Ai più il nome di Kanadie Jourdin-Bromley non dirà assolutamente nulla, eppure basterebbe una veloce scorsa su internet, sezione immagini, per individuarne una pletora di fotografie e (purtroppo) vaghissimi stralci biografici, utili a sapere che questo “piccolo angelo”, tale l'azzeccato epiteto internazionale, è nato nel 2003 ed è uno dei circa cento casi mondialmente noti di nanismo primordiale.
Waare (Huub Stapel) e Tine (Joke Tjalsma) sono una coppia di ornitologi che vive in una meravigliosa casetta dispersa nella campagna olandese. Una mattina Waare s'apposta col suo binocolo sotto una grande pianta, e quasi per caso, tra paglia, erba e rami spezzati, trova un uovo rotto dal cui guscio fuoriesce, pigolando e gemendo infreddolito, uno stranissimo esemplare di uccello. O forse di umano. Difficile stabilirlo, perché la singolare creatura ha due ali striminzite e appena piumate al posto delle braccia, le fattezze di una neonata ma le dimensioni di un volatile. Il premuroso Waare rende partecipe la moglie della scoperta, e presto i due decidono di allevare la “cosa” come la figlia che non hanno mai avuto, lui ritenendo trattarsi di un uccello (“Gli umani hanno due zampe come gli uccelli, la testa come gli uccelli, ma le braccia al posto delle ali, quindi è un uccello”), lei pensando invece sia una bambina indifesa. Proprio come dei veri genitori, i coniugi le danno un nome impronunciabile, Viegeltje, e se ne prendono amorevolmente cura, ritagliandole e cucendole appositi vestiti, portandola in giro in carrozzina, e stando sempre attenti a nasconderne le ali affinché amici e vicini non possano pensare che la piccola non sia del tutto “normale”. Tutto va a meraviglia, fino a quando la bambina, cresciuta a sufficienza e imparata l'arte del volo, non si lascia irretire dal richiamo autunnale degli uccelli migratori.
Waare e Tine discutono con febbrile pervicacia sul da farsi, e nonostante la natura di Viegeltje sia librarsi nell'aria per seguire i suoi simili in chissà quale esotica località, alla fine decidono di rinchiuderla in casa, assistendo impotenti alle sue mattane. La natura uccellesca della bambina è infatti troppo tenace per piegarsi alla volontà degli umani, e così, squittendo tra mille incomprensibili “iep” (l'unica onomatopea ch'ella è in grado di pronunciare, traducibile con il nostro “cip”), riesce a svicolare dalla morsa materna e spiccare il volo. I genitori partono all'inseguimento, districandosi a stento in un'avventura fiabesca e surreale, che li porterà a viaggiare per l'Olanda, diretti verso sud sulle scie delle migrazioni, e a conoscere una serie strampalata di personaggi in bilico tra la macchietta e la follia. Tra questi un pompiere preda delle vertigini (Diederik Ebbinge), che sentendosi in colpa per non essere riuscito ad afferrare l'indifesa Viegeltje prima che questa si lanciasse da un campanile, s'accoda ai due improvvisati soccorritori; quindi è la volta di Loetje (Madelief Vermeulen), una bambina che, sentendosi trascurata dal padre, lascia la famiglia per unirsi alla ricerca di quella che è ormai diventata una sua cara amica; infine l'altrettanto giovane Bor (Ties Dekker), conosciuto in un alberghetto (l'Horstel, presumibilmente per la faccia da cavalla della receptionist, ma è una mia interpretazione), il quale ritroverà l'oggetto di singolar tenzone proprio quando tutti avranno perso la speranza.
Com'è ovvio supporre, giunti al dunque, nessuno avrà il coraggio di rinchiudere l'irrequieta Viegeltje in una gabbia (di matti, più che di canarini, visto che non c'è verso per tenerla ferma), e pertanto, pur con enorme dispiacere, Waare e Tine dovranno arrendersi all'animo burrascoso degli uccelli. Non rinunciando all'auspicio che, con la primavera, i tanto amati volatili possano ritornare alle loro terre.
Tratto da un romanzo per ragazzi di Joke van Leeuwen, e sceneggiato da Mieke de Jong, il film di Rita Horst è una delicatissima favola per adulti che, pur affrontando temi complessi e dolorosi, come la separazione, la diversità e la natura impalpabilmente legata a tale diversità, è però capace di mantenere toni morbidi e garbati. Merito indiscutibile della sua protagonista, Kanadie Jourdin-Bromley, che con il suo aplomb delicato, entra in scena in punta di piedi e se ne esce con un rapido battito d'ali, seminando nel pubblico molta tenerezza e un pizzico di amarezza, amando i genitori adottivi della stessa innocenza di un bambino “normale”, ma non rinunciando al contempo alla sua congenita propensione per il volo e per l'indipendenza. Iep! non è mai una pellicola per ragazzi, né il tentativo onirico e immaginoso di trasfondere in artificiosi simbolismi la questione della disabilità, ma al contrario una gentilissima, grande metafora sul libero arbitrio e sulla difficoltà delle nostre scelte, sui rimpianti ma anche e soprattutto sulle speranze che da queste scelte possono derivare.
Marco Marchetti
dev'essere veramente bello questo film ma impossibile da trovare, anche nel file-sharing.
RispondiEliminale foto che ho messo sono di Kanadie nella sua vita reale, qualcuna che ho trovato in giro. quelli con lei sono i suoi genitori.
Uno dei tanti film condannati al limbo dei mai distribuiti, costretti a vagabondare in cerca di adozione e visibilità; sembra esisterne una sola copia sottotitolata in italiano, messa a disposizione della Cineteca di Milano a quei cinema d'essai che ne facciano richiesta. Per il resto, è il mistero. Eppure sarebbe un ottimo film da prime-time televisivo. In un mondo diverso, s'intende.
RispondiEliminavoglio segnalarlo per la giornata dell'essai al cinemino dove abito, sono molto disponibili
RispondiEliminaMi piacerebbe tanto vederlo sono incantata dalla bellezza della bambina
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