalutano pure simili schifezze, non ci sarà
    più niente che valga la pena d'interessare/ci e di rivalutare davvero. Perchè,
    Pozzetto nel film e con il regista giusto era anche bravo sì, ma non è comunque
    mai stato Gassman o Tognazzi (che poi a quanto mi risulta non andavano nè sono
    mai andati in vacanza sempre insieme a Formigoni e Daccò sui loro Yacht da 40
    m., ma vabbè, questo è l'uomo), come qualcuno addirittura nel medesimo dossier
    ha l'ardire di formulare, o un genio lunare e autorialmente "diverso e
    distaccato, quando episodicamente regista", dalle solite parentesi del cinema
    comico/commedia all'italiana, già in fase di pre-sconciamento, per l'altro.
    Così facendo ma sembra non lo vogliano proprio capire o possano correggere, Nando Cicero potrà anche essere
    fatto passare per equiparabile a Mario Bava, ma non è, nè sarà mai stato, un
    Mario Bava. E qui mi rivolgo anche a un mio amico di scrittura che sicuramente coglierà il link, sarebbe come accostare
    solamente Kim Rossi Stuart de "Il Ragazzo dal kimono d'oro" al nostro JCVD. Non è, non sarà, comunque mai. Ricordo ancora la
    folgorante recensione di Goffredo Fofi, apparsa all'indomani dell'apparizione
    di "Ricky e Barabba", sugli schermi (ben pochi, e con ancor meno riscontro)
    nazionali: due sole parole, semplicemente: "Cacca e merda". (Avrebbe in seguito anche
    recensito "Così fan tutte" di Brass solo così: "Non è vero.") Lo sapete anche
    che il simpatico e tanto alla mano Christian De Sica lo querelò, Fofi...? Poi,
    "signorilmente" ritirò la "denuncia", con la seguente simpatica frase: "Tanto uno come me
    non ha da aver bisogno dei soldi di risarcimento da un disgraziato come lui,
    che non ne ha perchè è solamente un pezzente."

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  7. Citazioni prese dal dossier di luglio de Nocturno, sul grande autore e cineasta Renato Pozzetto.
    Il Marchetti, per scrivere queste -una volta si chiamavano belle e sfacciate prese per o'culo- così commoventi ed elegiache su uno
    come Ezio Greggio o un Oldoini o Parenti & Boldi, è ben remunerato, ve
    l'assicuro e ve lo dico per conoscenza ed esperienza diretta, da Pulici e
    Gomarasca, e dal direttore Olivier Père del Locarno Film Festival. Noi credo,
    almeno qui ma come credo anche in diverse altre parti almeno quelle
    "elettroniche", no. Perchè farci ammorbare i coglioni quindi anche da certe altre
    parti ancora, dove magari anche ci si deve barcamenare tra i capolavori punitivi di un Sarunas Bartas o di qualche altro
    capolavoro per spettatori intransigenti e dalle palle alle caviglie, di un
    Dumont ...?? Noi ce l'abbiamo un qualche "ritorno"...? Il Marchetti ce l'avrà, ma per noi mi pare proprio di no.
    Ossequi.

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  8. ahah! grande napoleone... belu', tranquillo, chissà mai se marchetti si rifarà vivo. l'amica lamberti invece ama molto il bis-italico, lo dico per farvela conoscere.

    però un dumont a me è piaciuto. questo: http://robydickfilms.blogspot.it/2011/03/hadewijch.html
    degli altri suoi film non so

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  9. non trattiamo troppo male il buon Marco... per quel poco che so, con le rece non ci vive proprio per niente, come buona parte di quelli che scrivono su Nocturno, e cioè lavorano aggratis.

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    1. Comunque Roby su Nocturno pagano. Ca. 100€ a pezzo se lungo. E Pulici e Gomarasca sono oramai molto ricchi, nessuno vuole toglierli i loro meriti, di aver comunque anche se non da soli, creato quel che adesso e' un vero piccolo impero dell'editoria milanese, da una fanzine fotocopiata in b/n e in 100 copie, 18 anni fa.Poi tutte le cariche, selezionatori per Extra come Nazzaro, addirittura per il Festival di Venezia Gervasini, nelle giurie dei festival, organizzatori di rassegne per le più importanti vetrine internazionali non solo italiane per conto del Festival di Venezia che e' un contatto potentissimo nel panorama cinematografico italico per quel che e', oggi come oggi. Sono molto ben pagati per questo, ci si vive e solamente, pure molto bene t'assicuro non c'e bisogno di andare a fare anche mestieri allucinanti come l'assicuratore. Sono dei privilegiati, e dei miracolati. Chi se lo merita davvero e chi meno, o chi purtroppo addiritturs per niente. E ce ne sono.

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    2. ah Napoleone, non voglio togliere alcun merito a Nocturno e ai suoi più eminenti rappresentanti, hai fatto bene a precisare sia chiaro, ma quelli che sono in gavetta non prendon niente (cosa che avviene in molte riviste, non fanno eccezione). Marco a che mi risulta è tra quelli. mentre qua da noi prende la stessa retribuzione di tutti gli altri che scrivono, che sappiamo bene qual'è, altro che Nocturno! ;-)

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  10. Napoleone, mi dispiace dirlo ma stai dicendo delle cose assolutamente assurde. Magari, Nocturno pagasse! Non solo non paga noi che siamo lì da poco tempo, ma nemmeno redattori che sono lì da molti anni, e questo lo so da fonti non solo certe, più che certe. Forse prima di scrivere queste cose, dovresti informarti meglio. Privilegiati, miracolati...ma dove?

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    1. Chiara, penso che Napoleone sia fermo alla release 1.0 di Nocturno o poco oltre...

      però mi chiedo una cosa:
      capisco che uno, per cominciare, scriva qualche rece gratis per loro, in fondo è una grande vetrina, ma poi perché continuare sine die e non mandarli invece a fare in culo, visto che loro i soldi con la rivista, invece, li fanno? non so, forse sono troppo pratico e borghese, ma senza soldi uno come cazzo fa a vivere?

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  11. Ahahah, mi ha fatto ridere Napoleone, perché anche a me è toccato andare a fare l'impiegatucola di assicurazioni qualche anno fa (ma poi non ho più retto e ho mollato). E' toccato anche a Kafka e a Pessoa.

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  12. Applausi, Roby, senza piaggeria, davvero,penso e pongo la questione esattamente come te. Araknex, la chiudo qui non voglio fare polemica pure da queste parti in cui ancora si dimostra di apprezzare il/i battitore/i libero/i, gli spunti polemici a riguardo di ciò che ho scritto ci sono. Eccome, non me li invento nè l'ho creati io, come molti orsetti lavatori e pesci pilota dello squaletto di turno, escono prontamente a mistificare. Basta soltanto sapere e volerli far risaltare, avendone soprattutto -forse- le palle. Dico solo per chiudere, che sicuramente quanto guadagnano i soliti e pure molti altri, non c'è neppure bisogno di fare nomi già fatti, è superiore ad almeno l'80% dei poveri e trattati come beoti, lettori. Con altezzosità, disprezzo, boria intellettuale proprio come quella dei modelli di critici paludati e parrucconi che si pretenderebbe anche di demolire, e nessuna considerazione. Eppure, chi ha contribuito determinantemente, a "fare" la rivista??
    E' la solita storia italiota e provincialissima dei circoli di potere "intellettuale", vincenti e/o perdenti/decadenti. Alla fine diventano inesorabilmente tutti degli "apparatchik", chiusi, autoreferenziali,e paraculati con gli stessi enti e istituzioni immote che poi ti vogliono fare pure credere di avversare e combattere. Sì,certo ma chi vogliamo davvero continuare a prendere per o'culo. Io queste cose le so, e non per autocelebrarmi, da esperienza diretta e di tanti anni. Ma lo sai sì quanto pagano a fare l'effettivo stipendiato da selezionatore, per un carrozzone miliardario come il Festival di Roma...??

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    1. Io dico solo che la cosa non mi torna, visto che tutti quelli che hanno scritto per Nocturno da 16 anni a questa parte non hanno mai preso un soldo. Allora sono tutti contaballe? Nemmeno io voglio fare polemica, ma in Italia se c'è una rivista che ha la nomea di non pagare, è proprio quella. E' giusto? No che non lo è? Perchè ci scriviamo? Per far girare il nome. Tu pensi che Rockerilla ad esempio paghi? O che Duel di Canova pagasse? Lo pensavo anch'io, e invece ti dico no. O meglio, la torta, se la spartivano in pochi, come su Nocturno, nè più nè meno. Parliamoci chiaro, in Italia, per scrivere di cinema, ti pagano o se sei un grosso nome o se scrivi per movieplayer.it le recensioni "a comando" (5 euro a recensione), ecco come si guadagna a scrivere di cinema, da noi. Lo sbaglio ovviamente lo commette chi scrive gratis, perchè se ci si coalizzasse tutti e ci si rifutasse IN BLOCCO di scrivere gratis, allora i soldi uscirebbero. Ma per uno che rifiuta, cento accettano, ecco come vanno le cose. Quindi, se ci si vuole far conoscere, o così, o così. Non è un fatto di essere scemi o farsi sfruttare, è un fatto di accettare controvoglia un sistema sbagliato radicato unicamente in Italia. Infatti qui da noi, quanti possono dire di vivere di quello?

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  13. Io pero' ho parlato di molte altre cose, mi pare, nel post. Non mi sono più concentrato solo su quello. E spiegava -sperabilmente- molti aspetti dello "stato delle cose''. Comunque, a Ciak, pagano. E anche su molti altri, questo e' certo ma non voglio altrettanto certamente far loro pubblicità.

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  14. questo dibattito è interessantissimo, affatto polemico. ha scoperchiato un po' di pentole che bollono, cose note certo, ma qua non ne avevamo mai parlato così schiettamente. intanto vi ringrazio

    chissà, magari un giorno qualcuno aprirà una rivista dove i guadagni saranno, non dico equamente, ma con un minimo di rispetto per il lavoro fatto, suddiviso tra tutti quelli che contribuiscono. un sogno.

    un'idea potrebbe anche essere quella di riunire le tante capacità disperse nel web in millanta blog/siti in, non uno ovviamente, ma alcuni Grandi blog/siti dove più persone si uniscono per affinità, gusti, idee, trovando maggiore visibilità. è una cosa che lentamente cerco di coltivare qua

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  15. Esatto, un sogno Roby. Vero, riviste come Ciak pagano, anche altre pagano, ma quanto è difficile arrivare a scrivere su quelle riviste? Quanto conta il merito? Poco o nulla. La raccomandazione, tutto. Infatti il web è pieno di bloggers (bravi e molto bravi) che scrivono indipendentemente, siti con collaboratori bravi e molto bravi che non vedono un soldo, e fuori dal web riviste cartacee che non pagano. Così come ci sono riviste imbrattate da critici (o giornalisti in genere) da quattro soldi (ma strapagati), per non parlare dei quotidiani dove da trent'anni scrivono sempre gli stessi nomi. Vincenzo Mollica vi sembra un giornalista cinematografico, così come Anna Praderio di Ciak? Quella è la gente pagata, da noi. Io sto facendo un discorso più circoscritto al cinema, Napoleone so che il tuo era più generico. Anche a me piacerebbe vivere di ciò che scrivo e non schiattare in un call center per guadagnare qualcosa. Ma in Italia, purtroppo, gira così, o me ne vado all'estero, o ciccia.

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  16. La Praderio!!!Quanto l'ho sempre odiata! Ma una cosa non ho capito scusate, chi è che lavora in un call center?

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  17. Io lavoro in un call center purtroppo, anche se per quanto mi riguarda ci manderei la Praderio!

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    1. Eh ti capisco profondamente. La Praderio si può arguire dalle frequentazioni essendo nell'ambiente Mondadori-Mediaset, come mai sia li' dagli anni ottanta.
      Almeno nella suddetta rivista che non paga, qualsivoglia collaboratrice/redattrice giovane e carina, non rischierà "harrassement" sessuali, dato come paiono i boss, veramente dei veementi umettatori di ani maschili.

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    2. alzo bandiera bianca allora, non ho proprio speranze. di farmi umettare il culo da maschietti non se ne parla proprio! O_o

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    3. per lo stesso motivo l'ambiente mondadori mediaset non mi vedrà mai nemmeno in cartolina ;) a parte che ormai per i loro gusti sono troppo vecchia, ma piuttosto mi faccio sparare in fronte!

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