“1899: love in Sicily, death in Texas”
Frase di lancio internazionale
Parto da un grande scontato e inevitabile ringraziamento, al blog di Gente di Rispetto e in particolare del suo La Colt è la mia legge Il Cinema western italiano, imprescindibile in Italia sull'argomento, senza il quale sarebbe stato pressochè impossibile recepire informazioni e curiosità su di un Capo d'Opera come questo. E non con la solita intonazione caciarona e giovanilistica alla Marco Giusti, tanto per intenderci, che comunque è autore di un dizionario cartaceo del genere fra i migliori e più utili, se non il migliore scritto finora, in Italia.
Ringrazio anche Il Davinotti, in assoluto il migliore sito italiano di cinema, per altre informazioni su questo rarissimo titolo.
“Tarà Pokì” fu l'esordio di Mino Reitano nel cinema, e venne girato nel 1971 ma circolando pochissimo, dal mio concittadino labronico e conoscente Amasi Damiani.
L'unica versione esistente in tutto l'Orbe terracqueo è un rarissimo rip da una vecchissima edizione video australiana in italiano, pubblicata da un'etichetta aussie-italica, per gli emigranti italiani in quel lontano paese. Visione restituitaci oramai dalla qualità terremotata, ma bisogna accontentarsi, in quanto altro proprio non c'è: Il film mi è sempre stato riportato come un qualcosa di definito talmente “irriferibile”, “ultra-weirdo”, incredibile ed ingenuo, nella sua commistione tra melodramma popolare calabrese e poverissimo, fatiscente western di serie Z, che non poteva che essere per me da sempre una visione obbligata ed estremamente attraente. In una parola, certamente un “cultissimo”.
Già a partire dalla trama esso è irresistibile, un western che per la prima metà parte dalla Calabria della seconda metà dell'800, ambientato in Aspromonte come un piccolo melò regionale. Tra i briganti calabresi e il loro codice d'onore, dal quale cerca di liberarsi il buono e umile carrettiere Mico Sarrabanda/Reitano in coppola e baffetti, che a metà del film è costretto a fuggire (come il futuro Don Vito Corleone) e a trasferirsi nientemeno che in Texas, dove diventerà un temuto bounty killer con il cappello da cowboy, ovviamente un Texas che altro non è altro che il solito sgangheratissimo villaggio western nei territori di Manziana, vicino Roma.
Ucciderà anche il temibile bandito Jim il Nero, “stiratore di femmine e vigliacco”, ovviamente ancora con il coltello, che anche lì continuerà a preferire alla colt.
Reitano piacerà molto anche alla messicane, che appena vedutolo lo apostrofano con un “che bel muchacho”.
Tantissime le trovate involontariamente comiche, quali la comunità calabrese di “amici degli amici” che accoglie Reitano in Texas, battute sul razzismo yankee nei riguardi degli immigrati, di questo tenore: “Non bisogna fidarsi di due tipi di uomini, i negri, e gli italiani.”
C'è persino Pedro Sanchez che fa simpaticamente un grosso boss partenopeo dal nome di Don Fifì.
L'israeliana mai più circolata Aliza Adar nei panni di Teresa/Tara è una bella topetta del tipo siculo alla Rosanna Fratello dell'epoca, ma è quasi per nulla pervenuta come interpretazione.
Del film esistono secondo diverse fonti due finali, cioè si dice, perchè il secondo di questi finali non lo ho mai visto, io come chiunque altro, e sarebbe la versione tragica, cioè e rivelando lo Spoiler più importante del film, allorquando l'amatissima Tara/Teresa accoltella a morte Mico Sarrabanda, ovvero il personaggio di Mino, dopo il matrimonio -ovviamente in chiesa- e portando così a compimento un “delitto d'onore” come vendetta per il padre, il terribile megaboss Don Cialormo Pokì/Fortunato Arena, fortuitamente ucciso parecchi anni prima da Mico, che non lo voleva come sposo per la figlia in quanto era un poveraccio.
Anche in questo finale non “idilliaco” e felice, Mino canta comunque e a squarciagola come era suo stile, “in un tripudio di dissolvenze ultrakitsch”(Giusti, cit.) la canzone che dà il titolo al film, “Tara Pokì”.
Purtroppo, il finale uncut originale, sembra oramai irrimediabilmente perduto.
Da una vecchia intervista a Damiani comparsa su Nocturno, e riportata nella scheda del film, anche da Giusti nel suo Dizionario del Western All'italiana, Oscar Mondadori 2007:
“Fu prodotto da un tizio che si chiamava Salvatore Siciliano, un calabrese che stava nel cinema, occupandosi di costruzione e cose del genere: acquistò a Mazzano un teatro di posa e il caso volle, che avendo io girato a Mazzano, questo signore mi fece un'offerta: “Dottò, ci sarebbe da fa' un film con Mino Reitano”. Facciamo questo film! Era ambientato in Calabria, andammo giù e lo girammo... Era una sorta di western, la storia di un ragazzo calabrese che va a finire in America. Se intervistate Mino Reitano vi dirà che abbiamo preceduto Coppola col Padrino...”
“Il film venne girato sì a Taurianova e a Molochio, ma anche a Roma alla Elios. Quando abbiamo girato alla Elios, il direttore un giorno venne da me e mi disse: “Dottore, faccia andare per un attimo Mino Reitano fuori, dove c'è la sbarra, perchè non entra più nessuno...”. Era pieno di gente così, perchè Reitano era un dio, negli anni '70. Quando giravo in Calabria venivano le donne coi bambini in braccio: “Mino toccalo, Mino toccalo!” e lui li toccava davvero, giuro.”
Il film venne per gli esterni girato interamente in Calabria, a Mozzano per gli esterni ambientati nel West(!), e a Molochio e Taurianova per tutte le altre scene. Oltre che nell' agropontino romano per l'ambientazione nel villaggio western.
Il produttore, Salvatore Siciliano, ho letto che aveva degli “studios”, più probabile dei capannoni industriali, proprio lì.
Autori: Mino Reitano (Franco e Mino Reitano), orchestra diretta da M. Salerno
Lato A: La leggenda di Tara Poki
Lato A: E sì...(vado avanti così)
Etichetta : Durium LdA 7717 (1971)
Mico Sarrabanda, il personaggio principale nel 1971 in "Tara Pokì", rimane/diventa Micu Sarabanda nella rarissima serie TV della RAI, chiamata "Calabria mia", girata tre, quattro anni dopo in Aspromonte.
Già nel poster del film di Amasi, Reitano appariva come un ibrido tra un cowboy e un brigante.
Nel film è presente in uno dei suoi ultimi ruoli anche Fulvia Franco, famosa Miss Italia 1948 e bellissima attrice di buone speranze degli anni '50, ed ex moglie di Tiberio Mitri.
Napoleone Wilson
mentre lo vedevo mi davo i pizzicotti, non poteva essere un film così... ho visto di peggio solo coi filmini dei matrimoni :D
RispondiEliminaAh, l'hai visto...?? Grazie del bel trattamento d'impaginazione e dei tanti frame postati.
RispondiEliminaSecondo me, ha dei momenti si potrebbe dire quasi "brechtiani", di straniamento naturalistico.
un poco alla "Palermo oder Wolfsburg"('79) di Werner Schroeter, tanto per capirsi.
Ben esplicati dal lungo fermo immagine del volto di Mino sui binari, simbolizzando l'eterno e ricorrente tema di Reitano, dell'emigrazione.
Paolo, certo che l'ho visto... sul "cultissimo" di Napoleone concordo in pieno. oddio, sul "brechtiano" mi metti in difficoltà sai? e quale paragone faresti sulla corsa al ralenty dei due innamorati nel finale mentre si fanno incontro? e le innumerevoli frasi del "dico non dico" in puro stile 'ndrino come vogliamo catalogarle?
RispondiEliminacome momento di massima catarsi scelgo il funerale con dietro il carretto il solo bambino, denso di dramma e poesia...
Solo il bis italico poteva partorire un calabro-western. Da consegnare ai posteri.
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