Direttamente dalla Thailandia e senza doppiaggio un bell'horror che non si fa per niente dispiacere.
In un ospedale, in un reparto dove non ho ben capito di che si occupano, il medico Tah è solo ad operare, con un plotone d'infermiere di notevole morfologia che gli fanno il filo. Per motivi che saranno chiari solo negli ultimi frame, una di queste ragazze, proprio con la complicità del medico, verrà uccisa dalle colleghe.
Secondo una "certa" teoria, dopo una settimana il fantasma della defunta può tornare ed ovviamente tornerà, feroce e spietato e con sembianze particolarmente lugubri, a vendicarsi della violenza subita. Inizierà una strage con espedienti molto fantasiosi, tutti diversi e con un preciso perché...
Horror di svago puro ma anche esibizione efficace di tecniche ed espedienti narrativi, affatto noioso anzi parecchio divertente, splatter al limite del gore, ettolitri di sangue che diventano un mare. Un film che quasi prende in giro lo stesso genere a cui appartiene e lo fa facendosi bello, guardandosi allo specchio e producendo alcune scene semplicemente splendide per foto e scenografia.
Brillante e curioso, appagante per gli occhi.
Anche se solo per un momento di sano relax, merita la visione.
Recensioni di Film, SerieTV e Teatro di ogni genere, epoca e nazione
lunedì 31 maggio 2010
domenica 30 maggio 2010
Boys Don't Cry
Il ragazzo Brandon Teena o la ragazza Teena Brandon? Lui, un ermafrodito, si sente Brandon, aspira ad esserlo, ma ha il corpo di Teena e non i soldi per modificarlo come vorrebbe. Conquista le ragazze col suo aspetto dolce e femmineo per quanto mascherato al maschile. Costretto a vivere nella menzogna, mascherarsi, fingere, ne combina anche parecchie, piccoli furti,
multe non pagate, non ne viene a capo, ogni volta sempre spinto da un irrefrenabile desiderio di innamorarsi.
A Fall City nel Nebraska, dove non lo conoscono, cercherà di costruirsi una vita nuova e troverà un amore, Lena, una ragazza che anche quando scoprirà la verità non cesserà d'amarlo. Purtroppo per Brandon, Lena ha un fratello violentemente instabile con un amico pure peggio, e anche loro scopriranno la sua situazione...
Anche se la storia è fedelmente ispirata ad un brutto fatto di cronaca del 1993, vi lascio scoprire come andò a finire. Ennesimo caso di brutalità subite per discriminazione sessuale, fatti che ancora non cessano d'accadere. Alcune delle persone coinvolte nella vicenda, chiamate coi loro reali nomi e cognomi nel film, negarono alcune delle situazioni così come esposte, ma tutto è basato su atti processuali, c'è poco da confutare.
Film di grandissimo livello, nel mio Olimpo personale, ed interpretazione di Brandon da parte di una Hilary Swank androgina assolutamente stratosferica, nel suo linguaggio del corpo, del viso, s'è dovuta violentare in questa immedesimazione, da restare a bocca aperta! Pensare che è un'opera prima, ma quanto lavoro dietro, cinque anni pazienti di ricostruzione da parte della Peirce e dei suoi collaboratori. Una ricostruzione con un ambiente spesso buio, la violenza sempre dietro l'angolo, situazioni familiari al limite, rapporto difficile col sesso ovunque. Il pur incasinato Brandon nonostante la "confusa identità sessuale" come lui stesso la definisce sembra il solo ad avere le idee chiare in merito.
Storia rappresentata con durezza e dolcezza in modo esemplare.
Assolutamente da vedere.
Il titolo è lo stesso di uno dei pezzi più famosi del gruppo post-punk The Cure, i meno giovani li ricorderanno sicuramente. Il brano compare anche per un attimo durante il film ed ha un testo calzante.
multe non pagate, non ne viene a capo, ogni volta sempre spinto da un irrefrenabile desiderio di innamorarsi.
A Fall City nel Nebraska, dove non lo conoscono, cercherà di costruirsi una vita nuova e troverà un amore, Lena, una ragazza che anche quando scoprirà la verità non cesserà d'amarlo. Purtroppo per Brandon, Lena ha un fratello violentemente instabile con un amico pure peggio, e anche loro scopriranno la sua situazione...
Anche se la storia è fedelmente ispirata ad un brutto fatto di cronaca del 1993, vi lascio scoprire come andò a finire. Ennesimo caso di brutalità subite per discriminazione sessuale, fatti che ancora non cessano d'accadere. Alcune delle persone coinvolte nella vicenda, chiamate coi loro reali nomi e cognomi nel film, negarono alcune delle situazioni così come esposte, ma tutto è basato su atti processuali, c'è poco da confutare.
Film di grandissimo livello, nel mio Olimpo personale, ed interpretazione di Brandon da parte di una Hilary Swank androgina assolutamente stratosferica, nel suo linguaggio del corpo, del viso, s'è dovuta violentare in questa immedesimazione, da restare a bocca aperta! Pensare che è un'opera prima, ma quanto lavoro dietro, cinque anni pazienti di ricostruzione da parte della Peirce e dei suoi collaboratori. Una ricostruzione con un ambiente spesso buio, la violenza sempre dietro l'angolo, situazioni familiari al limite, rapporto difficile col sesso ovunque. Il pur incasinato Brandon nonostante la "confusa identità sessuale" come lui stesso la definisce sembra il solo ad avere le idee chiare in merito.
Storia rappresentata con durezza e dolcezza in modo esemplare.
Assolutamente da vedere.
Il titolo è lo stesso di uno dei pezzi più famosi del gruppo post-punk The Cure, i meno giovani li ricorderanno sicuramente. Il brano compare anche per un attimo durante il film ed ha un testo calzante.
sabato 29 maggio 2010
Elementarteilchen - Le particelle elementari
Da quel che ho letto il film è tratto da un libro omonimo scritto dal tedesco Michel Houellebecq, un caso letterario, che non conosco. Unanime è il riconoscimento allo stesso di uno stile di scrittura sperimentale, innovativo.
Film coraggioso e difficile dunque, ricavarne una sceneggiatura non deve essere stato semplice. Risulta complesso, ma affatto impossibile, da seguire.
E' la storia di due fratelli da parte di madre, padri diversi, che vengono a conoscenza del loro legame ormai adolescenti. Sono estremamente diversi. Bruno è psichicamente molto instabile, ossessionato dal sesso che ricerca costantemente, così come ricerca un rapporto sicuro con una donna. Michael è un genio della matematica e della biochimica, autore di un'innovativa ricerca sul DNA, con un amore infantile mai consumato ed un rapporto timido nei confronti delle donne...
2 vite quindi diversissime tra le quali si crea un'amicizia che nel corso degli anni sarà preziosa ad entrambi. Diversi i momenti d'incontro, Michael sarà d'aiuto a Bruno, il più debole, quasi irrimediabilmente condannato a vivere in ospedale psichiatrico, eppure lo stesso Bruno, in qualche modo, farà riflettere Michael. E' proprio il DNA, nella mia personale interpretazione, il filo rosso di una trama che porterà ad un fattore comune, un piccolo ma importante e drammatico dettaglio, seppure in forme diverse, che riguarda la loro vita affettiva.
Il titolo mi ha subito affascinato e ho trovato una conferma, dell'idea che mi dava, nelle prime fasi del film. A un certo momento, non ricordo le parole precise, Michael riflette sul fatto che la Verità si trova nelle piccole particelle, in merito alle sue ricerche. Una conferma parziale e la mia fantasia va oltre, estende il concetto in modo, per dirla con un parolone, filosofico-umanistico. Un'umanità che ricerca sempre risposte a grandi verità e che poi, essendo verità appunto di grandezza e complessità insormontabili, finisce per gettarsi in modo fideistico e spesso fanatico su religioni e metafisiche varie. Meglio e più salutare risolvere piccole domande, demandare ai successori le domande successive, con approccio umilmente positivistico ed accontentarsi di questo, mantenendo quei valori indiscutibili che sono il rispetto per le persone, gli animali e l'ambiente tutto nel senso più ampio. L'Uomo sa farsi piccolo in questo modo, scendere dal trono e riconoscere la propria dimensione.
Ho divagato ma il Cinema, come ogni forma d'arte, è bello quando personalizzabile, quando fa riflettere anche se si esce (forse) dal contesto, dal vero messaggio. E quando un film mi dà questo io lo giudico bene, anzi benissimo.
Molto, molto bello, ma non per tutti.
Lo rivedrò in futuro, ci devo ancora meditare.
Film coraggioso e difficile dunque, ricavarne una sceneggiatura non deve essere stato semplice. Risulta complesso, ma affatto impossibile, da seguire.
E' la storia di due fratelli da parte di madre, padri diversi, che vengono a conoscenza del loro legame ormai adolescenti. Sono estremamente diversi. Bruno è psichicamente molto instabile, ossessionato dal sesso che ricerca costantemente, così come ricerca un rapporto sicuro con una donna. Michael è un genio della matematica e della biochimica, autore di un'innovativa ricerca sul DNA, con un amore infantile mai consumato ed un rapporto timido nei confronti delle donne...
2 vite quindi diversissime tra le quali si crea un'amicizia che nel corso degli anni sarà preziosa ad entrambi. Diversi i momenti d'incontro, Michael sarà d'aiuto a Bruno, il più debole, quasi irrimediabilmente condannato a vivere in ospedale psichiatrico, eppure lo stesso Bruno, in qualche modo, farà riflettere Michael. E' proprio il DNA, nella mia personale interpretazione, il filo rosso di una trama che porterà ad un fattore comune, un piccolo ma importante e drammatico dettaglio, seppure in forme diverse, che riguarda la loro vita affettiva.
Il titolo mi ha subito affascinato e ho trovato una conferma, dell'idea che mi dava, nelle prime fasi del film. A un certo momento, non ricordo le parole precise, Michael riflette sul fatto che la Verità si trova nelle piccole particelle, in merito alle sue ricerche. Una conferma parziale e la mia fantasia va oltre, estende il concetto in modo, per dirla con un parolone, filosofico-umanistico. Un'umanità che ricerca sempre risposte a grandi verità e che poi, essendo verità appunto di grandezza e complessità insormontabili, finisce per gettarsi in modo fideistico e spesso fanatico su religioni e metafisiche varie. Meglio e più salutare risolvere piccole domande, demandare ai successori le domande successive, con approccio umilmente positivistico ed accontentarsi di questo, mantenendo quei valori indiscutibili che sono il rispetto per le persone, gli animali e l'ambiente tutto nel senso più ampio. L'Uomo sa farsi piccolo in questo modo, scendere dal trono e riconoscere la propria dimensione.
Ho divagato ma il Cinema, come ogni forma d'arte, è bello quando personalizzabile, quando fa riflettere anche se si esce (forse) dal contesto, dal vero messaggio. E quando un film mi dà questo io lo giudico bene, anzi benissimo.
Molto, molto bello, ma non per tutti.
Lo rivedrò in futuro, ci devo ancora meditare.
venerdì 28 maggio 2010
Los abrazos rotos - Gli abbracci spezzati
Un personaggio in doppia configurazione. Harry Caine a Madrid è scrittore e sceneggiatore di film molto apprezzato, è solo uno pseudonimo, sovrascrittura del nome e del ruolo precedente di regista, oltre che di scrittore, quando si faceva chiamare col suo vero nome, Mateo Blanco. Harry a differenza di Mateo è cieco, quasi completamente dipendente da una sua storica collaboratrice e dal figlio, che lo aiutano per ogni cosa.
Molti scrittori emergenti lo cercano. Tra questi giungerà un certo Ray-X che presto si scoprirà essere figlio, poco stimato, di Ernesto Martel, amante quest'ultimo di Lena (un'ottima in tutti i sensi Penelope Cruz). Questa visita scoprirà un vaso di pandora di storie, segreti, degno di un giallo. Lena aveva lavorato come attrice con Mateo, ne diventò presto amante passionale, ma il ricco Ernest, con la collaborazione del figlio, rese il rapporto impossibile. Solo alla fine il destino di Lena, la cecità di Harry, i legami con la collaboratrice ed il figlio della stessa emergeranno.
L'Almodovar che gioca con un personaggio del Cinema, che ironizza persino sul mondo del quale lui è uno dei più grandi esponenti, ci propone una trama di media complessità e rigorosa, un dramma moderno. La figura di Lena come le altre, ed in questo si mantiene coerente col suo modo di raccontare le storie, non ha connotazione né etica né morale, nemmeno il "crudele" Ernesto è interamente qualificabile, all'inizio del film è persino un benefattore. L'Amore è ancora il centro della narrazione, nelle gioie della passione, del sesso e della morte.
Non la vetta del grande regista, che però è sempre più tecnico, attento ai tempi, bravo nel coinvolgere in una storia ricca di personaggi, ognuno con una propria identità e, come sempre, in concerto con gli altri per affinità o legami.
Una bella visione, per amanti del regista ma anche no.
Molti scrittori emergenti lo cercano. Tra questi giungerà un certo Ray-X che presto si scoprirà essere figlio, poco stimato, di Ernesto Martel, amante quest'ultimo di Lena (un'ottima in tutti i sensi Penelope Cruz). Questa visita scoprirà un vaso di pandora di storie, segreti, degno di un giallo. Lena aveva lavorato come attrice con Mateo, ne diventò presto amante passionale, ma il ricco Ernest, con la collaborazione del figlio, rese il rapporto impossibile. Solo alla fine il destino di Lena, la cecità di Harry, i legami con la collaboratrice ed il figlio della stessa emergeranno.
L'Almodovar che gioca con un personaggio del Cinema, che ironizza persino sul mondo del quale lui è uno dei più grandi esponenti, ci propone una trama di media complessità e rigorosa, un dramma moderno. La figura di Lena come le altre, ed in questo si mantiene coerente col suo modo di raccontare le storie, non ha connotazione né etica né morale, nemmeno il "crudele" Ernesto è interamente qualificabile, all'inizio del film è persino un benefattore. L'Amore è ancora il centro della narrazione, nelle gioie della passione, del sesso e della morte.
Non la vetta del grande regista, che però è sempre più tecnico, attento ai tempi, bravo nel coinvolgere in una storia ricca di personaggi, ognuno con una propria identità e, come sempre, in concerto con gli altri per affinità o legami.
Una bella visione, per amanti del regista ma anche no.
giovedì 27 maggio 2010
Zatoichi
Kitano dirige ed interpreta un eroe della fiction televisiva giapponese degli anni sessanta. Una di quelle tipiche figure leggendarie, guerriero samurai invincibile seppure cieco, tanto amata dagli orientali quanto da noi che vediamo l'oriente come un altro pianeta.
Zatoichi si spaccia per massaggiatore itinerante, non ha fissa dimora, si ferma dove lo ospitano. Finisce in un villaggio taccheggiato da diverse bande e lentamente inserendosi nelle storie drammatiche che lo circondano finirà per aiutare, con spargimenti di sangue non indifferenti, i più deboli. Crudeltà assortite, travestiti, miserabili di varia specie, geishe, pedofilia, un villaggio che condensa come un serraglio tutte le possibili brutture che la gente comune doveva ai tempi sopportare. Poi arriva Zatoichi, con una katana che affetta anche le rocce.
Genialità pura, come potrei diversamente definire la fantasia di Kitano se non così?
Fotografia e musiche fantastiche (ci sono delle scene di lavoro a ritmo con la musica bellissime!), rigore nei costumi e nelle ricostruzioni del Giappone medioevale, trucchi splendidi, scene di combattimento non esagerate ma toste e perfette. Kitano va oltre, gigioneggia e si diverte, trasforma il genere persino in una commedia musicale, il finale come in un teatro cala il sipario su un tip-tap da far impallidire gli americani e mostrando tutti i protagonisti, tranne il capocomico, che avrà tutto un suo modo per salutarci.
Non solo un divertissement. Il film è pieno di richiami al cinema ed al teatro che lo precedono nelle 4 direzioni, soprattutto cultura giapponese ma non solo, quasi un copia&tarantina ma di ben altro spessore.
Straordinario, inutile dire che è nel mio Olimpo insieme ad un altro suo capolavoro: Dolls, entrambi assolutamente da non perdere. Nel finale ridevo, non di pancia, avevo la faccia che rideva, di soddisfazione, in empatia col regista.
Zatoichi si spaccia per massaggiatore itinerante, non ha fissa dimora, si ferma dove lo ospitano. Finisce in un villaggio taccheggiato da diverse bande e lentamente inserendosi nelle storie drammatiche che lo circondano finirà per aiutare, con spargimenti di sangue non indifferenti, i più deboli. Crudeltà assortite, travestiti, miserabili di varia specie, geishe, pedofilia, un villaggio che condensa come un serraglio tutte le possibili brutture che la gente comune doveva ai tempi sopportare. Poi arriva Zatoichi, con una katana che affetta anche le rocce.
Genialità pura, come potrei diversamente definire la fantasia di Kitano se non così?
Fotografia e musiche fantastiche (ci sono delle scene di lavoro a ritmo con la musica bellissime!), rigore nei costumi e nelle ricostruzioni del Giappone medioevale, trucchi splendidi, scene di combattimento non esagerate ma toste e perfette. Kitano va oltre, gigioneggia e si diverte, trasforma il genere persino in una commedia musicale, il finale come in un teatro cala il sipario su un tip-tap da far impallidire gli americani e mostrando tutti i protagonisti, tranne il capocomico, che avrà tutto un suo modo per salutarci.
Non solo un divertissement. Il film è pieno di richiami al cinema ed al teatro che lo precedono nelle 4 direzioni, soprattutto cultura giapponese ma non solo, quasi un copia&tarantina ma di ben altro spessore.
Straordinario, inutile dire che è nel mio Olimpo insieme ad un altro suo capolavoro: Dolls, entrambi assolutamente da non perdere. Nel finale ridevo, non di pancia, avevo la faccia che rideva, di soddisfazione, in empatia col regista.
mercoledì 26 maggio 2010
Rescue Dawn
Se ho letto bene in Italia è uscito col demenziale titolo "Il coraggio della vendetta". Non ho parole per disprezzare un simile obbrobrio. Questo film narra di una salvezza, di una forza e determinazione umana incrollabili, non c'è una sola traccia della millantata vendetta.
Herzog "il pacifista", tedesco, che fa un film su un eroe dell'invasione americana del Vietnam, finanziato da americani? E' cosa che può sorprendere, a me l'ha fatto. Ma vediamo i contenuti.
Siamo ai prodromi dell'invasione del Vietnam. Schermaglie vanno avanti già dai primi del '60. Qui siamo nel 1965 e l'aviatore tedesco immigrato e naturalizzato americano Dieter Dengler è alla sua prima missione, nel Laos, terra di raccolta ed addestramento Vietcong.
Viene abbattuto e catturato. Stoicamente rifiuta ogni diniego dei valori americani ed ogni informazione, allora viene messo in un campo di prigionia durissimo, dove troverà collegi, alcuni lì da oltre 2 anni. Condizioni di vita da sopravvivenza stentata. Dopo diversi mesi riuscirà a fuggire con un piano azzardato ma efficace, però solo lui ed un altro riusciranno nell'impresa, o meglio... Dopo molti giorni ancora, finalmente, dopo essersi nutrito di ogni cosa si muovesse, finalmente verrà tratto in salvo.
Tutto qua. E' tutto qua però è una storia vera e rappresentata in totale realismo. Herzog già nel 1997 ci aveva fatto un documentario, qua invece ci gira un film, ci fa rivivere l'incredibile esperienza del fuggitivo.
Girato in Thailandia, ogni più piccolo particolare della vicenda è stato riprodotto con assoluta fedeltà. Ci sono delle scene, in particolare durante la fuga, che sono raccapriccianti. Nessun Rambo o superman, il nostro eroe è scavato, pelle e ossa (ancora una volta Christian Bale s'è fatto del male per una grande interpretazione, come in "L'uomo senza sonno") . Dieter aveva solo una voglia incontenibile di sopravvivere, lui in fondo era entrato nell'esercito perché era la sola maniera per poter volare, realizzare il suo grande sogno di pilotare aerei, detestava la guerra. Eppure ha rischiato la vita non cedendo ai ricatti durante gli interrogatori. Un immigrato che immediatamente diventa parte integrante del "sogno americano", un particolare da non trascurare.
Come Apocalipse Now, anche questa è una rappresentazione dell'inferno della guerra. Quello che avverrà tra i prigionieri appena evasi sarà emblematico. La giungla di quei luoghi, soprattutto se non la conosci, ha qualcosa di estremamente sinistro, sono posti incredibili ed Herzog avrà modo di sfoggiare la sua bravura nelle riprese, in alcuni momenti mi ha ricordato alcune scene di Aguirre.
Fantastico, un film decisamente da vedere!
Herzog "il pacifista", tedesco, che fa un film su un eroe dell'invasione americana del Vietnam, finanziato da americani? E' cosa che può sorprendere, a me l'ha fatto. Ma vediamo i contenuti.
Siamo ai prodromi dell'invasione del Vietnam. Schermaglie vanno avanti già dai primi del '60. Qui siamo nel 1965 e l'aviatore tedesco immigrato e naturalizzato americano Dieter Dengler è alla sua prima missione, nel Laos, terra di raccolta ed addestramento Vietcong.
Viene abbattuto e catturato. Stoicamente rifiuta ogni diniego dei valori americani ed ogni informazione, allora viene messo in un campo di prigionia durissimo, dove troverà collegi, alcuni lì da oltre 2 anni. Condizioni di vita da sopravvivenza stentata. Dopo diversi mesi riuscirà a fuggire con un piano azzardato ma efficace, però solo lui ed un altro riusciranno nell'impresa, o meglio... Dopo molti giorni ancora, finalmente, dopo essersi nutrito di ogni cosa si muovesse, finalmente verrà tratto in salvo.
Tutto qua. E' tutto qua però è una storia vera e rappresentata in totale realismo. Herzog già nel 1997 ci aveva fatto un documentario, qua invece ci gira un film, ci fa rivivere l'incredibile esperienza del fuggitivo.
Girato in Thailandia, ogni più piccolo particolare della vicenda è stato riprodotto con assoluta fedeltà. Ci sono delle scene, in particolare durante la fuga, che sono raccapriccianti. Nessun Rambo o superman, il nostro eroe è scavato, pelle e ossa (ancora una volta Christian Bale s'è fatto del male per una grande interpretazione, come in "L'uomo senza sonno") . Dieter aveva solo una voglia incontenibile di sopravvivere, lui in fondo era entrato nell'esercito perché era la sola maniera per poter volare, realizzare il suo grande sogno di pilotare aerei, detestava la guerra. Eppure ha rischiato la vita non cedendo ai ricatti durante gli interrogatori. Un immigrato che immediatamente diventa parte integrante del "sogno americano", un particolare da non trascurare.
Come Apocalipse Now, anche questa è una rappresentazione dell'inferno della guerra. Quello che avverrà tra i prigionieri appena evasi sarà emblematico. La giungla di quei luoghi, soprattutto se non la conosci, ha qualcosa di estremamente sinistro, sono posti incredibili ed Herzog avrà modo di sfoggiare la sua bravura nelle riprese, in alcuni momenti mi ha ricordato alcune scene di Aguirre.
Fantastico, un film decisamente da vedere!
Kynodontas (aka Dogtooth)
Padre, madre e 3 figli più o meno maggiorenni, un maschio e 2 sorelle appena più giovani. Ricchi, una casa enorme, con un parco-giardino, piscina. Soprattutto un'alta palizzata che circonda il tutto come un carcere, coperta da una siepe altissima.
Solo il capofamiglia esce di casa per andare al lavoro. La madre per scelta consapevole e i figli per scelta imposta non escono mai. I figli in particolare da quella casa che è il loro mondo non sono mai usciti in vita loro! E' già chiaro sin d'ora che parliamo di una storia che definire allucinante è fin riduttivo.
I 2 genitori, per ragioni che non è dato sapere, attuano il loro proposito con minuziosità scientifica. Ogni forma di comunicazione è soppressa: il televisore proietta solo filmini casalinghi; il telefono chiuso in una specie di cassaforte; mai un amico ospite, parenti inesistenti. I ragazzi parlano e si muovono quasi come automi, sembrano cani addestrati, tra di loro fanno dei giochi stranissimi. Non mancano dure punizioni a chi disobbedisce. Il linguaggio viene distorto su quelle parole che possono creare difficoltà all'isolamento: gli zombie sono fiorellini gialli, la fica è una tastiera.
Innumerevoli gli episodi da narrare (ma non vorrei rivelare troppo) dell'incredibile modus vivendi di questa "famiglia". In realtà è prevista l'uscita dalla casa, prima o poi, ma quello che i ragazzi non sanno è che le condizioni imposte dal padre sono irrealizzabili.
Una ragazza alle dipendenze del padre in fabbrica, con gli occhi bendati per tutto il viaggio, è la sola intrusione concessa in casa, per permettere al figlio di espletare fisiologicamente il sesso. Insieme ad un brandello di lucidità rimasto ad una delle figlie, provocherà un finale imprevedibile.
Girato con un realismo che sconcerta, molti i piani sequenza con camera fissa, come un grande fratello che controlla. 35mm con una fotografia eccelsa. Alcuni espedienti, come l'audio che sparisce, aumentano l'angoscia che questo film di incredibile orrore provoca, impossibile non restarci di sasso al termine, sembra d'aver vissuto un incubo. I 3 giovani interpreti poi sono davvero grandiosi!
Qui però da Olimpo assoluto, dove sperticarsi in elogi, è il regista, che ha anche scritto la sceneggiatura. Vincitore di "Un certain regarde" a Cannes 2009, ha collezionato uno sfacelo di premi internazionali. In italia non è uscito né è previsto, ma verrebbe violentato sicuramente da censori e cdi: ci sono scene che lo vieterebbero ai minori e poi in greco coi sottotitoli è meglio, molto meglio!
Film misterioso, che già in sé ha valore anche senza volerlo approfondire, in realtà secondo me ha un messaggio recondito che non posso fare a meno di pensare: secondo me tutta la storia altro non è che un esempio, terribile e riuscitissimo, di cos'è il totalitarismo. Devo dire che in questi giorni in cui si parla tanto della cosiddetta "Legge Bavaglio", che imporrà restrizioni a giornalisti e persino ai bloggers ivi compreso chi scrive, fa riflettere, perché il totalitarismo dei regimi dittatoriali è facile da vedere, quello delle democrazie meno, è più subdolo e bisogna stare sempre attenti. La staccionata sarebbe valicabile tutto sommato, non c'è filo spinato, non c'è minaccia armata. Ma il potere enorme è gestito col controllo dell'educazione, delle menti, dei mezzi di comunicazione. In quella casa una sola fonte è ammissibile e detiene la verità, le altre devono essere messe a tacere e dissentire non è solo sconsigliato, ma rappresenta una forma di peccato.
IMPERDIBILE!
Solo il capofamiglia esce di casa per andare al lavoro. La madre per scelta consapevole e i figli per scelta imposta non escono mai. I figli in particolare da quella casa che è il loro mondo non sono mai usciti in vita loro! E' già chiaro sin d'ora che parliamo di una storia che definire allucinante è fin riduttivo.
I 2 genitori, per ragioni che non è dato sapere, attuano il loro proposito con minuziosità scientifica. Ogni forma di comunicazione è soppressa: il televisore proietta solo filmini casalinghi; il telefono chiuso in una specie di cassaforte; mai un amico ospite, parenti inesistenti. I ragazzi parlano e si muovono quasi come automi, sembrano cani addestrati, tra di loro fanno dei giochi stranissimi. Non mancano dure punizioni a chi disobbedisce. Il linguaggio viene distorto su quelle parole che possono creare difficoltà all'isolamento: gli zombie sono fiorellini gialli, la fica è una tastiera.
Innumerevoli gli episodi da narrare (ma non vorrei rivelare troppo) dell'incredibile modus vivendi di questa "famiglia". In realtà è prevista l'uscita dalla casa, prima o poi, ma quello che i ragazzi non sanno è che le condizioni imposte dal padre sono irrealizzabili.
Una ragazza alle dipendenze del padre in fabbrica, con gli occhi bendati per tutto il viaggio, è la sola intrusione concessa in casa, per permettere al figlio di espletare fisiologicamente il sesso. Insieme ad un brandello di lucidità rimasto ad una delle figlie, provocherà un finale imprevedibile.
Girato con un realismo che sconcerta, molti i piani sequenza con camera fissa, come un grande fratello che controlla. 35mm con una fotografia eccelsa. Alcuni espedienti, come l'audio che sparisce, aumentano l'angoscia che questo film di incredibile orrore provoca, impossibile non restarci di sasso al termine, sembra d'aver vissuto un incubo. I 3 giovani interpreti poi sono davvero grandiosi!
Qui però da Olimpo assoluto, dove sperticarsi in elogi, è il regista, che ha anche scritto la sceneggiatura. Vincitore di "Un certain regarde" a Cannes 2009, ha collezionato uno sfacelo di premi internazionali. In italia non è uscito né è previsto, ma verrebbe violentato sicuramente da censori e cdi: ci sono scene che lo vieterebbero ai minori e poi in greco coi sottotitoli è meglio, molto meglio!
Film misterioso, che già in sé ha valore anche senza volerlo approfondire, in realtà secondo me ha un messaggio recondito che non posso fare a meno di pensare: secondo me tutta la storia altro non è che un esempio, terribile e riuscitissimo, di cos'è il totalitarismo. Devo dire che in questi giorni in cui si parla tanto della cosiddetta "Legge Bavaglio", che imporrà restrizioni a giornalisti e persino ai bloggers ivi compreso chi scrive, fa riflettere, perché il totalitarismo dei regimi dittatoriali è facile da vedere, quello delle democrazie meno, è più subdolo e bisogna stare sempre attenti. La staccionata sarebbe valicabile tutto sommato, non c'è filo spinato, non c'è minaccia armata. Ma il potere enorme è gestito col controllo dell'educazione, delle menti, dei mezzi di comunicazione. In quella casa una sola fonte è ammissibile e detiene la verità, le altre devono essere messe a tacere e dissentire non è solo sconsigliato, ma rappresenta una forma di peccato.
IMPERDIBILE!
martedì 25 maggio 2010
Hachico monogatari
Nota bene l'anno di questo film. Questo non è il recente remake americano da poco uscito. E' una storia vera giapponese, una favola (monogatari) giapponese, un mito dei giapponesi, ergo ho voluto vedere come i giapponesi l'han raccontata. Il film è facilmente reperibile in lingua originale coi sottotitoli.
La trama è notissima, in breve: la storia realmente accaduta di Hachi, un cane razza Akita Inu, tipica del Giappone, cane di grande bellezza con persino gli occhi a mandorla, talmente fedele al suo padrone che dopo la sua morte proseguirà, per 10 anni e fino alla sua morte, ad andare alla stazione ad aspettarlo, come faceva quand'egli era vivo. Per una lettura più dettagliata vi riporto a wiki. E' talmente famosa in Giappone che ad Hachi è dedicato un monumento ed ogni anno una manifestazione in sua memoria.
Qualche breve considerazione "cinefila". Il film ha giustamente un target amplissimo, dai bambini piccoli agli adulti attempati, è necessario entrare in quest'ottica per valutarlo. Koyama ha capacità, quando vuole esibisce inquadrature con tempi e modi degni del grande Ozu, ma si fa da parte. Condisce la trama anche di piccole gag divertenti, indugia su qualche momento commovente, spezza un finale straordinariamente drammatico, una scena struggente, coi titoli di coda accompagnati da una canzoncina melodica là dove l'adagietto della quinta di Mahler non avrebbe sfigurato. Non me la sento di rimproverarlo, egoisticamente avrei voluto l'epica eroica del cane, però capisco, tutto è fatto con tatto, eleganza e candore tipicamente giapponesi, va bene così.
Sul film in senso stretto ho finito qua. Una visione bellissima ed obbligatoria per chi ama i cani, o come me ha la fortuna di poterne avere uno a tenergli salutare compagnia. Quante lacrime mi sono uscite incontrollabili.
Ora azzardo una riflessione che non posso non fissare qua, ci sto ancora pensando e lo faccio scrivendo.
Cosa affascina fatalmente della storia di Hachi?
Ai cani invidio l'assoluta innocenza, come tutti gli animali non conoscono cattiveria ed infedeltà. Ma un essere umano che si fosse comportato come Hachi non l'avremmo rinchiuso tutti in manicomio? Il "Dio delle piccole cose e dei piccoli gesti" è ammirato unanimemente ed io non sono esente al suo fascino, quando poi però ci troviamo davanti una persona che si comporta così è più probabile che il biasimo superi in quantità l'apprezzamento, magari, faccio un esempio banale, davanti ad un artigiano che si ostina a portare avanti un mestiere "morto" o ad un operaio fedele ed affezionato all'azienda per cui lavora. Ne ho conosciute di persone così, semplici e di gran dignità.
Non m'interessa la fama che questo cane ha raggiunto, non è un valore in sé. Il valore sta nel suo Comportamento. Non per raggiungere notorietà il cane ha fatto quel che ha fatto, non sapeva cosa fosse. Ha agito seguendo il suo sentimento, così perseguendo la sua ragione di vita, un Valore. Mi metto in testa al plotone dei suoi ammiratori, di chi per una volta vuole antropizzare un comportamento animale.
Credo laicamente e fermamente che la nobiltà della vita di un uomo risieda interamente nei suoi comportamenti, nelle sue opere compiute, visibili o meno, proprio come per Hachi, e che al momento finale della vita, quando si presenta il conto al Pantheon, niente e nessuno ti può perdonare o giubilare: quello che hai fatto hai fatto. E' un po' retorica la forma, non me n'è venuta una migliore, comunque la penso così.
Una bella foto del vero Hachi mi sembra doverosa.
La trama è notissima, in breve: la storia realmente accaduta di Hachi, un cane razza Akita Inu, tipica del Giappone, cane di grande bellezza con persino gli occhi a mandorla, talmente fedele al suo padrone che dopo la sua morte proseguirà, per 10 anni e fino alla sua morte, ad andare alla stazione ad aspettarlo, come faceva quand'egli era vivo. Per una lettura più dettagliata vi riporto a wiki. E' talmente famosa in Giappone che ad Hachi è dedicato un monumento ed ogni anno una manifestazione in sua memoria.
Qualche breve considerazione "cinefila". Il film ha giustamente un target amplissimo, dai bambini piccoli agli adulti attempati, è necessario entrare in quest'ottica per valutarlo. Koyama ha capacità, quando vuole esibisce inquadrature con tempi e modi degni del grande Ozu, ma si fa da parte. Condisce la trama anche di piccole gag divertenti, indugia su qualche momento commovente, spezza un finale straordinariamente drammatico, una scena struggente, coi titoli di coda accompagnati da una canzoncina melodica là dove l'adagietto della quinta di Mahler non avrebbe sfigurato. Non me la sento di rimproverarlo, egoisticamente avrei voluto l'epica eroica del cane, però capisco, tutto è fatto con tatto, eleganza e candore tipicamente giapponesi, va bene così.
Sul film in senso stretto ho finito qua. Una visione bellissima ed obbligatoria per chi ama i cani, o come me ha la fortuna di poterne avere uno a tenergli salutare compagnia. Quante lacrime mi sono uscite incontrollabili.
Ora azzardo una riflessione che non posso non fissare qua, ci sto ancora pensando e lo faccio scrivendo.
Cosa affascina fatalmente della storia di Hachi?
Ai cani invidio l'assoluta innocenza, come tutti gli animali non conoscono cattiveria ed infedeltà. Ma un essere umano che si fosse comportato come Hachi non l'avremmo rinchiuso tutti in manicomio? Il "Dio delle piccole cose e dei piccoli gesti" è ammirato unanimemente ed io non sono esente al suo fascino, quando poi però ci troviamo davanti una persona che si comporta così è più probabile che il biasimo superi in quantità l'apprezzamento, magari, faccio un esempio banale, davanti ad un artigiano che si ostina a portare avanti un mestiere "morto" o ad un operaio fedele ed affezionato all'azienda per cui lavora. Ne ho conosciute di persone così, semplici e di gran dignità.
Non m'interessa la fama che questo cane ha raggiunto, non è un valore in sé. Il valore sta nel suo Comportamento. Non per raggiungere notorietà il cane ha fatto quel che ha fatto, non sapeva cosa fosse. Ha agito seguendo il suo sentimento, così perseguendo la sua ragione di vita, un Valore. Mi metto in testa al plotone dei suoi ammiratori, di chi per una volta vuole antropizzare un comportamento animale.
Credo laicamente e fermamente che la nobiltà della vita di un uomo risieda interamente nei suoi comportamenti, nelle sue opere compiute, visibili o meno, proprio come per Hachi, e che al momento finale della vita, quando si presenta il conto al Pantheon, niente e nessuno ti può perdonare o giubilare: quello che hai fatto hai fatto. E' un po' retorica la forma, non me n'è venuta una migliore, comunque la penso così.
Una bella foto del vero Hachi mi sembra doverosa.
lunedì 24 maggio 2010
Fish Tank
Volevo già approcciare questa regista dell'acclamato Red Road, la sua opera prima, che comunque guarderò a breve. Poi l'aver letto la positiva recensione di Cannibal Kid di questo film mi ha modificato i piani, colpa la curiosità...
Racconto di pochi giorni di Mia, una ragazza di una periferia inglese, una periferia degradata qualsiasi, tanto poco si differenziano tra loro.
Racconto di pochi giorni di Mia, una ragazza di una periferia inglese, una periferia degradata qualsiasi, tanto poco si differenziano tra loro.
domenica 23 maggio 2010
Choke
Victor Mancini è sessodipendente patologico, non onanista ma fornicatore. E' capace fin troppo di avere rapporti casuali usa-e-getta ma totalmente incapace di una relazione stabile. Frequenta, o meglio tenta di frequentare, un gruppo di recupero per chi ha problemi di questo tipo. La madre è ricoverata in un centro psichiatrico da parecchio tempo. Lavora come figurante in un parco rievocativo dei pionieri del west. Ha una discreta depressione. S'innamora di una bizzarra dottoressa del centro di cura della madre che è anche la sola donna con cui non riesce a far sesso. Scopre che forse è imparentato geneticamente con Gesù Cristo. Il suo migliore amico e collega figurante s'innamora corrisposto di una spogliarellista, e la sua depressione per la personale situazione fallimentare aumenta. Poi scopre un'infinità di menzogne dalle persone più inaspettate...
Il sesso ossesso è un argomento divertente, c'è una carrellata di personaggi grotteschi e stravaganti non indifferente. Come in Fight Club, altro splendido film ricavato da un romanzo di Chuck Palahniuk, il mondo è una realtà dominata da manie e da incertezze, l'animo umano è privo di riferimenti, manca una guida non rintracciabile nelle abitudini borghesi. Anche qua i "pazzi" sono soggetto più interessante dei "normali".
La confusione narrativa non manca! Nel senso divertente del concetto. Tutta la prima parte è una serie sconclusionata di episodi col filo rosso delle cure per la madre. Poi, con qualche flashback, alcuni misteri della personalità di Victor cominciano a risolversi, come un puzzle dalla figura astratta per il quale gli ultimi pezzi risultano determinanti, ed a quel punto non sai più se farti prendere dagli aspetti comici o drammatici.
Io apprezzo molto queste trame che sanno unire insieme e stimolare, senza pareti divisorie, sentimenti opposti
A chi piacciono i film strani non può non piacere!
Il sesso ossesso è un argomento divertente, c'è una carrellata di personaggi grotteschi e stravaganti non indifferente. Come in Fight Club, altro splendido film ricavato da un romanzo di Chuck Palahniuk, il mondo è una realtà dominata da manie e da incertezze, l'animo umano è privo di riferimenti, manca una guida non rintracciabile nelle abitudini borghesi. Anche qua i "pazzi" sono soggetto più interessante dei "normali".
La confusione narrativa non manca! Nel senso divertente del concetto. Tutta la prima parte è una serie sconclusionata di episodi col filo rosso delle cure per la madre. Poi, con qualche flashback, alcuni misteri della personalità di Victor cominciano a risolversi, come un puzzle dalla figura astratta per il quale gli ultimi pezzi risultano determinanti, ed a quel punto non sai più se farti prendere dagli aspetti comici o drammatici.
Io apprezzo molto queste trame che sanno unire insieme e stimolare, senza pareti divisorie, sentimenti opposti
A chi piacciono i film strani non può non piacere!
sabato 22 maggio 2010
Ostře sledované vlaky - Treni strettamente sorvegliati
Neckar è bis-nipote di un uomo che ha cercato di fermare i carri armati tedeschi con l'ipnosi finendo spiaccicato. Il nonno e il padre ferrovieri pigrissimi ma noti, anche per questo. Inizia il suo lavoro in una piccola stazione della Cecoslovacchia occupata, più o meno è il 1944.
Arriva pieno d'ormoni e ideali al lavoro, per iniziare la carriera di direttore del traffico, e si ritrova in una specie di bordello, un solo pensiero aleggia: fornicare. Situazioni bizzarre a cui il capostazione cerca di porre freno, ma solo perché vorrebbe partecipare alla "festa" solo che la moglie lo cura bene. Guerra, treni tedeschi vanno e vengono e molti di questi devono essere "strettamente sorvegliati" (con un ferroviere della stazione a bordo), eppure non si pensa ad altro che...
Neckar avrà presto la sua occasione. Una delle tante belle ragazze che sembrano in estro lo porterà da un suo zio, fotografo professionista e gran palpeggiatore di modelle, che fornirà loro luogo opportuno al consumo del loro amore. Ma il povero Neckar scoprirà che soffre di eiaculatio precox. Una tragedia, va in un bordello per diventare uomo ed invece si taglia le vene. Sopravviverà e da quel momento, con chiunque, parlerà della sua patologia, senza risparmiare proprio nessuno! Alla fine diventerà uomo...
Oscar come miglior film straniero nel 1967, il titolo che ho messo è la traduzione letterale di quello originale. In Italia uscì come "Quando l'amore va a scuola", incommentabile assurdità.
E' una storia comico-grottesca stile est-europa divertente e drammatica, piena di personaggi simpatici e d'umorismo spontaneo graffiante. Fatti terribili di sfondo che non impediscono il godersi la vita e nemmeno il pensare in grande, basti il finale a comprendere questo fatto.
In breve: mi sono divertito molto! Assolutamente da vedere.
Arriva pieno d'ormoni e ideali al lavoro, per iniziare la carriera di direttore del traffico, e si ritrova in una specie di bordello, un solo pensiero aleggia: fornicare. Situazioni bizzarre a cui il capostazione cerca di porre freno, ma solo perché vorrebbe partecipare alla "festa" solo che la moglie lo cura bene. Guerra, treni tedeschi vanno e vengono e molti di questi devono essere "strettamente sorvegliati" (con un ferroviere della stazione a bordo), eppure non si pensa ad altro che...
Neckar avrà presto la sua occasione. Una delle tante belle ragazze che sembrano in estro lo porterà da un suo zio, fotografo professionista e gran palpeggiatore di modelle, che fornirà loro luogo opportuno al consumo del loro amore. Ma il povero Neckar scoprirà che soffre di eiaculatio precox. Una tragedia, va in un bordello per diventare uomo ed invece si taglia le vene. Sopravviverà e da quel momento, con chiunque, parlerà della sua patologia, senza risparmiare proprio nessuno! Alla fine diventerà uomo...
Oscar come miglior film straniero nel 1967, il titolo che ho messo è la traduzione letterale di quello originale. In Italia uscì come "Quando l'amore va a scuola", incommentabile assurdità.
E' una storia comico-grottesca stile est-europa divertente e drammatica, piena di personaggi simpatici e d'umorismo spontaneo graffiante. Fatti terribili di sfondo che non impediscono il godersi la vita e nemmeno il pensare in grande, basti il finale a comprendere questo fatto.
In breve: mi sono divertito molto! Assolutamente da vedere.
venerdì 21 maggio 2010
Blood and Bones
1923. Una nave dalla Corea (protettorato del Giappone, frutto della spartizione dopo la guerra russo-giapponese del 1905) trasporta emigranti in cerca di lavoro verso Osaka.
Raccontata da Maseo, primo figlio maschio della prima donna, la moglie, seguiremo le vicende di Kim Shun-Pei, che sulla nave è solo un ragazzo, ma ha le idee chiare. In un quartiere periferico popolato esclusivamente da nippocoreani (così li definiscono i giapponesi) Kim comincerà, appena adulto e poco prima della guerra, ad impiantare una fabbrica di kamaboko che darà lavoro a moltissimi. Duro e spietato, sia in famiglia con moglie e figli quanto con i suoi operai, diventa un uomo temuto e riverito, dalla violenza incontrastata.
Quella di Kim è una escalation di spietatezza e brutalità. Appena la fabbrica avrà difficoltà la chiuderà e con i grandi capitali accumulati presterà denaro ad usura, lavoro che non gli riesce per nulla difficile. Nel frattempo avrà una prima concubina che però non riuscirà a dargli figli, poi quando questa si ammalerà ne avrà una seconda, sempre abitando a pochi passi dalla casa della moglie. Rapporti coi figli inesistenti o quasi, sempre violenti. Una cosa inaudita.
Sullo sfondo quello che potremmo definire il ghetto nordcoreano. Convivenza storicamente difficile, i coreani pur emigrando in Giappone continuano a sognare la nascita della loro repubblica, rifiutano l'integrazione forzata persino durante le campagne di arruolamento per la seconda guerra mondiale. Dopo la Guerra di Corea molti cominceranno a coronare il sogno di rientrare in patria, relativamente pochi in realtà.
Sangue ed Ossa è un titolo carnalmente esplicito. C'è tanta violenza e dolore, una specie di condanna che i figli di Kim cominciano a pensare si trasmetta col sangue. Il destino della sorella di Masao dopo sposata, che pare ricalcare quello della madre, conferma la teoria.
Continui avvenimenti, una vita durissima, raccontata come in un grande romanzo che si chiuderà nel 1984, senza alcuna redenzione.
Filmone, pluripremiato in Giappone e che in Italia non s'è manco intravisto.
Interpretazione di Kim da parte di Takeshi Kitano semplicemente leggendaria, il film è Lui. Non so più dire se è più bravo come attore o come regista, in entrambi i ruoli a prodotto cose d'eccellenza, uno dei Grandi del Cinema tra i viventi.
Raccontata da Maseo, primo figlio maschio della prima donna, la moglie, seguiremo le vicende di Kim Shun-Pei, che sulla nave è solo un ragazzo, ma ha le idee chiare. In un quartiere periferico popolato esclusivamente da nippocoreani (così li definiscono i giapponesi) Kim comincerà, appena adulto e poco prima della guerra, ad impiantare una fabbrica di kamaboko che darà lavoro a moltissimi. Duro e spietato, sia in famiglia con moglie e figli quanto con i suoi operai, diventa un uomo temuto e riverito, dalla violenza incontrastata.
Quella di Kim è una escalation di spietatezza e brutalità. Appena la fabbrica avrà difficoltà la chiuderà e con i grandi capitali accumulati presterà denaro ad usura, lavoro che non gli riesce per nulla difficile. Nel frattempo avrà una prima concubina che però non riuscirà a dargli figli, poi quando questa si ammalerà ne avrà una seconda, sempre abitando a pochi passi dalla casa della moglie. Rapporti coi figli inesistenti o quasi, sempre violenti. Una cosa inaudita.
Sullo sfondo quello che potremmo definire il ghetto nordcoreano. Convivenza storicamente difficile, i coreani pur emigrando in Giappone continuano a sognare la nascita della loro repubblica, rifiutano l'integrazione forzata persino durante le campagne di arruolamento per la seconda guerra mondiale. Dopo la Guerra di Corea molti cominceranno a coronare il sogno di rientrare in patria, relativamente pochi in realtà.
Sangue ed Ossa è un titolo carnalmente esplicito. C'è tanta violenza e dolore, una specie di condanna che i figli di Kim cominciano a pensare si trasmetta col sangue. Il destino della sorella di Masao dopo sposata, che pare ricalcare quello della madre, conferma la teoria.
Continui avvenimenti, una vita durissima, raccontata come in un grande romanzo che si chiuderà nel 1984, senza alcuna redenzione.
Filmone, pluripremiato in Giappone e che in Italia non s'è manco intravisto.
Interpretazione di Kim da parte di Takeshi Kitano semplicemente leggendaria, il film è Lui. Non so più dire se è più bravo come attore o come regista, in entrambi i ruoli a prodotto cose d'eccellenza, uno dei Grandi del Cinema tra i viventi.
giovedì 20 maggio 2010
Estômago
Siamo purtroppo alle solite. Se non avessi la fortuna di conoscere personalmente Luca Alverdi, il bravissimo montatore di questo film ed una delle persone che mi sono più care al mondo, come un fratello per me, di quest'opera non ne avrei saputo nulla. E pensare che è l'unico frutto di un accordo tra Italia e Brasile che risale al 1974 per la produzione condivisa di film! Ho partecipato ieri, all'Università Cattolica di Milano, alla prima serata della V rassegna dell'Istituto Brasile-Italia di cinema contemporaneo brasiliano che durerà ancora fino al 23-5, la consiglio vivamente e trovate info QUA, che si è aperta appunto con questo film, preceduta nel pomeriggio da un'interessante conferenza proprio con gli italiani che hanno contribuito a questa produzione. Compresi gli studenti non credo che si superassero le 50 presenze e ad ogni modo è un numero che voglio leggere come speranza. La sala del Cinema Gnomo invece, che non è proprio piccolissima, era invece stracolma di gente entusiasta durante ed al termine della proiezione, a riprova che non è vero che il pubblico non gradisce il cinema d'autore! E' sempre ed il solito problema che le distribuzioni non ci credono, ma adesso mi fermo qua, ne avrei troppe da dire, magari in altre sedi lo farò.
Ora parliamo del film...
Potere, sesso e arte culinaria, così recita l'azzeccatissimo sottotitolo.
Ci sono 2 vite da vedere dello stesso protagonista. La persona è la stessa, i nomi diversi. In una è Raimondo Nonato, che dalla "provincia" brasiliana arriva a Rio in cerca di lavoro, una speranza di vita. Nell'altra è Alecrim, Rosmarino, cuoco prediletto dai boss in un carcere. Non sono vite parallele, sono solo 2 fasi della vita dello stesso Raimondo, che però hanno un parallelismo sostanziale negli eventi pur nei 2 diversissimi contesti, dei quali immediatamente non è possibile comprendere quale sia prologo e quale epilogo.
Raimondo arriva a Rio con la coda fra le gambe, viene inizialmente sfruttato come cuoco e factotum in una specie di pizzicheria dove presto emergerà il suo innato talento per la cucina e dove s'innamorerà di Iria, una prostituta che mangia a 4 ganasce e di gran gusto che lo ripagherà con piacevoli prestazioni ed anche un po' d'affetto. Passerà poi in un ristorante italiano, più importante, dove imparerà tecniche molto più sopraffine, i grandi vini e prodotti dello stivale ed anche come l'ingenuità venga poi ripagata anche da chi meno te l'aspetti.
Rosmarino in carcere è spaesato, ultimo nella scala gerarchica deve dormire per terra nella sovraffollata cella. Poi emerge il suo talento, riciclando il rancio produce piatti molto più appetitosi aggiungendo pochi aromi e presto si capisce che il carcere è successivo al suo arrivo a Rio. Mangiare bene in un luogo come quello è un lusso insperato, presto scalerà la gerarchia e dormirà sempre più in alto sulle brande, vero trono locale.
Quanto potere può dare una buona cucina se sapientemente usata? Molto.
Perché è finito in carcere Raimondo? A questa domanda rispondono gli ultimi frame, finale davvero eccezionale!, non ve lo rovino di sicuro così come ho omesso di raccontare diverse scene godibilissime, perché questo film consiglio vivamente di fare di tutto per vederlo! Domenica prossima c'è la replica alla stessa rassegna. Ve lo godrete come me in lingua originale, non voglio nemmeno pensare alla violenza che subirebbe con un doppiaggio e che subirà sicuramente se qualcuno deciderà finalmente di distribuirlo qua da noi.
Film di grande qualità. La storia è realistica, divertentissima e molto originale. Opera prima come lungometraggio, ma Jorge lavora da tempo nel campo dei video e si vede, speriamo di vederne altri. Una menzione di grande merito a Luca Alverdi perché lo svolgimento del film ha richiesto decisamente un lavoro sapiente. 5 settimane sono durate le riprese e 3 mesi il montaggio e la sincronia delle musiche, ci sarà un perché! Belle anche le musiche di Giovanni Venosta, con molteplici richiami sia alla musica brasiliana etnica e non che, com'egli ha esplicitamente dichiarato in conferenza, alle musiche da film italiane di un po' d'anni fa in particolare riferimento a Nino Rota ed Ennio Morricone. Sui richiami a quest'ultimo purtroppo s'è scontrato il mio gusto personale, non lo amo particolarmente e soprattutto quel "fischio" stile western di Leone mi risulta indigesto, ma ripeto che non è una considerazione oggettiva, è solo ed unicamente dettata dal mio gusto musicale.
Mentre scrivo Estômago ha 7,7 di rating su imdb, ha vinto 4 premi su 6 disponibili al festival di Rio nel 2007, ha raccolto oltre 20 premi internazionali, in molti altri paesi anche europei è stato già distribuito ed apprezzato.
Mica male visto che è costato meno di 800mila euro realizzarlo!
Assolutamente da vedere.
Ora parliamo del film...
Potere, sesso e arte culinaria, così recita l'azzeccatissimo sottotitolo.
Ci sono 2 vite da vedere dello stesso protagonista. La persona è la stessa, i nomi diversi. In una è Raimondo Nonato, che dalla "provincia" brasiliana arriva a Rio in cerca di lavoro, una speranza di vita. Nell'altra è Alecrim, Rosmarino, cuoco prediletto dai boss in un carcere. Non sono vite parallele, sono solo 2 fasi della vita dello stesso Raimondo, che però hanno un parallelismo sostanziale negli eventi pur nei 2 diversissimi contesti, dei quali immediatamente non è possibile comprendere quale sia prologo e quale epilogo.
Raimondo arriva a Rio con la coda fra le gambe, viene inizialmente sfruttato come cuoco e factotum in una specie di pizzicheria dove presto emergerà il suo innato talento per la cucina e dove s'innamorerà di Iria, una prostituta che mangia a 4 ganasce e di gran gusto che lo ripagherà con piacevoli prestazioni ed anche un po' d'affetto. Passerà poi in un ristorante italiano, più importante, dove imparerà tecniche molto più sopraffine, i grandi vini e prodotti dello stivale ed anche come l'ingenuità venga poi ripagata anche da chi meno te l'aspetti.
Rosmarino in carcere è spaesato, ultimo nella scala gerarchica deve dormire per terra nella sovraffollata cella. Poi emerge il suo talento, riciclando il rancio produce piatti molto più appetitosi aggiungendo pochi aromi e presto si capisce che il carcere è successivo al suo arrivo a Rio. Mangiare bene in un luogo come quello è un lusso insperato, presto scalerà la gerarchia e dormirà sempre più in alto sulle brande, vero trono locale.
Quanto potere può dare una buona cucina se sapientemente usata? Molto.
Perché è finito in carcere Raimondo? A questa domanda rispondono gli ultimi frame, finale davvero eccezionale!, non ve lo rovino di sicuro così come ho omesso di raccontare diverse scene godibilissime, perché questo film consiglio vivamente di fare di tutto per vederlo! Domenica prossima c'è la replica alla stessa rassegna. Ve lo godrete come me in lingua originale, non voglio nemmeno pensare alla violenza che subirebbe con un doppiaggio e che subirà sicuramente se qualcuno deciderà finalmente di distribuirlo qua da noi.
Film di grande qualità. La storia è realistica, divertentissima e molto originale. Opera prima come lungometraggio, ma Jorge lavora da tempo nel campo dei video e si vede, speriamo di vederne altri. Una menzione di grande merito a Luca Alverdi perché lo svolgimento del film ha richiesto decisamente un lavoro sapiente. 5 settimane sono durate le riprese e 3 mesi il montaggio e la sincronia delle musiche, ci sarà un perché! Belle anche le musiche di Giovanni Venosta, con molteplici richiami sia alla musica brasiliana etnica e non che, com'egli ha esplicitamente dichiarato in conferenza, alle musiche da film italiane di un po' d'anni fa in particolare riferimento a Nino Rota ed Ennio Morricone. Sui richiami a quest'ultimo purtroppo s'è scontrato il mio gusto personale, non lo amo particolarmente e soprattutto quel "fischio" stile western di Leone mi risulta indigesto, ma ripeto che non è una considerazione oggettiva, è solo ed unicamente dettata dal mio gusto musicale.
Mentre scrivo Estômago ha 7,7 di rating su imdb, ha vinto 4 premi su 6 disponibili al festival di Rio nel 2007, ha raccolto oltre 20 premi internazionali, in molti altri paesi anche europei è stato già distribuito ed apprezzato.
Mica male visto che è costato meno di 800mila euro realizzarlo!
Assolutamente da vedere.
Paranoid Park
Alex è solo un po' apatico ma abbastanza socievole. Con un amico anche se timidamente comincia a frequentare Paranoid Park, un luogo di ritrovo dei migliori skaters della città. Non è molto bravo però gli piace moltissimo guardare gli altri nelle loro evoluzioni, poi gli piace l'ambiente, i ragazzi e le ragazze che ci sono lì.
Si ritroverà coinvolto in una tragica fatalità e diventerà sempre più solitario e scostante, persino con la sua bella fidanzata. Ha un gran bisogno di confessare a qualcuno quello che è successo, ma non c'è nessuno tra i suoi amici che ritenga adeguato e in famiglia non ci sono sbocchi...
Come in Elephant, Van Sant ritrae un mondo giovanile "popolare" che trascina la sua esistenza in modo un po' meccanico, zero ideali, zero ambizioni e prospettive, zero fiducia nelle istituzioni, e lo fa riprendendo molto a spalla e spesso in stile super8 attori non professionisti, ragazzi che sostanzialmente interpretano sé stessi. La sensazione di vita sospesa è accentuata dai ralenty, bellissimi quelli di skating, accompagnati da ottima musica classica e new-age. Questo aspetto musicale del film lo vorrei sottolineare. Ci si aspetterebbe hip-hop a manetta, ed invece no, si sentono queste musiche dolci ed armoniose che ci portano a vedere la giovanile voglia di divertirsi di questi ragazzi, e di fare gruppo, come dovrebbe essere, cioè una spontanea espressione di quella età.
C'è in Alex un tormento che, anche se non sufficiente a farlo confessare, è di ottimistica speranza. Quando i suoi compagni rideranno cinicamente su delle immagini raccapriccianti lui non ne resterà indifferente e ne avrà anche i suoi buoni motivi per non esserlo.
Insomma, rispetto al citato Elephant, l'epilogo ha uno sbocco.
Bello, m'è piaciuto parecchio, non lo definirei un capolavoro come recita la locandina italiana ma se piace lo stile di Van Sant si deve vedere, per cogliere l'ennesima occasione di entrare in un "mondo".
Si ritroverà coinvolto in una tragica fatalità e diventerà sempre più solitario e scostante, persino con la sua bella fidanzata. Ha un gran bisogno di confessare a qualcuno quello che è successo, ma non c'è nessuno tra i suoi amici che ritenga adeguato e in famiglia non ci sono sbocchi...
Come in Elephant, Van Sant ritrae un mondo giovanile "popolare" che trascina la sua esistenza in modo un po' meccanico, zero ideali, zero ambizioni e prospettive, zero fiducia nelle istituzioni, e lo fa riprendendo molto a spalla e spesso in stile super8 attori non professionisti, ragazzi che sostanzialmente interpretano sé stessi. La sensazione di vita sospesa è accentuata dai ralenty, bellissimi quelli di skating, accompagnati da ottima musica classica e new-age. Questo aspetto musicale del film lo vorrei sottolineare. Ci si aspetterebbe hip-hop a manetta, ed invece no, si sentono queste musiche dolci ed armoniose che ci portano a vedere la giovanile voglia di divertirsi di questi ragazzi, e di fare gruppo, come dovrebbe essere, cioè una spontanea espressione di quella età.
C'è in Alex un tormento che, anche se non sufficiente a farlo confessare, è di ottimistica speranza. Quando i suoi compagni rideranno cinicamente su delle immagini raccapriccianti lui non ne resterà indifferente e ne avrà anche i suoi buoni motivi per non esserlo.
Insomma, rispetto al citato Elephant, l'epilogo ha uno sbocco.
Bello, m'è piaciuto parecchio, non lo definirei un capolavoro come recita la locandina italiana ma se piace lo stile di Van Sant si deve vedere, per cogliere l'ennesima occasione di entrare in un "mondo".
mercoledì 19 maggio 2010
Lourdes
Questo film devo assolutamente metterlo nel mio Olimpo, per un semplice motivo. All'ultimo Venezia 2009, tra vari riconoscimenti ed apprezzamenti sia di critica che di pubblico, ha ottenuto anche 2 premi che prendere insieme ha del paranormale: Premio Signis (organizzazione cattolica internazionale per il cinema) e Premio Brian (unione degli atei e degli agnostici razionalisti).
Il film è la semplice storia di una comitiva che va in pellegrinaggio a Lourdes a trovare la famosa madonna che tanti miracoli compie tranne di documentabili. Subito la prima scena, perfetta, ci cala nel clima liturgico-esteriore del contesto. Una panoramica su una sala pranzo dove cameriere apparecchiano al ritmo della (bellissima!) Ave Maria di Schubert. E quello sarà il Ritmo dell'intera trama.
La nostra protagonista, Christine, è una donna giovane quasi tetraplegica, non è troppo convinta, partecipa, come dice, per avere l'occasione di una gita ed uscire di casa. Intorno a lei la maggior parte di volontari e volontarie improvvisate pensano più a flirtare tra loro che altro, quando non si raccontano fatti o barzellette che lasciano interdetti. E tutto, sempre, al ritmo dell'Ave Maria, una situazione imbarazzante dietro l'altra.
O meglio, con naturalezza e semplicità, con dialoghi brevi e precisi, puntuali, ci viene mostrato un mondo, quello dei disperati alla ricerca del miracolo e di tutto l'entourage che li circonda, che non può poi essere così diverso dal resto del mondo, nemmeno in quel luogo così totalmente votato a speranze inesaudibili, tranne quelle di chi ci fa affari sopra. Se come Christine vivi l'esperienza nel pieno delle tue facoltà mentali non puoi non porti delle domande ovvie: che razza di fede è questa? che dio è quello che tutto può tranne che guarirmi? ecc... . Per tutte le domande, anche le più subdole, c'è un pretucolo altamente specializzato in "lourdesate" che ha sempre una risposta pronta, che non dice niente di significativo, ma risponde! Forse l'essere più bieco, pur con la sua cicciotta facciotta fintopìa, di tutta la vicenda.
La domande più terribili riguardano gli aventi diritto al miracolo: cosa devo fare per ottenerlo? come devo pregare? ... . Quando, ad un certo momento, Christine si alzerà in piedi, scalerà un colle per una gita, addirittura ballerà, le cateratte dell'invidia e della stoltezza si spalancheranno! E questo, un finale ancora più spietato di tutto il resto, come anche qualche episodio affatto banale che ho omesso, lo lascio scoprire.
Tornando ai 2 premi ricevuti, le questioni sono 2: o la giuria cattolica ha preso una gran cantonata, ipotesi che ritengo più probabile ed a meno di essere dei perfetti idioti è chiaro che hanno scelto il film senza guardarlo, sarà bastato il titolo ad inebriarli d'estasi mistica; oppure hanno scantonato di bestia dai dettami più ortodossi e quindi saremmo di fronte ad una specie di scisma, una critica aperta al culto di madonne, santi, santoni, padripii e sorelleterese, ma questa seconda ipotesi è alquanto improbabile, la scarterei.
Clamoroso, sto ancora ridendo come un pazzo, piegato letteralmente in terra! Ad ogni modo la macchina propagandistica occulta s'è poi mossa, 'sto film in italia se lo sono cagato in pochi, pubblicizzato zero, nelle sale ha fatto appena in tempo a comparire, ha incassato meno di uno spettacolo di marionette.
Il film è la semplice storia di una comitiva che va in pellegrinaggio a Lourdes a trovare la famosa madonna che tanti miracoli compie tranne di documentabili. Subito la prima scena, perfetta, ci cala nel clima liturgico-esteriore del contesto. Una panoramica su una sala pranzo dove cameriere apparecchiano al ritmo della (bellissima!) Ave Maria di Schubert. E quello sarà il Ritmo dell'intera trama.
La nostra protagonista, Christine, è una donna giovane quasi tetraplegica, non è troppo convinta, partecipa, come dice, per avere l'occasione di una gita ed uscire di casa. Intorno a lei la maggior parte di volontari e volontarie improvvisate pensano più a flirtare tra loro che altro, quando non si raccontano fatti o barzellette che lasciano interdetti. E tutto, sempre, al ritmo dell'Ave Maria, una situazione imbarazzante dietro l'altra.
O meglio, con naturalezza e semplicità, con dialoghi brevi e precisi, puntuali, ci viene mostrato un mondo, quello dei disperati alla ricerca del miracolo e di tutto l'entourage che li circonda, che non può poi essere così diverso dal resto del mondo, nemmeno in quel luogo così totalmente votato a speranze inesaudibili, tranne quelle di chi ci fa affari sopra. Se come Christine vivi l'esperienza nel pieno delle tue facoltà mentali non puoi non porti delle domande ovvie: che razza di fede è questa? che dio è quello che tutto può tranne che guarirmi? ecc... . Per tutte le domande, anche le più subdole, c'è un pretucolo altamente specializzato in "lourdesate" che ha sempre una risposta pronta, che non dice niente di significativo, ma risponde! Forse l'essere più bieco, pur con la sua cicciotta facciotta fintopìa, di tutta la vicenda.
La domande più terribili riguardano gli aventi diritto al miracolo: cosa devo fare per ottenerlo? come devo pregare? ... . Quando, ad un certo momento, Christine si alzerà in piedi, scalerà un colle per una gita, addirittura ballerà, le cateratte dell'invidia e della stoltezza si spalancheranno! E questo, un finale ancora più spietato di tutto il resto, come anche qualche episodio affatto banale che ho omesso, lo lascio scoprire.
Tornando ai 2 premi ricevuti, le questioni sono 2: o la giuria cattolica ha preso una gran cantonata, ipotesi che ritengo più probabile ed a meno di essere dei perfetti idioti è chiaro che hanno scelto il film senza guardarlo, sarà bastato il titolo ad inebriarli d'estasi mistica; oppure hanno scantonato di bestia dai dettami più ortodossi e quindi saremmo di fronte ad una specie di scisma, una critica aperta al culto di madonne, santi, santoni, padripii e sorelleterese, ma questa seconda ipotesi è alquanto improbabile, la scarterei.
Clamoroso, sto ancora ridendo come un pazzo, piegato letteralmente in terra! Ad ogni modo la macchina propagandistica occulta s'è poi mossa, 'sto film in italia se lo sono cagato in pochi, pubblicizzato zero, nelle sale ha fatto appena in tempo a comparire, ha incassato meno di uno spettacolo di marionette.
martedì 18 maggio 2010
Tutto su mia madre
Manuela (una superlativa Cecilia Roth) perde il figlio Esteban in un incidente stradale. Voleva un autografo da un'attrice e viene investito dal taxi che la trasporta. Il cuore di Esteban viene donato.
Manuela decide allora di tornare a Barcellona, per cercare il padre del ragazzo che ora si chiama Lola, incontrerà invece Agrado un altro trans amico, col quale andrà da una congrega di suore a cercare lavoro, dove conoscerà la novizia Rosa, rimasta incinta proprio da Lola e con una particolare situazione familiare, poi inizierà a frequentare anche la stessa attrice involontaria protagonista alla morte del figlio, quindi...
Un mondo di donne, madri, uomini diventati donne, solo ed unicamente loro alle quali in cima ai titoli di coda Almodovar dedica il film. Tutte, biologicamente madri o meno, sono madri (e pure padri) di fatto. In un intreccio continuo di vite e di eventi sia comici che tragici non passa momento in cui non sia messa in evidenza, valorizzata al massimo l'essenza della femminilità e della maternità, dell'amore supremo filiale che nessuno in questo mondo può mettere in discussione. Senza ipocrisie, volutamente con personaggi che con naturalezza sono sopra le righe, qualcuno direbbe anche un po' sboccati ma che invece parlano il linguaggio delle persone comuni.
Questo film è uno dei più riusciti Inni all'Amor Puro che mai mi siano capitati di vedere. Almodovar è forse il più grande illustratore vivente dell'Amore come concetto scevro ed indipendente dal modo in cui la sessualità degli individui si esprime. Anche se penso che "Parla con lei" rimane la sua opera di più alto livello stilistico e narrativo, questo film, più connotato, è uno splendido omaggio a tutte le persone che sono capaci di amare profondamente un altro essere umano. Io personalmente la penso allo stesso modo: nessun Amore può raggiungere quello di una madre per un figlio, tutte le altre forme sono ad almeno 2 lunghezze di distanza. Una scena in teatro nella quale una donna piange il figlio morto è da schiantare dai brividi.
Tra trans, puttane, suore che fanno un figlio con un trans, lesbiche, il rimarcarsi di questo grande sentimento in modo così naturale e spontaneo, che non deve stupire, può aprire la testa a chi tiene almeno un'antina aperta nel cervello, disponibile a nutrirlo.
Poteva dedicare alla madre qualcosa di più bello?
Non saprei proprio dirlo, quest'opera è perfetta così com'è.
Olimpo, e con questo ce ne sono ben 2 del grande regista spagnolo.
p.s.: oggi è il compleanno di Grazia, una donna che stimo, che mi consiglia bei film e commenta sempre con spessore e cognizione. Volevo ci fosse un gran film per farle i miei migliori auguri.
Manuela decide allora di tornare a Barcellona, per cercare il padre del ragazzo che ora si chiama Lola, incontrerà invece Agrado un altro trans amico, col quale andrà da una congrega di suore a cercare lavoro, dove conoscerà la novizia Rosa, rimasta incinta proprio da Lola e con una particolare situazione familiare, poi inizierà a frequentare anche la stessa attrice involontaria protagonista alla morte del figlio, quindi...
Un mondo di donne, madri, uomini diventati donne, solo ed unicamente loro alle quali in cima ai titoli di coda Almodovar dedica il film. Tutte, biologicamente madri o meno, sono madri (e pure padri) di fatto. In un intreccio continuo di vite e di eventi sia comici che tragici non passa momento in cui non sia messa in evidenza, valorizzata al massimo l'essenza della femminilità e della maternità, dell'amore supremo filiale che nessuno in questo mondo può mettere in discussione. Senza ipocrisie, volutamente con personaggi che con naturalezza sono sopra le righe, qualcuno direbbe anche un po' sboccati ma che invece parlano il linguaggio delle persone comuni.
Questo film è uno dei più riusciti Inni all'Amor Puro che mai mi siano capitati di vedere. Almodovar è forse il più grande illustratore vivente dell'Amore come concetto scevro ed indipendente dal modo in cui la sessualità degli individui si esprime. Anche se penso che "Parla con lei" rimane la sua opera di più alto livello stilistico e narrativo, questo film, più connotato, è uno splendido omaggio a tutte le persone che sono capaci di amare profondamente un altro essere umano. Io personalmente la penso allo stesso modo: nessun Amore può raggiungere quello di una madre per un figlio, tutte le altre forme sono ad almeno 2 lunghezze di distanza. Una scena in teatro nella quale una donna piange il figlio morto è da schiantare dai brividi.
Tra trans, puttane, suore che fanno un figlio con un trans, lesbiche, il rimarcarsi di questo grande sentimento in modo così naturale e spontaneo, che non deve stupire, può aprire la testa a chi tiene almeno un'antina aperta nel cervello, disponibile a nutrirlo.
Poteva dedicare alla madre qualcosa di più bello?
Non saprei proprio dirlo, quest'opera è perfetta così com'è.
Olimpo, e con questo ce ne sono ben 2 del grande regista spagnolo.
p.s.: oggi è il compleanno di Grazia, una donna che stimo, che mi consiglia bei film e commenta sempre con spessore e cognizione. Volevo ci fosse un gran film per farle i miei migliori auguri.
lunedì 17 maggio 2010
City Island
Prossimo mese al cinema, una commedia divertente e non banale che merita davvero!
Andy Garcia è Vincent Rizzo, vive a City Island, particolare isoletta molto british che mai avevo sentito nominare, di fronte al Bronx, tradizionalmente di pescatori dove le persone sono divise in 2 categorie: i residenti storici sono pescatori di vongole, gli "esterni" invece sono succhiatori di molluschi. Fa la guardia carceraria ma sogna di diventare attore sulle orme del suo mito, Marlon Brando, e segue un corso di recitazione.
Ha una famiglia un tantinello incasinata, dove ognuno vive con una falsa facciata ed una vita reale sconosciuta agli altri, lui compreso...
Per non rovinare la visione le varie vite le lascio conoscere.
Particolare è la situazione di Vincent che reciterà nelle sue vicende personali gli stessi esercizi che il maestro di recitazione propone. In questo senso è una bella parodia del mestiere dell'attore, il quale dovendo portare su di sé le vite di altri, quelle che deve rappresentare, non può mai completamente distaccarsi, c'è sempre qualcosa che lega i personaggi interpretati alla propria vita, sia essa quella nota a tutti o quella tenuta, più o meno bene, nascosta.
Produzione indipendente, sembra un bel film europeo non fosse per l'ambientazione. Per un attimo ho temuto il classico discorsetto finale all'americana ma fortunatamente ci viene risparmiato.
Commedia di equivoci, l'imbarazzo è il sentimento che spadroneggia.
Bella, mi sono proprio divertito, film che consiglio.
Andy Garcia è Vincent Rizzo, vive a City Island, particolare isoletta molto british che mai avevo sentito nominare, di fronte al Bronx, tradizionalmente di pescatori dove le persone sono divise in 2 categorie: i residenti storici sono pescatori di vongole, gli "esterni" invece sono succhiatori di molluschi. Fa la guardia carceraria ma sogna di diventare attore sulle orme del suo mito, Marlon Brando, e segue un corso di recitazione.
Ha una famiglia un tantinello incasinata, dove ognuno vive con una falsa facciata ed una vita reale sconosciuta agli altri, lui compreso...
Per non rovinare la visione le varie vite le lascio conoscere.
Particolare è la situazione di Vincent che reciterà nelle sue vicende personali gli stessi esercizi che il maestro di recitazione propone. In questo senso è una bella parodia del mestiere dell'attore, il quale dovendo portare su di sé le vite di altri, quelle che deve rappresentare, non può mai completamente distaccarsi, c'è sempre qualcosa che lega i personaggi interpretati alla propria vita, sia essa quella nota a tutti o quella tenuta, più o meno bene, nascosta.
Produzione indipendente, sembra un bel film europeo non fosse per l'ambientazione. Per un attimo ho temuto il classico discorsetto finale all'americana ma fortunatamente ci viene risparmiato.
Commedia di equivoci, l'imbarazzo è il sentimento che spadroneggia.
Bella, mi sono proprio divertito, film che consiglio.
C'est arrivé près de chez vous - Il cameraman & l'assassino
Benoit è uno strano personaggio. Ha cultura superiore alla media, suona il pianoforte, è cresciuto in una bella e simpatica famiglia, però, con una freddezza sconcertante, rapina ed uccide persone peggio di un seriale, soprattutto anziani pensionati ma non solo.
Una piccola troupe lo segue e riprende in bianco e nero tutta la sua vita, compreso le criminose imprese. Ben le descrive e le spiega, il modo in cui le compie e sceglie le vittime, dove nascondono i soldi, come ucciderle e persino come liberarsene. Un documentario in piena regola reality, stile "Crocodile Hunter", con un soggetto decisamente diverso!
Ben, istrionico e convinto, compie le sue imprese e la cinepresa sempre dietro. Lentamente però la troupe si fa coinvolgere: Ben la finanzia per portare avanti il progetto e loro collaborano alle sue azioni fino addirittura a...
Film molto spiazzante. Ispira molta curiosità, in molti momenti è grottescamente e cinicamente comico e ti sorprendi a ridere, eppure il finto realismo è molto realista, diverse situazioni sono degne di Arancia Meccanica, altre sono catalogabili come horror pure un po' splatter.
E' il Potere, enorme, della cinepresa, della modalità di ripresa. Il documentario, il tono usato, il modo di descrivere scientificamente e con una faccia sorridente ogni dettaglio fino al più macabro, anche con delle battute, stigmatizza tutto, anche le vicende più bieche e violente. Al termine della visione non si può fare a meno di pensarlo.
Il finale sarà drammaticamente coerente.
Film decisamente originale, inquietante ed interessante.
Una piccola troupe lo segue e riprende in bianco e nero tutta la sua vita, compreso le criminose imprese. Ben le descrive e le spiega, il modo in cui le compie e sceglie le vittime, dove nascondono i soldi, come ucciderle e persino come liberarsene. Un documentario in piena regola reality, stile "Crocodile Hunter", con un soggetto decisamente diverso!
Ben, istrionico e convinto, compie le sue imprese e la cinepresa sempre dietro. Lentamente però la troupe si fa coinvolgere: Ben la finanzia per portare avanti il progetto e loro collaborano alle sue azioni fino addirittura a...
Film molto spiazzante. Ispira molta curiosità, in molti momenti è grottescamente e cinicamente comico e ti sorprendi a ridere, eppure il finto realismo è molto realista, diverse situazioni sono degne di Arancia Meccanica, altre sono catalogabili come horror pure un po' splatter.
E' il Potere, enorme, della cinepresa, della modalità di ripresa. Il documentario, il tono usato, il modo di descrivere scientificamente e con una faccia sorridente ogni dettaglio fino al più macabro, anche con delle battute, stigmatizza tutto, anche le vicende più bieche e violente. Al termine della visione non si può fare a meno di pensarlo.
Il finale sarà drammaticamente coerente.
Film decisamente originale, inquietante ed interessante.
domenica 16 maggio 2010
La strategia della lumaca
Il titolo è perfetto e fortunatamente è stato tradotto testualmente in italiano. Storia di una comunità condominiale a Bogotà. Non di ripicche e vendette ma di lotta per il diritto alla casa.
Vivono in una vecchia palazzina in zona popolare ed il proprietario lotta da tempo per sfrattarli. E' un palazzo popolato da gente che si conosce da tantissimo, c'è di tutto, dai preti al travestito prostituta, donne pie alla madonna e comunisti convinti, tutti che vivono un miniuniverso assolutamente variegato e armonico. Tra i condomini c'è un quasi avvocato che tra postille, cavilli ed ogni meccanismo burocratico possibile continua ad ottenere rinvii, solo che ormai sono agli sgoccioli.
A questo punto entra in scena il genio creativo di Giacinto, che lavora come operatore di scena in teatro, con un'idea semplice anche se un filino impegnativa da attuare. Se ne devono andare? Bene, allora proprio come la lumaca, si porteranno con loro la casa, e proprio tutta intera! Mobili, infissi, sanitari e muri, tutto tranne la facciata sulla strada. Una cosa incredibile...
Commedia di satira sociale divertentissima nel più tipico spirito latino. I personaggi "cattivi", come il proprietario, faccendieri, bravacci, persino la polizia e le autorità giudiziarie, sono ritratti in modo grottesco senza che si perda il contatto con la realtà (parliamo della Colombia, non dimentichiamolo). Tra i condomini invece le piccole diatribe come quelle tra laici e credenti, decisionisti e garantisti, legalisti e rivoluzionari, tutte sono pretesto per tanti piccoli episodi tra il drammatico e l'esilarante e il grande scopo comune permetterà sempre di andare oltre.
Merita decisamente d'essere visto, film di grande originalità e comicità, surreale.
p.s.: un doveroso ringraziamento a Darko che mi ha stimolato nella ricerca di questo film.
Vivono in una vecchia palazzina in zona popolare ed il proprietario lotta da tempo per sfrattarli. E' un palazzo popolato da gente che si conosce da tantissimo, c'è di tutto, dai preti al travestito prostituta, donne pie alla madonna e comunisti convinti, tutti che vivono un miniuniverso assolutamente variegato e armonico. Tra i condomini c'è un quasi avvocato che tra postille, cavilli ed ogni meccanismo burocratico possibile continua ad ottenere rinvii, solo che ormai sono agli sgoccioli.
A questo punto entra in scena il genio creativo di Giacinto, che lavora come operatore di scena in teatro, con un'idea semplice anche se un filino impegnativa da attuare. Se ne devono andare? Bene, allora proprio come la lumaca, si porteranno con loro la casa, e proprio tutta intera! Mobili, infissi, sanitari e muri, tutto tranne la facciata sulla strada. Una cosa incredibile...
Commedia di satira sociale divertentissima nel più tipico spirito latino. I personaggi "cattivi", come il proprietario, faccendieri, bravacci, persino la polizia e le autorità giudiziarie, sono ritratti in modo grottesco senza che si perda il contatto con la realtà (parliamo della Colombia, non dimentichiamolo). Tra i condomini invece le piccole diatribe come quelle tra laici e credenti, decisionisti e garantisti, legalisti e rivoluzionari, tutte sono pretesto per tanti piccoli episodi tra il drammatico e l'esilarante e il grande scopo comune permetterà sempre di andare oltre.
Merita decisamente d'essere visto, film di grande originalità e comicità, surreale.
p.s.: un doveroso ringraziamento a Darko che mi ha stimolato nella ricerca di questo film.
Irina Palm
La vedova Maggie è nonna di un bimbo con una grave malattia. Se non vola al più presto in Australia muore. Le cure vengono passate dal servizio sanitario, ma viaggio e permanenza sono a carico loro. Il figlio e la nuora non hanno soldi, Maggie nemmeno e nessuna banca è disposta a dargli prestiti. Occorrono 6mila sterline.
Girovagando per Londra trova un lavoro come hostess. E' diverso da quello che immaginava, d'altronde il luogo è un sexy-shop con annesse salette varie. Dopo breve titubanza Maggie accetta il lavoro: masturbare clienti del locale da dietro un pannello, i clienti pagano il gettone, infilano il pene in un foro e lei dall'altra parte provvede alla bisogna. In breve tempo, col nome d'arte Irina Palm consigliatole dal gestore del locale, diventa un'invisibile celebrità, è molto brava, ha una mano morbidissima. Riuscirà persino ad essere pagata in anticipo e dare i soldi al figlio per il nipote...
Ovviamente il segreto di Maggie non durerà a lungo. Dopo la consegna dei soldi il figlio la spierà. Anche le zabettissime vicine di casa faranno di tutto per sapere cosa nasconde. Ci saranno "soluzioni" imprevedibili, come imprevedibile è il rapporto che si viene a creare tra lei, sempre serena e pacata, ed il gestore del locale.
La storia di una persona splendida, scopertasi grande manipolatrice di cazzi, ambientata in periodo natalizio, uscita nei cinema sempre in periodo natalizio, con una storia di sottofondo che più natalizia non può essere col bambino malato, la famiglia povera, ecc. . M'ha fatto ridere e commuovere, e soprattutto non m'ha scandalizzato ma quanto deve averlo fatto nel nostro paesucolo ipocritamente bigotto e moralista! 5 paesi a produrlo: Belgio, Lussemburgo, Gran Bretagna, Germania, Francia. "Stranamente" all'italietta non l'hanno proposto.
Da noi ha incassato pochissimo, ed invece è un film che merita tantissimo. Maggie-Irina ha una dignità ed una moralità altissime. Chi non è morale è chi gli sta intorno: chi non paga le spese per curare il nipote, chi non le concede un prestito. E' tutto fatto così bene e con tanta semplicità da non richiedere sofisticate elucubrazioni.
L'interpretazione di Marianne Faithfull, brava cantante prima che attrice, è da encomio solenne, molto sentita. Metto in chiusura una sua splendida interpretazione.
Girovagando per Londra trova un lavoro come hostess. E' diverso da quello che immaginava, d'altronde il luogo è un sexy-shop con annesse salette varie. Dopo breve titubanza Maggie accetta il lavoro: masturbare clienti del locale da dietro un pannello, i clienti pagano il gettone, infilano il pene in un foro e lei dall'altra parte provvede alla bisogna. In breve tempo, col nome d'arte Irina Palm consigliatole dal gestore del locale, diventa un'invisibile celebrità, è molto brava, ha una mano morbidissima. Riuscirà persino ad essere pagata in anticipo e dare i soldi al figlio per il nipote...
Ovviamente il segreto di Maggie non durerà a lungo. Dopo la consegna dei soldi il figlio la spierà. Anche le zabettissime vicine di casa faranno di tutto per sapere cosa nasconde. Ci saranno "soluzioni" imprevedibili, come imprevedibile è il rapporto che si viene a creare tra lei, sempre serena e pacata, ed il gestore del locale.
La storia di una persona splendida, scopertasi grande manipolatrice di cazzi, ambientata in periodo natalizio, uscita nei cinema sempre in periodo natalizio, con una storia di sottofondo che più natalizia non può essere col bambino malato, la famiglia povera, ecc. . M'ha fatto ridere e commuovere, e soprattutto non m'ha scandalizzato ma quanto deve averlo fatto nel nostro paesucolo ipocritamente bigotto e moralista! 5 paesi a produrlo: Belgio, Lussemburgo, Gran Bretagna, Germania, Francia. "Stranamente" all'italietta non l'hanno proposto.
Da noi ha incassato pochissimo, ed invece è un film che merita tantissimo. Maggie-Irina ha una dignità ed una moralità altissime. Chi non è morale è chi gli sta intorno: chi non paga le spese per curare il nipote, chi non le concede un prestito. E' tutto fatto così bene e con tanta semplicità da non richiedere sofisticate elucubrazioni.
L'interpretazione di Marianne Faithfull, brava cantante prima che attrice, è da encomio solenne, molto sentita. Metto in chiusura una sua splendida interpretazione.
sabato 15 maggio 2010
The Messenger
Sulla trama c'è pochissimo da dire: 2 militari americani, uno da tempo assegnato all'incarico un altro lo è appena stato dopo essere rientrato dall'Iraq, compongono una squadra che lavora sotto il comando del "Casualty Notification Office", si occupano cioè d'informare ufficialmente ed a nome del governo il parente di un soldato deceduto in guerra, in particolare stiamo appunto parlando di quella in corso in Iraq. Devono essere discreti, precisi e soprattutto veloci per evitare che la notizia, con tv o giornali, arrivi prima di loro.
Sono 2 militari graduati, decorati ed esperti, eppure scenderanno nell'inferno della guerra più con questo compito che neanche in battaglia. Hanno una sorta di decalogo molto preciso e rigoroso da rispettare, che prevede tutto e con ragione. Ad esempio non devono salutare con buongiorno o buonasera, perché non c'è nulla di buono in quell'incontro. Devono evitare contatto fisico al fine di ridurre al minimo il coinvolgimento emotivo. Importante rispettare un preciso protocollo per ogni situazione. Non sempre sarà possibile farlo, il più giovane dei due non riesce ad estraniarsi dai contesti, il più vecchio affoga in puttane ed alcol il bisogno di sfogarsi.
Ogni visita è una mazzata sulla loro psiche, un ulteriore cicatrice. Credo siano diverse migliaia i morti in Iraq solo tra i militari americani, al solito un numero che esposto così è abbastanza freddo, dice poco, ma poi, come ho detto anche altrove, se ogni singolo morto viene descritto, incontrato, illustrato nella sua vita e nei suoi affetti, le cose cambiano e di molto.
Film con qualche piccola lungaggine sulle vite private dei 2, ma è solo un neo, dal mio punto di vista, in una sceneggiatura importante ed originale. Non immaginavo nemmeno esistessero degli staff per queste cose. Credo, dopo l'artificiere, il lavoro che più di ogni altro non vorrei mai fare.
Decisamente da vedere.
Sono 2 militari graduati, decorati ed esperti, eppure scenderanno nell'inferno della guerra più con questo compito che neanche in battaglia. Hanno una sorta di decalogo molto preciso e rigoroso da rispettare, che prevede tutto e con ragione. Ad esempio non devono salutare con buongiorno o buonasera, perché non c'è nulla di buono in quell'incontro. Devono evitare contatto fisico al fine di ridurre al minimo il coinvolgimento emotivo. Importante rispettare un preciso protocollo per ogni situazione. Non sempre sarà possibile farlo, il più giovane dei due non riesce ad estraniarsi dai contesti, il più vecchio affoga in puttane ed alcol il bisogno di sfogarsi.
Ogni visita è una mazzata sulla loro psiche, un ulteriore cicatrice. Credo siano diverse migliaia i morti in Iraq solo tra i militari americani, al solito un numero che esposto così è abbastanza freddo, dice poco, ma poi, come ho detto anche altrove, se ogni singolo morto viene descritto, incontrato, illustrato nella sua vita e nei suoi affetti, le cose cambiano e di molto.
Film con qualche piccola lungaggine sulle vite private dei 2, ma è solo un neo, dal mio punto di vista, in una sceneggiatura importante ed originale. Non immaginavo nemmeno esistessero degli staff per queste cose. Credo, dopo l'artificiere, il lavoro che più di ogni altro non vorrei mai fare.
Decisamente da vedere.
In the Electric Mist
Robicheaux è un detective che, indagando su omicidi che riguardano giovani ragazze nella sua giurisdizione, New Iberia in Louisiana, si ritrova per varie vicende ad indagare anche su un omicidio avvenuto nelle paludi vicino nel 1965. In quel vecchio episodio, ma anche nel nuovo, troverà coinvolte persone influenti.
Niente di particolarmente nuovo o sconvolgente, film piuttosto classico e prevedibile, senza con questo volerlo infamare. Presentato in concorso a Berlino, ha 2 cose apprezzabili, almeno per me.
La prima è Tommy Lee Jones, attore per il quale ho un debole istintivo da quando lo vidi in JFK, ed averlo visto qui in lingua originale me lo ha fatto ulteriormente apprezzare.
La seconda, il motivo "più motivo" per il quale ho deciso di vederlo, è l'ambientazione. Pur essendo tratto da un romanzo uscito alla fine del '900 il film è collocato in tempi recenti. La Louisiana post-Katrina (tragico uragano che distrusse New Orleans nel 2005) che si vede è glabra e piuttosto desertica, una situazione che ricorda per certi aspetti i luoghi di frontiera del vecchio west, anche per l'approssimativa applicazione della legge. La regia lenta ed una fotografia sfumata contribuiscono a creare questo ambiente, che ha un fascino tutto suo.
Non male insomma, si può guardare, un thriller adatto a tutti. Non ho ben capito se e quando uscirà in Italia.
Niente di particolarmente nuovo o sconvolgente, film piuttosto classico e prevedibile, senza con questo volerlo infamare. Presentato in concorso a Berlino, ha 2 cose apprezzabili, almeno per me.
La prima è Tommy Lee Jones, attore per il quale ho un debole istintivo da quando lo vidi in JFK, ed averlo visto qui in lingua originale me lo ha fatto ulteriormente apprezzare.
La seconda, il motivo "più motivo" per il quale ho deciso di vederlo, è l'ambientazione. Pur essendo tratto da un romanzo uscito alla fine del '900 il film è collocato in tempi recenti. La Louisiana post-Katrina (tragico uragano che distrusse New Orleans nel 2005) che si vede è glabra e piuttosto desertica, una situazione che ricorda per certi aspetti i luoghi di frontiera del vecchio west, anche per l'approssimativa applicazione della legge. La regia lenta ed una fotografia sfumata contribuiscono a creare questo ambiente, che ha un fascino tutto suo.
Non male insomma, si può guardare, un thriller adatto a tutti. Non ho ben capito se e quando uscirà in Italia.
venerdì 14 maggio 2010
Hard Candy
Un grande peccato rivelare la trama, che riserva continue sorprese. Mi limito all'argomento e a poche tracce essenziali.
Hayley è una ragazzina 14enne, Jeff un fotografo di discreto successo. Tipica conoscenza tramite una chat, è Hayley con spigliata iniziativa a stimolare un incontro, che avverrà. E' sempre Hayley ad andare a casa di Jeff, volontariamente. Poi, una volta arrivati e rotti gli indugi, fra allusioni e doppi sensi, Jeff si ritroverà prigioniero in casa sua dell'intraprendente ragazzina, che lo accuserà di essere un pedofilo, colpevole dello stupro ed uccisione di una sua cara amica, ed è decisa a fargliela pagare...
E direi che ho detto abbastanza, il resto ve lo lascio godere e scoprire. Mi limito a dire, concludendo considerazioni da cinefilo, che il film pur con un bassissimo budget è girato bene, molto intenso, i primi piani dei personaggi sono splendidi. L'attrice Ellen Page, all'epoca delle riprese 18enne, davvero notevole e col suo fisico minuto (alta 1,55m) s'è rivelata perfetta nel ruolo.
In breve: un thriller-horror di grandissima godibilità, anche se ci si vuole estraniare dall'argomento, piuttosto forte. Senza o quasi sangue, senza scene di nudo o sesso, ma di grande tensione.
Se invece non ci si estrania è impossibile che il film non faccia riflettere, e non poco. Ho scoperto questo film nel blog di modesty che ne ha scritto una esperienza più che una recensione. Il suo essere donna le ha permesso, cosa a me biologicamente non concessa, di comprendere al meglio carattere e comportamenti di Hayley nella vicenda, ne consiglio la lettura.
Io da uomo sono rimasto su una posizione incerta per tutto il tempo. Pur patteggiando per la ragazza a scena aperta, la cui bellezza, intelligenza, capacità e lucidità non possono lasciare indifferenti, ho seguito la vicenda fino alla fine con una certa apprensione anche perché, fino all'ultimo frame, non si riesce a capire se Jeff è realmente colpevole di quanto Hayley gli attribuisce, allora il garantista che è in te ti frena. Non si vedono immagini compromettenti, nessuna foto o prova, allora qual'è la verità? Se si pensa che il film è ispirato a "...un fatto di cronaca in Giappone, dove delle ragazzine adescavano in chat uomini più grandi, per poi accerchiarli e torturarli..." (da wiki), la cosa si fa ancora più enigmatica.
La locandina è perfetta nel suo simbolismo. Hayley, come un cappuccetto rosso post-moderno, si offre su una trappola fatale ad un lupo che si trasformerà in vittima. E' possibile vederlo come vittima Jeff? Come ho scritto, io stesso mi sono trovato a definire bella l'attrice, bella come personaggio. La pedofilia di cui si parla è border-line, perché se pensiamo a bambini fino ai 10anni o giù di lì siamo tutti d'accordo, ma qui ci troviamo davanti al solito dilemma: quando una donna o un uomo sono in età adulta per decidere liberamente della propria sessualità e con chi praticarla? Ricordo quando andavo alle medie che vedevo ragazze frequentare maturandi del liceo... Sfido chiunque, tra i maschi, ad ammettere di non aver mai guardato ormai adulti, con una certa libidine, ragazze di 14anni o poco più, con corpi e movenze da donne fatte e finite e però con un candore che alle donne "vere" non è più possibile. E poi giù la maschera!, il mondo le utilizza con cinismo già a quell'età quando sono belle, nella pubblicità (famosa quella degli slip Roberta), nella moda, nella televisione, nello stesso cinema, con genitori spesso cinicamente interessati che si fregano le mani ed ingrassano il portafogli. Nella moda poi, dove corpi smunti e magrissimi la fanno ancora da padrona, i richiami ad una fisicità più probabile da adolescenti che da adulti sono chiarissimi. E non parliamo di una certa Noemi va là, che sforiamo nel ridicolo che attanaglia vergognosamente il nostro paese.
Ammettiamolo, e mi rivolgo sempre ai maschi che conosco bene: un po' pedofili lo siamo in tanti quando ammiriamo certe ragazze. Certo, poi passare ai fatti con adescamenti e violenze è altra cosa, ma nei pensieri...
Si potrebbe dire ancora, ma mi sono dilungato già troppo.
Il film, definito in molti modi e torno a parlare dell'opera, ha il grande merito di un realismo assoluto.
Hayley è una paladina, una eroina di riscatto.
Assolutamente da vedere.
Film pluripremiato nel mondo, in Italia non è uscito nelle sale ma è disponibile in dvd.
Hayley è una ragazzina 14enne, Jeff un fotografo di discreto successo. Tipica conoscenza tramite una chat, è Hayley con spigliata iniziativa a stimolare un incontro, che avverrà. E' sempre Hayley ad andare a casa di Jeff, volontariamente. Poi, una volta arrivati e rotti gli indugi, fra allusioni e doppi sensi, Jeff si ritroverà prigioniero in casa sua dell'intraprendente ragazzina, che lo accuserà di essere un pedofilo, colpevole dello stupro ed uccisione di una sua cara amica, ed è decisa a fargliela pagare...
E direi che ho detto abbastanza, il resto ve lo lascio godere e scoprire. Mi limito a dire, concludendo considerazioni da cinefilo, che il film pur con un bassissimo budget è girato bene, molto intenso, i primi piani dei personaggi sono splendidi. L'attrice Ellen Page, all'epoca delle riprese 18enne, davvero notevole e col suo fisico minuto (alta 1,55m) s'è rivelata perfetta nel ruolo.
In breve: un thriller-horror di grandissima godibilità, anche se ci si vuole estraniare dall'argomento, piuttosto forte. Senza o quasi sangue, senza scene di nudo o sesso, ma di grande tensione.
Se invece non ci si estrania è impossibile che il film non faccia riflettere, e non poco. Ho scoperto questo film nel blog di modesty che ne ha scritto una esperienza più che una recensione. Il suo essere donna le ha permesso, cosa a me biologicamente non concessa, di comprendere al meglio carattere e comportamenti di Hayley nella vicenda, ne consiglio la lettura.
Io da uomo sono rimasto su una posizione incerta per tutto il tempo. Pur patteggiando per la ragazza a scena aperta, la cui bellezza, intelligenza, capacità e lucidità non possono lasciare indifferenti, ho seguito la vicenda fino alla fine con una certa apprensione anche perché, fino all'ultimo frame, non si riesce a capire se Jeff è realmente colpevole di quanto Hayley gli attribuisce, allora il garantista che è in te ti frena. Non si vedono immagini compromettenti, nessuna foto o prova, allora qual'è la verità? Se si pensa che il film è ispirato a "...un fatto di cronaca in Giappone, dove delle ragazzine adescavano in chat uomini più grandi, per poi accerchiarli e torturarli..." (da wiki), la cosa si fa ancora più enigmatica.
La locandina è perfetta nel suo simbolismo. Hayley, come un cappuccetto rosso post-moderno, si offre su una trappola fatale ad un lupo che si trasformerà in vittima. E' possibile vederlo come vittima Jeff? Come ho scritto, io stesso mi sono trovato a definire bella l'attrice, bella come personaggio. La pedofilia di cui si parla è border-line, perché se pensiamo a bambini fino ai 10anni o giù di lì siamo tutti d'accordo, ma qui ci troviamo davanti al solito dilemma: quando una donna o un uomo sono in età adulta per decidere liberamente della propria sessualità e con chi praticarla? Ricordo quando andavo alle medie che vedevo ragazze frequentare maturandi del liceo... Sfido chiunque, tra i maschi, ad ammettere di non aver mai guardato ormai adulti, con una certa libidine, ragazze di 14anni o poco più, con corpi e movenze da donne fatte e finite e però con un candore che alle donne "vere" non è più possibile. E poi giù la maschera!, il mondo le utilizza con cinismo già a quell'età quando sono belle, nella pubblicità (famosa quella degli slip Roberta), nella moda, nella televisione, nello stesso cinema, con genitori spesso cinicamente interessati che si fregano le mani ed ingrassano il portafogli. Nella moda poi, dove corpi smunti e magrissimi la fanno ancora da padrona, i richiami ad una fisicità più probabile da adolescenti che da adulti sono chiarissimi. E non parliamo di una certa Noemi va là, che sforiamo nel ridicolo che attanaglia vergognosamente il nostro paese.
Ammettiamolo, e mi rivolgo sempre ai maschi che conosco bene: un po' pedofili lo siamo in tanti quando ammiriamo certe ragazze. Certo, poi passare ai fatti con adescamenti e violenze è altra cosa, ma nei pensieri...
Si potrebbe dire ancora, ma mi sono dilungato già troppo.
Il film, definito in molti modi e torno a parlare dell'opera, ha il grande merito di un realismo assoluto.
Hayley è una paladina, una eroina di riscatto.
Assolutamente da vedere.
Film pluripremiato nel mondo, in Italia non è uscito nelle sale ma è disponibile in dvd.
giovedì 13 maggio 2010
Poppoya
Oto è un ferroviere prossimo alla pensione. Fa il capostazione in un remoto paesino del nord del Giappone, su una linea che sta per essere chiusa. Alle spalle una vita dolorosa ma immensamente fiera per il lavoro svolto con dignità. Anche se ingegnere decise di seguire le orme del padre, con un senso di missione. Prima macchinista, infine capostazione.
A cavallo di un capodanno, fra notizie riguardo al suo futuro ed incontri con vecchi amici e colleghi, rivivrà interamente la sua vita. Episodi di flashback continui non distinguibili, si vedranno sempre come realtà immanenti, come sogni ad occhi aperti. Oto prima di concludere la sua carriera e la sua vita ha alcuni sensi di colpa che vuole e deve risolvere, che riguardano la sua vita privata, mai quella professionale totalmente priva di rimpianti...
E' la trasposizione cinematografica di un libro a fumetti che ha avuto grandissimo successo in Giappone. Anche questo film, che non mi pare uscito da noi, ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Nella piccola stazione si avrà uno spazio tempo dilatato, con la vita di Oto e della sua famiglia ci si addentrerà nella cultura di un popolo, quello giapponese, che in qualche modo ha dovuto risollevarsi dal tracollo successivo alla seconda guerra mondiale e per il quale le ferrovie sono state determinanti.
Lentissimo ed intenso, elegante, sensibile, delicato e forte, un trionfo di buoni sentimenti, amore, senso del dovere, rispetto delle persone e delle tradizioni. Oto è una figura nobile ed epica, ma è solo un ferroviere e questo aspetto mi ha tenuto incollato a guardare un genere di trama che altrimenti evito. Questo film è una fanfara per un eroe comune e per una professione che in tutto il mondo ha portato comunicazione, trasporto merci e persone, progresso. E' un messaggio chiarissimo di questa storia, che condivido, un omaggio ai ferrovieri.
Senza inutile retorica, Oto è un personaggio splendido, incoraggiante, che bada anzitutto al suo comportamento, al perseguire ideali indipendentemente da quanto gli accade intorno, cosciente che nelle sue azioni risiede la sostanza della sua integrità di uomo. Poppoya che si può tradurre in "il signore del ciuf-ciuf" è una parola infantile, simpatica, che deve però anche far entrare nell'ordine d'idee che la storia è, ripeto, da romanzo di formazione.
Io l'ho trovato molto bello e commovente.
Non posso esimermi dal consigliare un altro bellissimo film, molto diverso ma affine, questa volta italiano, di Pietro Germi: Il ferroviere.
A cavallo di un capodanno, fra notizie riguardo al suo futuro ed incontri con vecchi amici e colleghi, rivivrà interamente la sua vita. Episodi di flashback continui non distinguibili, si vedranno sempre come realtà immanenti, come sogni ad occhi aperti. Oto prima di concludere la sua carriera e la sua vita ha alcuni sensi di colpa che vuole e deve risolvere, che riguardano la sua vita privata, mai quella professionale totalmente priva di rimpianti...
E' la trasposizione cinematografica di un libro a fumetti che ha avuto grandissimo successo in Giappone. Anche questo film, che non mi pare uscito da noi, ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Nella piccola stazione si avrà uno spazio tempo dilatato, con la vita di Oto e della sua famiglia ci si addentrerà nella cultura di un popolo, quello giapponese, che in qualche modo ha dovuto risollevarsi dal tracollo successivo alla seconda guerra mondiale e per il quale le ferrovie sono state determinanti.
Lentissimo ed intenso, elegante, sensibile, delicato e forte, un trionfo di buoni sentimenti, amore, senso del dovere, rispetto delle persone e delle tradizioni. Oto è una figura nobile ed epica, ma è solo un ferroviere e questo aspetto mi ha tenuto incollato a guardare un genere di trama che altrimenti evito. Questo film è una fanfara per un eroe comune e per una professione che in tutto il mondo ha portato comunicazione, trasporto merci e persone, progresso. E' un messaggio chiarissimo di questa storia, che condivido, un omaggio ai ferrovieri.
Senza inutile retorica, Oto è un personaggio splendido, incoraggiante, che bada anzitutto al suo comportamento, al perseguire ideali indipendentemente da quanto gli accade intorno, cosciente che nelle sue azioni risiede la sostanza della sua integrità di uomo. Poppoya che si può tradurre in "il signore del ciuf-ciuf" è una parola infantile, simpatica, che deve però anche far entrare nell'ordine d'idee che la storia è, ripeto, da romanzo di formazione.
Io l'ho trovato molto bello e commovente.
Non posso esimermi dal consigliare un altro bellissimo film, molto diverso ma affine, questa volta italiano, di Pietro Germi: Il ferroviere.
mercoledì 12 maggio 2010
Hable con ella - Parla con lei
Donne protagoniste? Sì, ma in coma.
Alicia lo è da parecchio tempo per un incidente. Benigno, suo spasimante nascosto che la spiava sempre ballare nella scuola di danza di fronte casa sua, ora è il suo infermiere personale.
La torera Lydia lo è da poco e si ritrova nello stesso centro di Alicia. Marco, il suo compagno, non sa bene come comportarsi e Benigno, col quale stringe amicizia, gli consiglia di fare come lui: parlarle, continuamente, come se fosse viva. Marco è costernato dal comportamento di Benigno. Non riesce ad emularlo ma lo ammira anche quando ne scoprirà un lato decisamente perverso...
Amante di Almodovar dissacratore, satireggiante, pungente, mi sono trovato quasi da subito spiazzato dall'aria elegante e raffinata di questo film. Devo ancora vederne altri, per intanto mi sento di definire questo film il suo più grande lavoro tra quelli che ho visto, un vero Capolavoro più che degno del mio Olimpo.
Vorrei dire di più e molto della trama, solo che ne rovinerei troppo la visione a chi non l'ha visto. Tra vari flashback scopriamo antefatti di Marco e Benigno, e ovviamente dei rispettivi amori. Quello di Marco è un amore che si spegne lentamente, quello di Benigno invece pare non conoscere limiti ed ogni giorno che passa aumenta fino ad un epilogo che lascia esterrefatti. Le rispettive compagne rifletteranno, come specchi empatici, molto bene i loro sentimenti.
Non mancano alcuni temi cari ad Almodovar che però, salvo poche eccezioni (tra le quali un attacco ai preti cattolici durissimo), non vengono toccati in modo diretto da dialoghi o discorsi, bensì da immagini e situazioni allegoriche. Tutte da godere e comprensibilissime, belle e semplici, una cosa rara! Veramente sublime un corto in bianco e nero dove un uomo è talmente vittima del suo folle amore da diventare sempre più piccolo e tornare là dove è stato generato.
Il finale espliciterà che la vita, come la danza che si vede rappresentata, è una cosa complessa. Ma cosa è complesso se quello che con grande arte ci viene mostrato, persino un comportamento moralmente aberrante al punto da essere penalmente rilevante, appare talmente semplice, persino ovvio? Non ci si stupisce della cosa perché arriva gradualmente, ma soprattutto non ci si eleva a giudici! Come ha fatto il geniale regista? Non lo so, ma con me c'è riuscito, questa è stata la mia percezione. E' complesso, e molto, rappresentare certi fatti di vita come ha fatto lui, poi però l'effetto è la naturalezza, la bellezza. Quindi questa complessità è positiva, disponibile a pochi nel realizzarla, a tutti per ammirarla e comprenderla. Complessità Stupida è voler semplificare la vita con poche regole banali, dogmi, comandamenti, insulse regole morali, che quindi vogliono semplificare e non abbracciare tutte le possibilità umane.
Ho divagato. Film meraviglioso, da vedere più volte, ispirato ed ispirante.
Alicia lo è da parecchio tempo per un incidente. Benigno, suo spasimante nascosto che la spiava sempre ballare nella scuola di danza di fronte casa sua, ora è il suo infermiere personale.
La torera Lydia lo è da poco e si ritrova nello stesso centro di Alicia. Marco, il suo compagno, non sa bene come comportarsi e Benigno, col quale stringe amicizia, gli consiglia di fare come lui: parlarle, continuamente, come se fosse viva. Marco è costernato dal comportamento di Benigno. Non riesce ad emularlo ma lo ammira anche quando ne scoprirà un lato decisamente perverso...
Amante di Almodovar dissacratore, satireggiante, pungente, mi sono trovato quasi da subito spiazzato dall'aria elegante e raffinata di questo film. Devo ancora vederne altri, per intanto mi sento di definire questo film il suo più grande lavoro tra quelli che ho visto, un vero Capolavoro più che degno del mio Olimpo.
Vorrei dire di più e molto della trama, solo che ne rovinerei troppo la visione a chi non l'ha visto. Tra vari flashback scopriamo antefatti di Marco e Benigno, e ovviamente dei rispettivi amori. Quello di Marco è un amore che si spegne lentamente, quello di Benigno invece pare non conoscere limiti ed ogni giorno che passa aumenta fino ad un epilogo che lascia esterrefatti. Le rispettive compagne rifletteranno, come specchi empatici, molto bene i loro sentimenti.
Non mancano alcuni temi cari ad Almodovar che però, salvo poche eccezioni (tra le quali un attacco ai preti cattolici durissimo), non vengono toccati in modo diretto da dialoghi o discorsi, bensì da immagini e situazioni allegoriche. Tutte da godere e comprensibilissime, belle e semplici, una cosa rara! Veramente sublime un corto in bianco e nero dove un uomo è talmente vittima del suo folle amore da diventare sempre più piccolo e tornare là dove è stato generato.
Il finale espliciterà che la vita, come la danza che si vede rappresentata, è una cosa complessa. Ma cosa è complesso se quello che con grande arte ci viene mostrato, persino un comportamento moralmente aberrante al punto da essere penalmente rilevante, appare talmente semplice, persino ovvio? Non ci si stupisce della cosa perché arriva gradualmente, ma soprattutto non ci si eleva a giudici! Come ha fatto il geniale regista? Non lo so, ma con me c'è riuscito, questa è stata la mia percezione. E' complesso, e molto, rappresentare certi fatti di vita come ha fatto lui, poi però l'effetto è la naturalezza, la bellezza. Quindi questa complessità è positiva, disponibile a pochi nel realizzarla, a tutti per ammirarla e comprenderla. Complessità Stupida è voler semplificare la vita con poche regole banali, dogmi, comandamenti, insulse regole morali, che quindi vogliono semplificare e non abbracciare tutte le possibilità umane.
Ho divagato. Film meraviglioso, da vedere più volte, ispirato ed ispirante.
martedì 11 maggio 2010
A Serious Man
Anche se vive in America negli anni '60, anche se conosce a stento l'yiddish, anche se è solo un professore di fisica che a fatica tira la fine del mese, ha diritto il mite ebreo Larry Gopnik ad anelare ad essere un "mensch", un uomo serio e giusto? Lui ce la mette tutta, ma la vita che lo circonda gli fa nutrire molti dubbi, su di sé ma anche, senza osare ribellarsi!, sulla sua fede.
Una vita che ti crolla addosso. Figlio gran fumatore di canne, figlia che vuole una plastica al naso, fratello insediatosi in casa con delle gran menate, uno studente che lo vuole corrompere con del denaro che lui rifiuta e quindi poi lo studente lo denuncia per corruzione ma soprattutto, e questa è bellissima, la moglie lo vuole lasciare pretendendo un divorzio religioso perché l'amante è un ebreo molto serio. E c'è anche dell'altro...
Il povero, candido, innocente Larry non può far altro che chiedere spiegazioni religiose a tanta sfiga immeritata a dei rabbini. Ne incontrerà ben 3, in ordine d'importanza gerarchica, e cosa otterrà?
Quando salirà sul tetto a regolare l'antenna vedrà il panorama di quel quartiere tutto bello pulito ed ordinato, con le casette curate ed i prati rasati, un momento topico: quello è il regno dove lui si sforza di essere un giusto, pur non riuscendo a togliere gli occhi dalla vicina che prende nuda il sole.
Una satira che partendo da una comunità ebrea, giocando sui luoghi comuni che la dipingono, prende in giro un sistema sociale, quello borghese americano di quegli anni e di quei luoghi, che rendeva impresa titanica una vita normale, onesta, morigerata. Una specie di volteriano Candide in chiave moderno-grottesca, molto meno ottimista però questo Larry, e più realista.
Divertentissimo e da non perdere.
Una vita che ti crolla addosso. Figlio gran fumatore di canne, figlia che vuole una plastica al naso, fratello insediatosi in casa con delle gran menate, uno studente che lo vuole corrompere con del denaro che lui rifiuta e quindi poi lo studente lo denuncia per corruzione ma soprattutto, e questa è bellissima, la moglie lo vuole lasciare pretendendo un divorzio religioso perché l'amante è un ebreo molto serio. E c'è anche dell'altro...
Il povero, candido, innocente Larry non può far altro che chiedere spiegazioni religiose a tanta sfiga immeritata a dei rabbini. Ne incontrerà ben 3, in ordine d'importanza gerarchica, e cosa otterrà?
Quando salirà sul tetto a regolare l'antenna vedrà il panorama di quel quartiere tutto bello pulito ed ordinato, con le casette curate ed i prati rasati, un momento topico: quello è il regno dove lui si sforza di essere un giusto, pur non riuscendo a togliere gli occhi dalla vicina che prende nuda il sole.
Una satira che partendo da una comunità ebrea, giocando sui luoghi comuni che la dipingono, prende in giro un sistema sociale, quello borghese americano di quegli anni e di quei luoghi, che rendeva impresa titanica una vita normale, onesta, morigerata. Una specie di volteriano Candide in chiave moderno-grottesca, molto meno ottimista però questo Larry, e più realista.
Divertentissimo e da non perdere.
lunedì 10 maggio 2010
Hukkle
Un serpente, credo una vipera, dà la sveglia ad un piccolo villaggio contadino ungherese. Lo guarda dall'alto, carica di veleno. E' inquadrato così da vicino che senti le placche della pelle strisciare. Forse un presagio di morte? Certamente un incipit inquietante.
Un vecchio, stravecchio, con un singhiozzo (hukkle) a percussione che fa da metronomo, travasa del latte da un tino, ne riempie una gamella e si siede davanti al rustico ad osservare la vita del villaggio scorrergli davanti. Senza dialoghi, solo rumori precisi e definiti, sembra di assistere ad uno dei meravigliosi film documentario di Franco Piavoli, ma qua incombe costante la sensazione, la presenza di una forza maligna e spesso la telecamera va là dove solo un serpente può arrivare.
Immagini bellissime, girate e montate con maestria assoluta, con una originalità che porta stupore in certi momenti, punti di vista che non sospetti, solo che la situazione ti distrae, rischi di non prestarci attenzione. Cosa succede? Il paese è abitato soprattutto da anziani, i giovani vengono dalla città a trovarli, normale che qualcuno muoia, ma muoiono uomini, solo ed unicamente uomini. Cominciano a morire con sospetta frequenza, al punto che un poliziotto comincia ad indagare. Si abbattono letteralmente a terra, senza preavviso.
Alcune donne le vediamo armeggiare con strane boccette, non casualmente identificate da una croce rossa a pennarello segnata sul fondo. Queste boccette circolano, passano di mano in mano sempre di donne, ed uomini muoiono. Le scene finali, il maiale da monta che vaga solitario senza padrone, l'uomo da solo sul campo di bocce, parlano da sole. Un matrimonio. Finalmente delle parole seppur cantate che raccontano qualcosa, s'intuisce un disagio delle donne verso gli uomini, ma ancora non chiarisce tutto.
Meraviglioso, un Capolavoro per le sensazioni che fornisce, per come è stato realizzato. Si può amare un film anche senza capirlo fino in fondo? Sì, le emozioni trascendono la comprensione. Già in Taxidermia ebbi modo di amare la creatività di questo regista, ora lo eleggo immediatamente a Genio.
La trama in fondo è semplice, l'avvelenamento operato dalle donne diventa evidentissimo. Quello che non si riesce a cogliere è la ragione alla base di ciò. Allora con pazienza e grazie a quella risorsa immensa che è internet si scopre che il film è ispirato ad una storia realmente accaduta: "The Angel Makers of Nagyrév". Interessantissima, tutta da leggere e come sempre la realtà propone storie horror che superano quelle di fantasia.
Un vecchio, stravecchio, con un singhiozzo (hukkle) a percussione che fa da metronomo, travasa del latte da un tino, ne riempie una gamella e si siede davanti al rustico ad osservare la vita del villaggio scorrergli davanti. Senza dialoghi, solo rumori precisi e definiti, sembra di assistere ad uno dei meravigliosi film documentario di Franco Piavoli, ma qua incombe costante la sensazione, la presenza di una forza maligna e spesso la telecamera va là dove solo un serpente può arrivare.
Immagini bellissime, girate e montate con maestria assoluta, con una originalità che porta stupore in certi momenti, punti di vista che non sospetti, solo che la situazione ti distrae, rischi di non prestarci attenzione. Cosa succede? Il paese è abitato soprattutto da anziani, i giovani vengono dalla città a trovarli, normale che qualcuno muoia, ma muoiono uomini, solo ed unicamente uomini. Cominciano a morire con sospetta frequenza, al punto che un poliziotto comincia ad indagare. Si abbattono letteralmente a terra, senza preavviso.
Alcune donne le vediamo armeggiare con strane boccette, non casualmente identificate da una croce rossa a pennarello segnata sul fondo. Queste boccette circolano, passano di mano in mano sempre di donne, ed uomini muoiono. Le scene finali, il maiale da monta che vaga solitario senza padrone, l'uomo da solo sul campo di bocce, parlano da sole. Un matrimonio. Finalmente delle parole seppur cantate che raccontano qualcosa, s'intuisce un disagio delle donne verso gli uomini, ma ancora non chiarisce tutto.
Meraviglioso, un Capolavoro per le sensazioni che fornisce, per come è stato realizzato. Si può amare un film anche senza capirlo fino in fondo? Sì, le emozioni trascendono la comprensione. Già in Taxidermia ebbi modo di amare la creatività di questo regista, ora lo eleggo immediatamente a Genio.
La trama in fondo è semplice, l'avvelenamento operato dalle donne diventa evidentissimo. Quello che non si riesce a cogliere è la ragione alla base di ciò. Allora con pazienza e grazie a quella risorsa immensa che è internet si scopre che il film è ispirato ad una storia realmente accaduta: "The Angel Makers of Nagyrév". Interessantissima, tutta da leggere e come sempre la realtà propone storie horror che superano quelle di fantasia.
domenica 9 maggio 2010
L'uomo che verrà
"Non so se oggi si può colmare un vuoto di 60 anni di oblio, ma questo film l’ho fatto per noi, i nostri figli e i nostri nipoti, nella speranza che magari fra 500 anni, si potrà parlare delle guerre come oggi parliamo del cannibalismo: qualcosa di così lontano che non esiste più ... è stato pure detto che in quell’occasione la colpa dei partigiani è stata di non sapere cosa fare. Ma la strage è stata così efferata che nessuno l’avrebbe potuta prevedere ... Il revisionismo è qualcosa che non sopporto. La Resistenza è un valore fondante della nostra democrazia. Forse in passato eccedendo nel trionfalismo si sono taciuti episodi da condannare. Ma se oggi dovessero tornare i partigiani, chi sarebbero? Sicuramente gli antifascisti, chi ci crede davvero, e pure chi finirebbe tra gli Ultras dello stadio. E così è andata anche allora".
Sono parole del bravissimo Giorgio Diritti, una delle punte di diamante del nostro Cinema e lo penso da quando ho visto il suo primo lungometraggio, il bellissimo "Il vento fa il suo giro".
Lo dico subito: questo film, fresco vincitore del David, è nel mio Olimpo.
La storia rappresentata, con contesti familiari di fantasia ma con rigore storico degli avvenimenti, è quella della terribile Strage di Marzabotto, perpetrata dai nazisti in rappresaglia alle azioni partigiane nella zona. Inutile ripetere quanto riportato da wiki su una strage molto meno nota delle Fosse Ardeatine, pur avendo avuto un numero di vittime superiore al doppio della rappresaglia per l'attentato di Via Rasella.
Tramite la bambina Martina, che non parla più da quando l'anno prima il fratellino appena nato le morì in braccio, viviamo i giorni prima, durante e immediatamente dopo la strage: 29 settembre - 5 ottobre 1944. Gli attori, molti dei quali non professionisti, recitano in dialetto, ben supportato dai sottotitoli. La grande bravura di Diritti ci fa apprezzare ogni sfaccettatura della dura vita rurale di quei luoghi, resa ancora più difficile dalla situazione di guerra, dal sopportare le angherie fasciste, le prepotenze naziste e persino le difficoltà a supportare la lotta partigiana che pure era apprezzata come sola possibilità.
Quando però arrivano le scene della rappresaglia il corpo viene percorso da brividi insopprimibili. La mostruosa efferatezza è illustrata con grandissima intensità pur mostrando molto poco sangue. Più di 700 persone massacrate, di ogni sesso ed età, molte delle quali le hai ammirate prima, raccontate e descritte, non sono morti anonimi. Terribilmente bella la scena su Monte Sole, dove s'è verificato l'eccidio più numeroso e dove oggi sorge un santuario, un parco memoriale.
Il titolo è una speranza, che l'uomo del futuro disimpari a compiere cose simili, che prenda coscienza, definitivamente, dell'orrore della guerra. Martina col fratellino in braccio è una speranza.
Bellissimo ed imperdibile! Non basta una grande storia per fare un grande film, anzi è anche rischioso perché fare una schifezza su fatti simili sarebbe vergognoso ed irrispettoso. Invece questo film è fantastico, fatto con grande cura anche delle riprese, della fotografia, dei costumi, interpretato con grande naturalezza.
p.s.:
Nel 2006 ho partecipato ad un raduno motociclistico proprio a Marzabotto. Fu più forte di me la domenica mattina, alle 6 mentre tutti dormivano, con una leggera nebbia dopo una notte piovosa, inforcare il mezzo ed andare a visitare Monte Sole, una cosa che desideravo fare da un po'. Lì, da solo, in quel posto estremamente suggestivo, ho provato un'emozione indimenticabile ed oggi rivedere gli stessi luoghi nel film, perché è stato interamente girato proprio lì!, è stato per me struggente. Ho pianto oggi proprio come nel 2006, quando tornai in tempo per dare la sveglia ancora a molti ed avevo gli occhi allampanati ma anche una sensazione di arricchimento personale nitida. I posti conservano la memoria dei fatti che vi sono avvenuti, ne sono convinto.
Grazie di cuore a Diritti per averci dato questo film.
Sono parole del bravissimo Giorgio Diritti, una delle punte di diamante del nostro Cinema e lo penso da quando ho visto il suo primo lungometraggio, il bellissimo "Il vento fa il suo giro".
Lo dico subito: questo film, fresco vincitore del David, è nel mio Olimpo.
La storia rappresentata, con contesti familiari di fantasia ma con rigore storico degli avvenimenti, è quella della terribile Strage di Marzabotto, perpetrata dai nazisti in rappresaglia alle azioni partigiane nella zona. Inutile ripetere quanto riportato da wiki su una strage molto meno nota delle Fosse Ardeatine, pur avendo avuto un numero di vittime superiore al doppio della rappresaglia per l'attentato di Via Rasella.
Tramite la bambina Martina, che non parla più da quando l'anno prima il fratellino appena nato le morì in braccio, viviamo i giorni prima, durante e immediatamente dopo la strage: 29 settembre - 5 ottobre 1944. Gli attori, molti dei quali non professionisti, recitano in dialetto, ben supportato dai sottotitoli. La grande bravura di Diritti ci fa apprezzare ogni sfaccettatura della dura vita rurale di quei luoghi, resa ancora più difficile dalla situazione di guerra, dal sopportare le angherie fasciste, le prepotenze naziste e persino le difficoltà a supportare la lotta partigiana che pure era apprezzata come sola possibilità.
Quando però arrivano le scene della rappresaglia il corpo viene percorso da brividi insopprimibili. La mostruosa efferatezza è illustrata con grandissima intensità pur mostrando molto poco sangue. Più di 700 persone massacrate, di ogni sesso ed età, molte delle quali le hai ammirate prima, raccontate e descritte, non sono morti anonimi. Terribilmente bella la scena su Monte Sole, dove s'è verificato l'eccidio più numeroso e dove oggi sorge un santuario, un parco memoriale.
Il titolo è una speranza, che l'uomo del futuro disimpari a compiere cose simili, che prenda coscienza, definitivamente, dell'orrore della guerra. Martina col fratellino in braccio è una speranza.
Bellissimo ed imperdibile! Non basta una grande storia per fare un grande film, anzi è anche rischioso perché fare una schifezza su fatti simili sarebbe vergognoso ed irrispettoso. Invece questo film è fantastico, fatto con grande cura anche delle riprese, della fotografia, dei costumi, interpretato con grande naturalezza.
p.s.:
Nel 2006 ho partecipato ad un raduno motociclistico proprio a Marzabotto. Fu più forte di me la domenica mattina, alle 6 mentre tutti dormivano, con una leggera nebbia dopo una notte piovosa, inforcare il mezzo ed andare a visitare Monte Sole, una cosa che desideravo fare da un po'. Lì, da solo, in quel posto estremamente suggestivo, ho provato un'emozione indimenticabile ed oggi rivedere gli stessi luoghi nel film, perché è stato interamente girato proprio lì!, è stato per me struggente. Ho pianto oggi proprio come nel 2006, quando tornai in tempo per dare la sveglia ancora a molti ed avevo gli occhi allampanati ma anche una sensazione di arricchimento personale nitida. I posti conservano la memoria dei fatti che vi sono avvenuti, ne sono convinto.
Grazie di cuore a Diritti per averci dato questo film.
sabato 8 maggio 2010
Aleksandr Nevskij
E' il primo film dedicato da Ejzenštejn alla storia medioevale.
Non mi metto certo a riscrivere la storia di Aleksandr Nevskij, si può leggere più che a sufficienza su Wiki. Primo vero eroe russo, portato in gloria da Pietro il Grande, il film racconta la sua seconda impresa, quella nella quale respinse l'invasione dei Teutoni.
Kolossal epico e rigoroso, storicamente la storia è coinvolgente. Come film l'ho trovato più ingessato, meno efficace e spontaneo del capolavoro "La corazzata Potëmkin". Bellissimo per il mio gusto il minimalismo di scenografie e costumi, e le scene di massa della battaglia, con la tragica rottura del ghiaccio del Lago dei Ciudi che ingoia i teutoni come un'idrovora.
Riporto dalla pagina Wiki questo brano, a partire dal quale fare due rapide ponzate: "Verso la fine del XIII secolo venne compilata una cronaca detta La vita di Aleksandr Nevskij, nella quale è rappresentato come l'ideale principe-soldato difensore della Russia. Pietro il Grande fece trasportare i suoi resti a San Pietroburgo e nel 1725 venne introdotto l'Ordine di Aleksandr Nevskij come una delle più alte decorazioni militari, cancellato però, come tutte le altre decorazioni, dalla Rivoluzione d'ottobre. L'Ordine viene ripristinato solo nel 1942."
Facciamo attenzione agli anni 1938 e 1942.
Anche se la grandezza del regista non è in discussione, almeno da parte mia, parliamo pur sempre di un film sottoposto al controllo asfissiante della propaganda sovietica. E' proprio sulla propaganda che per una volta tanto mi voglio soffermare.
Nel 1938 erano tempi in cui stalin era più forte e potente che mai ed aveva già attuato quella che è da considerare le più sanguinaria delle repressioni sovietiche, la collettivizzazione-dekulakizzazione delle proprietà contadine in particolare in Ucraina, nota come "Holodomor" che significa letteralmente "infliggere la morte attraverso la fame". Un numero incalcolabile di morti, forse il più grande genocidio della storia dell'umanità (le stime più pessimiste parlano di oltre 10 milioni).
Il grande condottiero russo Nevskij, per affrontare i Teutoni, comprese che i soli soldati non sarebbero stati sufficienti e chiamò ad intervenire le masse contadine, che furono determinanti, cosa doppiamente significativa se si pensa che l'aristocrazia non era completamente ostile all'invasore. Scene in cui alcuni dicono "... prendete tutto quello che è mio..." non sono casuali. La fallimentare politica che non riuscì a coinvolgere i contadini ne cerca ancora il consenso, e trova occasione di farne apologia, mossa molto astuta.
Sempre nel 1938 si sentiva forte la minaccia nazista arrivare dalla Germania. Il Patto Molotov-Ribbentrop arrivò solo nell'agosto del 1939. Insomma, la mia illazione è semplice, mandare cioé un messaggio chiaro e preciso al reich ed al popolo: i russi avevano già sconfitto i tedeschi e si sarebbero ripetuti.
Questa invece non c'entra direttamente col film, ma... Il 22 giugno 1941 con l'Operazione Barbarossa hitler rompe di fatto il Patto invadendo l'Unione Sovietica che dovrà tenere duro, senza mezzi adeguati a respingere i tedeschi. Solo alla fine del 1941 e inizi del '42 cominceranno le prime controffensive. Guarda il caso, i premi al valore militare, anche se fondati dagli zar, vengono ripristinati, compreso appunto quello intitolato a Nevskij, eroe ormai ufficialmente sdoganato. Un dettaglio.
Tornando al film, è un pezzo di storia del Cinema, obbligatorio per un cinefilo che si rispetti.
Non mi metto certo a riscrivere la storia di Aleksandr Nevskij, si può leggere più che a sufficienza su Wiki. Primo vero eroe russo, portato in gloria da Pietro il Grande, il film racconta la sua seconda impresa, quella nella quale respinse l'invasione dei Teutoni.
Kolossal epico e rigoroso, storicamente la storia è coinvolgente. Come film l'ho trovato più ingessato, meno efficace e spontaneo del capolavoro "La corazzata Potëmkin". Bellissimo per il mio gusto il minimalismo di scenografie e costumi, e le scene di massa della battaglia, con la tragica rottura del ghiaccio del Lago dei Ciudi che ingoia i teutoni come un'idrovora.
Riporto dalla pagina Wiki questo brano, a partire dal quale fare due rapide ponzate: "Verso la fine del XIII secolo venne compilata una cronaca detta La vita di Aleksandr Nevskij, nella quale è rappresentato come l'ideale principe-soldato difensore della Russia. Pietro il Grande fece trasportare i suoi resti a San Pietroburgo e nel 1725 venne introdotto l'Ordine di Aleksandr Nevskij come una delle più alte decorazioni militari, cancellato però, come tutte le altre decorazioni, dalla Rivoluzione d'ottobre. L'Ordine viene ripristinato solo nel 1942."
Facciamo attenzione agli anni 1938 e 1942.
Anche se la grandezza del regista non è in discussione, almeno da parte mia, parliamo pur sempre di un film sottoposto al controllo asfissiante della propaganda sovietica. E' proprio sulla propaganda che per una volta tanto mi voglio soffermare.
Nel 1938 erano tempi in cui stalin era più forte e potente che mai ed aveva già attuato quella che è da considerare le più sanguinaria delle repressioni sovietiche, la collettivizzazione-dekulakizzazione delle proprietà contadine in particolare in Ucraina, nota come "Holodomor" che significa letteralmente "infliggere la morte attraverso la fame". Un numero incalcolabile di morti, forse il più grande genocidio della storia dell'umanità (le stime più pessimiste parlano di oltre 10 milioni).
Il grande condottiero russo Nevskij, per affrontare i Teutoni, comprese che i soli soldati non sarebbero stati sufficienti e chiamò ad intervenire le masse contadine, che furono determinanti, cosa doppiamente significativa se si pensa che l'aristocrazia non era completamente ostile all'invasore. Scene in cui alcuni dicono "... prendete tutto quello che è mio..." non sono casuali. La fallimentare politica che non riuscì a coinvolgere i contadini ne cerca ancora il consenso, e trova occasione di farne apologia, mossa molto astuta.
Sempre nel 1938 si sentiva forte la minaccia nazista arrivare dalla Germania. Il Patto Molotov-Ribbentrop arrivò solo nell'agosto del 1939. Insomma, la mia illazione è semplice, mandare cioé un messaggio chiaro e preciso al reich ed al popolo: i russi avevano già sconfitto i tedeschi e si sarebbero ripetuti.
Questa invece non c'entra direttamente col film, ma... Il 22 giugno 1941 con l'Operazione Barbarossa hitler rompe di fatto il Patto invadendo l'Unione Sovietica che dovrà tenere duro, senza mezzi adeguati a respingere i tedeschi. Solo alla fine del 1941 e inizi del '42 cominceranno le prime controffensive. Guarda il caso, i premi al valore militare, anche se fondati dagli zar, vengono ripristinati, compreso appunto quello intitolato a Nevskij, eroe ormai ufficialmente sdoganato. Un dettaglio.
Tornando al film, è un pezzo di storia del Cinema, obbligatorio per un cinefilo che si rispetti.
venerdì 7 maggio 2010
Revanche
Il titolo italiano "Ti ucciderò" non merita nemmeno menzione nel titolo del post. Il film è austriaco ma il titolo è in francese, significa "Vendetta", che bisogno c'è di cambiarlo? Mha...
Trama semplice, verrebbe da definirla di prussiano rigore. Alex è factotum in un bordello di Vienna ed innamorato di una giovane prostituta ucraina. Amore da tenere segreto, si complica nel momento in cui il "pappa" della ragazza le propone il salto di qualità: appartamento personale, incontri con vip. Lei rifiuta, lui la perseguita e Alex decide di fuggire insieme. Non ci sono soldi. Organizza una rapina in banca nel paese dove può vivere con l'anziano zio, in macchina la ragazza che l'aspetta. Quando esce uno zelante poliziotto spara mentre fugge con la macchina, la ragazza colpita muore.
Nessuno sospetta di lui. Casualmente scopre che il poliziotto che ha sparato, con una difficile situazione personale e familiare, vive vicino la sua fattoria. Iniziano propositi di vendetta...
Un film diviso quasi nettamente in 2 parti. La prima che ritrae il mondo dei bordelli è quasi noir, molto cruda. Alex è un pregiudicato, ma non ama la disumanità dell'ambiente che frequenta che per questo lo riconosce come un perdente. Nella seconda, dopo la tragica rapina, si trasforma in un uomo cupo, introverso.
C'è un ritmo lento quando deciso e preciso, una trama a maglie larghe e dense, che tiene sempre sospesi sugli eventi, con numerosi colpi di scena che arrivano inattesi, con poche e misurate parole. Molta la tensione che viene ricavata da gesti e situazioni, impossibile non pensare ad Haneke anche se Spielmann è meno duro pur mantenendo critica netta all'ipocrisia borghese, fredda ed indifferente ai drammi che accetta e cerca di stigmatizzare, sempre pronta ad autogiustificarsi, che ammanta tutta la storia.
Uno stile originale, bello ed intenso, assolutamente da vedere.
Trama semplice, verrebbe da definirla di prussiano rigore. Alex è factotum in un bordello di Vienna ed innamorato di una giovane prostituta ucraina. Amore da tenere segreto, si complica nel momento in cui il "pappa" della ragazza le propone il salto di qualità: appartamento personale, incontri con vip. Lei rifiuta, lui la perseguita e Alex decide di fuggire insieme. Non ci sono soldi. Organizza una rapina in banca nel paese dove può vivere con l'anziano zio, in macchina la ragazza che l'aspetta. Quando esce uno zelante poliziotto spara mentre fugge con la macchina, la ragazza colpita muore.
Nessuno sospetta di lui. Casualmente scopre che il poliziotto che ha sparato, con una difficile situazione personale e familiare, vive vicino la sua fattoria. Iniziano propositi di vendetta...
Un film diviso quasi nettamente in 2 parti. La prima che ritrae il mondo dei bordelli è quasi noir, molto cruda. Alex è un pregiudicato, ma non ama la disumanità dell'ambiente che frequenta che per questo lo riconosce come un perdente. Nella seconda, dopo la tragica rapina, si trasforma in un uomo cupo, introverso.
C'è un ritmo lento quando deciso e preciso, una trama a maglie larghe e dense, che tiene sempre sospesi sugli eventi, con numerosi colpi di scena che arrivano inattesi, con poche e misurate parole. Molta la tensione che viene ricavata da gesti e situazioni, impossibile non pensare ad Haneke anche se Spielmann è meno duro pur mantenendo critica netta all'ipocrisia borghese, fredda ed indifferente ai drammi che accetta e cerca di stigmatizzare, sempre pronta ad autogiustificarsi, che ammanta tutta la storia.
Uno stile originale, bello ed intenso, assolutamente da vedere.
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