sabato 13 agosto 2011

Le Cinque Giornate

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Adriano Celentano/Cainazzo :- [da un palchetto alla fine del film, rivolto ai milanesi e indicando i guerrafondai capi della rivoluzione] ”Mi sa che ci hanno fregato, loro.”

Lo sguardo alla rivoluzione milanese del marzo 1848 durante la quale le truppe austriache dovettero temporaneamente ritirarsi, è apparentemente comico ma invece solamente amaro e realmente sanguinoso,alla maniera di Argento,(parecchie scene violente, teste che esplodono, spari, pugnalate, e crudelmente realistiche, stupri, fucilazioni, impiccagioni) anche se al di fuori del suo canonico e più apparentemente appropriato genere giallo-thriller. Il ladro milanese Adriano Celentano /Cainazzo vaga per la Milano di quelle cinque caotiche e convulse giornate in compagnia di un goffo fornaio romano (Enzo Cerusico/Romolo Marcelli) i quali vivranno su tutti i fronti una selvaggia e grottesca avventura che quasi gli può costare molto più della vita, ad entrambi e ben testimonia la crescente corruzione e l'orrore che trasforma una giusta causa nella violenza insensata, nello stupro e nel caos. Dario Argento aveva registrato tre successi commerciali nel genere thriller, voleva anche trovare un altro sbocco narrativo, cercando di non trovarsi ingabbiato in un solo genere. Con “Le Cinque giornate” provò anche l'ardito tentativo di collegare l'umorismo nero dello spaghetti western con alcune scene e situazioni della commedia erotica all'italiana, distillata insieme a diverse scene d'azione e di sangue. Alcune delle sequenze dei massacri sono scene violente orientate sullo stile effettato ed estetizzante “a là” Peckinpah, e anche all'anarchismo ideale di alcuni eccellenti spaghetti western “politici” che lo avevano preceduto come “Tepepa”['68] di Giulio Petroni, “Vamos a matar companeros”['71] di Sergio Corbucci, “Il Mercenario”['68] sempre di Corbucci e anche altri, ma pure del cinema di Leone, Monicelli de “La Grande guerra” e Luigi Magni, che Argento conosceva bene (anche per aver contribuito con Bertolucci alla sceneggiatura e ad alcuni dialoghi e battute di “C'era una volta il West”, ma soprattutto per il discorso sulle rivoluzioni, a “Giù la testa”) mutando ambientazione e periodo storico, ma sempre senza perdere la sostanza e quello che è il suo stile personale, anche in alcune sequenze incentrate sul caos degli avvenimenti, e senza perdere mai di vista il programmatico alternarsi tra commedia e tragedia, o situazioni create per alcune scappatelle sessuali, così come le teatrali scene di violenza, di solito mixate sempre con almeno un elemento satirico o comunque comico. Lo script, scritto anche da Luigi Cozzi, comporta parti divertenti tipo un topo schiacciato nella bocca di un ragazzo in una cella comune con il pagliericcio in terra di San Vittore-dimostrando che anche la commedia poteva eccome essere il suo forte- e “Le Cinque giornate” fu l'occasione dell'incontro tra Argento e il compositore Giorgio Gaslini che aveva sostituito l'inizialmente ingaggiato Ennio Morricone.
Molto bella la fotografia di Luigi Kuveiller, sempre di ottimo livello e qualità in ogni sequenza.
Celentano ottimo e convincente come poche altre volte sullo schermo in ruolo riuscito e per lui più profondo dei precedenti, seppur Cerusico lo superi in diverse sequenze. Certo, per come svilisce ogni possibilità di ribellione se non come nient'altro che un avvicendamento di poteri uguali in tutto per tutto in chi le comanda per esercitare poi l'arbitrio e la violenza sull'individuo, sfruttando nient'altro che la forza bruta dei popoli insorti e gli eccessi, financo inevitabili, che ogni moto rivoluzionario e/o di ribellione si porta appresso, e stigmatizzando il fattore che i proletari saranno alla fine scippati sempre dalle loro giuste rivoluzioni , non poteva che essere completamente travisato soprattutto dalla critica più militante a sinistra, dell'epoca in cui uscì. Ma invece, data anche la sincera inclinazione politica dell'epoca, invece “molto a sinistra”, di Argento e di Nanni Balestrini sceneggiatore del film, “Le Cinque giornate” è schietto finanche all'ingenuità e all'acutezza insieme, e sempre supportato da una bella ironia. Bella anche la rappresentazione dei violenti scontri che misero a ferro e fuoco Milano in quelle tragiche giornate, raffigurandole quasi come nei fumetti di “Alan Ford” di Max Bunker. Anche se il film non è proprio fumettistico, e nemmeno apertamente farsesco, ma anzi non lesina parecchie parti più seriose se non anzi molto tristi e malinconiche. Bella e riutilizzata da Verdone in “Bianco, rosso e verdone”['80], la scena del patriota che al momento di spirare per le ferite riportate sussurra alle orecchie dei presenti due sole parole quasi impercettibili, e che ogni presente interpreterà a modo suo o che gli è più congeniale e “utile” per la causa e la rivoluzione. Quando invece, saranno state solo qualcosa di simile a :-”Ah stronzi, ma andate affanculo.” Come dirà con il suo solito fulminante e inconsapevole spirito romanesco, l'unico che l'ha sentite davvero, un grande Cerusico.
Molto riuscita e significativa la scena dello stupro (anche per ciò che riesce implicitamente a racchiudere e trasmettere come messaggio).

“Film molto atipico e l'unico fuori tema nella filmografia di Argento” come riporta la pagina dedicatagli da Wiki, sarà anche per questo da amare come e più degli altri per ogni appassionato cultore del suo cinema, anche perché se “imperfetto”, alla fine ugualmente molto riuscito, e in definitiva gustosissimo. Ma anche curatissimo e dal notevole impegno di messa in scena.
Basti dire la qualità bizzarra e imprevedibile delle inquadrature e delle riprese come quella tipicamente argentiana in cui riprende da sotto il tavolo di un banchetto in un palazzo nobiliare in primissimo piano solo i piedi dei nobili e le esplicative movenze degli stessi.
Veramente notevole e commovente tutto il finale.

Nel film è presente un insolito Salavatore Baccaro milanese in un ruolo più importante del suo solito, quello di Garafino.

Uscito nei cinema italiani il 20 dicembre 1973, incassò 1 miliardo e 280 milioni di lire. Eccellente incasso per un film con Celentano, non abbastanza se rapportato ai precedenti incassi della “Trilogia zoologica” argentiana, il che determinò un parziale riscontro da relativo “insuccesso”, determinante per la scelta di Argento di rientrare nei sentieri del genere thriller-giallo da lui fin lì praticato con tale enorme successo, con il successivo “Profondo rosso”. E il resto, come si dice, divenne “storia”.

“L’aver diretto questo film così anomalo e puramente incidentale, in quanto avrei dovuto soltanto produrlo in collaborazione con mio padre. E’ stato dapprima Ugo Tognazzi a volermi a tutti i costi come regista. Poi ha dovuto rinunciare. Successivamente è stato Adriano Celentano a convincermi ad accettare la regia del film. Minacciandomi addirittura di abbandonare il film se avessi rifiutato. Il soggetto del film non era pensato per me e non lo sentivo assolutamente mio. Era pronta una rosa di due o tre registi tra cui Nanni Loy. Invece mi sono lasciato travolgere dalle invocazioni degli attori. A rendermi così incerto era il fatto che pensavo già a un altro progetto…Ma ormai il film era giunto in fase avanzata di produzione e ho dovuto dirigerlo personalmente. Dopo tre film duri e agghiaccianti ho fatto una specie di vacanza dove protagonista era la battuta, lo scherzo, l’ironia…[…] “Le Cinque giornate” non era un tipico film storico […] era molto surreale, ironico, sarcastico. Sicuramente anomalo rispetto ai soliti film in costume e realizzato diversamente da come avrebbe fatto un altro regista italiano. C’erano dei riferimenti storici molto forti, ma il racconto era presentato in forma di farsa. Quasi come una commedia musicale.”
Dario Argento, in Fabio Maiello, “Dario Argento. Confessioni di un maestro dell’horror”, Alacràn, Milano, 2007, pp.78-79.

“Le Cinque giornate” è un film crudele, assai poco allineato con i tempi: alla decostruzione della favolistica rivoluzionaria Argento non contribuisce con procedimenti contro storici alla Vancini o atteggiamenti stoici alla Leone ma, ancora una volta, indugiando nel massacro, nella carneficina, nella spendibilità dei corpi umani. Le numerose truculente allineate nel film giocano così una funzione per la prima volta quasi romeriana: la morte non è più tassello di un edificio estetico coerente, di un progetto logico-matematico (sia pur svolto nel cono d’ombra della follia individuale), ma gratuito, empio smembramento di carni, ammassamento di atrocità quasi risibili, sguardo osceno sul nulla e sull’idiozia. La scompostezza delle reazioni, soprattutto (e comprensibilmente) da sinistra, non si spiega se non nel quadro di una prassi critica che, mentre rimproverava ad Argento di svolgere le sue ricerche sul linguaggio cinematografico esclusivamente all’interno di un genere ritenuto “basso”, ora non gli perdona di aver compiuto l’operazione simmetricamente opposta: aver trasportato le pratiche “basse” di quel cinema in un genere e in un argomento “alti”: La trasgressione antidealistica di Argento non è compresa, prima ancora che tollerata. In un’annata che vede uscire “Anche gli angeli mangiano fagioli” di Barboni, “Giovannona coscialunga” di Martino, “La Polizia sta a guardare” di Infascelli e “Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia” di Davan, “Le Cinque giornate” è rapidamente e comodamente catalogato (e punito) come un qualunque sottoprodotto “di destra”, mentre puntuale si alza il coro di improvvisi sostenitori dell’ultim’ora del thriller, i quali invitano Argento a tornare ad occuparsi degli affari suoi.” Roberto Pugliese,Dario Argento, Il Castoro, Milano, 1996, pp. 43-44.

Napoleone Wilson

Robydick:
Oggi il frameshow è anche un omaggio alla musica in dialetto milanese, l'occasione per farlo era troppo ghiotta. 2 brani. Uno è la famosa "Ma Mi", parole di Giorgio Strehler e musica di Fiorenzo Carpi, interpretata da Ornella Vanoni che solo chi ha visto cantare dal vivo sa quant'era, ed è, brava. Il secondo pezzo è una breve ballata del compianto Nanni Svampa, "El sindic de precott".



3 commenti:

  1. napoleone, t'è piaciuto l'accompagnamento musicale del frameshow?

    a me questo film, che non avevo mai visto se non qualche immagine, m'ha veramente stupito, in senso buono. fare una commedia satirica su tanto argomento è strano, e stranito ero all'inizio della visione. poi ho visto che non s'è fatto mancare nulla degli avvenimenti importanti della rivoluzione, almeno quelli che hanno riguardato il popolo, e allora... grande cosa.
    e oggi poi, quanto senso ha vederlo? se pensiamo che quelle giornate sono un orgoglio dei milanesi ma anche, per alcuni, motivo di pentimento, ne ha tanto. molte le volte che sento dire "era meglio restare con gli austriaci!". una battuta, ma nemmeno tanto se pensiamo a come vota il nord, compreso persino il piemonte.

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  2. Bello, tra i miei preferiti del primo Argento. Sinceramente pensavo avesse incassato molto di meno, sotto il miliardo.

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  3. Anch'io sinceramente pensavo avesse incassato non più di 400 milioni di £ dell'epoca, ma tant'è Wiki nella pagina dedicatagli riporta così...Non si capisce allora perchè continui ad essere percepito così come l'unico eclatante flop al botteghino del primo Argento.
    Molto bello ed appropriato, il frameshow, Roby.

    [...] "Ungari[Enzo] ha scritto il soggetto di "le cinque giornate di Milano". Lo reputava il tuo miglior film, fra quelli diretti fino a quel momento. Come mai hai diretto questo film che esce dai tuoi schemi abituali?" -"Non dovevo farlo io come regista. Quando andai dagli attori insieme a mio padre, che era il produttore del film, tutti quanti, da Tognazzi,che poi non l'ha fatto,a Celentano, dicevano: «Ma perchè non lo dirigi tu?>>. E io rispondevo:<>. Alla fine lo feci.E ne sono orgoglioso. C'è una musica bellissima, eseguita dall'orchestra della Scala di Milano. E'stata una bellissima esperienza. Chiamai a collaborare alla sceneggiatura il mio amico Nanni Balestrini, con il quale abbiamo fatto in varie biblioteche di Milano ricerche molto dettagliate sui fatti del 1848. Trovammo molti documenti originali e diari dell'epoca."
    Il cinema nel sangue. Conversazione con Dario argento.
    Roma, 6 marzo 2008, dal libro "Tagli. Il cinema di Dario Argento" a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanch. Quaderni del CSC Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia -Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus

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