Se si vuole capire cos'è il genere splatter-gore bisogna guardare questo film.
Un pazzo, fanatico della dea egizia "Ishtar - madre del sole nero" ( bho??? ) dea dell'amore venerata ai suoi tempi con riti violentissimi, massacra donne giovani, ogni volta asportando parti del corpo che poi serviranno ai suoi riti-banchetti che servono a ridare vita alla dea.
Va be'...
Girato con pochissimi soldi, qualità appena superiore ad un filmino amatoriale, recitazioni insufficienti anche per un porno.
I trucchi invece, con quel sangue da tipografia, per quanto banali visti oggi sono di grande efficacia emotiva e, per l'epoca ed il budget, ben fatti. Proprio come per i porno, se il film fosse stato senza dialoghi ma quasi muto solo con le scene di sangue e violenza e riti, quelle che ne hanno decretato il valore storico, ne avrebbe guadagnato molto.
L'ho guardato con interesse cinefilo perché i film che aprono un filone, qualunque esso sia, m'incuriosiscono.
Blood Feast spiazzò persino la censura, che hai tempi era interamente concentrata su sesso, politica e religione. Dopo questo film, che è uscito con grande successo nelle sale americane completamente ignorato dalle commissioni, ha cominciato ad occuparsi anche della violenza ed il fatidico "V.M." ha cominciato ad aumentare il suo raggio d'azione sugli horror con immagini esplicite.
Un B-movie curioso ed importante, per i motivi detti.
Recensioni di Film, SerieTV e Teatro di ogni genere, epoca e nazione
domenica 28 febbraio 2010
La ballata di Stroszek
Bruno Stroszek esce di prigione a Berlino, torna alla casa che l'amico Scheitz gli ha conservato e ritrova Eva, amica prostituta maltrattatissima dai protettori.
Bruno è un musicista di strada, suona la fisarmonica, ma quello che guadagna è insufficiente, inoltre continua a subire vessazioni, in particolare dai protettori di Eva. Decidono tutti di partire per gli usa, nel Wisconsin vive un parente di Scheitz, c'è la speranza di trovare un mondo senza preconcetti verso di loro, dov'è più facile vivere.
I soldi per il viaggio li procurerà Eva, come sa fare...
Bruno farà il meccanico, Eva farà la cameriera, Scheitz s'arrangerà. Tutto bene fino a quando non finiranno nelle mani delle banche per acquistare una casa prefabbricata, con televisore e frigorifero. I debiti strangoleranno i 3, i sogni svaniranno.
Poetico e malinconico proprio come una di quelle ballate che Bruno andava cantando per strade e cortili. Storia a base di disincanto per un uomo, Bruno, che non ha margini né speranze di trovare spazio nel mondo.
Bellissimo, assolutamente merita la visione.
La solita "prosa" dura ed asciutta di Herzog trova ispirazione proprio nella vita dell'attore stesso, Bruno S., che già aveva scelto per quella meraviglia di film e di storia che è L'enigma di Kaspar Hauser. Il film è dedicato a lui di fatto, l'attore che attore non è interpreta sé stesso, il film è suo, è Lui, praticamente. Fortunatamente il drammatico e splendido finale non è biografico.
Il Pollo Danzante è diventata un'icona di questo film. L'arrivo in quella stranissima sala giochi dove ci sono animali veri che fanno gesta bizzarre è il preludio del finale ma anche, a mio parere, un momento carico di grande metafora.
Quella sensazione di essere una marionetta che obbedisce a regole scritte al di fuori di ogni sistema politico, dettate in realtà da poteri che non conoscono né etica né pietà ogni tanto mi pervade. Mi sento un po' un pollo anch'io, danzo le musiche scelte per me da qualcuno, m'illudo di essere padrone del mio destino che poi, in quei brutti e lucidi momenti di riflessione, mi pare correre su binari già tracciati e non da Qualcuno ma da un Qualcosa, e quelli che tracciano i binari a loro volta, non se ne rendono conto, s'illudono di essere su un binario privilegiato ma sono solo ingranaggi. Curiosa coesistenza circolare di vittima-carnefice per una coesistenza fallace tra esseri umani che non sa auto-correggersi ed invece pare peggiorare con l'avanzare della "civiltà" moderna.
Bruno è rivelatore del sistema e non ne è la sola vittima se non in apparenza. Non ci sono figure vincenti.
Curiosità che ho letto su wiki: Il cantante dei Joy Division Ian Curtis vide questo film prima di togliersi la vita.
Aggiungo che trattasi appunto di curiosità, non c'è alcuna relazione di causa-effetto.
Bruno è un musicista di strada, suona la fisarmonica, ma quello che guadagna è insufficiente, inoltre continua a subire vessazioni, in particolare dai protettori di Eva. Decidono tutti di partire per gli usa, nel Wisconsin vive un parente di Scheitz, c'è la speranza di trovare un mondo senza preconcetti verso di loro, dov'è più facile vivere.
I soldi per il viaggio li procurerà Eva, come sa fare...
Bruno farà il meccanico, Eva farà la cameriera, Scheitz s'arrangerà. Tutto bene fino a quando non finiranno nelle mani delle banche per acquistare una casa prefabbricata, con televisore e frigorifero. I debiti strangoleranno i 3, i sogni svaniranno.
Poetico e malinconico proprio come una di quelle ballate che Bruno andava cantando per strade e cortili. Storia a base di disincanto per un uomo, Bruno, che non ha margini né speranze di trovare spazio nel mondo.
Bellissimo, assolutamente merita la visione.
La solita "prosa" dura ed asciutta di Herzog trova ispirazione proprio nella vita dell'attore stesso, Bruno S., che già aveva scelto per quella meraviglia di film e di storia che è L'enigma di Kaspar Hauser. Il film è dedicato a lui di fatto, l'attore che attore non è interpreta sé stesso, il film è suo, è Lui, praticamente. Fortunatamente il drammatico e splendido finale non è biografico.
Il Pollo Danzante è diventata un'icona di questo film. L'arrivo in quella stranissima sala giochi dove ci sono animali veri che fanno gesta bizzarre è il preludio del finale ma anche, a mio parere, un momento carico di grande metafora.
Quella sensazione di essere una marionetta che obbedisce a regole scritte al di fuori di ogni sistema politico, dettate in realtà da poteri che non conoscono né etica né pietà ogni tanto mi pervade. Mi sento un po' un pollo anch'io, danzo le musiche scelte per me da qualcuno, m'illudo di essere padrone del mio destino che poi, in quei brutti e lucidi momenti di riflessione, mi pare correre su binari già tracciati e non da Qualcuno ma da un Qualcosa, e quelli che tracciano i binari a loro volta, non se ne rendono conto, s'illudono di essere su un binario privilegiato ma sono solo ingranaggi. Curiosa coesistenza circolare di vittima-carnefice per una coesistenza fallace tra esseri umani che non sa auto-correggersi ed invece pare peggiorare con l'avanzare della "civiltà" moderna.
Bruno è rivelatore del sistema e non ne è la sola vittima se non in apparenza. Non ci sono figure vincenti.
Curiosità che ho letto su wiki: Il cantante dei Joy Division Ian Curtis vide questo film prima di togliersi la vita.
Aggiungo che trattasi appunto di curiosità, non c'è alcuna relazione di causa-effetto.
sabato 27 febbraio 2010
Bullet Ballet
Ancora un film dove Shinya fa tutto tranne le musiche (e che musiche quelle di Chu Ishikawa, da cercare!). Ancora un film da brivido. Per il cyberpunk si citano sempre i Tetsuo, ma anche questo lo è secondo me.
Ancora una volta il male di vivere, in una città megalopoli, bagnata come in Snake ma qui più buia e rugginosa, che nasconde dietro la facciata un mondo che nella violenza combatte malessere e solitudine.
Tokyo underground, in bianco-flash e nero-noir, gang di punk e malavita, è il teatro del suicidio di una donna. Goda, il compagno, comincia a vagare i bassifondi alla ricerca d'una pistola per emularla. Un'anima perduta, che si vuole violentare, auto-immolare, trova una ragazza, Chisato, che come lui vive sul filo della morte. Una sfida ad ogni occasione!
Spettacolo di immagini, alcune scene fenomenali. Finale duro, forse con una speranza.
Visione obbligatoria se si ama questo regista davvero Unico.
Ancora una volta il male di vivere, in una città megalopoli, bagnata come in Snake ma qui più buia e rugginosa, che nasconde dietro la facciata un mondo che nella violenza combatte malessere e solitudine.
Tokyo underground, in bianco-flash e nero-noir, gang di punk e malavita, è il teatro del suicidio di una donna. Goda, il compagno, comincia a vagare i bassifondi alla ricerca d'una pistola per emularla. Un'anima perduta, che si vuole violentare, auto-immolare, trova una ragazza, Chisato, che come lui vive sul filo della morte. Una sfida ad ogni occasione!
Spettacolo di immagini, alcune scene fenomenali. Finale duro, forse con una speranza.
Visione obbligatoria se si ama questo regista davvero Unico.
Don Chisciotte
(vedi anche review #2)
L'edizione che ho visto è quella curata da Jess Franco, amico e collaboratore del grandissimo regista. E' un lavoro postumo, uscito in dvd nel 1992 quindi 7 anni dopo la morte di Orson Welles. Da alcuni criticata per certi aspetti, è di fatto la sola versione disponibile da vedere. Ed è davvero DA VEDERE!
20000 metri di pellicola girata da una troupe di 6 persone più i 2 attori protagonisti, opera nata per la televisione (anche la RAI tra i produttori) che mai riuscì ad avere termine, che come lo stesso Welles disse, fece la fine dell'opera di Cervantes, che iniziò volendo scrivere una novella e finì per produrre un monumentale capolavoro.
Prendo da QUI alcune citazioni che desidero rimangano nel mio blog...
"Come ho deciso di girare Don Chisciotte? Avevo cominciato a fare un programma per la televisione di mezz'ora, avevo il denaro giusto per farlo; ma sono caduto così perdutamente innamorato del mio soggetto che l'ho ingrandito via via e ho continuato a girarlo man mano che guadagnavo dei soldi. Si può dire che il film si è ingrandito mentre lo facevo.[...] Il film, nella sua prima forma, era troppo commerciale; esso era concepito per la televisione e io ho dovuto cambiare certe cose per farlo più duro. La cosa più folle è che Don Chisciotte è stato girato da una troupe di sei persone. Mia moglie era sceneggiatrice, l'autista piazzava le lampade, io dirigevo, ero direttore della fotografia e operatore in seconda. E' soltanto attraverso la camera che si può anche avere l'occhio a tutto. [...] Ora il film è veramente terminato. Non mancano che tre settimane circa, per le riprese di qualche piccola cosa. Quello che mi preoccupa è il suo lancio: io so che questo film non piacerà a nessuno. Sarà un film esecrato. Io ho bisogno di ottenere un grande successo prima di metterlo in circolazione. Se The Trial avesse avuto un successo di pubblico come di critica, allora avrei il coraggio di fare uscire il mio Don Chisciotte. Essendo le cose quelle che sono, io non so cosa fare: tutti si metteranno in collera contro questo film". (Orson Welles, 1964)
"Don Chisciotte, le cui riprese sono durate più di venti anni, è stato lasciato volutamente incompiuto da Orson Welles che l'ha girato e fotografato da solo un po' in tutto il mondo, forse in 16 mm, forse in 35 mm (forse alternando il 16 al 35). Il film è interpretato dallo stesso Welles, nel suo proprio ruolo, dalla giovane Patty Mac Cormack (che è forse diventata una madre di famiglia nel frattempo) e soprattutto da Akim Tamiroff che è morto da qualche anno, verosimilmente senza aver terminato il suo ruolo. La ragione che Orson Welles offre per spiegare l'incompletezza del film è la necessità di filmare, per la scena finale, l'esplosione della bomba H che distruggerà tutto e tutti, eccetto Don Chisciotte e Sancho Panza. Si è creato attorno a questo film, attraverso gli anni, una specie di leggenda che non sarebbe sorprendente immaginare che Welles preferisca restarne l'unico spettatore". (François Truffaut, 1978)
In ultimo, cito le parole di Uno al quale noi cinefili italiani dobbiamo molto.
"Se anche i film finiti di Welles sono provvisori e cambiano di copia in copia di paese in paese di censura in censura (come tutti i film, ma Welles ci permette per sempre di dirlo), quasi logicamente i frammenti, i ripensamenti, gli abbozzi e i resti wellesiani, il non-finito per definizione, sembrano invece da anni cristallizzarsi, monumentalizzarsi, riproposti in modo insieme identico e clandestino da festival e convegni grandi e piccoli.
Per il cineasta che ha lasciato la più evidente delle 'code di cometa' ci è parso allora giusto proporre alcuni reperti, assolutizzando un provino muto o la 'sua' voce che esce da una schiena solo intravista, facendo vedere grande , per una sera, ciò che a volte è ormai patrimonio di cassette più o meno degradate amate rubate in giro per il mondo in attesa di improbabili e non si sa quanto auspicabili 'montaggi finali'. E in sala, al buio, per la vostra/nostra moviola mentale, ore di riprese, di prove, di ciak (da Don Chisciotte), con le quali Welles ci manda a dire che - se il last cut è quello del proiezionista - il first cut è o potrà essere un giorno quello dello spettatore." (Enrico Ghezzi)
E' un Don Chisciotte che vive il tempo della Spagna in cui Welles girava. Il film però è stato girato, per le gesta dell'idalgo, el caballero andante, in Messico.
In questa versione lo possiamo dividere in 3 parti: la prima di pure gesta, più fedele al testo anche nelle situazioni, con la scena in cui lotta contro i mulini a vento talmente bella e drammatica da commuovere per la bellezza; la seconda si svolge in Spagna (Siviglia e/o Pamplona direi) dove Sancio Panza cerca il suo cavaliere, travolto dalla modernità, e lo troverà imprigionato su un carro; la terza è il finale, e non si racconta, bello e bravissimo Jess Franco ad essere riuscito, solo col montaggio, a realizzarlo.
Nella parte centrale c'è un momento in cui Welles narratore ci spiega precisamente il perché il suo Don Chisciotte è ambientato in tempi moderni e quanto, sia l'idalgo che il suo scudiero, siano importanti rappresentanti dello spirito di quel paese, la Spagna, che lui ha amato talmente tanto da volere che le sue ceneri vi fossero sparse.
Il film è non solo bellissimo ed interessante, ma molto spesso divertente, a tratti da piegarsi. I 2 attori sono state scelte felicissime: Francisco Reiguera è davvero l'icona dell'idalgo, perfetto fisicamente e nella lirica dizione; Akim Tamiroff un irripetibile e simpaticissimo Sancio Panza, persino più protagonista del suo padrone.
Il Don Chisciotte, del quale ho colpevolmente letto solo un'antologia, merita una lettura completa che prima o poi affronterò e sono grato a Welles d'avermi instillato questa ambizione.
Perché la sua figura di Cavaliere Errante fra i cavalieri erranti mi ispira tanto fascino? Perché è così senza tempo e la sento valida ancora oggi? Forse vorrei vederne di persone così, Pazze e Pure, occuparsi dei pericoli che affliggono la gente sia nelle piccole che nelle grandi cose (i Giganti inquinamento e guerre, i Mulini disoccupazione e povertà, le Macchine Infernali dell'economia che uccide il terzo mondo, ...). Se ce ne fossero mi farei piccolo piccolo come Sancio Panza, pragmatico ed ironico ma devoto, seguirei uno di loro per proteggerlo da un mondo nel quale i nobili sentimenti non trovano più spazio. Saremmo almeno in 2 ad avere un nobile motivo per cui vivere.
Un caloroso abbraccio a Michele, sostenitore recente del blog, che mi ha stimolato l'approfondimento di questo regista da Olimpo.
L'edizione che ho visto è quella curata da Jess Franco, amico e collaboratore del grandissimo regista. E' un lavoro postumo, uscito in dvd nel 1992 quindi 7 anni dopo la morte di Orson Welles. Da alcuni criticata per certi aspetti, è di fatto la sola versione disponibile da vedere. Ed è davvero DA VEDERE!
20000 metri di pellicola girata da una troupe di 6 persone più i 2 attori protagonisti, opera nata per la televisione (anche la RAI tra i produttori) che mai riuscì ad avere termine, che come lo stesso Welles disse, fece la fine dell'opera di Cervantes, che iniziò volendo scrivere una novella e finì per produrre un monumentale capolavoro.
Prendo da QUI alcune citazioni che desidero rimangano nel mio blog...
"Come ho deciso di girare Don Chisciotte? Avevo cominciato a fare un programma per la televisione di mezz'ora, avevo il denaro giusto per farlo; ma sono caduto così perdutamente innamorato del mio soggetto che l'ho ingrandito via via e ho continuato a girarlo man mano che guadagnavo dei soldi. Si può dire che il film si è ingrandito mentre lo facevo.[...] Il film, nella sua prima forma, era troppo commerciale; esso era concepito per la televisione e io ho dovuto cambiare certe cose per farlo più duro. La cosa più folle è che Don Chisciotte è stato girato da una troupe di sei persone. Mia moglie era sceneggiatrice, l'autista piazzava le lampade, io dirigevo, ero direttore della fotografia e operatore in seconda. E' soltanto attraverso la camera che si può anche avere l'occhio a tutto. [...] Ora il film è veramente terminato. Non mancano che tre settimane circa, per le riprese di qualche piccola cosa. Quello che mi preoccupa è il suo lancio: io so che questo film non piacerà a nessuno. Sarà un film esecrato. Io ho bisogno di ottenere un grande successo prima di metterlo in circolazione. Se The Trial avesse avuto un successo di pubblico come di critica, allora avrei il coraggio di fare uscire il mio Don Chisciotte. Essendo le cose quelle che sono, io non so cosa fare: tutti si metteranno in collera contro questo film". (Orson Welles, 1964)
"Don Chisciotte, le cui riprese sono durate più di venti anni, è stato lasciato volutamente incompiuto da Orson Welles che l'ha girato e fotografato da solo un po' in tutto il mondo, forse in 16 mm, forse in 35 mm (forse alternando il 16 al 35). Il film è interpretato dallo stesso Welles, nel suo proprio ruolo, dalla giovane Patty Mac Cormack (che è forse diventata una madre di famiglia nel frattempo) e soprattutto da Akim Tamiroff che è morto da qualche anno, verosimilmente senza aver terminato il suo ruolo. La ragione che Orson Welles offre per spiegare l'incompletezza del film è la necessità di filmare, per la scena finale, l'esplosione della bomba H che distruggerà tutto e tutti, eccetto Don Chisciotte e Sancho Panza. Si è creato attorno a questo film, attraverso gli anni, una specie di leggenda che non sarebbe sorprendente immaginare che Welles preferisca restarne l'unico spettatore". (François Truffaut, 1978)
In ultimo, cito le parole di Uno al quale noi cinefili italiani dobbiamo molto.
"Se anche i film finiti di Welles sono provvisori e cambiano di copia in copia di paese in paese di censura in censura (come tutti i film, ma Welles ci permette per sempre di dirlo), quasi logicamente i frammenti, i ripensamenti, gli abbozzi e i resti wellesiani, il non-finito per definizione, sembrano invece da anni cristallizzarsi, monumentalizzarsi, riproposti in modo insieme identico e clandestino da festival e convegni grandi e piccoli.
Per il cineasta che ha lasciato la più evidente delle 'code di cometa' ci è parso allora giusto proporre alcuni reperti, assolutizzando un provino muto o la 'sua' voce che esce da una schiena solo intravista, facendo vedere grande , per una sera, ciò che a volte è ormai patrimonio di cassette più o meno degradate amate rubate in giro per il mondo in attesa di improbabili e non si sa quanto auspicabili 'montaggi finali'. E in sala, al buio, per la vostra/nostra moviola mentale, ore di riprese, di prove, di ciak (da Don Chisciotte), con le quali Welles ci manda a dire che - se il last cut è quello del proiezionista - il first cut è o potrà essere un giorno quello dello spettatore." (Enrico Ghezzi)
E' un Don Chisciotte che vive il tempo della Spagna in cui Welles girava. Il film però è stato girato, per le gesta dell'idalgo, el caballero andante, in Messico.
In questa versione lo possiamo dividere in 3 parti: la prima di pure gesta, più fedele al testo anche nelle situazioni, con la scena in cui lotta contro i mulini a vento talmente bella e drammatica da commuovere per la bellezza; la seconda si svolge in Spagna (Siviglia e/o Pamplona direi) dove Sancio Panza cerca il suo cavaliere, travolto dalla modernità, e lo troverà imprigionato su un carro; la terza è il finale, e non si racconta, bello e bravissimo Jess Franco ad essere riuscito, solo col montaggio, a realizzarlo.
Nella parte centrale c'è un momento in cui Welles narratore ci spiega precisamente il perché il suo Don Chisciotte è ambientato in tempi moderni e quanto, sia l'idalgo che il suo scudiero, siano importanti rappresentanti dello spirito di quel paese, la Spagna, che lui ha amato talmente tanto da volere che le sue ceneri vi fossero sparse.
Il film è non solo bellissimo ed interessante, ma molto spesso divertente, a tratti da piegarsi. I 2 attori sono state scelte felicissime: Francisco Reiguera è davvero l'icona dell'idalgo, perfetto fisicamente e nella lirica dizione; Akim Tamiroff un irripetibile e simpaticissimo Sancio Panza, persino più protagonista del suo padrone.
Il Don Chisciotte, del quale ho colpevolmente letto solo un'antologia, merita una lettura completa che prima o poi affronterò e sono grato a Welles d'avermi instillato questa ambizione.
Perché la sua figura di Cavaliere Errante fra i cavalieri erranti mi ispira tanto fascino? Perché è così senza tempo e la sento valida ancora oggi? Forse vorrei vederne di persone così, Pazze e Pure, occuparsi dei pericoli che affliggono la gente sia nelle piccole che nelle grandi cose (i Giganti inquinamento e guerre, i Mulini disoccupazione e povertà, le Macchine Infernali dell'economia che uccide il terzo mondo, ...). Se ce ne fossero mi farei piccolo piccolo come Sancio Panza, pragmatico ed ironico ma devoto, seguirei uno di loro per proteggerlo da un mondo nel quale i nobili sentimenti non trovano più spazio. Saremmo almeno in 2 ad avere un nobile motivo per cui vivere.
Un caloroso abbraccio a Michele, sostenitore recente del blog, che mi ha stimolato l'approfondimento di questo regista da Olimpo.
giovedì 25 febbraio 2010
Bring Me the Head of Alfredo Garcia - Voglio la testa di Garcia
Una giovane ragazza non sposata è incinta. Un favore che il padre, un boss messicano, vuole lavato col sangue. Vuole che gli si porti la testa di Alfredo Garcia, il colpevole. Offre una taglia altissima e parte la caccia all'uomo... peccato rivelare la trama.
Uno strano on-the-road in Messico a ritmi western e gusto noir, come solo un maestro del genere western-non-banale poteva fare.
Un mondo statico, deregolato al limite (nonostante i tanti morti mai vedremo un poliziotto!), anacronistico. Personaggi cinici e spietati, persino i fricchettoni peace-and-love lo sono.
Nient'altro da aggiungere. Bellissimo.
Uno strano on-the-road in Messico a ritmi western e gusto noir, come solo un maestro del genere western-non-banale poteva fare.
Un mondo statico, deregolato al limite (nonostante i tanti morti mai vedremo un poliziotto!), anacronistico. Personaggi cinici e spietati, persino i fricchettoni peace-and-love lo sono.
Nient'altro da aggiungere. Bellissimo.
Akasen chitai - La strada della vergogna
Ultimo film del grandissimo regista, premiato a Venezia, duro diretto e preciso sull'argomento e sul messaggio. Uno stile che per una volta sembra voler dimenticare la cura "orientale" per immagini ed espressioni, sembra l'amato realismo italiano degli stessi anni.
Mizoguchi, trasponendo in film il romanzo "Le donne di Susaki", ci racconta di una casa di tolleranza. La vita di 5 donne, tutte con alle spalle situazioni che le costringono a quel mestiere, per vari motivi.
Con le loro storie comprendiamo le situazioni del popolino giapponese, quello che con più fatica di ogni altro cercava di uscire dal primo dopoguerra. E non dico altro. Sono storie drammaticamente meravigliose, o meravigliosamente drammatiche?, non saprei dire. Ve lo lascio godere e decidere...
Sul messaggio, di valore universale, perdonate un'anticipazione che se vogliamo è quasi banale, rasenta lo scontato. Anche il film non ci gira intorno, fin dall'inizio. Nel periodo illustrato, col Giappone ancora sotto il controllo americano (coprifuoco, governo giapponese assoggettato, alcune forzature culturali...), si discuteva in quel paese la messa fuorilegge della prostituzione e questo filo rosso percorre tutta la storia. Le donne giapponesi volevano con forza questa "merlin", ma la legge pur con continui dibattimenti non riusciva a passare.
In breve: che effetti avrebbe ottenuto la legge? E soprattutto: in che modo teneva in considerazione le "donne di vita" ed il loro futuro? Troppo spesso il legislatore non si occupa "eticamente" degli effetti sociali che le leggi "etiche" comportano.
Il film non risponde. Illustra e ritrae magnificamente.
Una cosa è sicurissima: quelle donne non hanno nulla di cui vergognarsi. Se si deve parlare di strada della vergogna, si deve anche avere il coraggio d'individuare i veri destinatari del biasimo.
Bellissimo. Con un finale di condanna superlativo.
Mizoguchi, trasponendo in film il romanzo "Le donne di Susaki", ci racconta di una casa di tolleranza. La vita di 5 donne, tutte con alle spalle situazioni che le costringono a quel mestiere, per vari motivi.
Con le loro storie comprendiamo le situazioni del popolino giapponese, quello che con più fatica di ogni altro cercava di uscire dal primo dopoguerra. E non dico altro. Sono storie drammaticamente meravigliose, o meravigliosamente drammatiche?, non saprei dire. Ve lo lascio godere e decidere...
Sul messaggio, di valore universale, perdonate un'anticipazione che se vogliamo è quasi banale, rasenta lo scontato. Anche il film non ci gira intorno, fin dall'inizio. Nel periodo illustrato, col Giappone ancora sotto il controllo americano (coprifuoco, governo giapponese assoggettato, alcune forzature culturali...), si discuteva in quel paese la messa fuorilegge della prostituzione e questo filo rosso percorre tutta la storia. Le donne giapponesi volevano con forza questa "merlin", ma la legge pur con continui dibattimenti non riusciva a passare.
In breve: che effetti avrebbe ottenuto la legge? E soprattutto: in che modo teneva in considerazione le "donne di vita" ed il loro futuro? Troppo spesso il legislatore non si occupa "eticamente" degli effetti sociali che le leggi "etiche" comportano.
Il film non risponde. Illustra e ritrae magnificamente.
Una cosa è sicurissima: quelle donne non hanno nulla di cui vergognarsi. Se si deve parlare di strada della vergogna, si deve anche avere il coraggio d'individuare i veri destinatari del biasimo.
Bellissimo. Con un finale di condanna superlativo.
martedì 23 febbraio 2010
A Snake of June
Lei giovane e bellissima, Lui il marito attempato, e Snake.
Lei lavora in un centro di assistenza telefonica per depressi, spesso risponde a gente che si vuole suicidare, sfoga nella masturbazione lo stress che accumula al lavoro ed in casa dove non è amata da Lui.
Lui ha manie igieniste, fa le pulizie nei servizi igienici di casa in modo ossessivo.
Snake è un paziente di lei che la individua, pedina, le fa un sacco di foto, usa la macchina come un'arma, immortalandola anche nei solitari amplessi e con queste foto comincia a ricattarla...
In una Tokyo da fantascienza minimal, in cui piove a dirotto perché quello è il mese che piove, si consuma una storia a tre complessa e scabrosa, ma è una città che non guarda, se non quando è rintanata in luoghi appositamente adibiti. L'acqua che arriva a folate e si ferma come la passione dei personaggi, il dolore e l'ansia intervallati da brevi momenti di calma. Fiumi d'acqua che non pulisce, è solo scorrere, un senso d'ineluttabile ti permea, amplificato da quel bianco e blu, un falso bianco e nero, più livido e tramortente. Le architetture a linee nette, tracciate e dure nella definizione.
Il ricatto ti chiede di fare cose che desideri fare, non ti lascia scampo ed è più terribile compiere un desiderio intimo in pubblico, desiderio pur reale, che chiedere una cosa che non ti appartiene. La forzatura agisce nelle azioni che già sono tue, solo le decontestualizza e così facendo demolisce la tua dignità morale.
Shinya cyberpunk-izza l'eros stavolta, la carne, malata nella mente e nelle cellule. La malattia, una parola che nella filosofia orientale ha conservato il significato che aveva in origine anche in quella greco-occidentale, non è patologia del corpo bensì una sua disarmonia complessiva: nel corpo, nella mente e in quel misterioso meccanismo che lega queste 2 entità altrimenti disgiunte che si chiama Vita Senziente, una specie di Propiocezione che va dalle articolazioni fino ai gangli più remoti.
Malattia è quindi sinonimo più esteso di sofferenza.
Al solito questo Mostro del Cinema, factotum, firma tutto ciò che è possibile fare: sceneggiatura, regia, montaggio ecc..., ed anche l'interpretazione di Snake, uno dei tre personaggi. Un Grande!
Riprese a molteplici velocità, dai quasi-fermo immagine a ritmi da tecno-rave incredibili. Musiche che passano dai rumori industriali al jazz alla classica, straordinaria quest'ultima nel catartico finale.
Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia.
Assolutamente da vedere.
Lei lavora in un centro di assistenza telefonica per depressi, spesso risponde a gente che si vuole suicidare, sfoga nella masturbazione lo stress che accumula al lavoro ed in casa dove non è amata da Lui.
Lui ha manie igieniste, fa le pulizie nei servizi igienici di casa in modo ossessivo.
Snake è un paziente di lei che la individua, pedina, le fa un sacco di foto, usa la macchina come un'arma, immortalandola anche nei solitari amplessi e con queste foto comincia a ricattarla...
In una Tokyo da fantascienza minimal, in cui piove a dirotto perché quello è il mese che piove, si consuma una storia a tre complessa e scabrosa, ma è una città che non guarda, se non quando è rintanata in luoghi appositamente adibiti. L'acqua che arriva a folate e si ferma come la passione dei personaggi, il dolore e l'ansia intervallati da brevi momenti di calma. Fiumi d'acqua che non pulisce, è solo scorrere, un senso d'ineluttabile ti permea, amplificato da quel bianco e blu, un falso bianco e nero, più livido e tramortente. Le architetture a linee nette, tracciate e dure nella definizione.
Il ricatto ti chiede di fare cose che desideri fare, non ti lascia scampo ed è più terribile compiere un desiderio intimo in pubblico, desiderio pur reale, che chiedere una cosa che non ti appartiene. La forzatura agisce nelle azioni che già sono tue, solo le decontestualizza e così facendo demolisce la tua dignità morale.
Shinya cyberpunk-izza l'eros stavolta, la carne, malata nella mente e nelle cellule. La malattia, una parola che nella filosofia orientale ha conservato il significato che aveva in origine anche in quella greco-occidentale, non è patologia del corpo bensì una sua disarmonia complessiva: nel corpo, nella mente e in quel misterioso meccanismo che lega queste 2 entità altrimenti disgiunte che si chiama Vita Senziente, una specie di Propiocezione che va dalle articolazioni fino ai gangli più remoti.
Malattia è quindi sinonimo più esteso di sofferenza.
Al solito questo Mostro del Cinema, factotum, firma tutto ciò che è possibile fare: sceneggiatura, regia, montaggio ecc..., ed anche l'interpretazione di Snake, uno dei tre personaggi. Un Grande!
Riprese a molteplici velocità, dai quasi-fermo immagine a ritmi da tecno-rave incredibili. Musiche che passano dai rumori industriali al jazz alla classica, straordinaria quest'ultima nel catartico finale.
Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia.
Assolutamente da vedere.
lunedì 22 febbraio 2010
Gli Ultimi
Girato a Coderno (UD) con gli stessi abitanti del luogo, tratto da un racconto autobiografico di un prete "illuminista", David Maria Turoldo,
domenica 21 febbraio 2010
The Magnificent Ambersons - L'orgoglio degli Amberson
Una famiglia, gli Amberson, a fine '800 all'apice della prosperità, in america. Un unico figlio viziatissimo ed incorreggibile. Prima la morte del padre, poi il correre dietro a voci di paese, fomentate dalla zia gelosa che la madre sia il solo amore di Morgan, un industriale delle auto di grande successo, portano il figlio, che già non aveva fatto nulla per acquisire capacità professionali, a distruggere ogni possibile nuova speranza causa la sua possessività.
In un mondo che è cambiato senza che lui nemmeno se ne accorgesse, il ragazzo ormai uomo deve gettarsi nella mischia, lavorare...
Che splendida lettura del romanzo "The Magnificent Ambersons" che lo stesso Welles ci presenta negli, anch'essi raccontati ed illustrati, titoli di coda. Particolare e persino comica, molto ironica sulla vita delle persone, le loro ambizioni, le mode, l'inizio del film, una sorta di "presentazione" dell'epoca che vivevano i protagonisti. Poi la storia, inizialmente una specie di commedia, diventa sempre più cupa, con gli intrighi, le scomparse, le esistenzialiste domande che si pongono i protagonisti.
Recitazioni di gusto teatrale, tempi e riprese di un già grande Orson Welles solo al suo secondo film.
La versione originale, chissà che bellezza doveva essere, era di 131 minuti, sicuramente la storia sarebbe stata eviscerata con maggior dettaglio. E' introvabile, ma anche questa, quella che è rimasta ai grandi tagli, di 88 minuti, rimane un pezzo di Storia del Cinema.
Assolutamente da vedere.
In un mondo che è cambiato senza che lui nemmeno se ne accorgesse, il ragazzo ormai uomo deve gettarsi nella mischia, lavorare...
Che splendida lettura del romanzo "The Magnificent Ambersons" che lo stesso Welles ci presenta negli, anch'essi raccontati ed illustrati, titoli di coda. Particolare e persino comica, molto ironica sulla vita delle persone, le loro ambizioni, le mode, l'inizio del film, una sorta di "presentazione" dell'epoca che vivevano i protagonisti. Poi la storia, inizialmente una specie di commedia, diventa sempre più cupa, con gli intrighi, le scomparse, le esistenzialiste domande che si pongono i protagonisti.
Recitazioni di gusto teatrale, tempi e riprese di un già grande Orson Welles solo al suo secondo film.
La versione originale, chissà che bellezza doveva essere, era di 131 minuti, sicuramente la storia sarebbe stata eviscerata con maggior dettaglio. E' introvabile, ma anche questa, quella che è rimasta ai grandi tagli, di 88 minuti, rimane un pezzo di Storia del Cinema.
Assolutamente da vedere.
Agora
L'Agorà era la piazza, termine di note origini greche, quelle origini che l'occidente ha dimenticato. Ad Alessandria, nel 391 d.c., si viveva una situazione di straordinario fermento intellettuale e religiosamente ecumenico, fino a quando un manipolo di fanatici cristiani guidati dal vescovo Teofilo non alza i toni del dibattito, che si accende al punto tale da coalizzare ebrei e cristiani in una sanguinosa battaglia contro i pagani. Dovranno abbandonare la loro Biblioteca-Tempio, la più grande biblioteca di tutti i tempi, che verrà distrutta...
Alla morte di Teofilo gli succede, autoproclamatosi, Cirillo (tutt'ora uno dei santi venerati dal cattolicesimo). Ancora più estremista e fanatico del predecessore, in realtà mira ad un potere secolare totale. Anzitutto persegue gli Ebrei. Dopo un periodo di calma torna a scorrere sangue a fiumi. Poi s'impone sul governo della città, non più supportato a dovere da un impero romano diviso. Esige che tutti si battezzino e non soddisfatto, siccome il prefetto ed un vescovo di città vicina erano ex allievi di una filosofa matematica pagana, Ipazia, esige la lapidazione di quest'ultima...
Ipazia è la grande protagonista. Di lei purtroppo si sa poco ed il film, scritto e diretto da Alejandro, si basa sui pochi frammenti certi della sua vita e soprattutto delle sue opere, sia come filosofa che come astronoma e matematica. Appassionata insegnante, sia coi bambini che con adulti. E' una figura di grande bellezza intellettuale, mente aperta, razionale, con un gusto innato per la scoperta scientifica, priva d'ogni pregiudizio, religione o superstizione. Ve la lascio godere tutta, nel film è illustrata benissimo ed interpretata alla grande da una splendida, in tutti i sensi, Rachel Weisz.
Kolossal di grande impegno anche economico, ricostruzioni ambientali e di costume che non saprei giudicare storicamente ma di bellezza assoluta. La maestria indiscutibile di Alejandro Amenábar al servizio di un film storico, cosa volere di più? Quasi da Olimpo. Grande annata il 2009.
Non posso esimermi dal fare le mie solite speculazioni sul tema.
Lasciamo perdere le facili condanne sull'operato di Teofilo prima e soprattutto di Cirillo dopo, anche se il fatto che sia stato santificato un tale spregevole personaggio fa scattare facilmente le ire. Anche infierire sulle religioni OmoTeiste sarebbe come sparare sulla croce rossa, come si dice. Il film poi è eloquente, non occorrono commenti a riguardo.
In un momento del film, non dico quale, il viso in primo piano di Ipazia e quello che stava dicendo mi hanno incantato. Era già in grave pericolo di vita ma il suo affanno a risolvere un arcano riguardante il movimento dei pianeti l'assorbiva totalmente, conferendole una grazia ed una gioia che inizialmente spaventano, ma poi le si comprende, se si vuole.
Perché ti preoccupi di queste cose in questo momento? Gli chiede Oreste. E perché no? Sembra dirgli.
Se anche il mondo è pieni di orrori e sofferenze - adesso sono io robydick che parlo - non bisogna occuparsi dei grandi problemi della Scienza? Le sofferenze sono ineluttabili, gli orrori purtroppo anche, allora forse una grande soluzione, parziale ma importante perché innalza l'uomo sull'animale-uomo, è proprio la passione intellettuale, la capacità nonostante tutto di portare avanti un progresso. E' un dovere e le persone che hanno la capacità ed il talento di Ipazia dovremmo curarle come beni preziosissimi per tutti.
La storia invece è colma di intellettuali massacrati, qui poi parliamo di una donna, persona ancora più fragile solo perché gli uomini le hanno rese tali dai tempi dei tempi.
Fortunatamente oggi non è più così.... Già. Infatti questo film non si sa nemmeno se uscirà in Italia, bisogna andare all'estero per vederselo. Pare forse che la situazione s'è sbloccata e ad Aprile sarà disponibile, ma non illudiamoci: qualche lavoro di cutter sarà operato.
Alla morte di Teofilo gli succede, autoproclamatosi, Cirillo (tutt'ora uno dei santi venerati dal cattolicesimo). Ancora più estremista e fanatico del predecessore, in realtà mira ad un potere secolare totale. Anzitutto persegue gli Ebrei. Dopo un periodo di calma torna a scorrere sangue a fiumi. Poi s'impone sul governo della città, non più supportato a dovere da un impero romano diviso. Esige che tutti si battezzino e non soddisfatto, siccome il prefetto ed un vescovo di città vicina erano ex allievi di una filosofa matematica pagana, Ipazia, esige la lapidazione di quest'ultima...
Ipazia è la grande protagonista. Di lei purtroppo si sa poco ed il film, scritto e diretto da Alejandro, si basa sui pochi frammenti certi della sua vita e soprattutto delle sue opere, sia come filosofa che come astronoma e matematica. Appassionata insegnante, sia coi bambini che con adulti. E' una figura di grande bellezza intellettuale, mente aperta, razionale, con un gusto innato per la scoperta scientifica, priva d'ogni pregiudizio, religione o superstizione. Ve la lascio godere tutta, nel film è illustrata benissimo ed interpretata alla grande da una splendida, in tutti i sensi, Rachel Weisz.
Kolossal di grande impegno anche economico, ricostruzioni ambientali e di costume che non saprei giudicare storicamente ma di bellezza assoluta. La maestria indiscutibile di Alejandro Amenábar al servizio di un film storico, cosa volere di più? Quasi da Olimpo. Grande annata il 2009.
Non posso esimermi dal fare le mie solite speculazioni sul tema.
Lasciamo perdere le facili condanne sull'operato di Teofilo prima e soprattutto di Cirillo dopo, anche se il fatto che sia stato santificato un tale spregevole personaggio fa scattare facilmente le ire. Anche infierire sulle religioni OmoTeiste sarebbe come sparare sulla croce rossa, come si dice. Il film poi è eloquente, non occorrono commenti a riguardo.
In un momento del film, non dico quale, il viso in primo piano di Ipazia e quello che stava dicendo mi hanno incantato. Era già in grave pericolo di vita ma il suo affanno a risolvere un arcano riguardante il movimento dei pianeti l'assorbiva totalmente, conferendole una grazia ed una gioia che inizialmente spaventano, ma poi le si comprende, se si vuole.
Perché ti preoccupi di queste cose in questo momento? Gli chiede Oreste. E perché no? Sembra dirgli.
Se anche il mondo è pieni di orrori e sofferenze - adesso sono io robydick che parlo - non bisogna occuparsi dei grandi problemi della Scienza? Le sofferenze sono ineluttabili, gli orrori purtroppo anche, allora forse una grande soluzione, parziale ma importante perché innalza l'uomo sull'animale-uomo, è proprio la passione intellettuale, la capacità nonostante tutto di portare avanti un progresso. E' un dovere e le persone che hanno la capacità ed il talento di Ipazia dovremmo curarle come beni preziosissimi per tutti.
La storia invece è colma di intellettuali massacrati, qui poi parliamo di una donna, persona ancora più fragile solo perché gli uomini le hanno rese tali dai tempi dei tempi.
Fortunatamente oggi non è più così.... Già. Infatti questo film non si sa nemmeno se uscirà in Italia, bisogna andare all'estero per vederselo. Pare forse che la situazione s'è sbloccata e ad Aprile sarà disponibile, ma non illudiamoci: qualche lavoro di cutter sarà operato.
Invictus (aka The Human Factor)
11 Febbraio 1990 Mandela viene scarcerato, dopo 27 anni di cella 3x3 e lavori forzati. Alle prime elezioni aperte a tutti viene immediatamente eletto presidente del Sud Africa.
Il suo sarà un'estenuante e difficilissimo lavoro improntato alla compassione, al perdono ed alla riconciliazione, senza trascurare alcun dettaglio.
Nel 1995 si terranno i mondiali di rugby proprio in quel paese, dove è sport nazionale e purtroppo la squadra, chiamata Springboks, è considerata dai neri un simbolo dell'apartheid, per il suo inno, i colori della maglia, i giocatori tutti bianchi, al punto d'averci sempre tifato contro. La squadra tra l'altro, a un anno dalla manifestazione, dà segni di scarsissima forma sia tecnica che fisica...
Mandela va oltre, e la sua umanità ed intelligenza, anche politica, gli fanno comprendere che invece quei mondiali e quella squadra sono una grandissima occasione per unire tutto il popolo sudafricano. Dovrà affrontare le grandi perplessità della popolazione nera. Studierà il rugby, imparerà a memoria visi e nomi di ogni singolo giocatore, creerà un rapporto di profondo e reciproco rispetto col capitano carismatico della squadra, François Pienaar, il quale comprenderà profondamente le reali intenzioni di Mandela e la missione che gli ha affidato...
Quella di Mandela è una lezione di Leadership nel senso più alto del termine, intraducibile in italiano.
Quella di Pienaar una lezione di umiltà e coraggio, degno del suo presidente.
Fantastici i momenti che la squadra, su espressa richiesta del presidente, girerà l'intero paese, in particolare le zone più povere abitate dai neri, e poi quando, durante un allenamento, i giocatori con mogli e fidanzate verranno portati a visitare il durissimo carcere di Robben Island, una "alcatraz" al largo di Città del Capo, ora memoriale visitato da molti, con la cella di Mandela perfettamente "restaurata" come in origine.
Impressionanti, imponenti, le scene di rugby, 30 minuti di "finale sulla finale", del torneo mondiale, tra gli Springboks e i neozelandesi All Blacks, la squadra più forte di tutti i tempi, fantastico per tutto! Lo Human Factor "illustrato in azione", con una cura nelle riprese, nell'audio che solo un grandissimo regista poteva rappresentare.
Gli aggettivi non si sprecano per un film così pregno, per qualità, per la meravigliosa Storia Vera rappresentata. Le interpretazioni di Matt Damon e di Morgan Freeman sono perfette.
Capolavoro che solo per poco sfiora l'Olimpo. Clint Eastwood è invece da Olimpo! Al solito, non fa sconti ad alcuna debolezza od aberrazione umana, ma qua la Storia gli impone un grande finale e lui lo esalta senza retorica od eccessiva enfasi: i fatti ne avevano di per sé senza bisogno di eccessi cinematografici.
Note:
- La sceneggiatura deriva dal libro "Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation" di John Carlin.
- Il bellissimo titolo "The Human Factor" è stato dato durante le riprese, poi cambiato in Invictus prima del rilascio.
- Tema sonoro originale, splendide canzoni, curate anche da Kyle Eastwood, figlio di Clint.
- Jonah Lomu , famosissimo, bravissimo e potentissimo giocatore d'origine Maori di allora, non ha potuto partecipare per un Cameo che sarebbe stato storico, per motivi purtroppo comprensibili, ma è stato degnamente rappresentato da Isaac Feau'nati che con lui condivide struttura fisica ed origini. Forze della natura.
Ho sicuramente dimenticato di dire qualcosa, meglio così.
Per concludere... Invictus è un bellissimo poema del poeta inglese William Ernest Henley, che molto incoraggiò Mandela durante la prigionia, e che lo stesso riscrisse a memoria, di proprio pugno, per darlo al capitano della squadra come incoraggiamento.
E' stupendo!
Il suo sarà un'estenuante e difficilissimo lavoro improntato alla compassione, al perdono ed alla riconciliazione, senza trascurare alcun dettaglio.
Nel 1995 si terranno i mondiali di rugby proprio in quel paese, dove è sport nazionale e purtroppo la squadra, chiamata Springboks, è considerata dai neri un simbolo dell'apartheid, per il suo inno, i colori della maglia, i giocatori tutti bianchi, al punto d'averci sempre tifato contro. La squadra tra l'altro, a un anno dalla manifestazione, dà segni di scarsissima forma sia tecnica che fisica...
Mandela va oltre, e la sua umanità ed intelligenza, anche politica, gli fanno comprendere che invece quei mondiali e quella squadra sono una grandissima occasione per unire tutto il popolo sudafricano. Dovrà affrontare le grandi perplessità della popolazione nera. Studierà il rugby, imparerà a memoria visi e nomi di ogni singolo giocatore, creerà un rapporto di profondo e reciproco rispetto col capitano carismatico della squadra, François Pienaar, il quale comprenderà profondamente le reali intenzioni di Mandela e la missione che gli ha affidato...
Quella di Mandela è una lezione di Leadership nel senso più alto del termine, intraducibile in italiano.
Quella di Pienaar una lezione di umiltà e coraggio, degno del suo presidente.
Fantastici i momenti che la squadra, su espressa richiesta del presidente, girerà l'intero paese, in particolare le zone più povere abitate dai neri, e poi quando, durante un allenamento, i giocatori con mogli e fidanzate verranno portati a visitare il durissimo carcere di Robben Island, una "alcatraz" al largo di Città del Capo, ora memoriale visitato da molti, con la cella di Mandela perfettamente "restaurata" come in origine.
Impressionanti, imponenti, le scene di rugby, 30 minuti di "finale sulla finale", del torneo mondiale, tra gli Springboks e i neozelandesi All Blacks, la squadra più forte di tutti i tempi, fantastico per tutto! Lo Human Factor "illustrato in azione", con una cura nelle riprese, nell'audio che solo un grandissimo regista poteva rappresentare.
Gli aggettivi non si sprecano per un film così pregno, per qualità, per la meravigliosa Storia Vera rappresentata. Le interpretazioni di Matt Damon e di Morgan Freeman sono perfette.
Capolavoro che solo per poco sfiora l'Olimpo. Clint Eastwood è invece da Olimpo! Al solito, non fa sconti ad alcuna debolezza od aberrazione umana, ma qua la Storia gli impone un grande finale e lui lo esalta senza retorica od eccessiva enfasi: i fatti ne avevano di per sé senza bisogno di eccessi cinematografici.
Note:
- La sceneggiatura deriva dal libro "Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation" di John Carlin.
- Il bellissimo titolo "The Human Factor" è stato dato durante le riprese, poi cambiato in Invictus prima del rilascio.
- Tema sonoro originale, splendide canzoni, curate anche da Kyle Eastwood, figlio di Clint.
- Jonah Lomu , famosissimo, bravissimo e potentissimo giocatore d'origine Maori di allora, non ha potuto partecipare per un Cameo che sarebbe stato storico, per motivi purtroppo comprensibili, ma è stato degnamente rappresentato da Isaac Feau'nati che con lui condivide struttura fisica ed origini. Forze della natura.
Ho sicuramente dimenticato di dire qualcosa, meglio così.
Per concludere... Invictus è un bellissimo poema del poeta inglese William Ernest Henley, che molto incoraggiò Mandela durante la prigionia, e che lo stesso riscrisse a memoria, di proprio pugno, per darlo al capitano della squadra come incoraggiamento.
E' stupendo!
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
There Will Be Blood - Il petroliere
Storia tratta dal romanzo "Oil!" di Upton Sinclair, biograficamente ispirato alla vita di Edward L. Doheny.
Nel film si chiama Daniel Plainview. E' un cercatore d'argento che arriva, con non poca malizia e cinismo, a diventare un potente del petrolio, quello pescato direttamente in america. Gli albori di un'industria molto importante.
Daniel, abile imbonitore di contadini ai quali chiedere la terra, troverà ad un certo punto il giacimento che farà la sua fortuna. Troverà al contempo un ambizioso predicatore, figlio di uno dei proprietari, che cercherà in ogni modo di fare affare con lui, sfruttando anche l'influenza sui fedeli che trasforma in seguaci...
Tutto benissimo, ma proprio quando il successo comincia ad arridere il figlio, per un incidente ad un pozzo, rimane sordo ed in seguito, causa comportamenti strani, Daniel lo allontanerà in un istituto.
Sarà il momento chiave, da lì in poi tutta la sua natura emergerà, e nemmeno la nasconderà. Una misantropia terribile...
E' una storia narrata in modo epico, come un grande western. Ho scelto quella locandina perché ne rappresenta al meglio i colori: deserto, nero di petrolio ovunque, fumo.
Il film è molto lungo, ed ha un inizio ed un finale corposi e determinanti. L'inizio, senza alcun dialogo, ci parla del Daniel minatore, l'irrefrenabile ambizione. Davvero potente nella comunicazione, si è totalmente concentrati su quest'uomo solo e determinato.
I finali saranno ben due. Uno col figlio che renderà ancora più impressionante il carattere e la tempra di Daniel. Un altro col predicatore, una terribile resa dei conti tra loro.
Mai visto un simile ritratto di questo aspetto della storia americana, m'è venuto alla mente più volte il romanzo "La lettera scarlatta", che mi sconvolse per le stesse ragioni. Qua si illustrano in modo impietoso aspetti che sono capisaldi di quella nazione ancora oggi: il capitalismo sfrenato anzitutto e poi la fede, non di rado estremista, in dio. Sono entrambe fonti di grande potere e nella storia le vediamo combattersi e collaborare insieme. Straordinaria ed emblematica situazione.
Hawthorn spiegava che la civiltà arrivava quando in un paese comparivano una chiesa, un cimitero, un municipio ed un carcere. Se fosse vissuto nei primi del '900 nell'Ovest avrebbe aggiunto anche la torre di trivellazione probabilmente.
Sentita e fortissima l'interpretazione di Daniel da parte di Daniel Day-Lewis, sempre presente in ogni momento del film, da encomio solenne.
Grandissimo film davvero, da non perdere.
Nel film si chiama Daniel Plainview. E' un cercatore d'argento che arriva, con non poca malizia e cinismo, a diventare un potente del petrolio, quello pescato direttamente in america. Gli albori di un'industria molto importante.
Daniel, abile imbonitore di contadini ai quali chiedere la terra, troverà ad un certo punto il giacimento che farà la sua fortuna. Troverà al contempo un ambizioso predicatore, figlio di uno dei proprietari, che cercherà in ogni modo di fare affare con lui, sfruttando anche l'influenza sui fedeli che trasforma in seguaci...
Tutto benissimo, ma proprio quando il successo comincia ad arridere il figlio, per un incidente ad un pozzo, rimane sordo ed in seguito, causa comportamenti strani, Daniel lo allontanerà in un istituto.
Sarà il momento chiave, da lì in poi tutta la sua natura emergerà, e nemmeno la nasconderà. Una misantropia terribile...
E' una storia narrata in modo epico, come un grande western. Ho scelto quella locandina perché ne rappresenta al meglio i colori: deserto, nero di petrolio ovunque, fumo.
Il film è molto lungo, ed ha un inizio ed un finale corposi e determinanti. L'inizio, senza alcun dialogo, ci parla del Daniel minatore, l'irrefrenabile ambizione. Davvero potente nella comunicazione, si è totalmente concentrati su quest'uomo solo e determinato.
I finali saranno ben due. Uno col figlio che renderà ancora più impressionante il carattere e la tempra di Daniel. Un altro col predicatore, una terribile resa dei conti tra loro.
Mai visto un simile ritratto di questo aspetto della storia americana, m'è venuto alla mente più volte il romanzo "La lettera scarlatta", che mi sconvolse per le stesse ragioni. Qua si illustrano in modo impietoso aspetti che sono capisaldi di quella nazione ancora oggi: il capitalismo sfrenato anzitutto e poi la fede, non di rado estremista, in dio. Sono entrambe fonti di grande potere e nella storia le vediamo combattersi e collaborare insieme. Straordinaria ed emblematica situazione.
Hawthorn spiegava che la civiltà arrivava quando in un paese comparivano una chiesa, un cimitero, un municipio ed un carcere. Se fosse vissuto nei primi del '900 nell'Ovest avrebbe aggiunto anche la torre di trivellazione probabilmente.
Sentita e fortissima l'interpretazione di Daniel da parte di Daniel Day-Lewis, sempre presente in ogni momento del film, da encomio solenne.
Grandissimo film davvero, da non perdere.
sabato 20 febbraio 2010
The Collector
Dopo Il Grande Silenzio niente di meglio che un horror sanguinolento e sbudelloso. Un po' come passare dalla classica all'heavy metal e non si pensi che non c'entrino fra di loro, prova ne è che i pezzi dei Metallica sono stati suonati anche da gruppi di archi.
Un operaio che ha lavorato in una casa ci torna la sera per compiere un furto. La famiglia doveva essere partita per una vacanza, invece sono tutti lì, in compagnia di un sadico con strane manie collezioniste come poi si capirà.
Film di intrattenimento nel terrore puro. Il messaggio è: impressionare. E ci riesce bene, le scariche arrivano forti. Pochissimo il tempo che tipicamente questi film perdono negli incipit: si arriva quasi subito al dunque...
Il collezionista affascinato dai ragni ne emula il metodo, costruendo trappole a non finire innescabili da fili quasi invisibili. Tutte truci, qualcuna davvero geniale. Come torture ci siamo, ma il pezzo forte sono le micidiali trappole degne d'un ingegnere.
Niente male davvero!
Ottimo per una serata di svago in allegria. Probabili sequel a giudicare dal finale.
Grazie a vitone, ormai mio esperto di fiducia del genere.
Bugiardino:
- aracnofobici (io lo sono un po'): evitatelo o siate prudenti in qualche momento, qualche "ragnetto" può infastidire, ma poca roba.
- cardiopatici: preparare un thermos di camomilla da tenere affianco, interrompere la proiezione quando occorre per prendere fiato.
- cibo consigliato durante la visione: battuto di carne cruda tritata al coltello con aromi, assolutamente non mettere limone o aceto nel condirla, e barbera invecchiato, per una serata all'insegna dell'astigiano.
Un operaio che ha lavorato in una casa ci torna la sera per compiere un furto. La famiglia doveva essere partita per una vacanza, invece sono tutti lì, in compagnia di un sadico con strane manie collezioniste come poi si capirà.
Film di intrattenimento nel terrore puro. Il messaggio è: impressionare. E ci riesce bene, le scariche arrivano forti. Pochissimo il tempo che tipicamente questi film perdono negli incipit: si arriva quasi subito al dunque...
Il collezionista affascinato dai ragni ne emula il metodo, costruendo trappole a non finire innescabili da fili quasi invisibili. Tutte truci, qualcuna davvero geniale. Come torture ci siamo, ma il pezzo forte sono le micidiali trappole degne d'un ingegnere.
Niente male davvero!
Ottimo per una serata di svago in allegria. Probabili sequel a giudicare dal finale.
Grazie a vitone, ormai mio esperto di fiducia del genere.
Bugiardino:
- aracnofobici (io lo sono un po'): evitatelo o siate prudenti in qualche momento, qualche "ragnetto" può infastidire, ma poca roba.
- cardiopatici: preparare un thermos di camomilla da tenere affianco, interrompere la proiezione quando occorre per prendere fiato.
- cibo consigliato durante la visione: battuto di carne cruda tritata al coltello con aromi, assolutamente non mettere limone o aceto nel condirla, e barbera invecchiato, per una serata all'insegna dell'astigiano.
venerdì 19 febbraio 2010
Das Kabinett des Dr. Caligari - Il gabinetto del dottor Caligari
E' un film storicamente molto importante, ne riporto un pezzo dalla pagina Wiki che mi ha stimolato a vederlo:
"Il gabinetto del dottor Caligari fu il film simbolo dell'espressionismo, quello in cui si ritrovano tutte le caratteristiche fondamentali del movimento. Quando venne girato, nel 1919, l'espressionismo nell'arte era già un movimento noto e conosciuto, per cui il film ne segnò l'apoteosi, aprendo una nuova strada anche nella cinematografia.
[...] quello che scuote lo spettatore è la caratterizzazione delle inquadrature, girate in scenografie allucinate dalla geometria non euclidea, con spigoli appuntiti, ombre minacciose, strade serpentine che diventano vicoli ciechi. I personaggi recitano col volto pesantemente truccato, in particolare il sonnambulo, che ha gli occhi cerchiati di nero. Il mondo distorto è quello della mente malata di Franz e riecheggia le opere di Kirchner, ma anche le scenografie futuriste di Enrico Prampolini in Thaïs."
Sono d'accordissimo. Aggiungo solo qualche sensazione, trama no...
Ho visto la versione restaurata nel 1996 e finalmente con i cartelli in italiano. Fatte le dovute considerazioni visto l'anno di produzione, la capacità di girare certe scene, tutto fatto in modo palese in studio, con quelle scenografie, come descritto in wiki, è stupefacente.
Ma quello che lascia davvero di stucco è la modernissima dipanatura della trama, con un finale che ribalta i ruoli dei personaggi nel finale, credo di poter dire che per i tempi dev'essere stata una cosa unica.
Quello che wiki non dice è che questo ribaltamento potrebbe essere reale, ma anche no. A me è rimasto un dubbio, del doppio ribaltamento, che mi fa pensare che questo sia uno dei finali più belli della storia del Cinema.
Molto curiosa una cosa: alcuni personaggi di autorità, soprattutto il segretario, hanno scrivanie e sgabelli altissimi dove lavorano, un espediente palese per esaltarne il ruolo ed ancora oggi usato da molti, in ambito lavorativo, per definire gerarchie. Sedia alta del dirigente, bassa per l'ospite. Ugo Fantozzi, ma prima di lui e meglio ancora il mitico Giandomenico Fracchia seduto sul puff, ce ne diedero lezioni memorabili. E' stato troppo divertente notarlo.
"Il gabinetto del dottor Caligari fu il film simbolo dell'espressionismo, quello in cui si ritrovano tutte le caratteristiche fondamentali del movimento. Quando venne girato, nel 1919, l'espressionismo nell'arte era già un movimento noto e conosciuto, per cui il film ne segnò l'apoteosi, aprendo una nuova strada anche nella cinematografia.
[...] quello che scuote lo spettatore è la caratterizzazione delle inquadrature, girate in scenografie allucinate dalla geometria non euclidea, con spigoli appuntiti, ombre minacciose, strade serpentine che diventano vicoli ciechi. I personaggi recitano col volto pesantemente truccato, in particolare il sonnambulo, che ha gli occhi cerchiati di nero. Il mondo distorto è quello della mente malata di Franz e riecheggia le opere di Kirchner, ma anche le scenografie futuriste di Enrico Prampolini in Thaïs."
Sono d'accordissimo. Aggiungo solo qualche sensazione, trama no...
Ho visto la versione restaurata nel 1996 e finalmente con i cartelli in italiano. Fatte le dovute considerazioni visto l'anno di produzione, la capacità di girare certe scene, tutto fatto in modo palese in studio, con quelle scenografie, come descritto in wiki, è stupefacente.
Ma quello che lascia davvero di stucco è la modernissima dipanatura della trama, con un finale che ribalta i ruoli dei personaggi nel finale, credo di poter dire che per i tempi dev'essere stata una cosa unica.
Quello che wiki non dice è che questo ribaltamento potrebbe essere reale, ma anche no. A me è rimasto un dubbio, del doppio ribaltamento, che mi fa pensare che questo sia uno dei finali più belli della storia del Cinema.
Molto curiosa una cosa: alcuni personaggi di autorità, soprattutto il segretario, hanno scrivanie e sgabelli altissimi dove lavorano, un espediente palese per esaltarne il ruolo ed ancora oggi usato da molti, in ambito lavorativo, per definire gerarchie. Sedia alta del dirigente, bassa per l'ospite. Ugo Fantozzi, ma prima di lui e meglio ancora il mitico Giandomenico Fracchia seduto sul puff, ce ne diedero lezioni memorabili. E' stato troppo divertente notarlo.
Il grande silenzio
2 ore e mezza di contemplazione della vita di una comunità monastica, dentro e fuori le mura di un luogo bellissimo, per natura e costruzioni del monastero-villaggio.
"Il monastero della grande Chartreuse vicino Grenoble è considerato uno dei più austeri al mondo. Nel 1984 chiesi di fare delle riprese, mi risposero: forse tra 10, 13 anni.
16 anni dopo mi chiamarono, erano pronti."
Non deve stupire. In questi luoghi il Tempo ha un valore, come il Silenzio, bene preziosissimo...
Senza dialoghi o musiche, i soli suoni che si sentono sono le orazioni, i calpestii, la pioggia, il coltello che taglia le verdure, gli insetti, le posate, le campane, il vento, la zappa... L'abusata locuzione "religioso silenzio" trova la sua massima espressione, pur senza estremismo, non hanno fatto voto di silenzio, ma la Parola che è necessaria è quella del Signore, le altre si usano con molta parsimonia, si può anche ridere in un raro momenti di svago.
Non ci sono interviste e racconto fuori campo come in "Per Sempre", bellissimo documentario di Alina Marrazzi. Le riprese, che spaziano nel corso di 4 stagioni e ci illustrano varie fasi delle loro giornate scandite in impegni ripetuti e precisi, vengono intervallate da passi del Vangelo e da alcuni ritratti statici dei visi che guardano nella telecamera guardando lo spettatore. Altra presentazione non occorre.
Cinema-documento più che documentario. Pochi espedienti di ripresa, come l'immagine che sgrana nei Notturni, tra i momenti più belli e spettacolari. Il resto andava semplicemente ripreso e poi montato. La regia è anche grande montaggio, che intervalla i paesaggi che sono fantastici (il luogo, insisto, è bellissimo!) alle riprese d'interni, sia nei momenti collettivi che individuali.
Forse richiede una certa predisposizione per essere visto, ma mi rammarico per chi non se la sente o non ce la fa. A me è piaciuto tantissimo. Raccomando, se visto in casa, di farlo di notte, il silenzio assoluto dell'ambiente in cui ci si trova è condizione essenziale. Anche solo il traffico vicino casa è un fastidio intollerabile.
Già nel film della Marrazzi feci delle considerazioni a latere sulla vita monastica che posso solo confermare.
Qua ho visto una scena nella prima parte, forse la sola scena davvero divertente, che ho trovato anche molto simbolica e mi concedo questo spoiler.
Un monaco porta da mangiare a un branco di gatti. Li chiama con degli urletti bonari incomprensibili (il francese non è doppiato in tutto il film, non serve) che mi hanno fatto immedesimare coi gatti! Ma che accidenti dice? Nemmeno un francese forse lo capirebbe! Si vedono le facce dei gatti felici per la pappa ma decisamente perplessi e non ho potuto fare a meno di ridere. Troppo simpatico il monaco "gattaro" nel suo personale "rito".
Poi mi sono detto che forse sono gatto anche mentre grazie al film ammiro la loro vita. Non la posso comprendere realmente, solo ammirare. Mi fanno ridere quelli che fanno brevi vacanze nei conventi e tornano dicendo che hanno fatto un'esperienza spirituale. Possono solo aver fatto una breve ed atipica vacanza. Non si può essere monaci a tempo determinato, è una scelta di vita assimilabile solo se totale, senza mezze misure, proprio Per Sempre. Andiamoci pure nei conventi, anche a me piacerebbe fare una settimana così e lo farò prima o poi, ma ci andrò con la cresta abbassata e ne uscirò semplicemente, spero, riposato e con un bel mucchio di libri letti in grande silenzio.
Ogni tanto vengo travolto dal desiderio di poter scegliere più vite, ma non è possibile. Mi piacerebbe essere monaco, ma anche ladro...
p.s.: Un grande grazie a Lu per la segnalazione.
"Il monastero della grande Chartreuse vicino Grenoble è considerato uno dei più austeri al mondo. Nel 1984 chiesi di fare delle riprese, mi risposero: forse tra 10, 13 anni.
16 anni dopo mi chiamarono, erano pronti."
Non deve stupire. In questi luoghi il Tempo ha un valore, come il Silenzio, bene preziosissimo...
Senza dialoghi o musiche, i soli suoni che si sentono sono le orazioni, i calpestii, la pioggia, il coltello che taglia le verdure, gli insetti, le posate, le campane, il vento, la zappa... L'abusata locuzione "religioso silenzio" trova la sua massima espressione, pur senza estremismo, non hanno fatto voto di silenzio, ma la Parola che è necessaria è quella del Signore, le altre si usano con molta parsimonia, si può anche ridere in un raro momenti di svago.
Non ci sono interviste e racconto fuori campo come in "Per Sempre", bellissimo documentario di Alina Marrazzi. Le riprese, che spaziano nel corso di 4 stagioni e ci illustrano varie fasi delle loro giornate scandite in impegni ripetuti e precisi, vengono intervallate da passi del Vangelo e da alcuni ritratti statici dei visi che guardano nella telecamera guardando lo spettatore. Altra presentazione non occorre.
Cinema-documento più che documentario. Pochi espedienti di ripresa, come l'immagine che sgrana nei Notturni, tra i momenti più belli e spettacolari. Il resto andava semplicemente ripreso e poi montato. La regia è anche grande montaggio, che intervalla i paesaggi che sono fantastici (il luogo, insisto, è bellissimo!) alle riprese d'interni, sia nei momenti collettivi che individuali.
Forse richiede una certa predisposizione per essere visto, ma mi rammarico per chi non se la sente o non ce la fa. A me è piaciuto tantissimo. Raccomando, se visto in casa, di farlo di notte, il silenzio assoluto dell'ambiente in cui ci si trova è condizione essenziale. Anche solo il traffico vicino casa è un fastidio intollerabile.
Già nel film della Marrazzi feci delle considerazioni a latere sulla vita monastica che posso solo confermare.
Qua ho visto una scena nella prima parte, forse la sola scena davvero divertente, che ho trovato anche molto simbolica e mi concedo questo spoiler.
Un monaco porta da mangiare a un branco di gatti. Li chiama con degli urletti bonari incomprensibili (il francese non è doppiato in tutto il film, non serve) che mi hanno fatto immedesimare coi gatti! Ma che accidenti dice? Nemmeno un francese forse lo capirebbe! Si vedono le facce dei gatti felici per la pappa ma decisamente perplessi e non ho potuto fare a meno di ridere. Troppo simpatico il monaco "gattaro" nel suo personale "rito".
Poi mi sono detto che forse sono gatto anche mentre grazie al film ammiro la loro vita. Non la posso comprendere realmente, solo ammirare. Mi fanno ridere quelli che fanno brevi vacanze nei conventi e tornano dicendo che hanno fatto un'esperienza spirituale. Possono solo aver fatto una breve ed atipica vacanza. Non si può essere monaci a tempo determinato, è una scelta di vita assimilabile solo se totale, senza mezze misure, proprio Per Sempre. Andiamoci pure nei conventi, anche a me piacerebbe fare una settimana così e lo farò prima o poi, ma ci andrò con la cresta abbassata e ne uscirò semplicemente, spero, riposato e con un bel mucchio di libri letti in grande silenzio.
Ogni tanto vengo travolto dal desiderio di poter scegliere più vite, ma non è possibile. Mi piacerebbe essere monaco, ma anche ladro...
p.s.: Un grande grazie a Lu per la segnalazione.
giovedì 18 febbraio 2010
The Immortal Story - Storia immortale
A Macao un europeo uomo ricchissimo e potente vuole realizzare la classica "leggenda" che molti marinai raccontano, quella nella quale un uomo ricco ma anziano, senza eredi e con una moglie giovane, paga un marinaio per ingravidargliela. Sarà la sua ultima, grande manifestazione di potere, sulle cose e sulle persone.
Un breve quanto intenso film, rigoroso e poetico pur nella cinica crudeltà della vicenda. Orson Wells è anche al solito grande interprete, insieme alla sempre splendida Jeanne Moreau.
Da vedere e godere assolutamente. Settima Arte.
Orson Welles entra nel colore con questo film che doveva essere il primo di una trilogia dedicata ad altrettanti racconti di Karen Blixen, rimasta incompiuta purtroppo, tranne questa magnifica pellicola...
Tutto il film è condito da una musica al piano di sconfinata malinconia e bellezza, che avevo sentito altre volte, armonia a ritmi bassi, poche dosate note che quando anche diventano tante non fanno mai confusione, come la migliore minimalista che amo ascoltare. Bellissima! Non ce l'ho fatta ad attendere i titoli di coda, per altro non precisissimi, ed ho interrotto la proiezione per indagare. Si tratta di "Gnossienne No.1" di un grandissimo compositore che finalmente ho capito chi è: Erik Satie.
Un breve quanto intenso film, rigoroso e poetico pur nella cinica crudeltà della vicenda. Orson Wells è anche al solito grande interprete, insieme alla sempre splendida Jeanne Moreau.
Da vedere e godere assolutamente. Settima Arte.
Orson Welles entra nel colore con questo film che doveva essere il primo di una trilogia dedicata ad altrettanti racconti di Karen Blixen, rimasta incompiuta purtroppo, tranne questa magnifica pellicola...
Tutto il film è condito da una musica al piano di sconfinata malinconia e bellezza, che avevo sentito altre volte, armonia a ritmi bassi, poche dosate note che quando anche diventano tante non fanno mai confusione, come la migliore minimalista che amo ascoltare. Bellissima! Non ce l'ho fatta ad attendere i titoli di coda, per altro non precisissimi, ed ho interrotto la proiezione per indagare. Si tratta di "Gnossienne No.1" di un grandissimo compositore che finalmente ho capito chi è: Erik Satie.
mercoledì 17 febbraio 2010
Tetsuo II - Body Hammer
Due anni dopo il mitico Tetsuo - The Iron Man, Shinya ce ne propone un sequel, stavolta a colori, che presto diventerà il secondo episodio di una trilogia.
Bene! Sequel sa di cinema, Trilogia ha più un sapore artistico, poi questi film sono un godimento puro, ben venga il terzo.
A differenza del primo, qui le cose procedono diversamente ed è molto meno criptico, grazie ad un finale che, per quanto fantascientifica, dà una spiegazione "logica" agli eventi, perlomeno sul protagonista diretto...
Un uomo con moglie ed un figlio si ritrova perseguitato da una banda di violenti che sembrano una setta. Gli ammazzeranno brutalmente il figlio e sottoporranno lui ad una sorta di esperimento scientifico. La sua rabbia però esploderà, e quando esplode si manifesta con una metamorfosi fisica "alla hulk" ma ben peggiore: diventa una specie di robot dal cui corpo spuntano bocche da fuoco terribili. Come detto, il finale spiegherà molto.
Pure come secondo episodio, non lo ritengo direttamente paragonabile al primo Tetsuo, decisamente più visionario ed indecifrabile. Rimane il filo-rosso del deus-ex-machina de facto, uomo ed acciaio in un solo essere. Qua però si punta di più ad una trama logica: la macchina nell'uomo è latente e diventa manifesta e devastante al manifestarsi dell'ira nell'uomo stesso.
Più curato nelle immagini, meno spartano, non solo per il colore. Ancora telecamere in spalla ma anche no. Ancora musiche con baccani industriali, sempre fantastiche. Primi esercizi di ripresa veloce e ritmata, prime scene di palestra, come se ne vedranno poi di spettacolarissime in Tokyo fist.
In breve: inutile farsi menate da puristi nei confronti col primo!
Anche questo film è una scarica d'adrenalina sparata diretta in vena, gratis e non dannosa per la salute. Un peccato non farsela.
Bene! Sequel sa di cinema, Trilogia ha più un sapore artistico, poi questi film sono un godimento puro, ben venga il terzo.
A differenza del primo, qui le cose procedono diversamente ed è molto meno criptico, grazie ad un finale che, per quanto fantascientifica, dà una spiegazione "logica" agli eventi, perlomeno sul protagonista diretto...
Un uomo con moglie ed un figlio si ritrova perseguitato da una banda di violenti che sembrano una setta. Gli ammazzeranno brutalmente il figlio e sottoporranno lui ad una sorta di esperimento scientifico. La sua rabbia però esploderà, e quando esplode si manifesta con una metamorfosi fisica "alla hulk" ma ben peggiore: diventa una specie di robot dal cui corpo spuntano bocche da fuoco terribili. Come detto, il finale spiegherà molto.
Pure come secondo episodio, non lo ritengo direttamente paragonabile al primo Tetsuo, decisamente più visionario ed indecifrabile. Rimane il filo-rosso del deus-ex-machina de facto, uomo ed acciaio in un solo essere. Qua però si punta di più ad una trama logica: la macchina nell'uomo è latente e diventa manifesta e devastante al manifestarsi dell'ira nell'uomo stesso.
Più curato nelle immagini, meno spartano, non solo per il colore. Ancora telecamere in spalla ma anche no. Ancora musiche con baccani industriali, sempre fantastiche. Primi esercizi di ripresa veloce e ritmata, prime scene di palestra, come se ne vedranno poi di spettacolarissime in Tokyo fist.
In breve: inutile farsi menate da puristi nei confronti col primo!
Anche questo film è una scarica d'adrenalina sparata diretta in vena, gratis e non dannosa per la salute. Un peccato non farsela.
martedì 16 febbraio 2010
Saikaku Ichidai Onna - Vita di O-Haru, donna galante
Dalla corte imperiale a Kyoto alla prostituzione di bassa lega.
L'intera odissea della vita di O-Haru.
Una incredibile e sempre più drammatica sequenza di eventi dei quali solo il primo, una "colpa d'amore", le è, per la cultura dell'epoca, imputabile. Il resto un'inevitabile destino verso il quale s'accanisce anche il fato.
Volutamente non racconto tutte le varie tappe della metamorfosi, se non qualche cenno nel parlare di qualche aspetto del film. E' una storia tutta da godere e da vedere, estremamente avvincente e coinvolgente, affatto noiosa, nonostante l'orientale lentezza di riprese e movenze...
Considerata l'epoca del film le immagini, per punto di ripresa, fotografia, cura d'ogni più minimo dettaglio storico, sono d'una bellezza abbacinante. Recitazioni che in quegli anni pensavo solo Kurosawa potesse ottenere, Mizoguchi ancora non lo conoscevo.
Questo film, per tutto e non per qualche particolare, è un Capolavoro Immenso.
Che coraggio poi a rappresentare una storia simile!
Il Giappone del '700 che viene raccontato, ancora fino a poco tempo fa, nell'atteggiamento nei confronti delle donne, pur avendo perlomeno superato la totale mercificazione, non era molto diverso da quello della metà del '900 che era molto indietro rispetto al resto del mondo "civile". Ricordo un'amica che mi raccontò, poco prima di sposare un giapponese che viveva in Italia, di aver ricevuto il seguente avvertimento (nel senso cortese del termine) da un altro giapponese conoscente: "sappi che un uomo giapponese non chiede mai scusa alla moglie". Era il 1988 circa, rimasi basito. La frase non intimorì la "tostissima" ragazza milanese che mise in riga il suo amato "samurai" alla grande, però è emblematica.
Se qualcuno pensa che in Italia le cose fossero molto diverse si guardi "Comizi d'Amore", un bel documentario girato da Pasolini che presto (spero) recensirò.
Quello che accade ad O-Haru è una catena di colpe che generano colpe, alcuna soluzione è possibile per l'onore, nulla può cancellare certe vergogne. Sempre sono gli uomini a chiederle, persino disperatamente, i favori e sempre gli stessi uomini la condannano per ciò che ha fatto. Tutto terribilmente reale. Salvo violenze di sangue, la povera e brava donna subisce ogni genere di violenza possibile, sia carnalmente che, soprattutto, moralmente e psicologicamente.
Questa colpa collettiva maschile emerge con un drammatico umorismo, auto-sarcastico, in un tempietto dove si troverà insieme alle colleghe prostitute, pieno di statue del Buddha, tutte statue raffiguranti uomini ovviamente e questo basti per intuire. Una scena perfetta! La perfezione che emerge nel corretto e chiaro simbolismo, nelle musiche e nel luogo che invece dovrebbe essere un regno di parità e non lo è. Una perfezione che cala come un martello sul chiodo dell'emozione che lentamente ha continuato a crescere lungo tutta la durate del non certo breve film: una vera mazzata. E' un film che punisce e condanna.
Il finale è mozzafiato, con musiche incredibilmente moderne che mi hanno ricordato il miglior René Aubry.
Insomma, un film senza tempo, per qualità e trama.
Non sono ancora pochi i luoghi nel mondo dove le donne sono trattare in quel modo quando non peggio. Il loro destino di catalizzatori di tutto il male che gli uomini riescono a procurare sembra non avere fine. Si pensi solo per un attimo alle guerre, a cosa producono ai civili ed alle donne in primis.
L'intera odissea della vita di O-Haru.
Una incredibile e sempre più drammatica sequenza di eventi dei quali solo il primo, una "colpa d'amore", le è, per la cultura dell'epoca, imputabile. Il resto un'inevitabile destino verso il quale s'accanisce anche il fato.
Volutamente non racconto tutte le varie tappe della metamorfosi, se non qualche cenno nel parlare di qualche aspetto del film. E' una storia tutta da godere e da vedere, estremamente avvincente e coinvolgente, affatto noiosa, nonostante l'orientale lentezza di riprese e movenze...
Considerata l'epoca del film le immagini, per punto di ripresa, fotografia, cura d'ogni più minimo dettaglio storico, sono d'una bellezza abbacinante. Recitazioni che in quegli anni pensavo solo Kurosawa potesse ottenere, Mizoguchi ancora non lo conoscevo.
Questo film, per tutto e non per qualche particolare, è un Capolavoro Immenso.
Che coraggio poi a rappresentare una storia simile!
Il Giappone del '700 che viene raccontato, ancora fino a poco tempo fa, nell'atteggiamento nei confronti delle donne, pur avendo perlomeno superato la totale mercificazione, non era molto diverso da quello della metà del '900 che era molto indietro rispetto al resto del mondo "civile". Ricordo un'amica che mi raccontò, poco prima di sposare un giapponese che viveva in Italia, di aver ricevuto il seguente avvertimento (nel senso cortese del termine) da un altro giapponese conoscente: "sappi che un uomo giapponese non chiede mai scusa alla moglie". Era il 1988 circa, rimasi basito. La frase non intimorì la "tostissima" ragazza milanese che mise in riga il suo amato "samurai" alla grande, però è emblematica.
Se qualcuno pensa che in Italia le cose fossero molto diverse si guardi "Comizi d'Amore", un bel documentario girato da Pasolini che presto (spero) recensirò.
Quello che accade ad O-Haru è una catena di colpe che generano colpe, alcuna soluzione è possibile per l'onore, nulla può cancellare certe vergogne. Sempre sono gli uomini a chiederle, persino disperatamente, i favori e sempre gli stessi uomini la condannano per ciò che ha fatto. Tutto terribilmente reale. Salvo violenze di sangue, la povera e brava donna subisce ogni genere di violenza possibile, sia carnalmente che, soprattutto, moralmente e psicologicamente.
Questa colpa collettiva maschile emerge con un drammatico umorismo, auto-sarcastico, in un tempietto dove si troverà insieme alle colleghe prostitute, pieno di statue del Buddha, tutte statue raffiguranti uomini ovviamente e questo basti per intuire. Una scena perfetta! La perfezione che emerge nel corretto e chiaro simbolismo, nelle musiche e nel luogo che invece dovrebbe essere un regno di parità e non lo è. Una perfezione che cala come un martello sul chiodo dell'emozione che lentamente ha continuato a crescere lungo tutta la durate del non certo breve film: una vera mazzata. E' un film che punisce e condanna.
Il finale è mozzafiato, con musiche incredibilmente moderne che mi hanno ricordato il miglior René Aubry.
Insomma, un film senza tempo, per qualità e trama.
Non sono ancora pochi i luoghi nel mondo dove le donne sono trattare in quel modo quando non peggio. Il loro destino di catalizzatori di tutto il male che gli uomini riescono a procurare sembra non avere fine. Si pensi solo per un attimo alle guerre, a cosa producono ai civili ed alle donne in primis.
lunedì 15 febbraio 2010
Zabriskie Point
Per alcuni un cult.
Per me, per dirla alla sempre-sia-glorificato Fantozzi: è una cagata pazzesca.
Gli risparmio l'esclamativo, solo per rispetto ad Antonioni al quale dobbiamo dei film meravigliosi e ne ho recensiti diversi. Ma questo, santi numi...
98 minuti d'inutilità totale, poi la scena finale, finalmente, famosissima: la villa che esplode e "Careful with That Axe, Eugene" dei sempre-siano-lodati Pink Floyd. Veramente fantastica.
Fine.
Per me, per dirla alla sempre-sia-glorificato Fantozzi: è una cagata pazzesca.
Gli risparmio l'esclamativo, solo per rispetto ad Antonioni al quale dobbiamo dei film meravigliosi e ne ho recensiti diversi. Ma questo, santi numi...
98 minuti d'inutilità totale, poi la scena finale, finalmente, famosissima: la villa che esplode e "Careful with That Axe, Eugene" dei sempre-siano-lodati Pink Floyd. Veramente fantastica.
Fine.
Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante
Vedere un film di Greenaway significa entrare in un mondo diverso, in una visione artistica delle situazioni umane, persino quelle estremamente grottesche.
Una specie di boss della mala è proprietario di un raffinato ristorante in inghilterra. Il cuoco è un francese che mal lo tollera se non perché lo finanzia. Meno ancora lo tollera la moglie, anch'essa raffinata ed elegante. Tutte le sere, e ne vedremo parecchie di serate visto che il film è ambientato quasi esclusivamente dentro il ristorante, il boss va lì a cena con moglie e bravacci al seguito.
Lui è quanto di peggio si possa pensare di un uomo. Prepotente, violento nei modi e nel linguaggio, i soldi pensa gli permettono tutto, amorale, urla sempre, racconta aneddoti e storielle squallide ritenendosi spiritoso. Mi ricorda qualcuno...
La donna troverà un amante, col quale amoreggerà proprio nel ristorante. Il "ladro" se ne accorgerà, e lo ucciderà. La donna, con complicità adeguate, riuscirà a vendicarsi con modalità particolarmente macabre.
Il film è in realtà comicamente drammatico, tutta la situazione è un eccesso, nel mangiare, nella truculenza, sicuramente anche nel sesso disperato dei due amanti.
Nonostante la trama, grazie anche alle musiche di Michael Nyman (Greenaway è un cultore di musica, non c'è che dire), sono sempre rimasto ipnotizzato dalle immagini. Sarebbe fantastico se esistesse davvero un ristorante come quello disegnato qui. Le cucine poi, sembrano quelle di un antico castello, con gli animali interi appesi. Tutto sembra un teatro, persino il sipario si chiude alla fine.
Un piacere da vedere, bellissimo.
Nonostante il fastidiosissimo e macchiettistico ladro, che continua a ricordarmi qualcuno.
Una specie di boss della mala è proprietario di un raffinato ristorante in inghilterra. Il cuoco è un francese che mal lo tollera se non perché lo finanzia. Meno ancora lo tollera la moglie, anch'essa raffinata ed elegante. Tutte le sere, e ne vedremo parecchie di serate visto che il film è ambientato quasi esclusivamente dentro il ristorante, il boss va lì a cena con moglie e bravacci al seguito.
Lui è quanto di peggio si possa pensare di un uomo. Prepotente, violento nei modi e nel linguaggio, i soldi pensa gli permettono tutto, amorale, urla sempre, racconta aneddoti e storielle squallide ritenendosi spiritoso. Mi ricorda qualcuno...
La donna troverà un amante, col quale amoreggerà proprio nel ristorante. Il "ladro" se ne accorgerà, e lo ucciderà. La donna, con complicità adeguate, riuscirà a vendicarsi con modalità particolarmente macabre.
Il film è in realtà comicamente drammatico, tutta la situazione è un eccesso, nel mangiare, nella truculenza, sicuramente anche nel sesso disperato dei due amanti.
Nonostante la trama, grazie anche alle musiche di Michael Nyman (Greenaway è un cultore di musica, non c'è che dire), sono sempre rimasto ipnotizzato dalle immagini. Sarebbe fantastico se esistesse davvero un ristorante come quello disegnato qui. Le cucine poi, sembrano quelle di un antico castello, con gli animali interi appesi. Tutto sembra un teatro, persino il sipario si chiude alla fine.
Un piacere da vedere, bellissimo.
Nonostante il fastidiosissimo e macchiettistico ladro, che continua a ricordarmi qualcuno.
domenica 14 febbraio 2010
Izo
Capolavoro Indescrivibile.
Capolavoro perché lo è, e Indescrivibile per la stessa ragione.
Se non si hanno problemi a reggere le sanguinarie peripezie di Izo, si assiste ad un film che è un doppio concentrato di miti, leggende, tradizioni, filosofia giapponese (e forse anche non solo quella), e sono già uno "fortunato" che per motivi che non sto a spiegare ne conosco un po', ma chissà quante non ne ho colte o mi sono perso...
Film da guardare e riguardare, studiare, ammirare in ogni scena.
Provo a raccontarne la trama e qualche significato, ma prendete tutto con ampio beneficio di difetto.
Sinossi essenziale: Izo è un guerriero-samurai-killer dell'epoca medioevale giapponese, che viene condannato a morire crocefisso. Ancora sulla croce emerge un desiderio infernale di vendetta. Rinascerà in epoca moderna, immediatamente si metterà alla ricerca dell'imperatore e chiunque si frapporrà sulla sua strada sarà trucidato.
Nato per essere assassino, un demonio irrefrenabile, la sua vita è narrata ellitticamente nel tempo. Izo vive (e rivive) sia il medioevo che i nostri giorni. Missione? Uccidere. Perché? Perché sì.
L'intervallarsi di immagini storiche di repertorio, tutte riguardanti violenze e guerre nel mondo ed in giappone in particolare vuole farci capire qualcosa. Che cosa è difficile dirlo, come detto questo film ha una carica di contenuti, espressa con un'energia letteralmente bestiale, che è impressionante. Un altro elemento curioso è il cantastorie che con la chitarra si frappone fra un capitolo ed un altro, peccato non poterne seguire il testo coi sottotitoli perché è evidente che descrive le situazioni trascorse e a venire.
Nel proseguire la sua missione Izo ci porta dalle sue vittime, che s'interrogano sulla sua natura, sul suo scopo, oltre che come fermarlo. E' in questi momenti che tutti i "miti" citati emergono, la fatuità della vita, il karma, i regni dell'esistenza. Emergono con parole, simbologie.
Netta la sensazione che Izo distrugga tutto, ogni valore, ogni costume proprio ad esaltarne l'inutilità, l'astrattezza. Emblematica una scena, quasi summa di quello che percepivo, in una classe di bambini dove si discutono parole come Amore, Civiltà, Stato, dove emerge che sono solo parole, convenzioni, termini astratti che gli uomini si sono dati per esercitare potere sulle cose e persino sui sentimenti umani.
Tutto può e viene distrutto da un colpo di katana, cessa di esistere, quasi sbeffeggiato.
C'è molto più sadismo in questo che in un corpo tagliato in due parti di netto.
Non me la sento di dilungarmi oltre.
Da Olimpo.
Capolavoro perché lo è, e Indescrivibile per la stessa ragione.
Se non si hanno problemi a reggere le sanguinarie peripezie di Izo, si assiste ad un film che è un doppio concentrato di miti, leggende, tradizioni, filosofia giapponese (e forse anche non solo quella), e sono già uno "fortunato" che per motivi che non sto a spiegare ne conosco un po', ma chissà quante non ne ho colte o mi sono perso...
Film da guardare e riguardare, studiare, ammirare in ogni scena.
Provo a raccontarne la trama e qualche significato, ma prendete tutto con ampio beneficio di difetto.
Sinossi essenziale: Izo è un guerriero-samurai-killer dell'epoca medioevale giapponese, che viene condannato a morire crocefisso. Ancora sulla croce emerge un desiderio infernale di vendetta. Rinascerà in epoca moderna, immediatamente si metterà alla ricerca dell'imperatore e chiunque si frapporrà sulla sua strada sarà trucidato.
Nato per essere assassino, un demonio irrefrenabile, la sua vita è narrata ellitticamente nel tempo. Izo vive (e rivive) sia il medioevo che i nostri giorni. Missione? Uccidere. Perché? Perché sì.
L'intervallarsi di immagini storiche di repertorio, tutte riguardanti violenze e guerre nel mondo ed in giappone in particolare vuole farci capire qualcosa. Che cosa è difficile dirlo, come detto questo film ha una carica di contenuti, espressa con un'energia letteralmente bestiale, che è impressionante. Un altro elemento curioso è il cantastorie che con la chitarra si frappone fra un capitolo ed un altro, peccato non poterne seguire il testo coi sottotitoli perché è evidente che descrive le situazioni trascorse e a venire.
Nel proseguire la sua missione Izo ci porta dalle sue vittime, che s'interrogano sulla sua natura, sul suo scopo, oltre che come fermarlo. E' in questi momenti che tutti i "miti" citati emergono, la fatuità della vita, il karma, i regni dell'esistenza. Emergono con parole, simbologie.
Netta la sensazione che Izo distrugga tutto, ogni valore, ogni costume proprio ad esaltarne l'inutilità, l'astrattezza. Emblematica una scena, quasi summa di quello che percepivo, in una classe di bambini dove si discutono parole come Amore, Civiltà, Stato, dove emerge che sono solo parole, convenzioni, termini astratti che gli uomini si sono dati per esercitare potere sulle cose e persino sui sentimenti umani.
Tutto può e viene distrutto da un colpo di katana, cessa di esistere, quasi sbeffeggiato.
C'è molto più sadismo in questo che in un corpo tagliato in due parti di netto.
Non me la sento di dilungarmi oltre.
Da Olimpo.
El Orfanato
Una donna torna, col marito, a vivere nell'orfanotrofio nel quale è cresciuta, con l'intenzione di farlo diventare un residence per bambini bisognoso. Hanno un figlio adottivo, malato di HIV, che ha da sempre amici invisibili ma che in quella casa aumenterà notevolmente le sue percezioni.
Durante la festa d'accoglienza del primo ospite il bambino sparirà.
Primi sospetti su una falsa assistente sociale che s'era presentata giorni prima, solo che non sarà possibile consultarla. Indagini della polizia che non porteranno a nulla. Intervento di una medium che rivelerà che quella casa è abitata da "bambini"...
Non amo particolarmente il genere spiritini e spiritelli, perché preferisco l'horror che pur nell'assurdo mi mostra cose "possibili", ma tutto sommato, pur senza alcuna novità, è un film decente, certamente molto di "maniera" perché tutti gli espedienti di spavento sono un po' scontati. Molti elementi scenografici in comune con The Others, che però è ben altro film, ma lì c'è dietro Alejandro Amenábar, un mostro.
Si può vedere ma anche no.
Durante la festa d'accoglienza del primo ospite il bambino sparirà.
Primi sospetti su una falsa assistente sociale che s'era presentata giorni prima, solo che non sarà possibile consultarla. Indagini della polizia che non porteranno a nulla. Intervento di una medium che rivelerà che quella casa è abitata da "bambini"...
Non amo particolarmente il genere spiritini e spiritelli, perché preferisco l'horror che pur nell'assurdo mi mostra cose "possibili", ma tutto sommato, pur senza alcuna novità, è un film decente, certamente molto di "maniera" perché tutti gli espedienti di spavento sono un po' scontati. Molti elementi scenografici in comune con The Others, che però è ben altro film, ma lì c'è dietro Alejandro Amenábar, un mostro.
Si può vedere ma anche no.
sabato 13 febbraio 2010
Tajna Nikole Tesle - Il segreto di Nikola Tesla
La vita di Nikola Tesla (1856 - 1943), l'importanza che ha avuto e continua ad avere per la nostra vita quotidiana, quella che avrebbe potuto avere per il nostro inquinato presente e che, chissà, potrebbe avere per il nostro futuro. Personaggio di rara grandezza!
Il film riesce a condensare tutto in 100 minuti, senza perdere una goccia dell'essenza di questo Genio.
Giudizio breve: eccezionale!
Guardatelo. La trama è scritta benissimo nella pagina wiki linkata sopra, inutile raccontarla.
Ultima nota cinefila: film prodotto da Orson Welles per la Repubblica federale socialista di Jugoslavia. Lo stesso Welles, che è un piacere vedere, interpreta J.P.Morgan magistralmente, così come ottima è la interpretazione di Tesla da parte dell'attore serbo Petar Bozovic...
Al termine, soprattutto se non si è molto a conoscenza dei fatti, si rimane con una grande inquietudine.
Era davvero possibile produrre energia a basso costo, a zero impatto ambientale, per tutto il pianeta?
A Tesla non è stato permesso dimostrarlo, quando era ad un passo dall'esperimento finale.
Al di là della realizzabilità o meno del progetto, la figura di questo personaggio, già tra i miei miti, è ricca di fascino e provoca un'ammirazione, a me, totale. Le sue visioni erano spesso ispirate alla letteratura, alla poesia e soprattutto ad un occhio attento alla Natura, al suo funzionamento. Credeva fermamente che non si doveva inventare nulla, solo scoprire: molto socratica questa cosa. Era un uomo di cultura totale pur eccellendo come nessun altro al suo tempo nel comprendere il funzionamento e le potenzialità della corrente elettrica.
E' possibile non adorare un uomo che concretamente cercò, senza mai avere un interesse di ricchezza economica personale, avendo coscienza che le risorse utilizzate erano inquinanti e destinate ad esaurimento, di mettere a disposizione a tutta l'umanità una quantità di energia elettrica praticamente infinita?
"L'energia sarà come l'acqua, un bene comune": un uomo che può e vuole fare questo è un Dio.
Il film riesce a condensare tutto in 100 minuti, senza perdere una goccia dell'essenza di questo Genio.
Giudizio breve: eccezionale!
Guardatelo. La trama è scritta benissimo nella pagina wiki linkata sopra, inutile raccontarla.
Ultima nota cinefila: film prodotto da Orson Welles per la Repubblica federale socialista di Jugoslavia. Lo stesso Welles, che è un piacere vedere, interpreta J.P.Morgan magistralmente, così come ottima è la interpretazione di Tesla da parte dell'attore serbo Petar Bozovic...
Al termine, soprattutto se non si è molto a conoscenza dei fatti, si rimane con una grande inquietudine.
Era davvero possibile produrre energia a basso costo, a zero impatto ambientale, per tutto il pianeta?
A Tesla non è stato permesso dimostrarlo, quando era ad un passo dall'esperimento finale.
Al di là della realizzabilità o meno del progetto, la figura di questo personaggio, già tra i miei miti, è ricca di fascino e provoca un'ammirazione, a me, totale. Le sue visioni erano spesso ispirate alla letteratura, alla poesia e soprattutto ad un occhio attento alla Natura, al suo funzionamento. Credeva fermamente che non si doveva inventare nulla, solo scoprire: molto socratica questa cosa. Era un uomo di cultura totale pur eccellendo come nessun altro al suo tempo nel comprendere il funzionamento e le potenzialità della corrente elettrica.
E' possibile non adorare un uomo che concretamente cercò, senza mai avere un interesse di ricchezza economica personale, avendo coscienza che le risorse utilizzate erano inquinanti e destinate ad esaurimento, di mettere a disposizione a tutta l'umanità una quantità di energia elettrica praticamente infinita?
"L'energia sarà come l'acqua, un bene comune": un uomo che può e vuole fare questo è un Dio.
Jeux interdits - Giochi proibiti
Nel 1940, in Francia, la guerra si mostra subito, l'invasione tedesca, i profughi che scappano con gli stukas che li seguono mitragliandoli. Paulette è a terra, coi genitori ed il cagnolino. Una raffica la risparmierà, lei sola. Incontra Michel, un bambino appena più grande di lei che vive in quelle campagne e che convince la sua famiglia ad adottarla.
Paulette si fissa sulla questione della morte e con Michelle metterà su un "cimitero per animali". Altra fissazione quella delle croci, che procurerà non pochi guai...
Sullo sfondo una guerra che appare all'inizio e poi resterà come tetro sfondo. Sulla cornice una vita contadina disincantata ed anche parecchio divertente. In primo piano due bambini che con incosciente innocenza interpreteranno a modo loro un gioco proibito, sulla vita e sulla morte.
Non ho molto da dire su questo film, se non che è un dovere guardarlo.
Vincitore del Leone d'Oro, fece molto discutere per motivi immaginabili. A distanza di tanti anni conserva un fascino ancora unico e particolare.
Famosissima la colonna sonora, pezzo di chitarra omonimo che Narciso Yepes si è attribuito ma più probabilmente è una sua reinterpretazione di un brano popolare le cui origini sono ignote.
Un pezzo di storia del Cinema imperdibile.
Paulette si fissa sulla questione della morte e con Michelle metterà su un "cimitero per animali". Altra fissazione quella delle croci, che procurerà non pochi guai...
Sullo sfondo una guerra che appare all'inizio e poi resterà come tetro sfondo. Sulla cornice una vita contadina disincantata ed anche parecchio divertente. In primo piano due bambini che con incosciente innocenza interpreteranno a modo loro un gioco proibito, sulla vita e sulla morte.
Non ho molto da dire su questo film, se non che è un dovere guardarlo.
Vincitore del Leone d'Oro, fece molto discutere per motivi immaginabili. A distanza di tanti anni conserva un fascino ancora unico e particolare.
Famosissima la colonna sonora, pezzo di chitarra omonimo che Narciso Yepes si è attribuito ma più probabilmente è una sua reinterpretazione di un brano popolare le cui origini sono ignote.
Un pezzo di storia del Cinema imperdibile.
venerdì 12 febbraio 2010
Tokyo fist
Dopo Tetsuo - The iron man non potevo non vedermi quest'altro film cult del grande Shinya, uomo geniale e vero total-film-maker (sceneggiatura, regia, montaggio, uno dei 3 attori protagonisti...).
Non più Cyber ma ancora Punk! Molto Punk!
Ritmi forsennati. Non sempre, ci sono delle pause (si fa per dire) cariche d'una tensione e d'una violenza tali che aspetti quasi con ansia l'alleggerimento della frenesia, che ti piomba addosso come uno sfogo, la carica d'una molla compressa al limite della rottura ed improvvisamente sbloccata...
Note:
- Una coppia dalla vita abitudinaria, con modeste ambizioni, rivela capacità di determinazione e sofferenza straordinarie, solo perché stimolata di giustezza da un amico di lui. Una metamorfosi.
- La violenza in qualche modo subita da ragazzi deve essere liberata da adulti, vendicata. Una vendetta che però non ha "altri" su cui sfogarsi. Implode con brutalità.
- La palestra ed i combattimenti violentissimi di boxe, cose mai viste nel Cinema. C'è troppo sangue? E' possibile, ma non bisogna mai dimenticare che i guantoni proteggono le mani, non i grugni dei pugili. I ritmi d'immagini e musica sono velocissimi e sincronizzati.
- Finale parossistico condiviso seppure a distanza dai 3 protagonisti.
- Per tutto il film una musica a volte techno, altre new-age, notevolissima. Colonna sonora che Devo procurarmi. Citiamo l'autore che stramerita: Chu Ishikawa.
V.M. 18, lo dico per avvisare. Non per il sesso, quindi... c'è del gore indubbiamente, ma si può vedere tranquillamente. Le emozioni vibranti non derivano dalle splatterate, che sono persino volutamente comiche. Il top del macabro, quello sì è serio, lo realizza la ragazza con del piercing-extreme, gustosissimo anche se spero non abbia emuli.
Altro film da godimento assoluto, adrenalina a 1000, con una durissima satira sociale che va colta.
Ha fornito sicuramente più d'una ispirazione ad un altro grande film: Fight Club. Non pochi i punti in comune, alla base scatenante della violenza.
Non più Cyber ma ancora Punk! Molto Punk!
Ritmi forsennati. Non sempre, ci sono delle pause (si fa per dire) cariche d'una tensione e d'una violenza tali che aspetti quasi con ansia l'alleggerimento della frenesia, che ti piomba addosso come uno sfogo, la carica d'una molla compressa al limite della rottura ed improvvisamente sbloccata...
Note:
- Una coppia dalla vita abitudinaria, con modeste ambizioni, rivela capacità di determinazione e sofferenza straordinarie, solo perché stimolata di giustezza da un amico di lui. Una metamorfosi.
- La violenza in qualche modo subita da ragazzi deve essere liberata da adulti, vendicata. Una vendetta che però non ha "altri" su cui sfogarsi. Implode con brutalità.
- La palestra ed i combattimenti violentissimi di boxe, cose mai viste nel Cinema. C'è troppo sangue? E' possibile, ma non bisogna mai dimenticare che i guantoni proteggono le mani, non i grugni dei pugili. I ritmi d'immagini e musica sono velocissimi e sincronizzati.
- Finale parossistico condiviso seppure a distanza dai 3 protagonisti.
- Per tutto il film una musica a volte techno, altre new-age, notevolissima. Colonna sonora che Devo procurarmi. Citiamo l'autore che stramerita: Chu Ishikawa.
V.M. 18, lo dico per avvisare. Non per il sesso, quindi... c'è del gore indubbiamente, ma si può vedere tranquillamente. Le emozioni vibranti non derivano dalle splatterate, che sono persino volutamente comiche. Il top del macabro, quello sì è serio, lo realizza la ragazza con del piercing-extreme, gustosissimo anche se spero non abbia emuli.
Altro film da godimento assoluto, adrenalina a 1000, con una durissima satira sociale che va colta.
Ha fornito sicuramente più d'una ispirazione ad un altro grande film: Fight Club. Non pochi i punti in comune, alla base scatenante della violenza.
giovedì 11 febbraio 2010
La volpe e la bambina
Dovrò pur guardare qualcosa in compagnia dei miei figli ogni tanto!
Questo me l'ha consigliato darko e quando ho letto chi era il regista...
Cominciamo col dire che dal punto di vista narrativo è di una assoluta semplicità. Non dico banalità perché sarebbe ingiusto, visto il target che si pone. E' la semplicissima storia di una bambina che vive vicino ad un bosco e a dei paesaggi di straordinaria bellezza che a tutti i costi vuole fare amicizia con una volpe e ci riuscirà...
Dove emerge la grandezza di Jacquet è nelle immagini che lasciano molto spesso senza fiato, sia per la bellezza fotografica che per la cura e la grandissima pazienza che devono aver avuto lui ed il suo staff nel girare alcune scene. Piacciono ai bambini per i colori, gli occhi della volpe, i tanti animali bellissimi che si vedono e piacciono al loro papà, che mette l'occhio dietro alla camera e sente il lavoro che c'è dietro, la qualità che premia l'impegno.
Nonostante tutto, il finale sarà meno intuibile e scontato di quanto si possa pensare. Con un linguaggio molto semplice e positivamente infantile il messaggio che arriverà sarà molto corretto e rispettoso dei ruoli che ognuno, uomo ed animale, deve ricoprire per una corretta convivenza. C'è anche un po' di Piccolo Principe ed un po' di Flauto Magico: va bene anche questo.
Un film quindi apprezzabile, da guardare con occhi innocenti.
Questo me l'ha consigliato darko e quando ho letto chi era il regista...
Cominciamo col dire che dal punto di vista narrativo è di una assoluta semplicità. Non dico banalità perché sarebbe ingiusto, visto il target che si pone. E' la semplicissima storia di una bambina che vive vicino ad un bosco e a dei paesaggi di straordinaria bellezza che a tutti i costi vuole fare amicizia con una volpe e ci riuscirà...
Dove emerge la grandezza di Jacquet è nelle immagini che lasciano molto spesso senza fiato, sia per la bellezza fotografica che per la cura e la grandissima pazienza che devono aver avuto lui ed il suo staff nel girare alcune scene. Piacciono ai bambini per i colori, gli occhi della volpe, i tanti animali bellissimi che si vedono e piacciono al loro papà, che mette l'occhio dietro alla camera e sente il lavoro che c'è dietro, la qualità che premia l'impegno.
Nonostante tutto, il finale sarà meno intuibile e scontato di quanto si possa pensare. Con un linguaggio molto semplice e positivamente infantile il messaggio che arriverà sarà molto corretto e rispettoso dei ruoli che ognuno, uomo ed animale, deve ricoprire per una corretta convivenza. C'è anche un po' di Piccolo Principe ed un po' di Flauto Magico: va bene anche questo.
Un film quindi apprezzabile, da guardare con occhi innocenti.
mercoledì 10 febbraio 2010
Tetsuo - The Iron Man
Cyberpunk all'ennesima potenza, o meglio: quintessenza.
Un genere che m'ero ripromesso d'approfondire e comincio da uno dei suoi manifesti.
In un ambiente da industria pesante un uomo s'innesta nella gamba un pezzo d'acciaio.
Forse ha miti nei supereroi o nei grandi sportivi che compaiono di sfuggita, sicuramente è un autolesionista spaventoso. Gli viene un'infezione, scappa di corsa e viene investito da una coppia di fidanzati che lo abbandonano, apparentemente morto (in un bosco forse?) e fanno persino sesso subito dopo vicino a lui.
E' solo l'incipit di questo incredibile film, che dura solo 1 ora ed è talmente visionario che risulta più che sufficiente...
L'investitore, come colpito da una maledizione, comincia a trasformarsi in metallo. Non è un robot, è una accozzaglia di pezzi di ferro e qualche tubo di gomma, con un pene-putrella con il quale uccide inavvertitamente la fidanzata. Nel frattempo ricompare un altro mostro iron-man, è il ragazzo investito, e tra i due comincia una durissima battaglia...
Non vi aiuterà molto la descrizione che ho fatto della trama, che può contenere anche qualche errore, ammetto candidamente di non aver capito bene tutto. Ma era la trama il concetto essenziale? Marginalmente, tant'è vero che l'ho visto in lingua originale senza sottotitoli e non ho perso nulla (anche perché diranno 10-11 parole in tutto).
Qua tutto è impressionante ed estremo, a cominciare dalle riprese. Un b/n da inizio '900 se non fosse per riprese e montaggio, ma la fotografia è quella, di un Cinema che rifiuta un contesto temporale, anche se si percepisce il Giappone del dopoguerra. Sequenze rapidissime di fotogrammi, altre accelerate, rewind rapidissimi: roba da epilessia procurata, tutto fatto in 16mm e per buona parte in spalla. Nelle scene più "lente" la ricerca di dettagli in quei corpi straziati dal metallo, negli sguardi di paura, stupore, vendetta. Le musiche sono spesso rumori di fabbrica (tipo martello che picchia un incudine) ritmati e ossessionanti.
Film indescrivibile. Anni fa vidi alcune scene a "fuori orario" su Rai3 e ne rimasi scioccato. La compenetrazione uomo-macchina, uomo-manufatto, concentrato estremo della massima volontà di potenza fisica e sessuale che si può immaginare.
Primo film di Tsukamoto, nel quale vi recita anche da protagonista.
Eccezionale! Decisamente un Cult.
Un genere che m'ero ripromesso d'approfondire e comincio da uno dei suoi manifesti.
In un ambiente da industria pesante un uomo s'innesta nella gamba un pezzo d'acciaio.
Forse ha miti nei supereroi o nei grandi sportivi che compaiono di sfuggita, sicuramente è un autolesionista spaventoso. Gli viene un'infezione, scappa di corsa e viene investito da una coppia di fidanzati che lo abbandonano, apparentemente morto (in un bosco forse?) e fanno persino sesso subito dopo vicino a lui.
E' solo l'incipit di questo incredibile film, che dura solo 1 ora ed è talmente visionario che risulta più che sufficiente...
L'investitore, come colpito da una maledizione, comincia a trasformarsi in metallo. Non è un robot, è una accozzaglia di pezzi di ferro e qualche tubo di gomma, con un pene-putrella con il quale uccide inavvertitamente la fidanzata. Nel frattempo ricompare un altro mostro iron-man, è il ragazzo investito, e tra i due comincia una durissima battaglia...
Non vi aiuterà molto la descrizione che ho fatto della trama, che può contenere anche qualche errore, ammetto candidamente di non aver capito bene tutto. Ma era la trama il concetto essenziale? Marginalmente, tant'è vero che l'ho visto in lingua originale senza sottotitoli e non ho perso nulla (anche perché diranno 10-11 parole in tutto).
Qua tutto è impressionante ed estremo, a cominciare dalle riprese. Un b/n da inizio '900 se non fosse per riprese e montaggio, ma la fotografia è quella, di un Cinema che rifiuta un contesto temporale, anche se si percepisce il Giappone del dopoguerra. Sequenze rapidissime di fotogrammi, altre accelerate, rewind rapidissimi: roba da epilessia procurata, tutto fatto in 16mm e per buona parte in spalla. Nelle scene più "lente" la ricerca di dettagli in quei corpi straziati dal metallo, negli sguardi di paura, stupore, vendetta. Le musiche sono spesso rumori di fabbrica (tipo martello che picchia un incudine) ritmati e ossessionanti.
Film indescrivibile. Anni fa vidi alcune scene a "fuori orario" su Rai3 e ne rimasi scioccato. La compenetrazione uomo-macchina, uomo-manufatto, concentrato estremo della massima volontà di potenza fisica e sessuale che si può immaginare.
Primo film di Tsukamoto, nel quale vi recita anche da protagonista.
Eccezionale! Decisamente un Cult.
martedì 9 febbraio 2010
The Belly of an Architect - Il ventre dell'architetto
Un architetto americano, Stourley Kracklite, sta per realizzare una mostra dedicata al famoso architetto del '700 francese, Etienne-Louis Boullée, a Roma, dove vi si reca con la giovane moglie.
Dopo un'accoglienza entusiasta, troverà in alcuni un'ostilità manifesta, in particolare in un altro architetto che dovrebbe collaborare con lui e che invece gli sedurrà persino la moglie, e soprattutto inizierà ad avere problemi di salute, al ventre. La sua è una sorta d'immedesimazione inconscia nei problemi, presunti, di salute dell'ipocondriaco genio francese. Attraverso Kracklite ed in epoca moderna riviviamo quindi alcuni aspetti della vita di Boullée. Non ve lo voglio raccontare troppo...
Anni fa comprai la colonna sonora di questo film, al buio, mi affascinava il titolo. Fu anche il primo di innumerevoli CD del grandissimo artista minimalista che adoro: Wim Mertens. Cominciai ad ascoltare quella musica almeno una volta al giorno, ogni volta m'immaginavo, solo guardando la copertina, come potesse essere il film.
Pensavo ad un insieme di immagini bellissime e mai colme di gente, dalla fotografia impeccabile. Pensavo ad una storia drammatica di passione pura per l'estetica, la efficacia e l'affidabilità fondamentale dell'architettura messa al servizio del bello che procura piacere alla vista e quindi anche causa di stati d'animo sereni ed arricchiti.
Temevo di restare deluso, dopo tanto che immagini nei sogni qualcosa. Invece ne sono uscito entusiasta, in molti momenti ho provato brividi da Sindrome di Stendhal. I sogni sono immagini sfumate, a grana grossissima, slegate fra loro. Vedere una rappresentazione così perfetta di quanto immaginavo mi ha emozionato tantissimo.
Quando appunto le musiche, bellissime, andavano ad accompagnare alla perfezione la storia. Musiche modernissime di essenziale armonia, insieme ad immagini perfette di una città, Roma, che non ha eguali al mondo e quelle del genio francese, di altra epoca quanto perfettamente immerse nel contesto.
E' un film d'una raffinatezza estetica complessiva che lascia esterrefatti!
Curiosamente, me l'avevano sconsigliato. Forse non pensavano con quali occhi l'avrei visto, e con quali orecchie. Mi sono involontariamente auto-educato al piacere dell'estetica leggendo Goethe ed Hugo, un piacere il mio non supportato da istruzione, solo semplicemente e fortemente sensibilizzato da quei due grandissimi scrittori e dalle loro opere.
Proprio come nelle musiche di Mertens, la trama ha delle pause, appesantimenti armonici, toni cupi, poi riparte con una bellezza devastante. Chi ama come me la musica di Mertens ha capito che tutti gli aspetti sono funzionali alla bellezza complessiva, proprio come le pause nella musica sono musica anch'esse.
Nessun colore esiste di per sé, ma solo per il contrasto che la luce che emana ha con gli altri colori.
Capolavoro nel mio personale Olimpo.
Dopo un'accoglienza entusiasta, troverà in alcuni un'ostilità manifesta, in particolare in un altro architetto che dovrebbe collaborare con lui e che invece gli sedurrà persino la moglie, e soprattutto inizierà ad avere problemi di salute, al ventre. La sua è una sorta d'immedesimazione inconscia nei problemi, presunti, di salute dell'ipocondriaco genio francese. Attraverso Kracklite ed in epoca moderna riviviamo quindi alcuni aspetti della vita di Boullée. Non ve lo voglio raccontare troppo...
Anni fa comprai la colonna sonora di questo film, al buio, mi affascinava il titolo. Fu anche il primo di innumerevoli CD del grandissimo artista minimalista che adoro: Wim Mertens. Cominciai ad ascoltare quella musica almeno una volta al giorno, ogni volta m'immaginavo, solo guardando la copertina, come potesse essere il film.
Pensavo ad un insieme di immagini bellissime e mai colme di gente, dalla fotografia impeccabile. Pensavo ad una storia drammatica di passione pura per l'estetica, la efficacia e l'affidabilità fondamentale dell'architettura messa al servizio del bello che procura piacere alla vista e quindi anche causa di stati d'animo sereni ed arricchiti.
Temevo di restare deluso, dopo tanto che immagini nei sogni qualcosa. Invece ne sono uscito entusiasta, in molti momenti ho provato brividi da Sindrome di Stendhal. I sogni sono immagini sfumate, a grana grossissima, slegate fra loro. Vedere una rappresentazione così perfetta di quanto immaginavo mi ha emozionato tantissimo.
Quando appunto le musiche, bellissime, andavano ad accompagnare alla perfezione la storia. Musiche modernissime di essenziale armonia, insieme ad immagini perfette di una città, Roma, che non ha eguali al mondo e quelle del genio francese, di altra epoca quanto perfettamente immerse nel contesto.
E' un film d'una raffinatezza estetica complessiva che lascia esterrefatti!
Curiosamente, me l'avevano sconsigliato. Forse non pensavano con quali occhi l'avrei visto, e con quali orecchie. Mi sono involontariamente auto-educato al piacere dell'estetica leggendo Goethe ed Hugo, un piacere il mio non supportato da istruzione, solo semplicemente e fortemente sensibilizzato da quei due grandissimi scrittori e dalle loro opere.
Proprio come nelle musiche di Mertens, la trama ha delle pause, appesantimenti armonici, toni cupi, poi riparte con una bellezza devastante. Chi ama come me la musica di Mertens ha capito che tutti gli aspetti sono funzionali alla bellezza complessiva, proprio come le pause nella musica sono musica anch'esse.
Nessun colore esiste di per sé, ma solo per il contrasto che la luce che emana ha con gli altri colori.
Capolavoro nel mio personale Olimpo.
lunedì 8 febbraio 2010
The Manson Family
La storia del criminale Charlie Manson, e dei suoi accoliti trasformatisi in criminali sanguinari, colpevoli tra l'altro della strage in cui morì Sharon Tate, attrice e moglie di Roman Polanski.
La storia su wiki è più che completa.
Il film sembra prodotto negli anni 70, le scene sono volutamente "anticate". Tutte le riprese, persino le interviste, sono finzione ma vengono fatte apparire come documenti dell'epoca (1969).
Presentato come "il film più violento di sempre", a parte orge, uno stupro, accoltellamenti efferati, francamente ho visto di molto peggio.
L'ho guardato con interesse per i fatti più che per il film, che temevo sarebbe stato piuttosto mediocre e così è stato.
Espedienti narrativi da trash, recitazioni ridicole, non mi ci perdo nemmeno 5 minuti a raccontarli. Sesso e droga a profusione, qualche tentativo d'impressionare con una marea di sangue, mi hanno fatto solo sorridere.
Peccato perché la storia vera di Manson "meritava" qualcosa di più, ed è proprio quella che rende un minimo sensata la visione.
La storia su wiki è più che completa.
Il film sembra prodotto negli anni 70, le scene sono volutamente "anticate". Tutte le riprese, persino le interviste, sono finzione ma vengono fatte apparire come documenti dell'epoca (1969).
Presentato come "il film più violento di sempre", a parte orge, uno stupro, accoltellamenti efferati, francamente ho visto di molto peggio.
L'ho guardato con interesse per i fatti più che per il film, che temevo sarebbe stato piuttosto mediocre e così è stato.
Espedienti narrativi da trash, recitazioni ridicole, non mi ci perdo nemmeno 5 minuti a raccontarli. Sesso e droga a profusione, qualche tentativo d'impressionare con una marea di sangue, mi hanno fatto solo sorridere.
Peccato perché la storia vera di Manson "meritava" qualcosa di più, ed è proprio quella che rende un minimo sensata la visione.
domenica 7 febbraio 2010
Visitor Q
Faresti sesso con un genitore? Picchieresti tua madre?
Sono alcune delle domande che fanno nei centri psichiatrici vecchia maniera, per capire il tuo grado di pazzia. Quiz: rispondere con una crocetta sul sì o sul no.
Miike comincia il film dando realtà fisica a queste domande, illustrandoci una situazione familiare allucinante in cui i rapporti tra gli individui ed i canonici valori sono completamente ribaltati...
La figlia maggiore ma ancora studente vive fuori di casa e si prostituisce per mantenersi. Tra i clienti avrà il padre, complessato eiaculatore precoce, che fa il reporter per la tv e sta conducendo un indagine sul fenomeno del bullismo giovanile con dubbi risultati. Verrà preso a sassate in testa da un personaggio indefinibile, un giovane, che porterà a casa sua. Il figlio è il despota della madre, la riempie di frustate con dei battipanni senza alcuna ragione, la picchia e basta. La donna è tossicodipendente all'insaputa di tutti e si prostituisce solo per pagarsi la droga. Il figlio è quotidianamente vittima del bullismo di compagni di classe che si spinge fino a casa sua, dove gli sparano contro petardi e fumogeni...
Insomma, una situazione davvero pazzesca, nella quale il "visitor" s'inserisce come figura comprensiva e tollerante, si relaziona con affetto con tutti tranne con la figlia assente, che incontrerà solo nel finale.
Poco dopo il suo arrivo tutti i soggetti della famiglia cominciano a "ribellarsi" alla loro condizione, e allora se la situazione precedente era definibile pazzesca, per quella che segue non ci sono aggettivi.
Il finale sarà un curioso ritorno al nettare materno, un arretramento collettivo all'infanzia, un punto da cui ripartire.
Trama ermetica, enigmatica. Se qualcosa non "dovrebbe" accadere puoi star certo che accadrà.
Horror psicologico, amorale, senza sangue ma molto più orticante di uno splatter, con persino alcune scene di irresistibile comicità.
Miike è un grande, ma forse non è per tutti.
Sono alcune delle domande che fanno nei centri psichiatrici vecchia maniera, per capire il tuo grado di pazzia. Quiz: rispondere con una crocetta sul sì o sul no.
Miike comincia il film dando realtà fisica a queste domande, illustrandoci una situazione familiare allucinante in cui i rapporti tra gli individui ed i canonici valori sono completamente ribaltati...
La figlia maggiore ma ancora studente vive fuori di casa e si prostituisce per mantenersi. Tra i clienti avrà il padre, complessato eiaculatore precoce, che fa il reporter per la tv e sta conducendo un indagine sul fenomeno del bullismo giovanile con dubbi risultati. Verrà preso a sassate in testa da un personaggio indefinibile, un giovane, che porterà a casa sua. Il figlio è il despota della madre, la riempie di frustate con dei battipanni senza alcuna ragione, la picchia e basta. La donna è tossicodipendente all'insaputa di tutti e si prostituisce solo per pagarsi la droga. Il figlio è quotidianamente vittima del bullismo di compagni di classe che si spinge fino a casa sua, dove gli sparano contro petardi e fumogeni...
Insomma, una situazione davvero pazzesca, nella quale il "visitor" s'inserisce come figura comprensiva e tollerante, si relaziona con affetto con tutti tranne con la figlia assente, che incontrerà solo nel finale.
Poco dopo il suo arrivo tutti i soggetti della famiglia cominciano a "ribellarsi" alla loro condizione, e allora se la situazione precedente era definibile pazzesca, per quella che segue non ci sono aggettivi.
Il finale sarà un curioso ritorno al nettare materno, un arretramento collettivo all'infanzia, un punto da cui ripartire.
Trama ermetica, enigmatica. Se qualcosa non "dovrebbe" accadere puoi star certo che accadrà.
Horror psicologico, amorale, senza sangue ma molto più orticante di uno splatter, con persino alcune scene di irresistibile comicità.
Miike è un grande, ma forse non è per tutti.
The Pillow Book - I racconti del cuscino
Comincio la mia rassegna su Greenaway, regista particolarissimo che suscita in critica e pubblico sentimenti contrapposti e mai intermedi: o piace molto o non piace per niente.
Da che parte mi troverò? Non ho bisogno di schierarmi, ma di dichiararmi, per correttezza con chi legge: a me piace, e molto!
Questo film è tra i suoi migliori a leggere in giro...
Una storia orientalissima raccontata da un inglese, che certo si è avvalso di molta consulenza giapponese, ma ha diretto e montato personalmente la storia e soprattutto le stupendissime immagini.
Nagiko è figlia di uno scrittore che è anche un artista della Calligrafia, vera forma d'arte in Giappone. Ad ogni compleanno il padre, che di fatto si prostituisce con l'editore per poter pubblicare i suoi libri, scrive col pennello sul viso e sulla schiena di Nagiko un messaggio richiamante la Genesi. La ragazza, che scoprirà la verità sul padre e sull'editore, sarà anche costretta a sposare il figlio dell'editore, ma il matrimonio fallirà in breve tempo, l'uomo è molto gretto, lei invece colta, bellissima e raffinata. Scappa ad Hong Kong dove dopo qualche lavoro umile arriverà a lavorare per uno stilista di moda, anche come modella: diventerà ricchissima.
Nagiko adora due piaceri: la carne e la scrittura. Inizialmente è alla ricerca di amanti che siano anche calligrafi, che le scrivano sul suo corpo. Poi diventa lei scrittrice di corpi. Seduce uomini, li depila e gli scrive sopra dei racconti, in particolare su un inglese che conosce l'editore del padre e ne è anche amante. Metterà in atto un incredibile piano di vendetta, per motivi che vi lascio scoprire...
Greenaway a quanto leggo è grande amante e cultore dell'arte architettonica e pittorica, e le transfonde nella Settima. In questo film ci riesce alla grandissima.
All'inizio si fatica, solo per poco, a seguire gli eventi. Poi diventa semplice. L'espediente di inserire spesso molteplici frame nell'immagine che si vede, con un effetto collage non facile da seguire, diventa poi una meraviglia, t'impegna ma t'appaga. Come in quadro importante devi cogliere tanti dettagli in tanti punti diversi, a volte asincroni nel tempo, tutti che contribuiscono ad arricchire la trama.
L'atmosfera, anche grazie a suoni e musiche particolari, è come ho detto estremamente "giapponese". Proprio com'è tipico nella loro cultura, mantiene insieme vivi sia la tradizione che la incredibile modernità. Immagini sgranate, colori stupendi, trama complessa e di difficile comprensione per gli occidentali eppure sensata in luoghi dove il rapporto col mistico è estremamente diverso dal nostro.
Bellissimo ed assolutamente da vedere.
Ho trovato un altro genio del Cinema, sono contentissimo.
Da che parte mi troverò? Non ho bisogno di schierarmi, ma di dichiararmi, per correttezza con chi legge: a me piace, e molto!
Questo film è tra i suoi migliori a leggere in giro...
Una storia orientalissima raccontata da un inglese, che certo si è avvalso di molta consulenza giapponese, ma ha diretto e montato personalmente la storia e soprattutto le stupendissime immagini.
Nagiko è figlia di uno scrittore che è anche un artista della Calligrafia, vera forma d'arte in Giappone. Ad ogni compleanno il padre, che di fatto si prostituisce con l'editore per poter pubblicare i suoi libri, scrive col pennello sul viso e sulla schiena di Nagiko un messaggio richiamante la Genesi. La ragazza, che scoprirà la verità sul padre e sull'editore, sarà anche costretta a sposare il figlio dell'editore, ma il matrimonio fallirà in breve tempo, l'uomo è molto gretto, lei invece colta, bellissima e raffinata. Scappa ad Hong Kong dove dopo qualche lavoro umile arriverà a lavorare per uno stilista di moda, anche come modella: diventerà ricchissima.
Nagiko adora due piaceri: la carne e la scrittura. Inizialmente è alla ricerca di amanti che siano anche calligrafi, che le scrivano sul suo corpo. Poi diventa lei scrittrice di corpi. Seduce uomini, li depila e gli scrive sopra dei racconti, in particolare su un inglese che conosce l'editore del padre e ne è anche amante. Metterà in atto un incredibile piano di vendetta, per motivi che vi lascio scoprire...
Greenaway a quanto leggo è grande amante e cultore dell'arte architettonica e pittorica, e le transfonde nella Settima. In questo film ci riesce alla grandissima.
All'inizio si fatica, solo per poco, a seguire gli eventi. Poi diventa semplice. L'espediente di inserire spesso molteplici frame nell'immagine che si vede, con un effetto collage non facile da seguire, diventa poi una meraviglia, t'impegna ma t'appaga. Come in quadro importante devi cogliere tanti dettagli in tanti punti diversi, a volte asincroni nel tempo, tutti che contribuiscono ad arricchire la trama.
L'atmosfera, anche grazie a suoni e musiche particolari, è come ho detto estremamente "giapponese". Proprio com'è tipico nella loro cultura, mantiene insieme vivi sia la tradizione che la incredibile modernità. Immagini sgranate, colori stupendi, trama complessa e di difficile comprensione per gli occidentali eppure sensata in luoghi dove il rapporto col mistico è estremamente diverso dal nostro.
Bellissimo ed assolutamente da vedere.
Ho trovato un altro genio del Cinema, sono contentissimo.
sabato 6 febbraio 2010
Lo spazio bianco
Sono scosso. La mia non sarà una recensione obiettiva. Se avrete la pazienza di leggere capirete le ragioni.
Sinossi in brevissimo: Maria è "primipara attempata", come viene definita nel film. La figlia, non accettata dal compagno occasionale con cui l'ha generata, nasce a 6 mesi di gestazione, quindi gravemente prematura. Dovrà trascorrere un lungo periodo in incubatrice, potrà morire, avere seri problemi, essere cieca, o sorda. Tutto è possibile...
La storia viene alleggerita ed arricchita dalle vicende personali di Maria, insegnante in una scuola delle 150 ore per adulti sempre in cerca di un'aula dove andare, coi suoi casi umani. E' vicina di casa di una donna magistrato che vive blindata con la scorta e non vede i figli da 3 anni. Altre piccole cose, tra cui altri amori, raccontate sul prima e sul dopo della nascita.
Il cuore della trama è però la bambina in ospedale, Irene, che appena s'intravede tranne nel toccante finale.
E' di questo che voglio soprattutto parlare, se ci riesco.
Ho avuto personalmente questa esperienza. I miei 2 primi figli, i gemelli Leonardo e Lorenzo, sono nati gravemente prematuri a 6 mesi, esattamente come Irene. Spesso, in occasione di altre recensioni dove l'argomento era la diversità della disabilità, ne ho parlato, ma mai ho descritto l'esperienza in ospedale della loro nascita. Non è un caso, mi ha minato la vita irreparabilmente nel bene e nel male.
Contrazioni improvvise. Corri in ospedale, alla Mangiagalli di Milano, convinto che basti un po' di farmaco e vedi tua moglie piangente uscire dal pronto soccorso su un lettino diretto alla sala parto. Uno dei 2 ha rotto la placenta. E' troppo presto, lo sai, cominci a chiedere informazioni. Gli devono ritardare il parto per almeno 24h, giusto il tempo di dare un farmaco che aiuta i polmoni a svilupparsi. Monitor, perdite di sangue, lei che il panico supera i dolori.
Nascono vivi, il primo passo. Faccio appena in tempo a prenderne uno in mano, Lorenzo mi sta proprio sopra una mano, sembra un piccolo marziano. Pesano 700gr prima del calo fisiologico. Via di corsa in Terapia Intensiva, in incubatrice. Mia moglie li vedrà dopo 2 giorni, appena riuscirà ad alzarsi dal letto dopo il cesareo. Io ero già stato lì dentro.
C'è uno stanzino dove bisogna lavarsi le mani fino al gomito. Poi indossiamo camice, sovrascarpe, cuffia per capelli e mascherina. Apri la porta e sei accolto dai ticchettii dei monitor. Si entra un genitore per figlio, noi entriamo entrambi perché sono due. Si va all'incubatrice da quell'esserino con gli occhi quasi sempre chiusi. Ci sono 2 aperture dove poter infilare le mani per poterlo accarezzare, toccare, dargli il latte che le donne si sono tirate prima in un'altra stanza. 4 volte al giorno: mattina presto, pranzo, pomeriggio, sera.
Torni a casa, ceni e vai a letto. Non ci sei, sei là, non sai cosa ti aspetta quando arriverai la mattina, la notte è la pausa più lunga tra una visita e l'altra. Arriviamo trafelati con fare apparentemente calmo. Vestizione poi entri, e basta un minimo dettaglio a scatenare il panico. La prima volta che hanno spostato l'incubatrice di uno dei miei figli m'è andato il cuore in gola. Entro e non lo trovo. Dov'è? Dottore! Infermiera! Calma, è lì. Ah, grazie. Gli vai vicino e sfoghi un pianto a fiume.
I monitor, altro fattore di panico. Misurano battiti, pressione, saturazione di ossigeno nel sangue. Quest'ultimo indice è quello che procura più allarmi. Il loro suono è ancora nei miei incubi. Se non era quello di tuo figlio era quello di un altro, ogni 5 min partiva un allarme, scene di agitazione, che succede? poi arrivava qualcuno e quasi sempre si risolveva la cosa. Gli occhi si fissavano su quei monitor certe volte senza staccarsi. Quando partiva un allarme era come un risveglio improvviso da un sonno nero, di assenza.
Ormai noi "genitori della terapia intensiva" ci conoscevamo tutti, eravamo una piccola comunità di disperati. All'inizio non sai nemmeno bene se e come raccontare le quotidiane buone o cattive notizie, per paura di influenzare menti sensibili, ci sono reazioni imprevedibili, tue e degli altri. Poi diventi esperto.
Un giorno arriviamo e ci dicono che non si può entrare. C'è stata un'infezione diffusa ed hanno dovuto, in emergenza, somministrare a tutti, per evitarne la morte, un antibiotico ad ampio spettro. Nella sala d'attesa c'è un silenzio assoluto. Alcuni bambini, tra cui i miei, ne pagheranno qualche conseguenza, quegli antibiotici sono tremendi. Per la prima volta, dopo questo fatto, dovranno intubare i miei figli per qualche giorno.
Potrei scriverne ancora molto, quasi ogni giorno ne capitava una. Ma non ce la faccio più, mi fermo qua.
Hanno già un nome ma non sai se sono ancora nati, nemmeno li hai presi in braccio con serenità. Nascita incerta e morte sempre possibile, sono una situazione che non avresti mai immaginato. 50 giorni così, prima che uscissero dalla condizione di pericolo. Sono venuti a casa dopo 90 giorni.
Io e mia moglie non siamo più tornati gli stessi.
Il film è di un realismo straordinariamente perfetto, fatto con grande sensibilità. L'interpretazione di Margherita Buy non me la dimenticherò mai.
In più di un episodio la Comencini ha dimostrato di saperci molto fare, ci sono piccole scene oniriche belle e struggenti, significative, simbolo irreale di una situazione inimmaginabile se non la si vive. La "danza" delle donne dentro il reparto. La ragazza sul tetto dell'ospedale, sola, che guarda giù. Maria che torna in ospedale il giorno, e lei lo sa, che toglieranno la respirazione pilotata ad Irene, che cammina in una inesistente Napoli silente e glabra di cose e persone, lei è sola di fatto, e la stessa inesistente Napoli quando per le doglie improvvise si accascia in strada, con quel vestito nero che pare anticipare un possibile lutto. Sono scene davvero bellissime, misurate col calibro nelle dosi, che addolciscono col Cinema senza distrarre dall'argomento.
Nel mio personale Olimpo, un grande e coraggioso film italiano, ne sono orgoglioso.
Sinossi in brevissimo: Maria è "primipara attempata", come viene definita nel film. La figlia, non accettata dal compagno occasionale con cui l'ha generata, nasce a 6 mesi di gestazione, quindi gravemente prematura. Dovrà trascorrere un lungo periodo in incubatrice, potrà morire, avere seri problemi, essere cieca, o sorda. Tutto è possibile...
La storia viene alleggerita ed arricchita dalle vicende personali di Maria, insegnante in una scuola delle 150 ore per adulti sempre in cerca di un'aula dove andare, coi suoi casi umani. E' vicina di casa di una donna magistrato che vive blindata con la scorta e non vede i figli da 3 anni. Altre piccole cose, tra cui altri amori, raccontate sul prima e sul dopo della nascita.
Il cuore della trama è però la bambina in ospedale, Irene, che appena s'intravede tranne nel toccante finale.
E' di questo che voglio soprattutto parlare, se ci riesco.
Ho avuto personalmente questa esperienza. I miei 2 primi figli, i gemelli Leonardo e Lorenzo, sono nati gravemente prematuri a 6 mesi, esattamente come Irene. Spesso, in occasione di altre recensioni dove l'argomento era la diversità della disabilità, ne ho parlato, ma mai ho descritto l'esperienza in ospedale della loro nascita. Non è un caso, mi ha minato la vita irreparabilmente nel bene e nel male.
Contrazioni improvvise. Corri in ospedale, alla Mangiagalli di Milano, convinto che basti un po' di farmaco e vedi tua moglie piangente uscire dal pronto soccorso su un lettino diretto alla sala parto. Uno dei 2 ha rotto la placenta. E' troppo presto, lo sai, cominci a chiedere informazioni. Gli devono ritardare il parto per almeno 24h, giusto il tempo di dare un farmaco che aiuta i polmoni a svilupparsi. Monitor, perdite di sangue, lei che il panico supera i dolori.
Nascono vivi, il primo passo. Faccio appena in tempo a prenderne uno in mano, Lorenzo mi sta proprio sopra una mano, sembra un piccolo marziano. Pesano 700gr prima del calo fisiologico. Via di corsa in Terapia Intensiva, in incubatrice. Mia moglie li vedrà dopo 2 giorni, appena riuscirà ad alzarsi dal letto dopo il cesareo. Io ero già stato lì dentro.
C'è uno stanzino dove bisogna lavarsi le mani fino al gomito. Poi indossiamo camice, sovrascarpe, cuffia per capelli e mascherina. Apri la porta e sei accolto dai ticchettii dei monitor. Si entra un genitore per figlio, noi entriamo entrambi perché sono due. Si va all'incubatrice da quell'esserino con gli occhi quasi sempre chiusi. Ci sono 2 aperture dove poter infilare le mani per poterlo accarezzare, toccare, dargli il latte che le donne si sono tirate prima in un'altra stanza. 4 volte al giorno: mattina presto, pranzo, pomeriggio, sera.
Torni a casa, ceni e vai a letto. Non ci sei, sei là, non sai cosa ti aspetta quando arriverai la mattina, la notte è la pausa più lunga tra una visita e l'altra. Arriviamo trafelati con fare apparentemente calmo. Vestizione poi entri, e basta un minimo dettaglio a scatenare il panico. La prima volta che hanno spostato l'incubatrice di uno dei miei figli m'è andato il cuore in gola. Entro e non lo trovo. Dov'è? Dottore! Infermiera! Calma, è lì. Ah, grazie. Gli vai vicino e sfoghi un pianto a fiume.
I monitor, altro fattore di panico. Misurano battiti, pressione, saturazione di ossigeno nel sangue. Quest'ultimo indice è quello che procura più allarmi. Il loro suono è ancora nei miei incubi. Se non era quello di tuo figlio era quello di un altro, ogni 5 min partiva un allarme, scene di agitazione, che succede? poi arrivava qualcuno e quasi sempre si risolveva la cosa. Gli occhi si fissavano su quei monitor certe volte senza staccarsi. Quando partiva un allarme era come un risveglio improvviso da un sonno nero, di assenza.
Ormai noi "genitori della terapia intensiva" ci conoscevamo tutti, eravamo una piccola comunità di disperati. All'inizio non sai nemmeno bene se e come raccontare le quotidiane buone o cattive notizie, per paura di influenzare menti sensibili, ci sono reazioni imprevedibili, tue e degli altri. Poi diventi esperto.
Un giorno arriviamo e ci dicono che non si può entrare. C'è stata un'infezione diffusa ed hanno dovuto, in emergenza, somministrare a tutti, per evitarne la morte, un antibiotico ad ampio spettro. Nella sala d'attesa c'è un silenzio assoluto. Alcuni bambini, tra cui i miei, ne pagheranno qualche conseguenza, quegli antibiotici sono tremendi. Per la prima volta, dopo questo fatto, dovranno intubare i miei figli per qualche giorno.
Potrei scriverne ancora molto, quasi ogni giorno ne capitava una. Ma non ce la faccio più, mi fermo qua.
Hanno già un nome ma non sai se sono ancora nati, nemmeno li hai presi in braccio con serenità. Nascita incerta e morte sempre possibile, sono una situazione che non avresti mai immaginato. 50 giorni così, prima che uscissero dalla condizione di pericolo. Sono venuti a casa dopo 90 giorni.
Io e mia moglie non siamo più tornati gli stessi.
Il film è di un realismo straordinariamente perfetto, fatto con grande sensibilità. L'interpretazione di Margherita Buy non me la dimenticherò mai.
In più di un episodio la Comencini ha dimostrato di saperci molto fare, ci sono piccole scene oniriche belle e struggenti, significative, simbolo irreale di una situazione inimmaginabile se non la si vive. La "danza" delle donne dentro il reparto. La ragazza sul tetto dell'ospedale, sola, che guarda giù. Maria che torna in ospedale il giorno, e lei lo sa, che toglieranno la respirazione pilotata ad Irene, che cammina in una inesistente Napoli silente e glabra di cose e persone, lei è sola di fatto, e la stessa inesistente Napoli quando per le doglie improvvise si accascia in strada, con quel vestito nero che pare anticipare un possibile lutto. Sono scene davvero bellissime, misurate col calibro nelle dosi, che addolciscono col Cinema senza distrarre dall'argomento.
Nel mio personale Olimpo, un grande e coraggioso film italiano, ne sono orgoglioso.
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