Robydick:
Oggi saluto l'avvento tra i nostri collaboratori dell'amico Marco Marchetti. Un grande acquisto, conosciuto già di persona. Ne sono molto contento. Scrive già su altri giornali/siti però di genere. Qua da noi "generalisti" avrà invece la massima libertà possibile. Gli lascio la parola.
Marco:
Una separazione, di Ashgar Farhadi, è una di quelle pellicole che, nonostante l'Orso d'oro berlinese, ti procurano parecchi grattacapi, e che quindi, da un punto di vista prettamente utilitaristico, sarebbe meglio non vedere o vedere di nascosto. Ti infili al cinema tutto intabarrato, occhiali da sole calati sul naso a dispetto del cattivo tempo, il giornale spalancato davanti alla faccia, e te ne stai lì impagliato come un fagiano fino a quando non si spengono le luci. Allora tiri un sospiro di sollievo, perché se nessuno ha fatto il tuo nome vuol dire che nessuno ti ha riconosciuto, e se anche qualcuno l'avesse fatto, poco importa: ciò significherebbe che c'è almeno un'altra persona vittima delle tue stesse inconfessabili pulsioni.
Una separazione è un film segreto, anzi, segretissimo, quasi di cui vergognarsi. Una pellicola clandestina, uscita in sordina a ottobre nei cinema più periferici, quelli d'essai (scusate il francesismo, è che gli insulti in francese paiono sempre più delicati), insomma in quei buchi dove si rifugiano soltanto i nerd e i misantropi con grossi problemi relazionali. Come il sottoscritto. Ma ti immagini uscire con una ragazza e confessarle che la stai portando a vedere un film iraniano? O peggio ancora, non dirle niente e fare come Travis Bickle (per me maestro di vita come Sai Baba per gli indù): scarrozzarla direttamente in sala assicurandole che quello è un film per famiglie come ce ne sono tanti?
Eppure Una separazione parla di famiglia, anzi di due famiglie, e pur non essendo un film per tutti tratta di situazioni quotidiane in cui tutti si possono trovare. C'è la famiglia di Nader e Simin, due coniugi della media borghesia che si stanno per separare, e che oltre ad accudire la figlia undicenne devono pensare al padre di lui, profondamente malato di Alzheimer. Poi c'è la famiglia di Razieh e Houjat, pure loro con una figlia, però molto più piccola, e anche per loro le cose non vanno bene: il marito beve, è irascibile, ha perso il lavoro ed è disoccupato da mesi. In più Razieh è incinta, e dal momento che le servono soldi va a fare la badante per il padre di Nader. Sì, perché da quando Simin se n'è andata di casa, Nader è fuori tutto il giorno e non c'è nessuno che si occupi dell'anziano. Il problema è che la donna è totalmente impreparata a svolgere quel tipo di attività, così abbandona il posto di lavoro per un impegno e lascia il vecchio legato al letto. Il quale, come da copione, casca a terra e, cadendogli la maschera d'ossigeno che gli impedisce di soffocare nel sonno, rischia di morire per asfissia. Nader interviene per tempo e, rendendosi conto dell'accaduto, attende che Razieh torni a casa. Tra i due scoppia un litigio furibondo, lui l'accusa di aver rubato del denaro e di aver attentato alla vita del padre, lei non vuole uscire di casa, si oppone alle accuse, la rabbia diventa incazzatura e alla fine lui la spinge fuori dall'abitazione fino a quando la donna non scivola per le scale e perde il bambino. Morale della storia, Nader è accusato di omicidio e rischia da uno a tre anni di carcere (il feto era al quarto mese e al quarto mese, per le leggi iraniane, procurare un aborto, anche colposo, è comunque considerato omicidio). Le due famiglie finiscono in tribunale, una accusata di violenza personale e omicidio, l'altra di furto, abbandono del posto di lavoro e maltrattamento di anziani. Entrambe rischiano grosso, entrambe hanno paura di perdere tutto. Entrambe sono disposte a lottare con unghie e denti pur di uscirne incolumi.
Il film di Asghar Farhadi, regista e sceneggiatore, è innanzitutto una riflessione sulla parola, sul Logos, per dirla coi greci, sul modo in cui ogni singola affermazione, se (de)contestualizzata, levigata o finanche leggermente (o involontariamente) alterata può provocare un imprevedibile effetto domino, in cui il primo tassello, sbattendo sul secondo e colpendo il terzo, finisce per rendere dubbia anche l'accusa più solida. Già, perché Una separazione non è soltanto un capolavoro di scrittura, che nelle sue due ore racchiude, sintetizza e per certi versi, seppure in modo dissimile, assorbe e annienta il soggetto polanskiano (quello del coevo Carnage, s'intende) ad opera di Yasmine Reza, francese ma, ironia della sorte, di padre iraniano; è piuttosto una sinfonia registica, che partendo da uno spaccato sociale di vita quotidiana dimentica presto qualsiasi pretesa di denuncia terzomondista per esplodere in uno psicodramma a tinte fosche. Sembra quasi di assistere a un grande noir, costruito attorno a un fatto di violenza domestica più che di cronaca nera, e dove ogni indizio, proprio come nella più raffinata tradizione di genere, racchiude in sé interpretazioni contrastanti e contraddittorie. Con l'unica e non trascurabile differenza che se nella struttura classica del giallo l'indagine giudiziaria tenta di appurare una verità in qualche modo apodittica, ove i colpevoli siano distinti con la maggior chiarezza possibile dagli innocenti, qui invece essa non sembra esistere, in quanto frutto di chi quella stessa verità la vede e la pondera, pirandellianamente, in modi diversi. Nader non sa (o dice di non sapere) che Razieh fosse incinta. Se l'avesse saputo non avrebbe alzato le mani, d'altronde, ma la figlia comincia a sospettare delle esitazioni del genitore, delle sue reticenze, mentre i testimoni, ritrattando e fornendo versioni discordi a seconda della situazione, vuoi per ragioni di amicizia o di buon vicinato, complicano il puzzle anziché semplificarne le circostanze. Le prospettive si fanno sempre più ambigue, le certezze si tingono di una sfumatura equivoca, tanto per i personaggi, che a dispetto della rispettiva convenienza e connivenza, non sono più sicuri di quanto accaduto, sia per lo spettatore, che se in principio parteggia per il ragionevole borghese Nader, in un secondo momento intuisce che forse l'arrogante Houjat, a dispetto dei modi irascibili e violenti, tutti i torti non ce li ha. Forse, appunto.
Alla fine di questo drammatico kammerspiel senza né vincitori né vinti (proprio come nell'onnipresente e imprescindibile Carnage), l'unica chiave di lettura valida si rivela essere la gravosa presenza del padre malato che, ammutolitosi dopo l'incidente, relegato a personaggio marginale eppure moralmente allegorico, ci ricorda costantemente del male che tutti noi, con inesorabile irreparabilità, siamo costretti per civiltà e natura a portarci dentro.
Robydick:
Questo film, uscito recentemente anche se prodotto nel 2009, è ancora reperibile nelle sale. Come Marco, lo consiglio vivamente. Elenco anche i premi che ha ricevuto al Festival di Berlino 2011:
Una separazione, di Ashgar Farhadi, è una di quelle pellicole che, nonostante l'Orso d'oro berlinese, ti procurano parecchi grattacapi, e che quindi, da un punto di vista prettamente utilitaristico, sarebbe meglio non vedere o vedere di nascosto. Ti infili al cinema tutto intabarrato, occhiali da sole calati sul naso a dispetto del cattivo tempo, il giornale spalancato davanti alla faccia, e te ne stai lì impagliato come un fagiano fino a quando non si spengono le luci. Allora tiri un sospiro di sollievo, perché se nessuno ha fatto il tuo nome vuol dire che nessuno ti ha riconosciuto, e se anche qualcuno l'avesse fatto, poco importa: ciò significherebbe che c'è almeno un'altra persona vittima delle tue stesse inconfessabili pulsioni.
Una separazione è un film segreto, anzi, segretissimo, quasi di cui vergognarsi. Una pellicola clandestina, uscita in sordina a ottobre nei cinema più periferici, quelli d'essai (scusate il francesismo, è che gli insulti in francese paiono sempre più delicati), insomma in quei buchi dove si rifugiano soltanto i nerd e i misantropi con grossi problemi relazionali. Come il sottoscritto. Ma ti immagini uscire con una ragazza e confessarle che la stai portando a vedere un film iraniano? O peggio ancora, non dirle niente e fare come Travis Bickle (per me maestro di vita come Sai Baba per gli indù): scarrozzarla direttamente in sala assicurandole che quello è un film per famiglie come ce ne sono tanti?
Eppure Una separazione parla di famiglia, anzi di due famiglie, e pur non essendo un film per tutti tratta di situazioni quotidiane in cui tutti si possono trovare. C'è la famiglia di Nader e Simin, due coniugi della media borghesia che si stanno per separare, e che oltre ad accudire la figlia undicenne devono pensare al padre di lui, profondamente malato di Alzheimer. Poi c'è la famiglia di Razieh e Houjat, pure loro con una figlia, però molto più piccola, e anche per loro le cose non vanno bene: il marito beve, è irascibile, ha perso il lavoro ed è disoccupato da mesi. In più Razieh è incinta, e dal momento che le servono soldi va a fare la badante per il padre di Nader. Sì, perché da quando Simin se n'è andata di casa, Nader è fuori tutto il giorno e non c'è nessuno che si occupi dell'anziano. Il problema è che la donna è totalmente impreparata a svolgere quel tipo di attività, così abbandona il posto di lavoro per un impegno e lascia il vecchio legato al letto. Il quale, come da copione, casca a terra e, cadendogli la maschera d'ossigeno che gli impedisce di soffocare nel sonno, rischia di morire per asfissia. Nader interviene per tempo e, rendendosi conto dell'accaduto, attende che Razieh torni a casa. Tra i due scoppia un litigio furibondo, lui l'accusa di aver rubato del denaro e di aver attentato alla vita del padre, lei non vuole uscire di casa, si oppone alle accuse, la rabbia diventa incazzatura e alla fine lui la spinge fuori dall'abitazione fino a quando la donna non scivola per le scale e perde il bambino. Morale della storia, Nader è accusato di omicidio e rischia da uno a tre anni di carcere (il feto era al quarto mese e al quarto mese, per le leggi iraniane, procurare un aborto, anche colposo, è comunque considerato omicidio). Le due famiglie finiscono in tribunale, una accusata di violenza personale e omicidio, l'altra di furto, abbandono del posto di lavoro e maltrattamento di anziani. Entrambe rischiano grosso, entrambe hanno paura di perdere tutto. Entrambe sono disposte a lottare con unghie e denti pur di uscirne incolumi.
Il film di Asghar Farhadi, regista e sceneggiatore, è innanzitutto una riflessione sulla parola, sul Logos, per dirla coi greci, sul modo in cui ogni singola affermazione, se (de)contestualizzata, levigata o finanche leggermente (o involontariamente) alterata può provocare un imprevedibile effetto domino, in cui il primo tassello, sbattendo sul secondo e colpendo il terzo, finisce per rendere dubbia anche l'accusa più solida. Già, perché Una separazione non è soltanto un capolavoro di scrittura, che nelle sue due ore racchiude, sintetizza e per certi versi, seppure in modo dissimile, assorbe e annienta il soggetto polanskiano (quello del coevo Carnage, s'intende) ad opera di Yasmine Reza, francese ma, ironia della sorte, di padre iraniano; è piuttosto una sinfonia registica, che partendo da uno spaccato sociale di vita quotidiana dimentica presto qualsiasi pretesa di denuncia terzomondista per esplodere in uno psicodramma a tinte fosche. Sembra quasi di assistere a un grande noir, costruito attorno a un fatto di violenza domestica più che di cronaca nera, e dove ogni indizio, proprio come nella più raffinata tradizione di genere, racchiude in sé interpretazioni contrastanti e contraddittorie. Con l'unica e non trascurabile differenza che se nella struttura classica del giallo l'indagine giudiziaria tenta di appurare una verità in qualche modo apodittica, ove i colpevoli siano distinti con la maggior chiarezza possibile dagli innocenti, qui invece essa non sembra esistere, in quanto frutto di chi quella stessa verità la vede e la pondera, pirandellianamente, in modi diversi. Nader non sa (o dice di non sapere) che Razieh fosse incinta. Se l'avesse saputo non avrebbe alzato le mani, d'altronde, ma la figlia comincia a sospettare delle esitazioni del genitore, delle sue reticenze, mentre i testimoni, ritrattando e fornendo versioni discordi a seconda della situazione, vuoi per ragioni di amicizia o di buon vicinato, complicano il puzzle anziché semplificarne le circostanze. Le prospettive si fanno sempre più ambigue, le certezze si tingono di una sfumatura equivoca, tanto per i personaggi, che a dispetto della rispettiva convenienza e connivenza, non sono più sicuri di quanto accaduto, sia per lo spettatore, che se in principio parteggia per il ragionevole borghese Nader, in un secondo momento intuisce che forse l'arrogante Houjat, a dispetto dei modi irascibili e violenti, tutti i torti non ce li ha. Forse, appunto.
Alla fine di questo drammatico kammerspiel senza né vincitori né vinti (proprio come nell'onnipresente e imprescindibile Carnage), l'unica chiave di lettura valida si rivela essere la gravosa presenza del padre malato che, ammutolitosi dopo l'incidente, relegato a personaggio marginale eppure moralmente allegorico, ci ricorda costantemente del male che tutti noi, con inesorabile irreparabilità, siamo costretti per civiltà e natura a portarci dentro.
Marco Marchetti
Robydick:
Questo film, uscito recentemente anche se prodotto nel 2009, è ancora reperibile nelle sale. Come Marco, lo consiglio vivamente. Elenco anche i premi che ha ricevuto al Festival di Berlino 2011:
- Orso d'Oro: Miglior Film
- Orso d’Argento: Migliore Interpretazione Femminile
- Orso d’Argento: Migliore Interpretazione Maschile, Ecumenical Jury Prize, Peace Award College
a breve lo vedrò anch'io, ottima recensione complimenti :)
RispondiEliminae fai bene arwen, è bellissimo
Eliminabella rece!
RispondiEliminacerto che ormai state diventando sempre più numerosi, siete quasi una multinazionale :)
Mi accodo ai complimenti, bravi e ormai praticamente una squadra di calcio! ;)
RispondiEliminaPare proprio un ottimo film, mi manca ancora ma rimedierò prestissimo.
Cannibale e MrFord, grazie sia per la "multinazionale" che per la "squadra di calcio", ahah!
RispondiEliminail film è veramente ottimo...
Benvenuto Marco, e grazie per l'ottima recensione. :)
RispondiEliminavisto Zio? continuiamo a crescere :)
EliminaUn benvenuto caloroso nella compagnia! Mi unisco con molto piacere ai complimenti per la recensione di questo film che spero di riuscire a vedere presto. Ottima scelta: di Farhadi, regista coraggioso, conosco già lo splendido "About Elly", quindi... ottimo inizio! Se poi citi anche "Carnage"... attendo con curiosità i prossimi film!
RispondiEliminaarriverà About Elly, e spero sempre con una rece di Marco
EliminaGrazie a voi per avermi ospitato :-) Il film è bellissimo, tanto che l'ho catalogato ai primissimi posti nella mia top ten 2011... Devo invece ancora vedere About Elly, che vegeta nel mio pc e che devo solo trovare un po' di tempo per visionare... ma ce la farò :-)
RispondiEliminamarco, se vuoi fare anche About Elly ci fa solo piacere ;-)
Eliminaok, quando lo vedo mi metto all'opera :-)
Eliminacomplimentissimi anche qui :)
RispondiEliminaChiara, manchi solo te... adelante! :D
Eliminagrazie Chiara... sì, è vero, attendiamo tue recensioni anche qui!
EliminaCiao Marco, un saluto pure da me, ahò benvenuto!
RispondiEliminaciao, grazie :-)))
Elimina