“A.C.A.B. -All Cops Are Bastards” (2012) di Stefano Sollima, tratto dal libro-”inchiesta” di Carlo Bonini, è un raro film italiano contemporaneo e “realista” sulla polizia, istituzione quanto mai screditata e deprecata, il quale tenta di riuscire a raffigurare e rappresentare il vissuto quotidiano del corpo dei celerini, forse e soprattutto dopo i tragici fatti di Genova e della Diaz, la rappresentazione stessa della servitù belluina del potere, e dell'assoggettamento violento di ogni protesta o ribellione allo stesso potere.
Questo esordio nel lungometraggio per Stefano Sollima, ovviamente figlio del grande Sergio, dopo il buon successo di pubblico e di critica delle da lui dirette, due serie tv di “Romanzo criminale”, è realizzato sicuramente con la sua e propriamente consueta professionalità. La quale è molto al di sopra delle produzioni cinematografiche nazionali quasi nella sua interezza, e anche tentando di intraprendere nuove possibili vie per il nostro non ancora pervenuto “nuovo cinema di genere”, senza quelle solite deviazioni e squilibri, così come i tentativi di “autoriali” di giustificazioni e aggiustamenti. Professionalità, evidente soprattutto nelle sequenze d'azione, ovviamente incentrate su scontri urbani, manifestazioni, ma in particolare incentrate sulle domeniche e le tifoserie degli ultrà negli stadi, che anche se girate con evidente carenza di comparse, sono una spanna sopra a qualsiasi altre sequenze simili realizzate nel cinema e nella TV italiane contemporanee.
Sollima trae spunto e ispirazione dagli eventi avvenuti con al centro il corpo della Celere negli ultimi dieci anni, i quali aleggiano seppur nel film non ricostruiti, su tutti i protagonisti, alcuni dei quali vi hanno preso anche parte direttamente. Sollima, aiutato in questo da alcuni dei più bravi e sottoutilizzati attori italiani (ma soprattutto “romani”) cerca, e in parte riuscendoci, evento più unico che raro nel cinema italiano attuale, cerca dicevo di ricreare l'atmosfera e l'intento duro e spietato di alcuni dei nostri migliori film “sulla” polizia e i poliziotti degli anni '70, come “Io ho paura” ('77) di Damiano Damiani, per fare uno degli esempi migliori possibili. Il film cerca dunque fra molte contraddizioni, ma almeno meritoriamente non destreggiandosi fra i soliti noti e possibili “cerchiobottismi”, di mostrare come si direbbe quarant'anni fa, “L'impossibilità di essere un poliziotto normale”, soprattutto per via di alcune pesanti sovrastrutture ideologiche proto-fasciste le quali sono incoraggiate e coltivate esse stesse dal sistema per meglio controllare e rendere omogenei alle loro triviali incombenze e agli abominevoli compiti, se non apertamente inculcate, i poliziotti odierni. La prospettiva dei personaggi del film rimane soggettivamente tutta all'interno del loro spirito di corpo. Come nei loro aperti contrasti tra la propria visione del mondo e delle cose “ideologica” o “anti-ideologica” che sia, e la stridentissima disgregazione e disperazione affettiva, sociale, economica, di alcuni dei personaggi; neo-post-fascisti, razzisti, esasperati o qualunquisti ma molto più spesso soprattutto disperati -e questa è una forzatura che non mi è piaciuta molto, come fosse un po' un accomunarli a chi di solito sono loro stessi i primi a consegnare definitivamente alla povertà e all'emarginazione, mediante gli sfratti e gli sgomberi, e che in questo film colpiscono poco credibilmente, anche il più giovane e inesperto del gruppo- da qui un certo rafforzamento drammatico del film, che però non ne nasconde le farraginosità e incertezze ideologiche e contenutistiche, ahimè quelle purtroppo oramai sempre presenti, in questo tipo di film italiani contemporanei. Correndo l'ovvio rischio di veicolare alla fine quello che forse si vorrebbe proprio evitare, una certa apologetica esaltazione forse no, ma certamente un' identificazione comunque pericolosa e molto negativa con gli “sbirri”, e un'elegia finale dello “spirito di corpo” e d'appartenenza, quello sì.
I tre poliziotti “nonni” del gruppo (Pier Francesco Favino/Cobra Cobra Filippo Nigro/Negro, Marco Giallini/Mazinga) interpretati da attori bravi qui più che in altri film (Giallini l'ho sempre seguito in quasi ogni suo lavoro, e stimato, Nigro non l'avevo mai visto prima, Favino è qui bravo come in nessuna altra occasione a cui mi era capitato di assistere, forse perchè erano soprattutto i film e i suoi personaggi a non essere veramente granchè), i quali mirano principalmente a sopravvivere alla violenza dalla quale sono pienamente coinvolti nelle strade. Nel frattempo, sono anche come travolti dalla piena del disagio sociale al quale sono la principale barriera arginante preposta, affinchè non travolga con essi anche il potere.
Anche in funzione di questo, il loro “spirito di gruppo” e cameratismo è spesso esagerato ed esasperato, ben reso da Sollima attraverso un utilizzo molto adrenalinico della macchina da presa, che però sa anche cogliere e prendersi le giuste pause e aperture introspettive ai suoi personaggi, facendo propria molta della lezione manniana, un suo evidente ispiratore, tra violenti scontri di strada e pestaggi, vendette e ritorsioni, giustizialismo privato, per un film che vorrebbe anche essere “scioccante”, e dal tono gelido e raggelante, ma che non dice alla fine niente di nuovo sull'istituzione della polizia e della repressione, la quale non fosse stato già detta nei film americani di quarant'anni fa come “I Nuovi Centurioni”(The New Centurions)('73) di Richard Fleischer, o “Fragole e Sangue” (The Strawberry Statement) ('70) di Stuart Hagmann, e che comunque vorrebbe ugualmente offrire un ritratto verista e allarmante delle vite vere dietro le divise dei tutori della reazione, se non altro ben lontana dai ritrattini agiografici, estetizzanti e anestetizzanti, veicolati in continuazione dalle buoniste e consolatorie serie tv e di fiction nostrane. A.C.A.B., acronimo nato nella Gran Bretagna dei movimenti e delle gang giovanili degli anni '80, in un decennio britannico di grandi tensioni, sommosse e scontri sociali, sta appunto come sigla di “Tutti i Poliziotti Sono Bastardi”, adesso utilizzata soprattutto dagli Ultrà e quindi nelle curve degli stadi, e in una singolare “concertazione” da tutte le frange della cosìdetta “area antagonista” come anche dai gruppi estremisti di destra quali Casa Pound.
Il film di Sollima è molto “urlato” ma non appare mai sopra le righe o eccessivo, come nemmeno i suoi personaggi, ritratti tutti e senza quasi distinzioni, anche e soprattutto nei loro connotati fortemente negativi. L'Italia è restituita come un paese da un contesto sociale ed economico estremamente degradato e deteriorato, da una convivenza civile inferocita, dove si respira nell'aria che stavolta, dopo oltre quarant'anni vissuti per molti troppi, allegramente e bellamente, ma comunque sull'orlo del baratro, qualsiasi evento sociale possibile, possa adesso accadere davvero. D'altronde come suggerito nell'allucinatorio e bel finale, ambientato a Roma la notte dell'11/11/2007, durante la violentissima rivolta contro la polizia e i carabinieri, da parte soprattutto degli ultrà laziali e romanisti per una volta addirittura unitisi, dopo l'assassinio da parte di un poliziotto del tifoso laziale Gabriele Sandri. Intanto, tra chi come Il Negro, con i suoi gravi problemi personali con l'ex-moglie cubana per la custodia della figlia piccola, c'è chi come Mazinga ha i suoi problemi con il figlio adolescente dalla testa rasata, che unitosi ad un gruppo di frequentatori di Casa Pound, se ne va in giro a massacrare col passamontagna romeni e albanesi, che chiedono insistentemente spiccioli nei parcheggi di un supermercato, come ad accoltellare nelle gambe lo stesso padre, durante uno scontro con i poliziotti in prossimità dello stadio Flaminio. Soltanto che poi il film non riesce -ma era almeno parzialmente, ampiamente prevedibile- a prendere una posizione di giudizio chiara e univoca, a mio parere anche per l'assenza nel film di un vero contraltare e di un giudizio da sinistra: i poliziotti sono anche loro stessi “vittime” del sistema (bella la sequenza -che trae spunto da un fatto realmente accaduto- del Negro che va di matto per la questione dell'affidamento negatogli della figlia, inveendo in divisa ed urlando per i suoi diritti calpestati, -durante un servizio davanti a Montecitorio-, all'indirizzo dei soliti “parlamentari ladri che sono protetti solamente da loro poliziotti, contro la gente che li vorrebbe aggredire per quanto stanno rubando”), e bella anche la parte con Adriano/Domenico Diele, la matricola, il più giovane e idealista del gruppo, sfrattato con la madre e senza assegnazione di una casa popolare, perché già occupata abusivamente da una famiglia tunisina. Il quale cerca aiuto da un suo ex-amico il quale è adesso diventato un giovin e viscido politicante, aspirante consigliere comunale per la circoscrizione di periferia dalla quale entrambi provengono, impegnato in campagna elettorale per il PDL e per Alemanno, come si evince da alcuni manifesti appesi dietro di lui per le infauste elezioni comunali del 2008. Naturalmente non l'aiuterà mai, e dopo tante false promesse si prenderà anzi un cazzotto in faccia e in mezzo alla strada, sceso dall'auto blu, da Domenico, dopo una arrogante battuta :-”Solo uno stupido può mettersi a fare il celerino”- mentre Domenico, dopo che l'ha atterrato ed è con la bocca sanguinante :- “Tieni, e mò chiama pure le guardie”.
O sono appunto, i poliziotti, loro stessi i volenterosi e compiaciuti responsabili in prima persona, attuatori ed esecutori di un sempre più imponente apparato di repressione, anche preventiva, in un'Italia ancora troppo addormentata e rassegnata? Difficile per Sollima come per chiunque, date anche le stantie esigenze di visibilità distributiva e di finanziabilità di un tale progetto, fornire quelle risposte chiare e nette come quei giudizi lucidi ed intransigenti, (la mancanza più evidente, come molti altri hanno giustamente ravvisato, è il liquidare con pochi insignificanti e reticenti aggettivi, ciò che è successo al G8 di Genova, laddove i protagonisti del film furono quasi tutti di servizio in prima persona) dei quali ci sarebbe per altro un gran bisogno, in questi tempi per molti -ma certo non per tutti, né troppi- così duri, cupi, e spietati, nei quali, per parafrasare e adattare una famosa battuta fatta pronunciare da Gian Maria Volontè, in uno dei migliori western “politici” del cotanto padre di Stefano, Sergio Sollima: “Al massimo si viene solamente uccisi, oggi non con un revolver ma soprattutto economicamente e civilmente, consegnati quindi all'emarginazione e alla miseria probabibilmente perenne, ma cercando almeno di farlo senza scatenare rancori sociali e di classe, e SEMPRE con la massima CIVILTA'”.
I tre poliziotti “nonni” del gruppo (Pier Francesco Favino/Cobra Cobra Filippo Nigro/Negro, Marco Giallini/Mazinga) interpretati da attori bravi qui più che in altri film (Giallini l'ho sempre seguito in quasi ogni suo lavoro, e stimato, Nigro non l'avevo mai visto prima, Favino è qui bravo come in nessuna altra occasione a cui mi era capitato di assistere, forse perchè erano soprattutto i film e i suoi personaggi a non essere veramente granchè), i quali mirano principalmente a sopravvivere alla violenza dalla quale sono pienamente coinvolti nelle strade. Nel frattempo, sono anche come travolti dalla piena del disagio sociale al quale sono la principale barriera arginante preposta, affinchè non travolga con essi anche il potere.
Anche in funzione di questo, il loro “spirito di gruppo” e cameratismo è spesso esagerato ed esasperato, ben reso da Sollima attraverso un utilizzo molto adrenalinico della macchina da presa, che però sa anche cogliere e prendersi le giuste pause e aperture introspettive ai suoi personaggi, facendo propria molta della lezione manniana, un suo evidente ispiratore, tra violenti scontri di strada e pestaggi, vendette e ritorsioni, giustizialismo privato, per un film che vorrebbe anche essere “scioccante”, e dal tono gelido e raggelante, ma che non dice alla fine niente di nuovo sull'istituzione della polizia e della repressione, la quale non fosse stato già detta nei film americani di quarant'anni fa come “I Nuovi Centurioni”(The New Centurions)('73) di Richard Fleischer, o “Fragole e Sangue” (The Strawberry Statement) ('70) di Stuart Hagmann, e che comunque vorrebbe ugualmente offrire un ritratto verista e allarmante delle vite vere dietro le divise dei tutori della reazione, se non altro ben lontana dai ritrattini agiografici, estetizzanti e anestetizzanti, veicolati in continuazione dalle buoniste e consolatorie serie tv e di fiction nostrane. A.C.A.B., acronimo nato nella Gran Bretagna dei movimenti e delle gang giovanili degli anni '80, in un decennio britannico di grandi tensioni, sommosse e scontri sociali, sta appunto come sigla di “Tutti i Poliziotti Sono Bastardi”, adesso utilizzata soprattutto dagli Ultrà e quindi nelle curve degli stadi, e in una singolare “concertazione” da tutte le frange della cosìdetta “area antagonista” come anche dai gruppi estremisti di destra quali Casa Pound.
Il film di Sollima è molto “urlato” ma non appare mai sopra le righe o eccessivo, come nemmeno i suoi personaggi, ritratti tutti e senza quasi distinzioni, anche e soprattutto nei loro connotati fortemente negativi. L'Italia è restituita come un paese da un contesto sociale ed economico estremamente degradato e deteriorato, da una convivenza civile inferocita, dove si respira nell'aria che stavolta, dopo oltre quarant'anni vissuti per molti troppi, allegramente e bellamente, ma comunque sull'orlo del baratro, qualsiasi evento sociale possibile, possa adesso accadere davvero. D'altronde come suggerito nell'allucinatorio e bel finale, ambientato a Roma la notte dell'11/11/2007, durante la violentissima rivolta contro la polizia e i carabinieri, da parte soprattutto degli ultrà laziali e romanisti per una volta addirittura unitisi, dopo l'assassinio da parte di un poliziotto del tifoso laziale Gabriele Sandri. Intanto, tra chi come Il Negro, con i suoi gravi problemi personali con l'ex-moglie cubana per la custodia della figlia piccola, c'è chi come Mazinga ha i suoi problemi con il figlio adolescente dalla testa rasata, che unitosi ad un gruppo di frequentatori di Casa Pound, se ne va in giro a massacrare col passamontagna romeni e albanesi, che chiedono insistentemente spiccioli nei parcheggi di un supermercato, come ad accoltellare nelle gambe lo stesso padre, durante uno scontro con i poliziotti in prossimità dello stadio Flaminio. Soltanto che poi il film non riesce -ma era almeno parzialmente, ampiamente prevedibile- a prendere una posizione di giudizio chiara e univoca, a mio parere anche per l'assenza nel film di un vero contraltare e di un giudizio da sinistra: i poliziotti sono anche loro stessi “vittime” del sistema (bella la sequenza -che trae spunto da un fatto realmente accaduto- del Negro che va di matto per la questione dell'affidamento negatogli della figlia, inveendo in divisa ed urlando per i suoi diritti calpestati, -durante un servizio davanti a Montecitorio-, all'indirizzo dei soliti “parlamentari ladri che sono protetti solamente da loro poliziotti, contro la gente che li vorrebbe aggredire per quanto stanno rubando”), e bella anche la parte con Adriano/Domenico Diele, la matricola, il più giovane e idealista del gruppo, sfrattato con la madre e senza assegnazione di una casa popolare, perché già occupata abusivamente da una famiglia tunisina. Il quale cerca aiuto da un suo ex-amico il quale è adesso diventato un giovin e viscido politicante, aspirante consigliere comunale per la circoscrizione di periferia dalla quale entrambi provengono, impegnato in campagna elettorale per il PDL e per Alemanno, come si evince da alcuni manifesti appesi dietro di lui per le infauste elezioni comunali del 2008. Naturalmente non l'aiuterà mai, e dopo tante false promesse si prenderà anzi un cazzotto in faccia e in mezzo alla strada, sceso dall'auto blu, da Domenico, dopo una arrogante battuta :-”Solo uno stupido può mettersi a fare il celerino”- mentre Domenico, dopo che l'ha atterrato ed è con la bocca sanguinante :- “Tieni, e mò chiama pure le guardie”.
O sono appunto, i poliziotti, loro stessi i volenterosi e compiaciuti responsabili in prima persona, attuatori ed esecutori di un sempre più imponente apparato di repressione, anche preventiva, in un'Italia ancora troppo addormentata e rassegnata? Difficile per Sollima come per chiunque, date anche le stantie esigenze di visibilità distributiva e di finanziabilità di un tale progetto, fornire quelle risposte chiare e nette come quei giudizi lucidi ed intransigenti, (la mancanza più evidente, come molti altri hanno giustamente ravvisato, è il liquidare con pochi insignificanti e reticenti aggettivi, ciò che è successo al G8 di Genova, laddove i protagonisti del film furono quasi tutti di servizio in prima persona) dei quali ci sarebbe per altro un gran bisogno, in questi tempi per molti -ma certo non per tutti, né troppi- così duri, cupi, e spietati, nei quali, per parafrasare e adattare una famosa battuta fatta pronunciare da Gian Maria Volontè, in uno dei migliori western “politici” del cotanto padre di Stefano, Sergio Sollima: “Al massimo si viene solamente uccisi, oggi non con un revolver ma soprattutto economicamente e civilmente, consegnati quindi all'emarginazione e alla miseria probabibilmente perenne, ma cercando almeno di farlo senza scatenare rancori sociali e di classe, e SEMPRE con la massima CIVILTA'”.
Napoleone Wilson
certo, portarsi cotanto cognome apre le porte, istruisce, ma può essere pure un confronto impietoso. devo superare il mio pregiudizio, ma la rece, peraltro scritta con evidente passione ed entusiasmo senza per questo risparmiare critiche, è molto molto incoraggiante.
RispondiEliminaè uscito oggi ma è stato realizzato ancora in pieno berlusconismo. chissà se fatto oggi... magari si sarebbe sbilanciato un po' di più sulla presa di posizione.
No, "A.C.A.B." e' uscito già una settimana fa, e comunque Roby non capisco per cosa devi essere "prevenuto", in questo caso, non c'è da esserlo, davvero... E se te lo dice qualcuno come me, che le ha date ma il più delle volte le ha anche prese, dai carabinieri e dagli sbirri, e t'assicuro che il sapore dolciastro del sangue da sentirsi a fiotti in bocca, mentre ti manganellano come un'animale da finire, tutti assorti e come eccitati dal loro compito, non e' proprio un'esperienza di quelle che raccomanderei a chiunque. C'e anche chi al G8 del 2001 c'era. Per lui personalmente, per fortuna almeno non alla Diaz.
EliminaIl berlusconismo in decomposizione di quando e' stato realizzato il film non c'entra niente, la polizia e' quasi sempre uguale a se' stessa, com'e entità-istituzione, qualunque sia il sistema di potere che si avvicenda, e che serva.
sono d'accordo con te. il mio essere "prevenuto" è sbagliato... ecco, mi piace che dici Quasi sempre. ma non era riferito a loro il berlusconismo che citavo ma alla pellicola, alla possibilità di esprimersi liberamente senza temere interventi censori che si fanno sentire anche a livello distributivo e d'immagine
EliminaMolto bella la colonna sonora dei Mokadelic, e l'inserimento della splendida "Where is My Mind?" dei Pixies, celeberrima per i titoli di coda di "Fight Club", guarda caso stasera, di David Fincher, ('99)...Inserita molto bene tra l'altro, in un adrenalinico momento di pestaggio.
RispondiEliminaBravo anche Andrea Sartoretti/Carletto, il quinto del gruppo e un pò "defilato", cacciato dai suoi superiori e adesso a lavorare come portinaio- custode in una scuola della " Roma bene", con i "signori " in SUV a sfilare davanti alla sua gabbiola, a riprendere i "pargoli".
RispondiEliminaottima recensione, il film lo vedrò a breve, mi interessa...
RispondiEliminaBella la recensione e bello anche il film. Secondo me il fatto che 'non prenda posizione' è voluto, e giustamente direi: la politica qui non c'entra niente, i celerini votano a destra esclusivamente per ideologia, ma è chiaro che sono i primi ad esserne disorientati. Ne è la prova il comportamento di Mazinga, che tiene in camera il ritratto del Duce ma non vuole che il figlio frequenti gli ambienti di estrema destra...
RispondiEliminaAd ogni modo, il film è notevole perchè riesce perfettamente ad esprimere la condizione sociale dei poliziotti: sono, allo stesso tempo, vittime E carnefici, buoni E cattivi, in ogni caso tutti ostaggi di quella macchina impazzita che è il sistema.
Grandiosa la colonna sonora (di un gruppo che non conosco...) e, indubbiamente, regia una spanna superiore alla media della produzione italiana.
Un saluto a tutti.
Grazie del contributo e dell'apprezzamento, Kelvin. Volevo solo aggiungere anche una meritoria citazione ai bei manifesti del film (anche questo discostandosi dalla media solitamente orrenda, dei manifesti di film italiani contemporanei, fatti col Photoshop) realizzati con latecnica del dripping, sulla sagoma di un celerino. Come quello che vediamo in testa alla rece.Piccole vere opere d'arte. Molto bella anche la grafica "alla Clash", che difatti sono presenti nel film, dei titoli di coda.
RispondiEliminaVerissimo! Molto bella anche la locandina, a ulteriore conferma di una cura dei dettagli insolita per un film italiano.
RispondiEliminabello bello bello!!! molto in ritardo, ma l'ho visto e m'è piaciuto un sacco: attori, scene d'azione, riprese, musica. tutto.
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