Saluto prono e deferente l'ingresso nel blog, da regista, di un grande del Cinema italiano: Aldo Fabrizi. Invito caldamente a leggere la pagina linkata a suo nome, esemplare la sua vita d'artista, appartiene alla sana cultura molto fuori moda: "Se vuoi fare qualcosa d'importante nella vita devi farti il mazzo!". Onore e Gloria.
Fatto il doveroso omaggio, passiamo a parlare del Film. Dico subito che è nel mio Olimpo a pieno titolo, per meriti che m'accingo ad illustrare, ma devo fare una premessa sull'argomento che tratta, puramente storica (l'attualità dell'argomento stesso è fin troppo evidente, ma lascio ad ognuno le considerazioni a riguardo).
Quando parliamo degli emigranti italiani pensiamo tutti subito agli Stati Uniti, all'Australia, sono i primi di tanti altri, forse solo dagli eschimesi non siamo andati, ma è un'ipotesi da verificare. Ci ricordiamo del Belgio a causa della Tragedia di Marcinelle che ben si fa a commemorare ogni anno. Eppure, nel corso del XIX e del XX sec, il paese che più di ogni altro ha accolto italiani è l'Argentina, circa 15mln, al secondo posto gli Stati Uniti, 12mln se ricordo bene, poi gli altri. Ho letto un tot di roba in giro a riguardo, vi propongo QUESTO LINK come sintesi, che parla anche del periodo trattato dal film.
In che periodo siamo nel film? Nell'immediato dopoguerra della seconda follia mondiale. De Gasperi, con più di un fine, stringe accordi bilaterali con molti paesi, che essenzialmente si traducono in: uomini in cambio di materie prime. Se il Belgio ci forniva carbone, l'Argentina ci mandava grano. Non so se si comprende la dimensione degli attributi di Aldo Fabrizi a questo punto: nel 1948 fa un film su un argomento delicatissimo, proprio di quel momento, e lo fa alla grande! Nulla nel film viene tralasciato e nemmeno quel pizzico, ma proprio pizzico, di commedia romantica permette d'ignorare il dramma che tutta la storia non solo sottende, ma ci mostra per quel che è! Questo da solo basta ad eleggere nell'Olimpo un simile film, ringrazio molto l'amico Andreas Perugini che me lo ha fatto conoscere, insieme ad altri che presto compariranno nel blog.
Aldo Fabrizi e Ave Ninchi (un'altra grandissima!) partiranno da Roma, di 3 figli ne hanno ancora solo una, signorina "da marito" che andrà con loro. Incarneranno tutto quanto poteva riguardare quel genere di emigranti, e cito qualche situazione senza il dettaglio della trama:
- sradicamento dal paese natale, in un'epoca dove molti nascevano e morivano nella propria città senza nemmeno mai fare un viaggio il legame era molto più forte di quanto possa essere oggi, partivano dandosi una scadenza: quando torniamo? si chiedevano;
- viaggio difficile ed interminabile, la quantità di carte, bolli, controlli, fino alla partenza erano una selezione, poi una vita in nave, uomini separati dalle donne, altri controlli all'arrivo;
- alberghi d'accoglienza, ma l'ansia di trovare un alloggio era grande, soprattutto per chi arrivava con famiglia o voleva poi farsi raggiungere da moglie e figli;
- il lavoro c'era subito, non magari quello della propria professione ma c'era, con alcuni che volevano guadagnare alla svelta e cadevano vittime di vizi o gioco d'azzardo; ecc... .
Nulla di nuovo? Non è del tutto vero, almeno per me, e comunque questo è un Film che vuole Raccontare, non Stupire. Forse poi non è nuovo ora per noi, ma pensiamo al 1948.
Nel film la verità degli accordi di De Gasperi emerge, così come gli aspetti esposti, ed anche altri, in particolare il dramma familiare, con la moglie che vivendo in casa fatica moltissimo ad inserirsi socialmente, cosa che per gli uomini era più semplice grazie al lavoro. Altro aspetto fantastico del film se si pensa all'epoca, una grande attenzione, dettagliata e puntuale, sulla situazione delle donne che in queste storie non se le ricorda quasi mai nessuno se non marginalmente, un po' come quando si parla delle guerre, e la bravissima Ave Ninchi, da sola, le sintetizza tutte.
L'Argentina ne esce tutto sommato bene, grazie al suo popolo, ritratto con affetto e stima, una cultura ed una lingua a noi più comprensibili hanno reso meno duro l'impatto degli emigranti rispetto a quelli che si dirigevano nel nord Europa o in paesi anglosassoni. Molti gli argentini che aiutano gli italiani disinteressatamente, in servizi essenziali, come le cure mediche. Governanti ed uomini di potere non se ne vedranno mai e non se ne sentirà la mancanza, tutto ciò che è mostrato riguarda solo ed unicamente la gente comune.
Non si butta via niente di questo Film! Ricchissimo di spunti, è anche ben fatto, con un bel ritmo costante e preciso, le scene drammatiche riprese per quel che erano senza inutili retoriche o iperboliche enfasi. Con anche qualche gag, è impossibile annoiarsi, corre fino alla fine come un treno e pure il finale, che vuole addolcire una storia amara, è pregno di significato.
Visione Obbligatoria.
Recensioni di Film, SerieTV e Teatro di ogni genere, epoca e nazione
domenica 31 ottobre 2010
sabato 30 ottobre 2010
Urga - Territorio d'amore
La Urga è un lungo bastone alla cima del quale c'è un laccio che i mongoli, popolazione semi-nomade, utilizzano per catturare il bestiame. Ha anche un secondo utilizzo: non ho capito se per tradizione o mancanza di privacy all'interno delle loro tende che sono di fatto dei monolocali, le coppie mongole amoreggiano all'aperto nella steppa, e l'urga piantata a terra in verticale significa "do not disturb, copula in progress" (vedi es. in locandina).
Gombo e Pagma sono una coppia giovane con già 3 figli. Vivono in quella parte della Mongolia geopoliticamente sita all'interno della Cina, dove vige (già allora e tuttora) il limitatore demografico ad un figlio per coppia. Pagma è estremamente riproduttiva, pare che "ad ogni botta la femmina rimane subbito impressiunata"; fatto sta che Gombo è ingrifato come un bonobo in tammurriata, mentre Pagma ha tirato giù la saracinesca. Sola alternativa all'autoerotismo: andare in città a comprare dei preservativi, oggetti sconosciuti a Gombo anche in termini morali. Ci andrà, ma prima cercherà un lama buddista con cui consigliarsi, peccato che la città è così dispersiva, piena di attrazioni. Poi quel sogno del quarto figlio, anche l'antico mito Gengis Khan fu il quarto d'una numerosa figliolanza... Intrecciata alla loro, la bizzarra figura di un camionista russo dal gomito molto alto, che lavora in quella regione per un'impresa che sta costruendo strade.
E' un plot abbastanza tipizzato per alcuni aspetti, sempre piacevoli a patto di non abusarne: la vita dei nomadi mongoli, distese immense, musiche e panorami suggestivi, ecc..., con però innesti comici che ne fanno film di buon ritmo, non da meditazione zen e nemmeno da fase rem. La storia poi è abbastanza curiosa, divisibile più o meno in tre parti: quella iniziale la più bella anche per il realismo oltre che per la comicità; un po' troppo scontata la fase centrale quando ritrae Gombo nella parte del "selvaggio in città"; finale surreale che non t'aspetti, ricco di sogni e con la comparsa di una voce narrante.
Leone d'Oro a Venezia, con qualche momento di calo ma nel complesso molto carino e divertente, merita decisamente la visione. Io per il momento, in attesa di vederne altri, continuo ad amare Mikhalkov per lo splendido Oblomov.
Gombo e Pagma sono una coppia giovane con già 3 figli. Vivono in quella parte della Mongolia geopoliticamente sita all'interno della Cina, dove vige (già allora e tuttora) il limitatore demografico ad un figlio per coppia. Pagma è estremamente riproduttiva, pare che "ad ogni botta la femmina rimane subbito impressiunata"; fatto sta che Gombo è ingrifato come un bonobo in tammurriata, mentre Pagma ha tirato giù la saracinesca. Sola alternativa all'autoerotismo: andare in città a comprare dei preservativi, oggetti sconosciuti a Gombo anche in termini morali. Ci andrà, ma prima cercherà un lama buddista con cui consigliarsi, peccato che la città è così dispersiva, piena di attrazioni. Poi quel sogno del quarto figlio, anche l'antico mito Gengis Khan fu il quarto d'una numerosa figliolanza... Intrecciata alla loro, la bizzarra figura di un camionista russo dal gomito molto alto, che lavora in quella regione per un'impresa che sta costruendo strade.
E' un plot abbastanza tipizzato per alcuni aspetti, sempre piacevoli a patto di non abusarne: la vita dei nomadi mongoli, distese immense, musiche e panorami suggestivi, ecc..., con però innesti comici che ne fanno film di buon ritmo, non da meditazione zen e nemmeno da fase rem. La storia poi è abbastanza curiosa, divisibile più o meno in tre parti: quella iniziale la più bella anche per il realismo oltre che per la comicità; un po' troppo scontata la fase centrale quando ritrae Gombo nella parte del "selvaggio in città"; finale surreale che non t'aspetti, ricco di sogni e con la comparsa di una voce narrante.
Leone d'Oro a Venezia, con qualche momento di calo ma nel complesso molto carino e divertente, merita decisamente la visione. Io per il momento, in attesa di vederne altri, continuo ad amare Mikhalkov per lo splendido Oblomov.
venerdì 29 ottobre 2010
Victor Victoria
Parigi anni 30. Victoria è una soprano autodidatta dotata di un potente "Mi naturale", capace di spaccare bicchieri e stappare bottiglie di champagne. Ridotta alla fame, incontra Toddy, gay dichiarato che lavora (ma è appena stato licenziato) in un locale molto frequentato da gay e travestiti.
Dopo un episodio ispirante, Toddy avrà la brillante idea di far diventare Victoria un affascinante conte polacco di nome Victor. Con lui manager e "lei che fa il lui che ama i lui ma è una lei" avranno un successo formidabile! Ogni performance si chiude con Victoria che si toglie la parrucca con fare solenne, mostrando i capelli corti e quindi provocando stupore a tutto il pubblico che pure sa di chi si tratta, ma la femminilità che manifesta mentre canta e balla è tale... Una specie di gangster, sempre in giro con la fida guardia del corpo, s'innamorerà di Victoria e persino di Victor.
Una splendida commedia musicale, divertente e ricca di equivoci, peccato sarebbe rivelarne tutti gli episodi. Girata con uno stile ed una fotografia retrò già nel 1982 che dà al film un fascino particolare, ha una trama di grande modernità nonostante sia il remake di un film del 1933, che offre non pochi spunti di riflessione, una grande esibizione di humor, e complessivamente di intelligenza quindi. Quando si riesce ad affrontare temi "scabrosi", a far divertire senza essere banali o peggio volgari nelle scene e nei dialoghi, be'!, siamo in uno di quei casi felici in cui il Cinema realizza la sua peculiare Magia.
Quali sono i momenti che fanno riflettere? Sicuramente quelli che riguardano la relazione tra Victor e il gangster, ché anche quando quest'ultimo conoscerà la verità non potrà fare a meno di provare imbarazzo in presenza di altri. La sfera pubblica e privata dell'amore non sono poi così distanti, argomento che a mio parere vale per ogni genere di coppia etero comprese, così come il rispetto reciproco in una coppia delle proprie identità ed aspirazioni professionali. Non è un film che si vuole arrampicare su argomenti difficili con decisione, per carità, non parte con quest'intento né ci cade, ma usa questi argomenti brillantemente e quando un messaggio arriva con un sorriso spesso è molto più efficace.
Tra i miei Cult a pieno titolo questa perla. Ringrazio molto l'amico Nicola Pezzoli alias Zio Scriba che me lo ha segnalato.
Concludo con un omaggio ad un grandissimo della Musica, il mio autore preferito in assoluto di colonne sonore, autore anche per questo film. Dalla sua testa ne sono uscite di molte e famosissime, forse la più nota è "La Pantera Rosa", ma tante, tantissime altre. Stiamo parlando di Henry Mancini. Julie Andrews, l'indimenticabile Mary Poppins, splendida artista ad ampio spettro, cantante di pregio oltre che attrice e pure scrittrice, perfetta sia nei panni di Victor che in quelli di Victoria, è una interprete d'eccezione delle sue canzoni.
Connubio di 2 talenti eccelsi. Inchino e Riverenza per loro.
Dopo un episodio ispirante, Toddy avrà la brillante idea di far diventare Victoria un affascinante conte polacco di nome Victor. Con lui manager e "lei che fa il lui che ama i lui ma è una lei" avranno un successo formidabile! Ogni performance si chiude con Victoria che si toglie la parrucca con fare solenne, mostrando i capelli corti e quindi provocando stupore a tutto il pubblico che pure sa di chi si tratta, ma la femminilità che manifesta mentre canta e balla è tale... Una specie di gangster, sempre in giro con la fida guardia del corpo, s'innamorerà di Victoria e persino di Victor.
Una splendida commedia musicale, divertente e ricca di equivoci, peccato sarebbe rivelarne tutti gli episodi. Girata con uno stile ed una fotografia retrò già nel 1982 che dà al film un fascino particolare, ha una trama di grande modernità nonostante sia il remake di un film del 1933, che offre non pochi spunti di riflessione, una grande esibizione di humor, e complessivamente di intelligenza quindi. Quando si riesce ad affrontare temi "scabrosi", a far divertire senza essere banali o peggio volgari nelle scene e nei dialoghi, be'!, siamo in uno di quei casi felici in cui il Cinema realizza la sua peculiare Magia.
Quali sono i momenti che fanno riflettere? Sicuramente quelli che riguardano la relazione tra Victor e il gangster, ché anche quando quest'ultimo conoscerà la verità non potrà fare a meno di provare imbarazzo in presenza di altri. La sfera pubblica e privata dell'amore non sono poi così distanti, argomento che a mio parere vale per ogni genere di coppia etero comprese, così come il rispetto reciproco in una coppia delle proprie identità ed aspirazioni professionali. Non è un film che si vuole arrampicare su argomenti difficili con decisione, per carità, non parte con quest'intento né ci cade, ma usa questi argomenti brillantemente e quando un messaggio arriva con un sorriso spesso è molto più efficace.
Tra i miei Cult a pieno titolo questa perla. Ringrazio molto l'amico Nicola Pezzoli alias Zio Scriba che me lo ha segnalato.
Concludo con un omaggio ad un grandissimo della Musica, il mio autore preferito in assoluto di colonne sonore, autore anche per questo film. Dalla sua testa ne sono uscite di molte e famosissime, forse la più nota è "La Pantera Rosa", ma tante, tantissime altre. Stiamo parlando di Henry Mancini. Julie Andrews, l'indimenticabile Mary Poppins, splendida artista ad ampio spettro, cantante di pregio oltre che attrice e pure scrittrice, perfetta sia nei panni di Victor che in quelli di Victoria, è una interprete d'eccezione delle sue canzoni.
Connubio di 2 talenti eccelsi. Inchino e Riverenza per loro.
giovedì 28 ottobre 2010
The Getaway
Cosa raccontare di un film che dopo pochi minuti già presenta una serie notevole di colpi di scena? Potrebbe sembrare una scusa per chiudere la recensione, ma vi assicuro che non è così, chi l'ha già visto può confermare.
Sinossi per massimi capi: Doc è in prigione per rapina, riesce ad uscirne grazie alla moglie Carol e i personaggi stessi che essa ha "stimolato", gente della quale Doc diffida a ragion veduta. Proporranno a lui un colpo in una banca, con complici imposti. Il bottino ci sarà, ma con esso anche un disastro nell'applicazione del piano, dopo il quale inizia una sorta di on-the-road tutti contro tutti, con Doc e Carol da una parte che cercano di raggiungere il Messico; Clinton (uno dei complici) che ferito da Doc li insegue traviando una coppia tranquilla con lui veterinario e lei ninfomane; la banda dei committenti.
Bellissimo, azione e intrighi reali o sospettati che ti tengono costantemente attento, personaggi neri e/o pittoreschi per tutti i gusti come in un western e l'America moderna (di allora), dei vari miti del "vecchio west", ne conserva ancora intatti i connotati. Steve McQuenn alla grandissima, Peckinpah è un Maestro e non lo scopriamo qua.
Cosa raccontare quindi? Poco, film da guardare e basta, 2 ore entusiasmanti. Intrattenimento Puro come ogni tanto il Cinema è giusto che sia.
Da noi è uscito col titolo "Getaway, il rapinatore solitario", che non è certo il caso più scandaloso dei titoli italiani deformanti quando non snaturanti l'essenza del film, solo che scritto così Gateway sembra un nome proprio di persona quando invece non è così, e poi il concetto di "rapinatore solitario" può passare solo se mi spiegano come mai Carol è praticamente onnipresente.
C'è un remake del 1994 girato quasi fedelmente all'originale da Roger Donaldson, con un cast stellare, che sconsiglio per principio. Chi ha già visto questo non ne ha, credo, motivazione. Chi questo non lo ha visto deve scegliere tra Peckinpah e Donaldson e, con tutto il rispetto per il secondo (ho visto Indian e m'è bastato), c'è poco di che esitare.
Sinossi per massimi capi: Doc è in prigione per rapina, riesce ad uscirne grazie alla moglie Carol e i personaggi stessi che essa ha "stimolato", gente della quale Doc diffida a ragion veduta. Proporranno a lui un colpo in una banca, con complici imposti. Il bottino ci sarà, ma con esso anche un disastro nell'applicazione del piano, dopo il quale inizia una sorta di on-the-road tutti contro tutti, con Doc e Carol da una parte che cercano di raggiungere il Messico; Clinton (uno dei complici) che ferito da Doc li insegue traviando una coppia tranquilla con lui veterinario e lei ninfomane; la banda dei committenti.
Bellissimo, azione e intrighi reali o sospettati che ti tengono costantemente attento, personaggi neri e/o pittoreschi per tutti i gusti come in un western e l'America moderna (di allora), dei vari miti del "vecchio west", ne conserva ancora intatti i connotati. Steve McQuenn alla grandissima, Peckinpah è un Maestro e non lo scopriamo qua.
Cosa raccontare quindi? Poco, film da guardare e basta, 2 ore entusiasmanti. Intrattenimento Puro come ogni tanto il Cinema è giusto che sia.
Da noi è uscito col titolo "Getaway, il rapinatore solitario", che non è certo il caso più scandaloso dei titoli italiani deformanti quando non snaturanti l'essenza del film, solo che scritto così Gateway sembra un nome proprio di persona quando invece non è così, e poi il concetto di "rapinatore solitario" può passare solo se mi spiegano come mai Carol è praticamente onnipresente.
C'è un remake del 1994 girato quasi fedelmente all'originale da Roger Donaldson, con un cast stellare, che sconsiglio per principio. Chi ha già visto questo non ne ha, credo, motivazione. Chi questo non lo ha visto deve scegliere tra Peckinpah e Donaldson e, con tutto il rispetto per il secondo (ho visto Indian e m'è bastato), c'è poco di che esitare.
mercoledì 27 ottobre 2010
Soldati - 365 all'alba
Film che parla della vita dei militari di leva, e necessariamente anche di quelli di carriera, alla metà degli anni 80.
Congedatomi da quella immane rottura di gonadi del servizio militare nel 1986, mi sarebbe stato impossibile vedere questo film l'anno in cui uscì, tale era il mio disprezzo feroce per tutto ciò che poteva, anche solo indirettamente, ricordarmi lo schifo di quei 12 mesi. Oggi, a distanza di 35 e passa anni, è stato possibile.
Non sto a raccontare fatti e circostanze della trama che hanno tutta la banalità e stupidità possibile di quel tipo di vita, proprio non mi viene, una cosa che prima della leva nemmeno avrei mai potuto immaginare. Ho rivisto molto di quanto vissuto personalmente, cambiano situazioni e personaggi, non la sostanza. Non so dire chi non ha vissuto questo tipo di esperienza cosa ne possa cavare, da parecchi anni non esiste più la leva e l'esercito è composto esclusivamente da professionisti. Chi ha avuto la ventura invece di farlo si ritroverà a farsi sfuggire qualche sorriso.
A parte qualche recitazione così così che fanno molto "fiction-tv", ben compensata da alcune invece notevoli come quella di Massimo Dapporto, si può vedere dai, ed è abbastanza realista, ritrae una situazione, ai tempi, di livello "medio" in quanto a nonnismo e fenomeni da branco vari, senza calcare troppo la mano ma anche senza nascondere nulla, non ci si fa mancare nemmeno qualche episodio comico e pure fin troppo pittoresco, che ci può stare.
A me è però rimasto nella mente il tipico saporaccio dell'occasione persa.
Un po' più di attributi nello scrivere il soggetto avrebbero permesso di fare qualcosa di ben più tosto e il materiale, tra i fatti di cronaca che hanno costellato gli anni della leva in italia, non sarebbe mancato. E' successo di tutto nelle caserme, dai suicidi a situazioni di nonnismo estremo e garantisco personalmente sul fatto che quello che trapelava fuori da quegli edifici era solo la punta dell'iceberg: tra i "migliori" comportamenti che si apprendevano infatti, durante quell'anno che serviva anche a formare carattere e personalità (così pensa qualcuno, non certo io) c'era l'omertà perché tanto se denunciavi qualcuno poi altri te l'avrebbero fatta pagare.
Ribadisco il giudizio: si può guardare, si poteva fare molto meglio.
Congedatomi da quella immane rottura di gonadi del servizio militare nel 1986, mi sarebbe stato impossibile vedere questo film l'anno in cui uscì, tale era il mio disprezzo feroce per tutto ciò che poteva, anche solo indirettamente, ricordarmi lo schifo di quei 12 mesi. Oggi, a distanza di 35 e passa anni, è stato possibile.
Non sto a raccontare fatti e circostanze della trama che hanno tutta la banalità e stupidità possibile di quel tipo di vita, proprio non mi viene, una cosa che prima della leva nemmeno avrei mai potuto immaginare. Ho rivisto molto di quanto vissuto personalmente, cambiano situazioni e personaggi, non la sostanza. Non so dire chi non ha vissuto questo tipo di esperienza cosa ne possa cavare, da parecchi anni non esiste più la leva e l'esercito è composto esclusivamente da professionisti. Chi ha avuto la ventura invece di farlo si ritroverà a farsi sfuggire qualche sorriso.
A parte qualche recitazione così così che fanno molto "fiction-tv", ben compensata da alcune invece notevoli come quella di Massimo Dapporto, si può vedere dai, ed è abbastanza realista, ritrae una situazione, ai tempi, di livello "medio" in quanto a nonnismo e fenomeni da branco vari, senza calcare troppo la mano ma anche senza nascondere nulla, non ci si fa mancare nemmeno qualche episodio comico e pure fin troppo pittoresco, che ci può stare.
A me è però rimasto nella mente il tipico saporaccio dell'occasione persa.
Un po' più di attributi nello scrivere il soggetto avrebbero permesso di fare qualcosa di ben più tosto e il materiale, tra i fatti di cronaca che hanno costellato gli anni della leva in italia, non sarebbe mancato. E' successo di tutto nelle caserme, dai suicidi a situazioni di nonnismo estremo e garantisco personalmente sul fatto che quello che trapelava fuori da quegli edifici era solo la punta dell'iceberg: tra i "migliori" comportamenti che si apprendevano infatti, durante quell'anno che serviva anche a formare carattere e personalità (così pensa qualcuno, non certo io) c'era l'omertà perché tanto se denunciavi qualcuno poi altri te l'avrebbero fatta pagare.
Ribadisco il giudizio: si può guardare, si poteva fare molto meglio.
martedì 26 ottobre 2010
Naked Lunch - Il pasto nudo
Credo sia la versione più estrema, per difficoltà, di trasposizione di un libro in un film. Subito onore a Cronenberg quindi, per il coraggio dimostrato. Se poi l'impresa sia riuscita o meno non saprei dire in termini assoluti, a me è piaciuto moltissimo, di certo il film ha oggettivamente un livello di Allucinazione non pari al libro ma perlomeno paragonabile, e questo credo sia già un merito.
Avevo fatto già un tentativo tempo fa di vederlo quando, in un momento di approfondimento del genere cyberpunk, m'ero messo a vedere film di Cronenberg a nastro, che ne è tra i grandi esponenti. Questo film però mi ha bloccato al primo comparire di un enorme scarafaggio parlante che mi ha fatto schifo e sommando che non ci stavo capendo nulla il risultato è stato: visione interrotta. Incoraggiato da amici ho deciso di riprovarci, però non prima d'aver letto il libro capolavoro di William Seward Burroughs, titolo appunto "Il pasto nudo".
Se leggete le pur poche righe sulla pagina wiki che ho linkato forse è meglio. Ad ogni modo il libro è una specie di romanzo, frutto della raccolta di frammenti scritti dallo stesso Burroughs durante le sue terribili esperienze di tossicodipendenza. Questa raccolta fu curata dallo stesso Kerouach, suo amico, che fu anche colui che gli consigliò (e tutti gli rendiamo grazie di questo!) di pubblicarle.
E' difficile immaginare che una persona in preda alle visioni procurate da tutte le droghe più pesanti che esistessero riuscisse a tradurre per iscritto, in quei momenti, quanto avveniva nella sua mente, nel suo corpo ed in qualche modo anche nell'ambiente circostante, tutto deformato da percezione deformata, oppure potremmo pensare in qualche caso che tutto acquisisce la vera forma, che una mente non deformata non può percepire. Eppure quanto ha fatto Burroughs, senza premeditata intenzione di pubblicare alcunché, è stato proprio questo. Ne è venuta fuori una "storia" che racconta di un uomo che deve fuggire in quanto ricercato da New York, e per far questo si ritrova in terre immaginarie, popolate da personaggi loschissimi e da extraterrestri di bizzarra morfologia, dagli scarafaggi ai gamberi ad altro d'indefinibile. Tra paesi e città con richiami esotici e leggendari, il protagonista vive e descrive stati, Anexia e Terra Libera, dove viene attuato in diversi metodi e gradi un controllo della mente umana capillare e totale, Anexia in particolare è davvero angosciante, nemmeno in 1984 di Orwell ho letto cose simili. Qua siamo di fronte però ad un'opera che di "simili" non ne ha! Manie e fantasie sessuali ad esempio, soprattutto omo, che vengono descritte, hanno un altissimo livello di sadismo, e se ci aggiungiamo la nitida sensazione fisica che si prova durante la lettura, per il modo in cui è scritto e per altre misteriose magie che appartengono ai geni, tutto si traduce in: sento coi sensi quanto leggo. Non potete immaginare, senza averlo letto, che Esperienza è questo libro! Sul sesso, spesso sadico e violentissimo, il film smorza molto i toni, solo una scena viene dedicata all'argomento, che invece nel libro impazza; anche se il sesso non è continuamente descritto, quanto si legge è così scioccante da mantenere forte persistenza anche nel resto degli eventi che si susseguono.
(mi scuso ma sono davvero inadeguato ed impotente a raccontare un'opera simile, mi fermerei qua, questa recensione mi sta costando fatica ed imbarazzo. edit: vado avanti)
Il film devo dire che "facilita" la visione, proponendo non una rappresentazione fedele del libro che sarebbe quasi impossibile, bensì costruendo una trama che mischia la vita stessa di Burroughs con il libro; ne viene fuori una sorta di biografia allegorica di quella che fu la vita dello scrittore negli anni in cui scrisse i frammenti.
Ne consiglio tantissimo una visione "rapita". Senza aver letto il libro la vedo un po' troppo complessa, ad ogni modo è possibile, purché si rimandi alla fine ogni riflessione e si eviti, perlomeno se si è in "fascia Q.I. media" come me, di tentare di comprendere immediatamente tutto quanto avviene in ogni singolo frammento. Insomma, tenere duro fino alla fine senza scoraggiarsi, sia col libro che col film.
Il libro, pubblicato prima in Francia nel 1959 e poi negli Stati Uniti nel 1962 (curioso questo fatto, si presta a congetture), nell'edizione attuale commercializzata in Italia contiene in appendice una serie di riflessioni e scritti, prodotti nel corso di parecchi anni dallo stesso Burroughs, estremamente interessanti, come quelli che parlano molto approfonditamente delle droghe, quali sono, che effetti hanno, come uscirne cioè quali sono i percorsi terapeutici efficaci e quali non... mai letto nulla di più diretto sull'argomento.
Opera fondamentale nella "cultura gay" (mi scuso per la definizione), personalmente mi ha toccato nel vivo su una cosa che penso da molto tempo: l'oppio dei popoli è proprio l'oppio. Una parafrasi del buon vecchio Marx per dire che ritengo il commercio della droga come un qualcosa che volutamente non si vuole debellare, o meglio, le droghe esistono ed esisterebbero in ogni caso, ma il modo in cui l'argomento è "politicamente trattato" a me fa pensare ad una gestione più o meno occulta del problema, una specie di "arma chimica" mondiale per assoggettare intere classi sociali se non popolazioni (ne parlai anche in Panther). E' quanto di più mi è rimasto del romanzo, ben descritto nel film, oltre ovviamente al piacere di fare un viaggio in una mente a me aliena.
A pieno titolo nel mio Olimpo, dove entra per l'insieme, Libro e Film.
Avevo fatto già un tentativo tempo fa di vederlo quando, in un momento di approfondimento del genere cyberpunk, m'ero messo a vedere film di Cronenberg a nastro, che ne è tra i grandi esponenti. Questo film però mi ha bloccato al primo comparire di un enorme scarafaggio parlante che mi ha fatto schifo e sommando che non ci stavo capendo nulla il risultato è stato: visione interrotta. Incoraggiato da amici ho deciso di riprovarci, però non prima d'aver letto il libro capolavoro di William Seward Burroughs, titolo appunto "Il pasto nudo".
Se leggete le pur poche righe sulla pagina wiki che ho linkato forse è meglio. Ad ogni modo il libro è una specie di romanzo, frutto della raccolta di frammenti scritti dallo stesso Burroughs durante le sue terribili esperienze di tossicodipendenza. Questa raccolta fu curata dallo stesso Kerouach, suo amico, che fu anche colui che gli consigliò (e tutti gli rendiamo grazie di questo!) di pubblicarle.
E' difficile immaginare che una persona in preda alle visioni procurate da tutte le droghe più pesanti che esistessero riuscisse a tradurre per iscritto, in quei momenti, quanto avveniva nella sua mente, nel suo corpo ed in qualche modo anche nell'ambiente circostante, tutto deformato da percezione deformata, oppure potremmo pensare in qualche caso che tutto acquisisce la vera forma, che una mente non deformata non può percepire. Eppure quanto ha fatto Burroughs, senza premeditata intenzione di pubblicare alcunché, è stato proprio questo. Ne è venuta fuori una "storia" che racconta di un uomo che deve fuggire in quanto ricercato da New York, e per far questo si ritrova in terre immaginarie, popolate da personaggi loschissimi e da extraterrestri di bizzarra morfologia, dagli scarafaggi ai gamberi ad altro d'indefinibile. Tra paesi e città con richiami esotici e leggendari, il protagonista vive e descrive stati, Anexia e Terra Libera, dove viene attuato in diversi metodi e gradi un controllo della mente umana capillare e totale, Anexia in particolare è davvero angosciante, nemmeno in 1984 di Orwell ho letto cose simili. Qua siamo di fronte però ad un'opera che di "simili" non ne ha! Manie e fantasie sessuali ad esempio, soprattutto omo, che vengono descritte, hanno un altissimo livello di sadismo, e se ci aggiungiamo la nitida sensazione fisica che si prova durante la lettura, per il modo in cui è scritto e per altre misteriose magie che appartengono ai geni, tutto si traduce in: sento coi sensi quanto leggo. Non potete immaginare, senza averlo letto, che Esperienza è questo libro! Sul sesso, spesso sadico e violentissimo, il film smorza molto i toni, solo una scena viene dedicata all'argomento, che invece nel libro impazza; anche se il sesso non è continuamente descritto, quanto si legge è così scioccante da mantenere forte persistenza anche nel resto degli eventi che si susseguono.
(mi scuso ma sono davvero inadeguato ed impotente a raccontare un'opera simile, mi fermerei qua, questa recensione mi sta costando fatica ed imbarazzo. edit: vado avanti)
Il film devo dire che "facilita" la visione, proponendo non una rappresentazione fedele del libro che sarebbe quasi impossibile, bensì costruendo una trama che mischia la vita stessa di Burroughs con il libro; ne viene fuori una sorta di biografia allegorica di quella che fu la vita dello scrittore negli anni in cui scrisse i frammenti.
Ne consiglio tantissimo una visione "rapita". Senza aver letto il libro la vedo un po' troppo complessa, ad ogni modo è possibile, purché si rimandi alla fine ogni riflessione e si eviti, perlomeno se si è in "fascia Q.I. media" come me, di tentare di comprendere immediatamente tutto quanto avviene in ogni singolo frammento. Insomma, tenere duro fino alla fine senza scoraggiarsi, sia col libro che col film.
Il libro, pubblicato prima in Francia nel 1959 e poi negli Stati Uniti nel 1962 (curioso questo fatto, si presta a congetture), nell'edizione attuale commercializzata in Italia contiene in appendice una serie di riflessioni e scritti, prodotti nel corso di parecchi anni dallo stesso Burroughs, estremamente interessanti, come quelli che parlano molto approfonditamente delle droghe, quali sono, che effetti hanno, come uscirne cioè quali sono i percorsi terapeutici efficaci e quali non... mai letto nulla di più diretto sull'argomento.
Opera fondamentale nella "cultura gay" (mi scuso per la definizione), personalmente mi ha toccato nel vivo su una cosa che penso da molto tempo: l'oppio dei popoli è proprio l'oppio. Una parafrasi del buon vecchio Marx per dire che ritengo il commercio della droga come un qualcosa che volutamente non si vuole debellare, o meglio, le droghe esistono ed esisterebbero in ogni caso, ma il modo in cui l'argomento è "politicamente trattato" a me fa pensare ad una gestione più o meno occulta del problema, una specie di "arma chimica" mondiale per assoggettare intere classi sociali se non popolazioni (ne parlai anche in Panther). E' quanto di più mi è rimasto del romanzo, ben descritto nel film, oltre ovviamente al piacere di fare un viaggio in una mente a me aliena.
A pieno titolo nel mio Olimpo, dove entra per l'insieme, Libro e Film.
lunedì 25 ottobre 2010
Cadaveri eccellenti
Film del progetto "100 Film italiani da salvare".
Subito si vede un uomo anziano vagare nel sotterraneo di un convento pieno di cripte contenenti morti mummificati, un camminare silente e attento. E' un procuratore della repubblica, verrà ucciso appena uscito. Nell'arco di pochi giorni altri 2 esponenti della magistratura, giudici di tribunale, faranno la stessa fine.
E' l'ispettore Rogas che indaga (superbo Lino Ventura), considerato il miglior investigatore dello stato. Presto i sospetti su un uomo che ha subito un errore giudiziario nel quale sono coinvolte tutte le vittime, però quest'uomo pare non avere più un volto, non una foto che lo ritrae è più rintracciabile.
Dal libro "Il contesto" di Leonardo Sciascia, una storia di intrighi, servizi e poteri deviati, depistaggi, intercettazioni telefoniche, ecc..., con chiara ispirazione a fatti di cronaca, dei quali a me è venuto subito alla mente, causa i numerosi alti ufficiali militari che compaiono, il famoso Piano Solo del generale De Lorenzo del 1964.
Ho visto la versione uncut, ma ho letto che all'epoca subì delle censure, non me ne sono ben chiare le ragioni come al censore, fatto sta che il film uscì con qualche taglio e fortemente boicottato nonostante venne premiato ai David per miglior film e miglior sceneggiatura. Ergo: da vedere! E' anche girato con grande cura, ma d'altronde stiamo parlando di Francesco Rosi, già ai tempi tra i registi di riferimento per qualità di fotografia e tempi e modi di ripresa. La storia poi è sviluppata con un crescendo di mistero e tensione, fino al terribile finale che mi spiace non raccontare ma è molto significativo. Lo definirei un giallo a sfondo politico, dove il cinismo del potere è il protagonista indiscusso.
Un momento da sottolineare? L'incontro con uno dei giudici condannati dal misterioso omicida, pezzo grosso del potere giudiziario, che a un certo punto, portando alle sue teorie proprio l'infallibilità del vangelo, arriva a sostenere che "...l'errore giudiziario non esiste così come non esiste errore nel mistero della fede...". Un atteggiamento sconvolgente anche per il realismo con cui appare sostenuta la scena! Pensare alla giustizia che "celebra" la legge così come un prelato celebra messa è spaventoso.
Strano che taluni personaggi contemporanei di gran pessima schiatta quanto potenti, di brianzoli natali e d'altezza pari alla bassezza morale, non adoperino, travisandolo a loro favore ma non sarebbe difficile, questo film con aspetti così critici verso la gestione del potere giudiziario. Forse, faccio un'ipotesi, tutto il resto del film li ricorderebbe troppo su altri aspetti, da renderlo sconveniente nel suo complesso.
Altro film del Cinema Italiano, quello con le maiuscole, da mettere in carnet.
E' l'ispettore Rogas che indaga (superbo Lino Ventura), considerato il miglior investigatore dello stato. Presto i sospetti su un uomo che ha subito un errore giudiziario nel quale sono coinvolte tutte le vittime, però quest'uomo pare non avere più un volto, non una foto che lo ritrae è più rintracciabile.
Dal libro "Il contesto" di Leonardo Sciascia, una storia di intrighi, servizi e poteri deviati, depistaggi, intercettazioni telefoniche, ecc..., con chiara ispirazione a fatti di cronaca, dei quali a me è venuto subito alla mente, causa i numerosi alti ufficiali militari che compaiono, il famoso Piano Solo del generale De Lorenzo del 1964.
Ho visto la versione uncut, ma ho letto che all'epoca subì delle censure, non me ne sono ben chiare le ragioni come al censore, fatto sta che il film uscì con qualche taglio e fortemente boicottato nonostante venne premiato ai David per miglior film e miglior sceneggiatura. Ergo: da vedere! E' anche girato con grande cura, ma d'altronde stiamo parlando di Francesco Rosi, già ai tempi tra i registi di riferimento per qualità di fotografia e tempi e modi di ripresa. La storia poi è sviluppata con un crescendo di mistero e tensione, fino al terribile finale che mi spiace non raccontare ma è molto significativo. Lo definirei un giallo a sfondo politico, dove il cinismo del potere è il protagonista indiscusso.
Un momento da sottolineare? L'incontro con uno dei giudici condannati dal misterioso omicida, pezzo grosso del potere giudiziario, che a un certo punto, portando alle sue teorie proprio l'infallibilità del vangelo, arriva a sostenere che "...l'errore giudiziario non esiste così come non esiste errore nel mistero della fede...". Un atteggiamento sconvolgente anche per il realismo con cui appare sostenuta la scena! Pensare alla giustizia che "celebra" la legge così come un prelato celebra messa è spaventoso.
Strano che taluni personaggi contemporanei di gran pessima schiatta quanto potenti, di brianzoli natali e d'altezza pari alla bassezza morale, non adoperino, travisandolo a loro favore ma non sarebbe difficile, questo film con aspetti così critici verso la gestione del potere giudiziario. Forse, faccio un'ipotesi, tutto il resto del film li ricorderebbe troppo su altri aspetti, da renderlo sconveniente nel suo complesso.
Altro film del Cinema Italiano, quello con le maiuscole, da mettere in carnet.
domenica 24 ottobre 2010
Indian - La grande sfida
La "quasi" vera storia di Burt Munro, uno dei personaggi leggendari del motociclismo mondiale, non per gran premi o gare in pista, ma per la passione sfrenata per la sua vecchissima moto e per la velocità.
E' già abbastanza anziano il neozelandese Burt quando realizza il suo sogno: andare negli Stati Uniti all'annuale gara di velocità che si tiene nel lago salato dello Utah, circuito denominato "Bonneville Speedway". Abbigliamento che definire non consono è un eufemismo, casco che nemmeno per uno scooter ora sarebbe omologato, e soprattutto la moto, una Indian degli anni 20, ultramodificata da lui stesso con pezzi autoprodotti compresa un'avveniristica carenatura a forma di pesce, con però telaio, freni e gruppo termico ancora originali. Cito da wiki: "Il record di velocità per motociclette carenate e con cilindrata inferiore a 1000cc - 183,58 mp/h - è stato stabilito nel 1967 dal neozelandese Burt Munro, con una moto Indian 950 2 cilidri a V, modificata. Questo record è tuttora imbattuto.".
Impresa veramente incredibile. Meritava un film.
Magari un film migliore però! Tutta la prima parte, prima dell'arrivo a Bonneville, è un'apologia retorica e spaccaballe come ne ho viste poche di peggiori, una di quelle biografie fatte a frasette indimenticabili ed aforismi più o meno scontati. Donaldson ha dichiarato di averci lavorato 20anni a realizzare questo film (figuriamoci quelli che ci ha lavorato meno che roba sono!); troppi forse, la voglia di creare un mito gli ha fatto salire la scimmia e come spesso accade, la strada dell'errore è lastricata da buone intenzioni. Io, e parlo da motociclista qual sono e fui, non ci credo che Burt era il tipo che ci è stato spacciato, lo vedo più come un sognatore concreto, poche chiacchiere e tanti fatti, un tipo con un chiodo fisso in testa, non come una specie di predicatore.
Storia quindi che definisco Quasi vera. La prima parte si guarda per gli aspetti biografici, importanti. Poi però, finalmente, si arriva a Bonneville, alla Polpa, e qua il discorso diventa molto più interessante. Finalmente si vive, con la giusta enfasi, l'impresa di Burt, emozionante e commovente a prescindere dalla regia, di per sé. Ottime le scene di ripresa delle prove di velocità, questo va riconosciuto.
L'ho guardato per curiosità storica, vicenda simpatica ed interessante. I primi 3/4 del film si potevano fare in molto meno tempo o comunque con più qualità. Il finale ripaga della visione.
E' già abbastanza anziano il neozelandese Burt quando realizza il suo sogno: andare negli Stati Uniti all'annuale gara di velocità che si tiene nel lago salato dello Utah, circuito denominato "Bonneville Speedway". Abbigliamento che definire non consono è un eufemismo, casco che nemmeno per uno scooter ora sarebbe omologato, e soprattutto la moto, una Indian degli anni 20, ultramodificata da lui stesso con pezzi autoprodotti compresa un'avveniristica carenatura a forma di pesce, con però telaio, freni e gruppo termico ancora originali. Cito da wiki: "Il record di velocità per motociclette carenate e con cilindrata inferiore a 1000cc - 183,58 mp/h - è stato stabilito nel 1967 dal neozelandese Burt Munro, con una moto Indian 950 2 cilidri a V, modificata. Questo record è tuttora imbattuto.".
Impresa veramente incredibile. Meritava un film.
Magari un film migliore però! Tutta la prima parte, prima dell'arrivo a Bonneville, è un'apologia retorica e spaccaballe come ne ho viste poche di peggiori, una di quelle biografie fatte a frasette indimenticabili ed aforismi più o meno scontati. Donaldson ha dichiarato di averci lavorato 20anni a realizzare questo film (figuriamoci quelli che ci ha lavorato meno che roba sono!); troppi forse, la voglia di creare un mito gli ha fatto salire la scimmia e come spesso accade, la strada dell'errore è lastricata da buone intenzioni. Io, e parlo da motociclista qual sono e fui, non ci credo che Burt era il tipo che ci è stato spacciato, lo vedo più come un sognatore concreto, poche chiacchiere e tanti fatti, un tipo con un chiodo fisso in testa, non come una specie di predicatore.
Storia quindi che definisco Quasi vera. La prima parte si guarda per gli aspetti biografici, importanti. Poi però, finalmente, si arriva a Bonneville, alla Polpa, e qua il discorso diventa molto più interessante. Finalmente si vive, con la giusta enfasi, l'impresa di Burt, emozionante e commovente a prescindere dalla regia, di per sé. Ottime le scene di ripresa delle prove di velocità, questo va riconosciuto.
L'ho guardato per curiosità storica, vicenda simpatica ed interessante. I primi 3/4 del film si potevano fare in molto meno tempo o comunque con più qualità. Il finale ripaga della visione.
sabato 23 ottobre 2010
Reazione a catena (aka Ecologia del delitto) - Bay of Blood
Avevo promesso che per Bava avrei scelto alla fine cosa mettere nell'Olimpo, ma qua la tentazione è stata fortissima! E questo basti a dire cosa penso di questo portento di film, per il momento doverosamente nei Cult.
La quantità di colpi di scena, le numerose e in qualche caso raccapriccianti scene di violenza (è considerato uno dei primi slasher in assoluto), una trama dove nessuno ne esce fuori "moralmente" bene ed anzi tutta l'umanità che ci viene mostrata è in qualche modo assassina o folle, bambini compresi. Pure il primo nudo integrale nei suoi film, che non è fine a se stesso (e anche se lo fosse andrebbe benissimo!) ma utile a produrre uno splendido momento terrifico, anche 2 omicidi altamente spettacolari uno dei quali su 2 vittime in pieno amplesso.
Della trama non dico nulla, ne sbocconcello un po' nei frame sottostanti, ormai componente immancabile nelle recensioni dedicate al Maestro dell'Horror. Il titolo è perfetto!, mettendo insieme quello italiano e quello internazionale. "Baia" indica il tipo di ambientazione dove si svolge l'intera vicenda, "Reazione a catena" è la sequenza di situazioni che dicevo prima, dove ogni personaggio può rivelare aspetti sani ed insani nel volgere di breve tempo, prendendo decisioni che si riveleranno Sempre ed Esclusivamente dettate da feroce egoismo ed ambizione. In questo film i "buoni" sono assenti, tranne, forse, tra i molti cadaveri. Il finale, innocente e spietato, un omicidio per gioco ma reale, è un Capolavoro.
Mi affascina ma anche sfugge il senso del secondo titolo con cui è noto in Italia, "Ecologia del delitto", lo stesso termine Ecologia non è che nel 1971 era sulla bocca di tutti come oggi.
Io, che con presunzione comincio a considerarmi un discreto Bavista/Bavofilo, penso di poter affermare senza dubbi che questo è il primo film dove ho visto il Vero Mario Bava, (quasi) senza veli e senza freni, che comincia a fare quello che realmente desidera e che solo una morale dei tempi ancora un po' retrograda, non solo in italia intendiamoci, ancora non gli permette di andare oltre, ma si avvicina al suo top, e molto. Cosa farebbe uno come lui oggi? Sarebbe quasi da solo a competere coi grandi orientali del genere, quasi un uno contro tutti, e terrebbe testa, ne sono certo.
VISIONE OBBLIGATORIA!
La quantità di colpi di scena, le numerose e in qualche caso raccapriccianti scene di violenza (è considerato uno dei primi slasher in assoluto), una trama dove nessuno ne esce fuori "moralmente" bene ed anzi tutta l'umanità che ci viene mostrata è in qualche modo assassina o folle, bambini compresi. Pure il primo nudo integrale nei suoi film, che non è fine a se stesso (e anche se lo fosse andrebbe benissimo!) ma utile a produrre uno splendido momento terrifico, anche 2 omicidi altamente spettacolari uno dei quali su 2 vittime in pieno amplesso.
Della trama non dico nulla, ne sbocconcello un po' nei frame sottostanti, ormai componente immancabile nelle recensioni dedicate al Maestro dell'Horror. Il titolo è perfetto!, mettendo insieme quello italiano e quello internazionale. "Baia" indica il tipo di ambientazione dove si svolge l'intera vicenda, "Reazione a catena" è la sequenza di situazioni che dicevo prima, dove ogni personaggio può rivelare aspetti sani ed insani nel volgere di breve tempo, prendendo decisioni che si riveleranno Sempre ed Esclusivamente dettate da feroce egoismo ed ambizione. In questo film i "buoni" sono assenti, tranne, forse, tra i molti cadaveri. Il finale, innocente e spietato, un omicidio per gioco ma reale, è un Capolavoro.
Mi affascina ma anche sfugge il senso del secondo titolo con cui è noto in Italia, "Ecologia del delitto", lo stesso termine Ecologia non è che nel 1971 era sulla bocca di tutti come oggi.
Io, che con presunzione comincio a considerarmi un discreto Bavista/Bavofilo, penso di poter affermare senza dubbi che questo è il primo film dove ho visto il Vero Mario Bava, (quasi) senza veli e senza freni, che comincia a fare quello che realmente desidera e che solo una morale dei tempi ancora un po' retrograda, non solo in italia intendiamoci, ancora non gli permette di andare oltre, ma si avvicina al suo top, e molto. Cosa farebbe uno come lui oggi? Sarebbe quasi da solo a competere coi grandi orientali del genere, quasi un uno contro tutti, e terrebbe testa, ne sono certo.
VISIONE OBBLIGATORIA!
venerdì 22 ottobre 2010
Missing - Scomparso
Uno dei pochi casi che ha messo d'accordo Cannes e Hollywood nei premi.
Film famosissimo, prendo il plot essenziale dall'ottima pagina wiki:
"La pellicola si basa sulla vicenda del giornalista newyorkese Charles Horman, scomparso in Cile nel settembre 1973, durante il golpe del generale Augusto Pinochet, narrata nel libro The execution of Charles Horman: an American Sacrifice, scritto nel 1978 da Thomas Hauser. La storia si sviluppa mostrando i tentativi del padre e della moglie di Horman (interpretati rispettivamente da Jack Lemmon e Sissy Spacek) di conoscere la verità sulla sorte di Charles".
Una storia vera, volutamente criptata perché come dichiara il film all'inizio s'è fatto in modo di evitare il più possibile che per qualsiasi cavillo legale l'opera dovesse subire censure. Sapevo di cosa parlava il film, ma per buona parte mi è stato impossibile capire di quale paese si trattasse perché i luoghi citati mi erano sconosciuti. Il ballottaggio era tra Argentina e Cile, questo è ovvio. Prima ancora di pronunciare la parolina Santiago però, a un certo punto, si parla di uno stadio di calcio utilizzato come luogo di detenzione, e lì i dubbi sono spariti: si parlava appunto del colpo di stato cileno operato dal generale pinochet (disprezzo e infamia a lui, eterni!) e dai militari ai suoi ordini (stessi tributi), praticamente tutti suoi fedelissimi, l'11 settembre 1973, col quale destituirono Salvador Allende.
Non mi metto certo a raccontare quello che è stato quel golpe, e i molti anni di dittatura a seguire, terminati solo nel 1990. Si trovano molte pagine nel web che ne parlano esaustivamente. Parlo del film.
Il golpe è illustrato al completo, partendo dalla storia del protagonista scomparso che se vogliamo è un privilegiato (americano, padre imprenditore con amicizie influenti, conoscenze con giornalisti importanti): violenze e brutalità dei primi giorni nelle strade, torture, processi ed omicidi sommari, la detenzione allo stadio ma anche e soprattutto, perché lì le indagini del padre e della moglie di Charles portano, intrighi internazionali e coinvolgimento a pieno titolo degli Stati Uniti nell'impresa. Dire coinvolgimento non è nemmeno esatto, in realtà militari ed agenti segreti americani sono protagonisti ed artefici di quanto avvenuto, sia addestrando ed aiutando nell'organizzazione il futuro dittatore cileno, sia con partecipazione attiva alle manovre, dimostrata com'è la loro presenza agli interrogatori con torture ai quali seguiva praticamente sempre la morte del sequestrato. Sono fatti oggi incontestabili, non so dire quanto lo fossero nel 1982. E' un film (e un libro) di grandissima denuncia.
Se non fosse per la Verità raccontata, lo si potrebbe guardare anche più semplicemente come un meraviglioso ed inquietante giallo a sfondo politico. La figura magnificamente interpretata da Jack Lemmon (uno dei più grandi attori di tutti i tempi) è di quelle che ultimamente sono rivalutate in diversi film, l'eroe preso da persone comuni, carico di sete di verità e giustizia anche se, come il personaggio stesso dice, spronata da un bisogno intimo personale, non da alti scopi e principi umanitari, caratteristica quest'ultima che egli scoprirà esserci nello stesso figlio che tanto criticava prima per idealismo e scarso pragmatismo, scoperta che lo porterà ad ammirarlo ed esserne orgoglioso.
Forte, anzi fortissimo nelle scene e nel crescendo d'inquietudine generata dai fatti che emergeranno mano a mano che l'indagine prosegue, girato magnificamente da un grande regista che quando ci si mette in questo genere di film è un Maestro (tanto per citarne uno dei suoi, "Z - L'orgia del potere").
Fortissimo anche nelle immagini, come un Film così dev'essere, ché se non si mostra e non si fa capire senza equivoci quanto accaduto, si fallisce!, si finisce per fare come i telegiornali che ti parlano della guerra mostrandoti soldati che marciano, autoblindo che passeggiano, accampamenti che vivacchiano, e te la vaselinano fino in fondo con improbabili sinonimi: missione di pace, umanitaria, ... . FATECI VEDERE I MORTI PERDIO! Voglio vedere i civili ammazzati, dilaniati da bombe e mine, e pure i militari, perché no?, crivellati di colpi. Mostrate la vera faccia della guerra, branco di servi che vi fate chiamare "giornalisti" e non meritate manco il titolo di Uomini, e vediamo poi quanti sono disposti a mandare là i propri figli!
Nel mio Olimpo.
Non posso non citare, per affinità, 2 altri grandi film che ho visto tempo addietro, parlano dell'Argentina: "Garage Olimpo" (regista italiano, con madre cilena e vissuto e trascorsi di vita brasiliani ed argentini) e "La notte delle matite spezzate".
Film famosissimo, prendo il plot essenziale dall'ottima pagina wiki:
"La pellicola si basa sulla vicenda del giornalista newyorkese Charles Horman, scomparso in Cile nel settembre 1973, durante il golpe del generale Augusto Pinochet, narrata nel libro The execution of Charles Horman: an American Sacrifice, scritto nel 1978 da Thomas Hauser. La storia si sviluppa mostrando i tentativi del padre e della moglie di Horman (interpretati rispettivamente da Jack Lemmon e Sissy Spacek) di conoscere la verità sulla sorte di Charles".
Una storia vera, volutamente criptata perché come dichiara il film all'inizio s'è fatto in modo di evitare il più possibile che per qualsiasi cavillo legale l'opera dovesse subire censure. Sapevo di cosa parlava il film, ma per buona parte mi è stato impossibile capire di quale paese si trattasse perché i luoghi citati mi erano sconosciuti. Il ballottaggio era tra Argentina e Cile, questo è ovvio. Prima ancora di pronunciare la parolina Santiago però, a un certo punto, si parla di uno stadio di calcio utilizzato come luogo di detenzione, e lì i dubbi sono spariti: si parlava appunto del colpo di stato cileno operato dal generale pinochet (disprezzo e infamia a lui, eterni!) e dai militari ai suoi ordini (stessi tributi), praticamente tutti suoi fedelissimi, l'11 settembre 1973, col quale destituirono Salvador Allende.
Non mi metto certo a raccontare quello che è stato quel golpe, e i molti anni di dittatura a seguire, terminati solo nel 1990. Si trovano molte pagine nel web che ne parlano esaustivamente. Parlo del film.
Il golpe è illustrato al completo, partendo dalla storia del protagonista scomparso che se vogliamo è un privilegiato (americano, padre imprenditore con amicizie influenti, conoscenze con giornalisti importanti): violenze e brutalità dei primi giorni nelle strade, torture, processi ed omicidi sommari, la detenzione allo stadio ma anche e soprattutto, perché lì le indagini del padre e della moglie di Charles portano, intrighi internazionali e coinvolgimento a pieno titolo degli Stati Uniti nell'impresa. Dire coinvolgimento non è nemmeno esatto, in realtà militari ed agenti segreti americani sono protagonisti ed artefici di quanto avvenuto, sia addestrando ed aiutando nell'organizzazione il futuro dittatore cileno, sia con partecipazione attiva alle manovre, dimostrata com'è la loro presenza agli interrogatori con torture ai quali seguiva praticamente sempre la morte del sequestrato. Sono fatti oggi incontestabili, non so dire quanto lo fossero nel 1982. E' un film (e un libro) di grandissima denuncia.
Se non fosse per la Verità raccontata, lo si potrebbe guardare anche più semplicemente come un meraviglioso ed inquietante giallo a sfondo politico. La figura magnificamente interpretata da Jack Lemmon (uno dei più grandi attori di tutti i tempi) è di quelle che ultimamente sono rivalutate in diversi film, l'eroe preso da persone comuni, carico di sete di verità e giustizia anche se, come il personaggio stesso dice, spronata da un bisogno intimo personale, non da alti scopi e principi umanitari, caratteristica quest'ultima che egli scoprirà esserci nello stesso figlio che tanto criticava prima per idealismo e scarso pragmatismo, scoperta che lo porterà ad ammirarlo ed esserne orgoglioso.
Forte, anzi fortissimo nelle scene e nel crescendo d'inquietudine generata dai fatti che emergeranno mano a mano che l'indagine prosegue, girato magnificamente da un grande regista che quando ci si mette in questo genere di film è un Maestro (tanto per citarne uno dei suoi, "Z - L'orgia del potere").
Fortissimo anche nelle immagini, come un Film così dev'essere, ché se non si mostra e non si fa capire senza equivoci quanto accaduto, si fallisce!, si finisce per fare come i telegiornali che ti parlano della guerra mostrandoti soldati che marciano, autoblindo che passeggiano, accampamenti che vivacchiano, e te la vaselinano fino in fondo con improbabili sinonimi: missione di pace, umanitaria, ... . FATECI VEDERE I MORTI PERDIO! Voglio vedere i civili ammazzati, dilaniati da bombe e mine, e pure i militari, perché no?, crivellati di colpi. Mostrate la vera faccia della guerra, branco di servi che vi fate chiamare "giornalisti" e non meritate manco il titolo di Uomini, e vediamo poi quanti sono disposti a mandare là i propri figli!
Nel mio Olimpo.
Non posso non citare, per affinità, 2 altri grandi film che ho visto tempo addietro, parlano dell'Argentina: "Garage Olimpo" (regista italiano, con madre cilena e vissuto e trascorsi di vita brasiliani ed argentini) e "La notte delle matite spezzate".
giovedì 21 ottobre 2010
Pinuccio Lovero - Sogno di una morte di mezza estate
Normalmente, chi è un filo superstizioso, a chi lavora in cimiteri o pompe funebri dispensa saluti del tipo "più tardi ci vediamo meglio è" o giù di lì, magari facendo corna e stracorna con le mani dietro la schiena. Pinuccio Lovero invece, custode a livello cimiteriale (come lui si definisce) a Mariotto,
mercoledì 20 ottobre 2010
Up in the Air - Tra le nuvole
Bingham vive più su aerei, aeroporti e quindi alberghi per dormire che a casa. Sempre in giro per gli Stati Uniti, svolge da anni con abilità e professionalità riconosciuta un mestiere veramente ingrato: licenzia persone.
Lavora per una società di consulenza che fornisce proprio questo servizio alle aziende clienti, cioè comunicare in nome e per conto loro ai dipendenti che vogliono licenziare che sono stati appunto "congedati", con quali modalità, quanto preavviso, ecc... . In poche parole: sono "tagliatori di teste". Stupisce un mestiere del genere? Non dovrebbe, ricordiamoci che siamo in America.
Apro una piccola Parente a riguardo.
Alla fine degli yuppiessimi anni 80 lavoravo come consulente informatico, tra i miei clienti la sede italiana di una famosissima multinazionale americana (che mi guardo bene dal citare). La cosa curiosa era che questa, unico caso che mi è capitato di conoscere ancora oggi, era priva di ufficio del personale, nemmeno un addetto, e non parlo di un'aziendina con poche decine di dipendenti. Tutte le funzioni di questo ufficio, praticamente indispensabile ovunque, erano esternalizzate in uno studio di consulenti. Perché? Non ci ho messo molto a capirlo.
Chiusa la Parente.
Anche se in America licenziare in tronco senza patemi è permesso più o meno ovunque perlomeno nel settore privato, metterci la faccia personalmente è sempre imbarazzante, magari con un dipendente che lavora con te da una vita e che perderà non solo il lavoro, ma anche l'assistenza sanitaria per sé e per i figli. L'imbarazzo poi fa perdere tempo. Meglio quindi pagare un "sicario" che provvede alla cosa e Bingham è bravissimo, sa consolare, cercare qualcosa di positivo da dire ai malcapitati, fare le giuste facce per l'occasione. Scopriremo che ripete sempre le stesse frasi, segue un protocollo privo o quasi di eccezioni, al punto che una nuova collega molto rampante penserà di poter effettuare questi licenziamenti telematicamente in video-collegamento, da una parte il condannato dall'altra il sicario.
Ho parlato fin troppo del binario principale della trama, aspetto ovviamente centrale. C'è poi l'altro binario, quello che riguarda la vita personale di Bingham, un curioso nomade di extra-lusso che vive in un mondo quasi virtuale, dominato dal possesso di carte di credito e fidelity per tutti i servizi che un professionista del suo genere e calibro necessita. Persino la sua massima ambizione sarà di raggiungere, totalizzando 10 milioni di miglia di volo, il possesso di una carta estremamente esclusiva. Relazioni umane ridotte quasi a zero, amori occasionali, conferenziere su come ottimizzare il bagaglio del perfetto viaggiatore. Personaggio allucinante interpretato alla grande da George Clooney, che a un certo momento, causa la rampante con lui a fare pratica, le nozze di una sorella ed una donna della quale comincerà ad innamorarsi, tentennerà, dal suo mondo iper-programmato e perfetto, e lì per qualche minuto ho temuto che questo ottimo film scadesse nel retorico e c'è andato molto vicino, avevo tutti i recettori di retorica in stato di allerta, poi fortunatamente...
Reitman ci sa fare, c'è un montaggio fantastico, una splendida colonna sonora con anche un pezzo originale molto particolare, raccomando di non fermarsi al comparire dei titoli di coda, riservano una sorpresa. Tratto da un romanzo, il regista ha anche co-prodotto la sceneggiatura, molto bella, una storia sempre in presa, mai un calo e tanti, tantissimi momenti di dialogo interessanti, parole sempre decise e pesate mai casuali, pragmatismo (ed umorismo) di stampo anglosassone. Al termine hai una sensazione di azzurro nelle pupille e pensandoci è un colore che domina sempre, non solo nelle riprese dall'oblò dell'aereo.
Sono riuscito a scrivere uno sproloquio di roba raccontando poco del film mi pare, bene direi allora, mi fermo qua, a me per ricordarmelo basta, a chi legge mi auguro invogli a vederlo, lo merita proprio.
Lavora per una società di consulenza che fornisce proprio questo servizio alle aziende clienti, cioè comunicare in nome e per conto loro ai dipendenti che vogliono licenziare che sono stati appunto "congedati", con quali modalità, quanto preavviso, ecc... . In poche parole: sono "tagliatori di teste". Stupisce un mestiere del genere? Non dovrebbe, ricordiamoci che siamo in America.
Apro una piccola Parente a riguardo.
Alla fine degli yuppiessimi anni 80 lavoravo come consulente informatico, tra i miei clienti la sede italiana di una famosissima multinazionale americana (che mi guardo bene dal citare). La cosa curiosa era che questa, unico caso che mi è capitato di conoscere ancora oggi, era priva di ufficio del personale, nemmeno un addetto, e non parlo di un'aziendina con poche decine di dipendenti. Tutte le funzioni di questo ufficio, praticamente indispensabile ovunque, erano esternalizzate in uno studio di consulenti. Perché? Non ci ho messo molto a capirlo.
Chiusa la Parente.
Anche se in America licenziare in tronco senza patemi è permesso più o meno ovunque perlomeno nel settore privato, metterci la faccia personalmente è sempre imbarazzante, magari con un dipendente che lavora con te da una vita e che perderà non solo il lavoro, ma anche l'assistenza sanitaria per sé e per i figli. L'imbarazzo poi fa perdere tempo. Meglio quindi pagare un "sicario" che provvede alla cosa e Bingham è bravissimo, sa consolare, cercare qualcosa di positivo da dire ai malcapitati, fare le giuste facce per l'occasione. Scopriremo che ripete sempre le stesse frasi, segue un protocollo privo o quasi di eccezioni, al punto che una nuova collega molto rampante penserà di poter effettuare questi licenziamenti telematicamente in video-collegamento, da una parte il condannato dall'altra il sicario.
Ho parlato fin troppo del binario principale della trama, aspetto ovviamente centrale. C'è poi l'altro binario, quello che riguarda la vita personale di Bingham, un curioso nomade di extra-lusso che vive in un mondo quasi virtuale, dominato dal possesso di carte di credito e fidelity per tutti i servizi che un professionista del suo genere e calibro necessita. Persino la sua massima ambizione sarà di raggiungere, totalizzando 10 milioni di miglia di volo, il possesso di una carta estremamente esclusiva. Relazioni umane ridotte quasi a zero, amori occasionali, conferenziere su come ottimizzare il bagaglio del perfetto viaggiatore. Personaggio allucinante interpretato alla grande da George Clooney, che a un certo momento, causa la rampante con lui a fare pratica, le nozze di una sorella ed una donna della quale comincerà ad innamorarsi, tentennerà, dal suo mondo iper-programmato e perfetto, e lì per qualche minuto ho temuto che questo ottimo film scadesse nel retorico e c'è andato molto vicino, avevo tutti i recettori di retorica in stato di allerta, poi fortunatamente...
Reitman ci sa fare, c'è un montaggio fantastico, una splendida colonna sonora con anche un pezzo originale molto particolare, raccomando di non fermarsi al comparire dei titoli di coda, riservano una sorpresa. Tratto da un romanzo, il regista ha anche co-prodotto la sceneggiatura, molto bella, una storia sempre in presa, mai un calo e tanti, tantissimi momenti di dialogo interessanti, parole sempre decise e pesate mai casuali, pragmatismo (ed umorismo) di stampo anglosassone. Al termine hai una sensazione di azzurro nelle pupille e pensandoci è un colore che domina sempre, non solo nelle riprese dall'oblò dell'aereo.
Sono riuscito a scrivere uno sproloquio di roba raccontando poco del film mi pare, bene direi allora, mi fermo qua, a me per ricordarmelo basta, a chi legge mi auguro invogli a vederlo, lo merita proprio.
martedì 19 ottobre 2010
La classe operaia va in paradiso
Il grande Volonté stavolta interpreta un operaio in una fabbrica della Lombardia, Ludovico, nel pieno degli anni delle lotte per ottenere contratti nazionali di lavoro, le 8 ore, ecc..., in una definizione: lo Statuto dei Lavoratori.
Sono anni in cui si lavora a fisso più cottimo, ogni secondo di lavoro al tornio deve essere ottimizzato per produrre quanti più pezzi possibile. Capireparto, cronometro alla mano, vigilano sugli operai in continuo ed ogni tanto vengono ridefiniti gli standard produttivi, quelli oltre i quali scatta il pagamento a cottimo. Una vita abbastanza infernale, noi "lavoratori moderni" fatichiamo ad immaginarla. Mio padre me l'ha raccontata più volte in passato e vederla così descritta m'ha suscitato una certa emozione.
Ludovico è uno stacanovista, il migliore nella produzione, lavora a ritmi vertiginosi nonostante il fisico debilitato dal lavoro nella precedente fabbrica di vernici. Col cottimo raddoppia quasi lo stipendio base e riesce a mantenere qualche vizio a sé ed alla famiglia attuale, anche se non molla uno sghello a moglie e figlio del precedente matrimonio. Cinico, poco affabile coi colleghi che lo odiano perché a causa sua chiedono anche a loro di sovraprodurre, paga con l'impotenza un prezzo alto al suo lavorare, ne è cosciente, ma solo quando perderà l'indice di una mano vicino al tornio comprenderà appieno la sua condizione di sfruttato, gettandosi nella lotta sindacale, con metodi fin più duri di quelli consigliati dai confederati... e il resto lo lascio alla visione.
L'ansia di mostrare tanto e di più ha prodotto un film forte, poetico in alcuni momenti che poi sottolineerò, ma anche un po' di situazioni poco approfondite. Sarebbe dovuto durare molto di più, e ne avrei goduto appieno, avremmo toccato l'Olimpo probabilmente, invece stavolta il buon Elio Petri si deve accontentare della sezione Cult. Ad esempio avrei tanto voluto capire meglio la situazione con la ex moglie di Ludovico, un separato della prima generazione se pensiamo che la legge Fortuna-Baslini entrò in vigore solo nel dicembre 1970, e se ci aggiungiamo il fatto che parliamo di un operaio e che le separazioni ancora oggi sono lunghe e costose ed a maggior ragione allora, era una vicenda che da sola poteva onorare una pellicola. Tante le cose da raccontare quindi ed Elio non ne salta una, solo che, purtroppo, se le fa in parte sfuggire.
Un aspetto che pochi forse conoscono era quello degli studenti universitari che andavano fuori dalle fabbriche a fare propaganda per la sinistra con proclami particolarmente oltranzisti ("alla violenza dei padroni si risponde con la violenza operaia!" urlavano, tra le varie) e fortemente improntati all'ideologia dura e pura, spesso contro i sindacati "ufficiali" considerati troppo morbidi.
Scusatemi, ma qua non posso evitare una personalissima boutade, assolutamente extra recensione, il buon Elio non c'entra: Che personaggi che erano!, quegli studenti... non discuto la loro passione e sincerità, quelle ognuno le conosce dentro di sé, e nemmeno voglio generalizzare, ma fa sorridere che buona parte di loro erano quelli che io, figlio incazzato d'operaio incazzato, allora chiamavo "figli di papà" (gli studenti universitari "proletari" erano pochini e spesso lavoravano per mantenersi agli studi come ha fatto chi scrive, altro che andare davanti alle fabbriche coi megafoni!). C'era la situazione, "comica" in potenza, che l'ingegnere che ti massacrava di lavoro in officina aveva il figlio fuori che ti esortava a protestare e ribellarti. Peccato che poi le ritorsioni ricadevano tutte sull'operaio, che perdeva spesso il lavoro e lo studente invece, pur avendo faticato ad urlare e a sventolare bandiere, se ne tornava in aula a studiare e papino e mammina a casa da mangiare non glielo facevano certo mancare. Mi sono sfogato un po' su questo, è che ai miei tempi questi studenti "impegnati" mi facevano montare in bestia. In alcuni casi si sono persino arrogati il merito delle conquiste sociali, qua tocchiamo l'apogeo del delirio. Gli riconosco, nei casi "sani", impegno e fervore sociale, che vorrei vedere ancora oggi tra gli studenti ed invece pare completamente assente, però diciamolo, chi s'è conquistato quel poco che in questi giorni si vuole mettere in discussione pesantemente sono stati gli operai! (cito, per memoria futura non per discuterne in questa sede, le "modernissime" novità introdotte da Marchionne in Fiat a partire da Pomigliano d'Arco: disconoscimento del CCNL dei Metalmeccanici, "bella mossa" a cui ha fatto prono seguito confindustria).
Così la penso, questa è stata la mia esperienza e tutt'oggi la mia interpretazione. In troppi casi il comportamento di studenti (ed intellettuali), certamente mosso da buoni propositi ed inconsapevolmente colpevole (voglio fare uno sforzo di comprensione) s'è tradotto in un "armiamoci e andate", atteggiamento da lasciare in esclusiva a ben altri ed infausti personaggi e culture politiche. Tranne uno, il mai abbastanza lodato Pasolini, gli Dei lo abbiano in gloria, ne ho parlato QUA e non mi ripeto.
Fine della boutade.
Il film si concede una splendida e poetica allegoria, quella di un operaio ricoverato in un manicomio. La sua pazzia? Origina dal lavoro, da quel modo delirante di portare gli uomini alla frenesia produttiva, all'essere trattati alla stregua delle macchine che devono manovrare. Ludovico lo va a trovare spesso quell'uomo, gli chiede tante cose, anche lui ha paura d'impazzire. Un momento bellissimo del film, di chiara invenzione ma perfetto nel suo senso e significato.
Un particolare importantissimo: viene sottolineato il bisogno primario, per un uomo, di conoscere il frutto del lavoro che fa, un valore umano. "A che serve il pezzo che produco e ne produco a centinaia, migliaia, sempre lo stesso pezzo?" questa la domanda. L'IVA entrò in vigore nel 1973 ma già il lavoro era fortemente suddiviso e frazionato. E' vero, verissimo: produrre un pezzetto di qualcosa e non sapere a che serve, cosa contribuirà a fare come prodotto e quindi come bene per la collettività, è molto frustrante! Non c'era quindi solo una pessima condizione economica e di protezione sociale, c'era anche uno svilimento profondo della dignità dell'uomo.
Mi fermo qua, avrò altri film per altri argomenti a riguardo, non vorrei esaurirli tutti ora. Fantastico film, e che bel titolo che ha. Mi ha fatto venire in mente un tale, uomo a cui non sono devoto ma certamente persona rispettabile, che diceva qualcosa a riguardo di un cammello, la cruna di un ago...
Adoro Elio Petri e ne vedrò certamente altri.
Sono anni in cui si lavora a fisso più cottimo, ogni secondo di lavoro al tornio deve essere ottimizzato per produrre quanti più pezzi possibile. Capireparto, cronometro alla mano, vigilano sugli operai in continuo ed ogni tanto vengono ridefiniti gli standard produttivi, quelli oltre i quali scatta il pagamento a cottimo. Una vita abbastanza infernale, noi "lavoratori moderni" fatichiamo ad immaginarla. Mio padre me l'ha raccontata più volte in passato e vederla così descritta m'ha suscitato una certa emozione.
Ludovico è uno stacanovista, il migliore nella produzione, lavora a ritmi vertiginosi nonostante il fisico debilitato dal lavoro nella precedente fabbrica di vernici. Col cottimo raddoppia quasi lo stipendio base e riesce a mantenere qualche vizio a sé ed alla famiglia attuale, anche se non molla uno sghello a moglie e figlio del precedente matrimonio. Cinico, poco affabile coi colleghi che lo odiano perché a causa sua chiedono anche a loro di sovraprodurre, paga con l'impotenza un prezzo alto al suo lavorare, ne è cosciente, ma solo quando perderà l'indice di una mano vicino al tornio comprenderà appieno la sua condizione di sfruttato, gettandosi nella lotta sindacale, con metodi fin più duri di quelli consigliati dai confederati... e il resto lo lascio alla visione.
L'ansia di mostrare tanto e di più ha prodotto un film forte, poetico in alcuni momenti che poi sottolineerò, ma anche un po' di situazioni poco approfondite. Sarebbe dovuto durare molto di più, e ne avrei goduto appieno, avremmo toccato l'Olimpo probabilmente, invece stavolta il buon Elio Petri si deve accontentare della sezione Cult. Ad esempio avrei tanto voluto capire meglio la situazione con la ex moglie di Ludovico, un separato della prima generazione se pensiamo che la legge Fortuna-Baslini entrò in vigore solo nel dicembre 1970, e se ci aggiungiamo il fatto che parliamo di un operaio e che le separazioni ancora oggi sono lunghe e costose ed a maggior ragione allora, era una vicenda che da sola poteva onorare una pellicola. Tante le cose da raccontare quindi ed Elio non ne salta una, solo che, purtroppo, se le fa in parte sfuggire.
Un aspetto che pochi forse conoscono era quello degli studenti universitari che andavano fuori dalle fabbriche a fare propaganda per la sinistra con proclami particolarmente oltranzisti ("alla violenza dei padroni si risponde con la violenza operaia!" urlavano, tra le varie) e fortemente improntati all'ideologia dura e pura, spesso contro i sindacati "ufficiali" considerati troppo morbidi.
Scusatemi, ma qua non posso evitare una personalissima boutade, assolutamente extra recensione, il buon Elio non c'entra: Che personaggi che erano!, quegli studenti... non discuto la loro passione e sincerità, quelle ognuno le conosce dentro di sé, e nemmeno voglio generalizzare, ma fa sorridere che buona parte di loro erano quelli che io, figlio incazzato d'operaio incazzato, allora chiamavo "figli di papà" (gli studenti universitari "proletari" erano pochini e spesso lavoravano per mantenersi agli studi come ha fatto chi scrive, altro che andare davanti alle fabbriche coi megafoni!). C'era la situazione, "comica" in potenza, che l'ingegnere che ti massacrava di lavoro in officina aveva il figlio fuori che ti esortava a protestare e ribellarti. Peccato che poi le ritorsioni ricadevano tutte sull'operaio, che perdeva spesso il lavoro e lo studente invece, pur avendo faticato ad urlare e a sventolare bandiere, se ne tornava in aula a studiare e papino e mammina a casa da mangiare non glielo facevano certo mancare. Mi sono sfogato un po' su questo, è che ai miei tempi questi studenti "impegnati" mi facevano montare in bestia. In alcuni casi si sono persino arrogati il merito delle conquiste sociali, qua tocchiamo l'apogeo del delirio. Gli riconosco, nei casi "sani", impegno e fervore sociale, che vorrei vedere ancora oggi tra gli studenti ed invece pare completamente assente, però diciamolo, chi s'è conquistato quel poco che in questi giorni si vuole mettere in discussione pesantemente sono stati gli operai! (cito, per memoria futura non per discuterne in questa sede, le "modernissime" novità introdotte da Marchionne in Fiat a partire da Pomigliano d'Arco: disconoscimento del CCNL dei Metalmeccanici, "bella mossa" a cui ha fatto prono seguito confindustria).
Così la penso, questa è stata la mia esperienza e tutt'oggi la mia interpretazione. In troppi casi il comportamento di studenti (ed intellettuali), certamente mosso da buoni propositi ed inconsapevolmente colpevole (voglio fare uno sforzo di comprensione) s'è tradotto in un "armiamoci e andate", atteggiamento da lasciare in esclusiva a ben altri ed infausti personaggi e culture politiche. Tranne uno, il mai abbastanza lodato Pasolini, gli Dei lo abbiano in gloria, ne ho parlato QUA e non mi ripeto.
Fine della boutade.
Il film si concede una splendida e poetica allegoria, quella di un operaio ricoverato in un manicomio. La sua pazzia? Origina dal lavoro, da quel modo delirante di portare gli uomini alla frenesia produttiva, all'essere trattati alla stregua delle macchine che devono manovrare. Ludovico lo va a trovare spesso quell'uomo, gli chiede tante cose, anche lui ha paura d'impazzire. Un momento bellissimo del film, di chiara invenzione ma perfetto nel suo senso e significato.
Un particolare importantissimo: viene sottolineato il bisogno primario, per un uomo, di conoscere il frutto del lavoro che fa, un valore umano. "A che serve il pezzo che produco e ne produco a centinaia, migliaia, sempre lo stesso pezzo?" questa la domanda. L'IVA entrò in vigore nel 1973 ma già il lavoro era fortemente suddiviso e frazionato. E' vero, verissimo: produrre un pezzetto di qualcosa e non sapere a che serve, cosa contribuirà a fare come prodotto e quindi come bene per la collettività, è molto frustrante! Non c'era quindi solo una pessima condizione economica e di protezione sociale, c'era anche uno svilimento profondo della dignità dell'uomo.
Mi fermo qua, avrò altri film per altri argomenti a riguardo, non vorrei esaurirli tutti ora. Fantastico film, e che bel titolo che ha. Mi ha fatto venire in mente un tale, uomo a cui non sono devoto ma certamente persona rispettabile, che diceva qualcosa a riguardo di un cammello, la cruna di un ago...
Adoro Elio Petri e ne vedrò certamente altri.
lunedì 18 ottobre 2010
Grotesque
C'è molto, ma proprio molto poco da dire su un film del genere. Che genere? Horror splatter d'inusitata violenza gratuita. Nessun altro scopo: rappresentazione di torture quasi fine a sé stessa. Ho chiarito subito, così chi non gradisce 'ste cose può interrompere qua la lettura.
Come ci sono arrivato a questo film? Tutta colpa dell'amico vitone, che non me l'ha consigliato per la verità, solo lo ha citato commentando la mia sceneggiatura horror che compare in handyfobia, un articolo che ho scritto su Fanfare.
Che poi dovrei dire Merito più che Colpa al bravo vitone! Io il film, con molta leggerezza, perfetto per distrarmi ed assentare i neuroni da compiti impegnativi, me lo sono goduto in tutto relax, ormai "ho il pelo" come si dice, tra l'altro tra questo e il mio articolo non so davvero quale sia il peggiore, propendo per il mio torturatore, decisamente più scientifico e spietato di questo, anche se qua c'è un personaggio di indubbie qualità mediche.
Tanto per menzionare la trama: un sadico rapisce un coppietta di giovani ed inizia a torturarli. Solo suo tormentone psicologico è chiedere ad entrambi se sono disposti a morire per l'altro/a, lui deve provare eccitazione percependo la loro voglia di vivere ed amarsi pur nella consapevolezza che moriranno fatti a pezzi. Li taglia e li cura pure, poi darà loro una tregua in una specie di camera d'ospedale promettendogli liberà, solo che...
Devo dire che se in handyfobia il torturatore aveva un motivo di vendetta forte e motivante, qua solo alla fine emergerà qualcosa ma sarà abbastanza pretestuoso, solo che posso anche dire chissenefrega, non era nelle mie aspettative chissà quale piacere intellettuale da questo film! Ottime a mio parere alcune torture come fantasia e tecnica rappresentativa, ed estremamente coerente col titolo la fine che faranno tutti e 3, un po' da fumetto, m'ha pure strappato una risata. I chiodi nello scroto invece m'hanno istintivamente causato atteggiamento protettivo verso il basso ventre, quando si toccano quelle "zone" un po' di immedesimazione è inevitabile.
Va be', penso di aver reso abbastanza l'idea del film in questione, non sto a consigliare o meno. Se ci si diverte con questo genere e per gustarsi un buon piatto di bollito e mostarda vista la stagione, che accompagno per il dolce contorno con del marsala secco, val bene la visione.
Come ci sono arrivato a questo film? Tutta colpa dell'amico vitone, che non me l'ha consigliato per la verità, solo lo ha citato commentando la mia sceneggiatura horror che compare in handyfobia, un articolo che ho scritto su Fanfare.
Che poi dovrei dire Merito più che Colpa al bravo vitone! Io il film, con molta leggerezza, perfetto per distrarmi ed assentare i neuroni da compiti impegnativi, me lo sono goduto in tutto relax, ormai "ho il pelo" come si dice, tra l'altro tra questo e il mio articolo non so davvero quale sia il peggiore, propendo per il mio torturatore, decisamente più scientifico e spietato di questo, anche se qua c'è un personaggio di indubbie qualità mediche.
Tanto per menzionare la trama: un sadico rapisce un coppietta di giovani ed inizia a torturarli. Solo suo tormentone psicologico è chiedere ad entrambi se sono disposti a morire per l'altro/a, lui deve provare eccitazione percependo la loro voglia di vivere ed amarsi pur nella consapevolezza che moriranno fatti a pezzi. Li taglia e li cura pure, poi darà loro una tregua in una specie di camera d'ospedale promettendogli liberà, solo che...
Devo dire che se in handyfobia il torturatore aveva un motivo di vendetta forte e motivante, qua solo alla fine emergerà qualcosa ma sarà abbastanza pretestuoso, solo che posso anche dire chissenefrega, non era nelle mie aspettative chissà quale piacere intellettuale da questo film! Ottime a mio parere alcune torture come fantasia e tecnica rappresentativa, ed estremamente coerente col titolo la fine che faranno tutti e 3, un po' da fumetto, m'ha pure strappato una risata. I chiodi nello scroto invece m'hanno istintivamente causato atteggiamento protettivo verso il basso ventre, quando si toccano quelle "zone" un po' di immedesimazione è inevitabile.
Va be', penso di aver reso abbastanza l'idea del film in questione, non sto a consigliare o meno. Se ci si diverte con questo genere e per gustarsi un buon piatto di bollito e mostarda vista la stagione, che accompagno per il dolce contorno con del marsala secco, val bene la visione.
domenica 17 ottobre 2010
Un uomo da bruciare
Esordio subito vincente dei fratelli Taviani - miglior opera prima a Venezia e riconoscimenti della critica - insieme ad un altro regista politicamente sensibile ed impegnato, Valentino Orsini. Una storia drammatica liberamente ispirata alla vita di Salvatore Carnevale.
Dopo una breve permanenza a Roma, Salvatore tornò a Sciara, paese d'origine in provincia di Palermo, ed operò in prima linea come sindacalista e contadino per ottenere le terre del feudo che la riforma agraria aveva appena dato loro diritto di utilizzare ed alla cui distribuzione, manco a dirlo, personaggi che Salvatore già chiamava Mafia si opponevano. Devo proseguire col racconto della trama?
Purtroppo è un copione che noi italiani conosciamo bene e che in ogni caso, proprio in quanto italiani, dovremmo ripassare e ripassare e ripassare. Bianco e nero poetico e carico di emozione (ci sono delle scene in campo aperto spettacolari), col solito Volonté per il quale non ci sono aggettivi, attore che ha onorato la nostra cinematografia.
Non ho molto da dire se non che è una storia forte, intensa e d'esempio. La solitudine di Salvatore in certi momenti mi ha molto ricordato un altro eccellente personaggio, Peppino Impastato, splendidamente ritratto nel film I Cento Passi. Anche qua, come nel film di Giordana, non siamo di fronte ad un'opera da interpretare o discutere più di tanto in termini cinefili: va dritto al punto e senza scorciatoie o compromessi. Il miglior commento "cinefilo" che si può fare è: grazie regista, hai reso onore ad un grande personaggio con un'opera degna, con l'Arte, e non facendo della fetida fiction retorico-celebrativa.
C'è stato un breve momento che mi ha proprio scosso!, quando si rivolge alla madre dicendo semplicemente "ma che sono io? che faccio?" spiegando come meglio non poteva, con una domanda, che la sua vita non aveva senso se non lottava per i suoi ideali di giustiza, e la risposta della madre, laconica e conservativa, fu "fai quello che fanno gli altri! ti credi d'essere Gesù Cristo?". Un piccolo scambio il cui valore e senso, poco prima della fine del film, è carico di tutta la storia che lo precede e non lascia indifferenti.
Proprio una piccola meraviglia del Cinema Italiano.
Dopo una breve permanenza a Roma, Salvatore tornò a Sciara, paese d'origine in provincia di Palermo, ed operò in prima linea come sindacalista e contadino per ottenere le terre del feudo che la riforma agraria aveva appena dato loro diritto di utilizzare ed alla cui distribuzione, manco a dirlo, personaggi che Salvatore già chiamava Mafia si opponevano. Devo proseguire col racconto della trama?
Purtroppo è un copione che noi italiani conosciamo bene e che in ogni caso, proprio in quanto italiani, dovremmo ripassare e ripassare e ripassare. Bianco e nero poetico e carico di emozione (ci sono delle scene in campo aperto spettacolari), col solito Volonté per il quale non ci sono aggettivi, attore che ha onorato la nostra cinematografia.
Non ho molto da dire se non che è una storia forte, intensa e d'esempio. La solitudine di Salvatore in certi momenti mi ha molto ricordato un altro eccellente personaggio, Peppino Impastato, splendidamente ritratto nel film I Cento Passi. Anche qua, come nel film di Giordana, non siamo di fronte ad un'opera da interpretare o discutere più di tanto in termini cinefili: va dritto al punto e senza scorciatoie o compromessi. Il miglior commento "cinefilo" che si può fare è: grazie regista, hai reso onore ad un grande personaggio con un'opera degna, con l'Arte, e non facendo della fetida fiction retorico-celebrativa.
C'è stato un breve momento che mi ha proprio scosso!, quando si rivolge alla madre dicendo semplicemente "ma che sono io? che faccio?" spiegando come meglio non poteva, con una domanda, che la sua vita non aveva senso se non lottava per i suoi ideali di giustiza, e la risposta della madre, laconica e conservativa, fu "fai quello che fanno gli altri! ti credi d'essere Gesù Cristo?". Un piccolo scambio il cui valore e senso, poco prima della fine del film, è carico di tutta la storia che lo precede e non lascia indifferenti.
Proprio una piccola meraviglia del Cinema Italiano.
sabato 16 ottobre 2010
The Shout - L'australiano
Inghilterra. In una specie di casa di cura per malati mentali si svolge una partita di cricket, tra degenti ed esterni, durante la quale uno dei ricoverati, tale Crossley, addetto al punteggio racconterà una sua esperienza di vita all'altro addetto, un giovane ospite. Il pretesto sarà la presenza sul campo di gioco di un altro ospite, Anthony, e Crossley gli spiegherà cosa li lega.
Anthony era sposato con Rachel, vivevano in una casa isolata in una zona marittima. Crossley, che poi si rivelerà essere vissuto 18 anni tra gli aborigeni australiani, con fare misterioso s'insedierà nella loro casa, prima con un banale invito a pranzo, poi parlando sempre più della sua esperienza australiana, durante la quale ha appreso pratiche stregonesche particolari tra cui quella di essere in grado di emettere un particolare Urlo in grado di uccidere esseri viventi in un largo raggio intorno a sé. Anthony ne è particolarmente attratto pur non credendoci, perché essendo lui un musicista che ama fare ricerche su suoni di ogni genere, è molto curioso di sentirlo. Ci sarà un'esibizione su una spiaggia e solo l'uso dei tappi lo salverà. Da quel momento però il misterioso Crossley si rivelerà per quello che è e per le intenzioni che ha, che non piaceranno ad Anthony... e il resto ve lo lascio godere.
Con atmosfere rarefatte, il film (girato da un polacco, ma inglese più che mai) è sospeso per buona parte in un'aria di mistero e magia che affascina ed ipnotizza. Quando torna ogni tanto al tempo reale della partita, fermando per un attimo il racconto in flashback, ci si ricorda che dopo tutto a raccontare tutta la storia è un malato mentale. Il finale non risolverà completamente una serie di dubbi, anzi rincarerà la dose.
Non so dire quanto rispetti il racconto di Robert Graves da cui è tratto, ma chi lo ha letto sostiene che è un'ottima trasposizione. Sicuramente è un film che per quanto breve intriga, e a me ha lasciato uno strano retrogusto: questa curiosa vicinanza sostanziale tra presunta malattia mentale e la magia-stregoneria, in un'accezione che non stacca di netto dal mondo reale, come se quello appunto magico (o malato) in fondo non sia altro che un diverso punto di vista, dove i fatti appaiono consequenziali seppure su un altro piano logico di causa-effetto.
Sicuramente un film da non perdere, molto originale.
Certe volte le casualità... solo pochi giorni fa ho recensito un altro film che parla di Australia e di aborigeni: L'ultima onda.
Non posso non menzionare, con lode, colonna sonora e suoni curati da 2 miei miti, Tony Banks e Mike Rutherford, rispettivamente tastierista e chitarrista di uno dei gruppi musicali con cui sono cresciuto da ragazzo: i Genesis.
Anthony era sposato con Rachel, vivevano in una casa isolata in una zona marittima. Crossley, che poi si rivelerà essere vissuto 18 anni tra gli aborigeni australiani, con fare misterioso s'insedierà nella loro casa, prima con un banale invito a pranzo, poi parlando sempre più della sua esperienza australiana, durante la quale ha appreso pratiche stregonesche particolari tra cui quella di essere in grado di emettere un particolare Urlo in grado di uccidere esseri viventi in un largo raggio intorno a sé. Anthony ne è particolarmente attratto pur non credendoci, perché essendo lui un musicista che ama fare ricerche su suoni di ogni genere, è molto curioso di sentirlo. Ci sarà un'esibizione su una spiaggia e solo l'uso dei tappi lo salverà. Da quel momento però il misterioso Crossley si rivelerà per quello che è e per le intenzioni che ha, che non piaceranno ad Anthony... e il resto ve lo lascio godere.
Con atmosfere rarefatte, il film (girato da un polacco, ma inglese più che mai) è sospeso per buona parte in un'aria di mistero e magia che affascina ed ipnotizza. Quando torna ogni tanto al tempo reale della partita, fermando per un attimo il racconto in flashback, ci si ricorda che dopo tutto a raccontare tutta la storia è un malato mentale. Il finale non risolverà completamente una serie di dubbi, anzi rincarerà la dose.
Non so dire quanto rispetti il racconto di Robert Graves da cui è tratto, ma chi lo ha letto sostiene che è un'ottima trasposizione. Sicuramente è un film che per quanto breve intriga, e a me ha lasciato uno strano retrogusto: questa curiosa vicinanza sostanziale tra presunta malattia mentale e la magia-stregoneria, in un'accezione che non stacca di netto dal mondo reale, come se quello appunto magico (o malato) in fondo non sia altro che un diverso punto di vista, dove i fatti appaiono consequenziali seppure su un altro piano logico di causa-effetto.
Sicuramente un film da non perdere, molto originale.
Certe volte le casualità... solo pochi giorni fa ho recensito un altro film che parla di Australia e di aborigeni: L'ultima onda.
Non posso non menzionare, con lode, colonna sonora e suoni curati da 2 miei miti, Tony Banks e Mike Rutherford, rispettivamente tastierista e chitarrista di uno dei gruppi musicali con cui sono cresciuto da ragazzo: i Genesis.
venerdì 15 ottobre 2010
Il rosso segno della follia - Hatchet for the Honeymoon
E' l'omicidio di una coppia di sposini in un treno a costituire l'incipit di questo film, decisamente efferato, a colpi di accetta da macellaio. Subito andiamo a conoscere l'assassino, Harrington, che ci parla a noi spettatori, ci dice quante donne ha "accettato", come se ne è liberato, di tutto tranne il perché del suo uccidere seriale.
Uccide donne in procinto di sposarsi o appena sposate. Le sue vittime sono a lui ricollegabili facilmente, in qualche modo hanno avuto a che fare con l'atelier di moda per matrimoni che gestisce a Parigi, e un investigatore lo sospetta senza nasconderglielo, mancano solo le prove...
Horror-Thriller, con le maiuscole volute, di taglio psicologico, se fosse il primo film di Bava mi sperticherei nei complimenti per cura delle immagini (fotografia, giochi luci/ombre), ecc..., film che pare non avere gli anni che ha, ma non è il caso, mi sentirei troppo ripetitivo.
Si sente una sorta di continuità di temi nella trama rispetto a "Operazione paura" nel senso che siamo ancora di fronte ad un misto di situazioni realistiche (il trauma che spiega la particolare mania omicida di Harrington) ed altre paranormali (la presenza asfissiante di un fantasma, una delle vittime) che però poggiano su credenze antiche e moralità "etiche", il famoso Senso di Colpa, ancora molto diffuse a mio parere.
Per un "bavista" come me un vero piacere vederlo. Forse per appassionati, lo consiglio a chiunque abbia interesse anche storico per il Cinema. Anche questo film ha molti espedienti, sia di trama che di ripresa, che han fatto scuola. Lode anche alla colonna sonora originale, musica neutra che non appare come dedicata ad un film di genere e che l'accompagna benissimo, composta da Sante Maria Romitelli.
Uccide donne in procinto di sposarsi o appena sposate. Le sue vittime sono a lui ricollegabili facilmente, in qualche modo hanno avuto a che fare con l'atelier di moda per matrimoni che gestisce a Parigi, e un investigatore lo sospetta senza nasconderglielo, mancano solo le prove...
Horror-Thriller, con le maiuscole volute, di taglio psicologico, se fosse il primo film di Bava mi sperticherei nei complimenti per cura delle immagini (fotografia, giochi luci/ombre), ecc..., film che pare non avere gli anni che ha, ma non è il caso, mi sentirei troppo ripetitivo.
Si sente una sorta di continuità di temi nella trama rispetto a "Operazione paura" nel senso che siamo ancora di fronte ad un misto di situazioni realistiche (il trauma che spiega la particolare mania omicida di Harrington) ed altre paranormali (la presenza asfissiante di un fantasma, una delle vittime) che però poggiano su credenze antiche e moralità "etiche", il famoso Senso di Colpa, ancora molto diffuse a mio parere.
Per un "bavista" come me un vero piacere vederlo. Forse per appassionati, lo consiglio a chiunque abbia interesse anche storico per il Cinema. Anche questo film ha molti espedienti, sia di trama che di ripresa, che han fatto scuola. Lode anche alla colonna sonora originale, musica neutra che non appare come dedicata ad un film di genere e che l'accompagna benissimo, composta da Sante Maria Romitelli.
giovedì 14 ottobre 2010
The Last Wave - L'ultima onda
A Sidney si respira un'aria affatto rassicurante. Eventi meteorologici decisamente inconsueti per il mese di Novembre, piove con grande frequenza ed intensità, addirittura una grandinata con chicchi enormi, tali da spaccare finestre ed uccidere animali da giardino, là dove nemmeno sapevano cose fosse la grandine.
Un aborigeno in città viene trovato morto, apparentemente dopo una colluttazione con altri aborigeni che vengono tutti accusati del fatto, anche se l'autopsia non mostra segni evidenti di violenza. L'avvocato che si ritroverà a ad occuparsi del caso comprenderà di far parte, egli stesso, di una profezia e di riti che hanno radici nelle tradizioni tribali e stregonesche degli aborigeni che difende. Misteri e leggende a dipanatura lenta, nel mentre di piogge di acqua ed anche nere di petrolio, presagi immaginifici e meteorologici, fino ad un finale che confermerà paure e timori dell'avvocato, troppo tardi però per potervi porre rimedio.
Uno strano film, thriller catastrofista senza alcuna catastrofe conclamata. Avrà certamente risparmiato dei gran soldi con gli effetti speciali, nel 1977 c'era poco di che "computergraficare", ma Peter Weir, che è un regista di rara raffinatezza nel creare ambientazioni misteriose, in bilico tra il reale, l'onirico ed il magico, ha realizzato un film che certo non manca di stupire ed affascinare pur non essendo un capolavoro all'altezza di "Picnic ad Hanging Rock".
Io me lo sono goduto e lo consiglio certamente, l'importante è non attendersi adrenalina o spaventi, tanto meno ritmi vertiginosi.
Interessante qualche aspetto della cultura aborigena che emerge e di come sia stata gradualmente, ed alla meno peggio, integrata in quella del colonizzatore anglosassone. Mi ha anche colpito il fatto che le tradizioni tribali costituissero giurisprudenza con valenza riconosciuta nei tribunali ordinari, seppur in determinate condizioni; era una cosa che non sapevo e che in un certo senso trovo ammirevole.
Un aborigeno in città viene trovato morto, apparentemente dopo una colluttazione con altri aborigeni che vengono tutti accusati del fatto, anche se l'autopsia non mostra segni evidenti di violenza. L'avvocato che si ritroverà a ad occuparsi del caso comprenderà di far parte, egli stesso, di una profezia e di riti che hanno radici nelle tradizioni tribali e stregonesche degli aborigeni che difende. Misteri e leggende a dipanatura lenta, nel mentre di piogge di acqua ed anche nere di petrolio, presagi immaginifici e meteorologici, fino ad un finale che confermerà paure e timori dell'avvocato, troppo tardi però per potervi porre rimedio.
Uno strano film, thriller catastrofista senza alcuna catastrofe conclamata. Avrà certamente risparmiato dei gran soldi con gli effetti speciali, nel 1977 c'era poco di che "computergraficare", ma Peter Weir, che è un regista di rara raffinatezza nel creare ambientazioni misteriose, in bilico tra il reale, l'onirico ed il magico, ha realizzato un film che certo non manca di stupire ed affascinare pur non essendo un capolavoro all'altezza di "Picnic ad Hanging Rock".
Io me lo sono goduto e lo consiglio certamente, l'importante è non attendersi adrenalina o spaventi, tanto meno ritmi vertiginosi.
Interessante qualche aspetto della cultura aborigena che emerge e di come sia stata gradualmente, ed alla meno peggio, integrata in quella del colonizzatore anglosassone. Mi ha anche colpito il fatto che le tradizioni tribali costituissero giurisprudenza con valenza riconosciuta nei tribunali ordinari, seppur in determinate condizioni; era una cosa che non sapevo e che in un certo senso trovo ammirevole.
mercoledì 13 ottobre 2010
La ley del deseo - La legge del desiderio
La storia di 2 amori, con elemento centrale Pablo, regista cinematografico. Ha un relazione da tempo, variabilmente corrisposta, col giovane Juan ed un'altra recente, dopo la partenza di Juan, con Antonio.
A completare il quadro, al solito poco usuale dei "ritratti" di Almodovar, Tina, la sorella di Pablo, più o meno attrice di professione, che da piccola in realtà era suo fratello, la quale ha in affido di fatto una bambina, quest'ultima innamoratissima di Pablo.
Antonio si rivelerà particolarmente possessivo verso Pablo e violento verso chi o cosa costituisce minaccia verso la relazione che vuole esclusiva e da un fatto piuttosto grave nasceranno una serie di eventi... questa la trama essenziale.
In realtà il film, visto nel mio elenco cronologicamente disordinato dei film del regista spagnolo, risulta sembrare un puzzle di cose già viste, col particolare però che è stato fatto prima di quelle che ho già visto, quindi sotto l'aspetto della trama mi ha comunicato poco. Sempre bellissime, d'un livello che pare non conoscere età, le scene, con una qualità di ripresa ed immagini che contraddistingue questo regista in assoluto.
Il titolo è perfetto e calzante nel descrivere il film e il suo significato. Tutti i personaggi, compresa la bambina, hanno un'unica Vera Legge a cui obbedire fatalmente, non loro malgrado bensì consciamente e volontariamente, che è l'Amore, e Almodovar è tra i grandi maestri della rappresentazione di questo sentimento. Il modo in cui è descritto abbraccia parimenti aspetti carnali e spirituali del nobile sentimento, senza moralismi né retorica, ed è un modo con cui ti spiazza, c'è sempre una qualche situazione nei suoi film che ti mette in difficoltà se hai qualche "rigidità", come le effusioni ed i rapporti sessuali omo che in questo film abbondano, oppure situazioni familiari definiamole "atipiche". Io non sono esente dalle rigidità citate, non ho difficoltà ad ammetterlo, e considero i suoi film un buon esercizio per ammorbidirle se possibile.
Bello, un film che contiene diversi generi, con momenti persino comici, altri drammatici, poi un giallo. C'è di tutto e merita la visione. Se non s'è visto ancora nulla di Almodovar lo consiglio prima di vedere gli altri prodotti successivamente.
A completare il quadro, al solito poco usuale dei "ritratti" di Almodovar, Tina, la sorella di Pablo, più o meno attrice di professione, che da piccola in realtà era suo fratello, la quale ha in affido di fatto una bambina, quest'ultima innamoratissima di Pablo.
Antonio si rivelerà particolarmente possessivo verso Pablo e violento verso chi o cosa costituisce minaccia verso la relazione che vuole esclusiva e da un fatto piuttosto grave nasceranno una serie di eventi... questa la trama essenziale.
In realtà il film, visto nel mio elenco cronologicamente disordinato dei film del regista spagnolo, risulta sembrare un puzzle di cose già viste, col particolare però che è stato fatto prima di quelle che ho già visto, quindi sotto l'aspetto della trama mi ha comunicato poco. Sempre bellissime, d'un livello che pare non conoscere età, le scene, con una qualità di ripresa ed immagini che contraddistingue questo regista in assoluto.
Il titolo è perfetto e calzante nel descrivere il film e il suo significato. Tutti i personaggi, compresa la bambina, hanno un'unica Vera Legge a cui obbedire fatalmente, non loro malgrado bensì consciamente e volontariamente, che è l'Amore, e Almodovar è tra i grandi maestri della rappresentazione di questo sentimento. Il modo in cui è descritto abbraccia parimenti aspetti carnali e spirituali del nobile sentimento, senza moralismi né retorica, ed è un modo con cui ti spiazza, c'è sempre una qualche situazione nei suoi film che ti mette in difficoltà se hai qualche "rigidità", come le effusioni ed i rapporti sessuali omo che in questo film abbondano, oppure situazioni familiari definiamole "atipiche". Io non sono esente dalle rigidità citate, non ho difficoltà ad ammetterlo, e considero i suoi film un buon esercizio per ammorbidirle se possibile.
Bello, un film che contiene diversi generi, con momenti persino comici, altri drammatici, poi un giallo. C'è di tutto e merita la visione. Se non s'è visto ancora nulla di Almodovar lo consiglio prima di vedere gli altri prodotti successivamente.
martedì 12 ottobre 2010
Aprile
Un Moretti che non ha le idee chiare su che film fare racconta di un Moretti che non ha le idee chiare su che film fare. Potrei chiudere la recensione qua, crogiolandomi su una frase.
E' l'ultimo film della mia rassegna in ordine cronologico di produzione, con la quale ho completato i suoi lungometraggi. Ho cominciato dal'inizio, mentre i successivi "La stanza del figlio" ed "Il Caimano" li avevo già recensiti tempo addietro. Non mi resta che aspettare "Habemus Papam", commedia prevista per il 2011 già per Cannes.
Non intendo liquidare Aprile con quelle 2 righe, diciamo però che davvero di tutto quanto ho visto del Nanni questo è certamente il meno riuscito, non perché non sia gradevole intendiamoci, ma certo è privo di originalità (ad eccezione del finale) e ricco per contro di richiami autoreferenziali (ancora la vespa con cui va in giro...).
Grande merito invece, dal mio punto di vista, d'aver descritto il disastroso degrado politico dal nascere, del quale ancora continuiamo a pagare le conseguenze. Il film comincia descrivendo la vittoria del noto imprenditore televisivo italiano alle elezioni del 1994. Per 2 anni, fino al 1996 quando vincerà Prodi, Moretti s'intestardirà nel voler realizzare un documentario sull'italia, abbandonando il musical che aveva in corso d'opera. Inconcludenza d'indole, unita alla novità del figlio appena nato, non faranno completare il documentario e dopo la vittoria della sinistra tornerà al musical. Bellissima, veramente splendida, la scena del finale danzante, questo va detto! Dai Nanni, facci un musical veramente, completo, sei bravissimo.
E' l'ultimo film della mia rassegna in ordine cronologico di produzione, con la quale ho completato i suoi lungometraggi. Ho cominciato dal'inizio, mentre i successivi "La stanza del figlio" ed "Il Caimano" li avevo già recensiti tempo addietro. Non mi resta che aspettare "Habemus Papam", commedia prevista per il 2011 già per Cannes.
Non intendo liquidare Aprile con quelle 2 righe, diciamo però che davvero di tutto quanto ho visto del Nanni questo è certamente il meno riuscito, non perché non sia gradevole intendiamoci, ma certo è privo di originalità (ad eccezione del finale) e ricco per contro di richiami autoreferenziali (ancora la vespa con cui va in giro...).
Grande merito invece, dal mio punto di vista, d'aver descritto il disastroso degrado politico dal nascere, del quale ancora continuiamo a pagare le conseguenze. Il film comincia descrivendo la vittoria del noto imprenditore televisivo italiano alle elezioni del 1994. Per 2 anni, fino al 1996 quando vincerà Prodi, Moretti s'intestardirà nel voler realizzare un documentario sull'italia, abbandonando il musical che aveva in corso d'opera. Inconcludenza d'indole, unita alla novità del figlio appena nato, non faranno completare il documentario e dopo la vittoria della sinistra tornerà al musical. Bellissima, veramente splendida, la scena del finale danzante, questo va detto! Dai Nanni, facci un musical veramente, completo, sei bravissimo.
lunedì 11 ottobre 2010
Combat Shock
Dopo aver visto questa meraviglia, non potevo credere a quel che leggevo su wiki: "Il film fu girato con un budget di 40.000 dollari e fu presentato da Buddy Giovinazzo come tesi di laurea, con il titolo American Nightmares. Successivamente fu acquistato dalla Troma, che lo produsse e lo distribuì nel mercato home video, cambiando il titolo in Combat Shock e modificando la locandina in modo da farlo sembrare un film alla Rambo."
Alla faccia della tesi di laurea!
Incubi americani o shock da combattimento, entrambi i titoli sono ottimi visto la storia. Frankie Dunlan è un reduce del Vietnam. Il film parte con immagini di repertorio di combattimenti miste a quelle di Frankie che vaga smarrito e traumatizzato prima d'essere fatto prigioniero. Con vari flashback scopriremo che è stato prigioniero dei vietcong per 2 anni non certo idilliaci, poi un anno d'ospedale prima di tornare alla vita civile.
Non che lo attendesse questa gran vita, vista la situazione a distanza di qualche anno.
In un quartieraccio di New York, casa che va in pezzi, disoccupato, moglie e figlio (e che figlio! deforme causa effetto dell'Agente Arancio inalato dal padre) che non hanno da mangiare, gli stanno tagliando i servizi essenziali ché non paga le bollette. Prima d'uscire di casa alla disperata ricerca di denaro pure una bella lettera di sfratto immediato.
Ci godremo una giornata memorabile del buon Frankie, tra ricordi del vietnam che ritornano e il peggio dello squallore suburbano che si possa immaginare, Giovinazzo non ci farà mancare proprio nulla. Frankie è davvero un brav'uomo, sbandato e scarrellato ma onesto, solo che il posto è quel che è, un serraglio di diseredati e dimenticati dalla fortuna. Il periodo poi che viene ritratto è uno dei momenti di deregulation capitalista peggiori nella storia degli Stati Uniti, la scena dell'ufficio di collocamento è d'un deprimente e scoraggiante che si fatica ad immaginare, e realista.
Sceneggiatura scarna quanto concreta, frasi dirette senza giri di parole. Attori amatoriali anche se Rick Giovinazzo, va detto, l'ho trovato bravissimo nella parte di Frankie. C'è un grande equilibrio ed il film fila con una progressione agli inferi a velocità precisa e costante, in un'aria di disperazione che passa tra il Vietnam ed il tempo reale senza stacco, fino all'accelerazione per un finale che completerà la sensazione di shock, veramente fantastico, lo pensi dall'inizio che potrebbe accadere quello che accade eppure ti sorprende ugualmente.
Buddy ha attinto a piene mani dai familiari e da sé stesso, nel casting e nello staff in generale. Lui è attore, sceneggiatore, regista e produttore. Poi ci ha lavorato Rick come attore protagonista e compositore delle musiche che non sono niente male. C'è anche Jerry anche lui attore, e forse mi sono perso qualche altro Giovinazzo.
Da non perdere, sconvolgente, tra i miei Cult senza indugi.
Una delle tante perle che mi consiglia Napoleone Wilson, che ringrazio.
Alla faccia della tesi di laurea!
Incubi americani o shock da combattimento, entrambi i titoli sono ottimi visto la storia. Frankie Dunlan è un reduce del Vietnam. Il film parte con immagini di repertorio di combattimenti miste a quelle di Frankie che vaga smarrito e traumatizzato prima d'essere fatto prigioniero. Con vari flashback scopriremo che è stato prigioniero dei vietcong per 2 anni non certo idilliaci, poi un anno d'ospedale prima di tornare alla vita civile.
Non che lo attendesse questa gran vita, vista la situazione a distanza di qualche anno.
In un quartieraccio di New York, casa che va in pezzi, disoccupato, moglie e figlio (e che figlio! deforme causa effetto dell'Agente Arancio inalato dal padre) che non hanno da mangiare, gli stanno tagliando i servizi essenziali ché non paga le bollette. Prima d'uscire di casa alla disperata ricerca di denaro pure una bella lettera di sfratto immediato.
Ci godremo una giornata memorabile del buon Frankie, tra ricordi del vietnam che ritornano e il peggio dello squallore suburbano che si possa immaginare, Giovinazzo non ci farà mancare proprio nulla. Frankie è davvero un brav'uomo, sbandato e scarrellato ma onesto, solo che il posto è quel che è, un serraglio di diseredati e dimenticati dalla fortuna. Il periodo poi che viene ritratto è uno dei momenti di deregulation capitalista peggiori nella storia degli Stati Uniti, la scena dell'ufficio di collocamento è d'un deprimente e scoraggiante che si fatica ad immaginare, e realista.
Sceneggiatura scarna quanto concreta, frasi dirette senza giri di parole. Attori amatoriali anche se Rick Giovinazzo, va detto, l'ho trovato bravissimo nella parte di Frankie. C'è un grande equilibrio ed il film fila con una progressione agli inferi a velocità precisa e costante, in un'aria di disperazione che passa tra il Vietnam ed il tempo reale senza stacco, fino all'accelerazione per un finale che completerà la sensazione di shock, veramente fantastico, lo pensi dall'inizio che potrebbe accadere quello che accade eppure ti sorprende ugualmente.
Buddy ha attinto a piene mani dai familiari e da sé stesso, nel casting e nello staff in generale. Lui è attore, sceneggiatore, regista e produttore. Poi ci ha lavorato Rick come attore protagonista e compositore delle musiche che non sono niente male. C'è anche Jerry anche lui attore, e forse mi sono perso qualche altro Giovinazzo.
Da non perdere, sconvolgente, tra i miei Cult senza indugi.
Una delle tante perle che mi consiglia Napoleone Wilson, che ringrazio.
domenica 10 ottobre 2010
Les rivieres Pourpres - I fiumi di porpora
Nelle meravigliose Alpi francesi c'è un paese, Guernon, sede di una rinomatissima quanto isolata università, dove verrà rinvenuto un cadavere estremamente malconcio, un uomo sottoposto a truci torture prima del colpo finale ed abbandonato in un luogo accessibile solo ad alpinisti capaci.
Da Parigi arriverà ad indagare un famoso investigatore, Niemans (il sempre ottimo Jean Reno, lo adoro dai tempi di Nikita).
In quegli stessi giorni e sempre lì la tomba di una bambina morta tragicamente a 10 anni verrà profanata, sulla cappelletta svastiche tracciate. Della bambina spariscono anche i documenti nella scuola che aveva frequentato. Su questo indagherà un tenente della gendarmeria locale, Kerkerian (Vincent Cassel, ottimo anche lui).
Niemans seguirà la sua indagine che si muoverà soprattutto nella misteriosa ed ermetica università che somiglia più ad un villaggio autarchico che ad un ateneo. Kerkerian scaverà nella vita del paese, legatissimo all'università ed orgoglioso del proprio isolamento, altro ambiente ricco di sottoboschi oscuri. Verso metà film i 2 detective incroceranno i loro percorsi, scoprendo di essere al lavoro su un unico ed inquietante mistero. Altre morti misteriose e sempre di brutale cruenza aumenteranno il mistero, sono tutti personaggi che ruotano intorno all'università...
Un più che dignitoso thriller d'azione con 2 star di grido in ottima forma. Bellissima l'ambientazione, scene sulle montagne in particolare notevolissime anche per la cura dei suoni. Kassovitz, il cui capolavoro rimane "L'odio", ci sa davvero fare, consiglio decisamente la visione del film.
Il difetto della pellicola per una volta è la sua durata. 116' non sono pochi in assoluto solo che alla fine risultano insufficienti a dipanare una quantità notevole di argomenti che la trama metteva a disposizione, cosa che sorprende visto che la sceneggiatura è opera dello stesso autore dell'omonimo libro, Jean-Christophe Grangé. Non è che il libro ha lo stesso problema? Quell'università è un luogo d'invenzione geniale, con al suo interno menti malate quanto dotate. Vengono fuori questioni filosofiche, di eugenetica, apologie del nazismo, ce n'era per fare almeno 3h di film senza annoiarsi.
Peccato insomma, tra trama, scene, azione e tutto poteva toccare l'Olimpo volendo. So che c'è un sequel, curato da Luc Besson, ma devo ancora indagarlo.
Da Parigi arriverà ad indagare un famoso investigatore, Niemans (il sempre ottimo Jean Reno, lo adoro dai tempi di Nikita).
In quegli stessi giorni e sempre lì la tomba di una bambina morta tragicamente a 10 anni verrà profanata, sulla cappelletta svastiche tracciate. Della bambina spariscono anche i documenti nella scuola che aveva frequentato. Su questo indagherà un tenente della gendarmeria locale, Kerkerian (Vincent Cassel, ottimo anche lui).
Niemans seguirà la sua indagine che si muoverà soprattutto nella misteriosa ed ermetica università che somiglia più ad un villaggio autarchico che ad un ateneo. Kerkerian scaverà nella vita del paese, legatissimo all'università ed orgoglioso del proprio isolamento, altro ambiente ricco di sottoboschi oscuri. Verso metà film i 2 detective incroceranno i loro percorsi, scoprendo di essere al lavoro su un unico ed inquietante mistero. Altre morti misteriose e sempre di brutale cruenza aumenteranno il mistero, sono tutti personaggi che ruotano intorno all'università...
Un più che dignitoso thriller d'azione con 2 star di grido in ottima forma. Bellissima l'ambientazione, scene sulle montagne in particolare notevolissime anche per la cura dei suoni. Kassovitz, il cui capolavoro rimane "L'odio", ci sa davvero fare, consiglio decisamente la visione del film.
Il difetto della pellicola per una volta è la sua durata. 116' non sono pochi in assoluto solo che alla fine risultano insufficienti a dipanare una quantità notevole di argomenti che la trama metteva a disposizione, cosa che sorprende visto che la sceneggiatura è opera dello stesso autore dell'omonimo libro, Jean-Christophe Grangé. Non è che il libro ha lo stesso problema? Quell'università è un luogo d'invenzione geniale, con al suo interno menti malate quanto dotate. Vengono fuori questioni filosofiche, di eugenetica, apologie del nazismo, ce n'era per fare almeno 3h di film senza annoiarsi.
Peccato insomma, tra trama, scene, azione e tutto poteva toccare l'Olimpo volendo. So che c'è un sequel, curato da Luc Besson, ma devo ancora indagarlo.
sabato 9 ottobre 2010
Il piccolo fuggitivo
Ben 3 registi accreditati per questa piccola perla del passato che, riporto dal Morandini, "È uno dei primi manifesti teorici e pratici del New American Cinema sull'uso del cine-occhio come strumento di esplorazione della realtà.". Importante rifarsi alle note bibbie dei cinefili quando si "incontrano" film storici come questo. Ashley in realtà è ideatore e sceneggiatore, la Orkin montatrice e Engel, che si è fatto realizzare anche una 35mm portatile appositamente per girarlo, il vero e proprio regista.
Un plot semplicissimo: una donna di (mi pare) Brooklyn, vedova, deve andare dalla madre ed assentarsi 24h. Lascia i 2 figli a casa, il più grande quasi adolescente ha l'incarico di occuparsi del piccolo Joey. Per uno scherzo, di pessimo gusto del fratello maggiore, Joey scapperà ed andrà a Coney Island, località famosa per la spiaggia ed il luna-park fastosissimo (rinomato ancora oggi) e qui, tra giochi e bagnanti, vivrà una sua piccola avventura fino al giorno dopo... e il resto lo lascio alla visione.
Occhio della mdp a volte nell'occhio del bambino, interpretato da un bravissimo Richie Andrusco; altre volte ripreso quasi in stile documentaristico, spesso da vicino alla sua altezza, dove il mondo dei grandi assume una prospettiva che gli adulti stessi dimenticano d'aver avuto, talmente lontana nella propria vita. Il "villaggio dei balocchi" tutto sommato ne esce bene, il bambino viene sì abbastanza ignorato ma anche trattato ovunque con rispetto, è un'osservazione che faccio anche se non è qui il cuore della storia. Il punto centrale è la rappresentazione di un dramma vissuto da un bambino, in una sostanziale anche se non reale condizione di solitudine irrisolvibile, nei suoi tentativi di stigmatizzare la sofferenza stessa.
Musica molto minimale all'armonica, strumento in qualche modo protagonista anche della trama. M'è piaciuta molto, mi ha ricordato quella dei pianisti dei Cinema di inizio dell'arte, che accompagnavano in diretta le immagini durante le proiezioni. Segue fedele le emozioni e la trama del singolo istante, più che una vera e propria armonia.
Vinse il Leone d'argento alla 14ª Mostra di Venezia. Imperdibile.
Un plot semplicissimo: una donna di (mi pare) Brooklyn, vedova, deve andare dalla madre ed assentarsi 24h. Lascia i 2 figli a casa, il più grande quasi adolescente ha l'incarico di occuparsi del piccolo Joey. Per uno scherzo, di pessimo gusto del fratello maggiore, Joey scapperà ed andrà a Coney Island, località famosa per la spiaggia ed il luna-park fastosissimo (rinomato ancora oggi) e qui, tra giochi e bagnanti, vivrà una sua piccola avventura fino al giorno dopo... e il resto lo lascio alla visione.
Occhio della mdp a volte nell'occhio del bambino, interpretato da un bravissimo Richie Andrusco; altre volte ripreso quasi in stile documentaristico, spesso da vicino alla sua altezza, dove il mondo dei grandi assume una prospettiva che gli adulti stessi dimenticano d'aver avuto, talmente lontana nella propria vita. Il "villaggio dei balocchi" tutto sommato ne esce bene, il bambino viene sì abbastanza ignorato ma anche trattato ovunque con rispetto, è un'osservazione che faccio anche se non è qui il cuore della storia. Il punto centrale è la rappresentazione di un dramma vissuto da un bambino, in una sostanziale anche se non reale condizione di solitudine irrisolvibile, nei suoi tentativi di stigmatizzare la sofferenza stessa.
Musica molto minimale all'armonica, strumento in qualche modo protagonista anche della trama. M'è piaciuta molto, mi ha ricordato quella dei pianisti dei Cinema di inizio dell'arte, che accompagnavano in diretta le immagini durante le proiezioni. Segue fedele le emozioni e la trama del singolo istante, più che una vera e propria armonia.
Vinse il Leone d'argento alla 14ª Mostra di Venezia. Imperdibile.
venerdì 8 ottobre 2010
Operazione paura - Kill, baby... kill!
Pronti via, in un villaggio di non so dove, quando si viaggiava in carrozza a tiro di cavalli, urla disperate di una donna che apparentemente si suicida gettandosi sugli spuntoni d'una ringhiera. E partono i titoli di testa. Arriverà un medico, chiamato per svolgere un'autopsia da un ispettore, quest'ultimo insospettito dalle troppe morti per suicidio in quel paese dimenticato da dio e da tutti.
Tutti i morti sono comunissime persone che improvvisamente vengono colte come da un raptus. Lentamente emergerà che sul paese incombe una fatale maledizione legata alla tragica morte di una bambina di una ricca famiglia, Melissa Graps, la quale coi poteri di medium della madre ancora in vita, torna tra i vivi e nel momento in cui qualcuno viene guardato da lei impazzisce.
In soli 80' e ad una velocità senza affanni si sbroglia una storia piena di richiami a parecchi argomenti che poi ad un horror fanno molto sugo. Isolamento geografico, superstizione, religiosità fanatica, magia nera... c'è molto.
C'è invece poco horror per come oggi l'intendiamo, pochissimo sangue e le scene cruente più immaginate che riprese. E' un film che vuole far paura, terrorizzare. C'è tantissima cura per suoni e soprattutto immagini, una specie di summa del Bava che ho visto fino ad ora: superlativo. Commento proprio qualche frame, per essere più chiaro.
Tutti i morti sono comunissime persone che improvvisamente vengono colte come da un raptus. Lentamente emergerà che sul paese incombe una fatale maledizione legata alla tragica morte di una bambina di una ricca famiglia, Melissa Graps, la quale coi poteri di medium della madre ancora in vita, torna tra i vivi e nel momento in cui qualcuno viene guardato da lei impazzisce.
In soli 80' e ad una velocità senza affanni si sbroglia una storia piena di richiami a parecchi argomenti che poi ad un horror fanno molto sugo. Isolamento geografico, superstizione, religiosità fanatica, magia nera... c'è molto.
C'è invece poco horror per come oggi l'intendiamo, pochissimo sangue e le scene cruente più immaginate che riprese. E' un film che vuole far paura, terrorizzare. C'è tantissima cura per suoni e soprattutto immagini, una specie di summa del Bava che ho visto fino ad ora: superlativo. Commento proprio qualche frame, per essere più chiaro.
giovedì 7 ottobre 2010
Les dimanches de Ville d'Avray - L'uomo senza passato
Pierre è reduce francese del Vietnam. Pilota d'aereo, caduto in azione, s'è salvato miracolosamente ma è traumatizzato e per il resto non ricorda nulla della sua vita.
Vive con Madeleine, l'infermiera che si prese cura di lui, innamorandosene.
Vaga per la cittadina dove vive, spesso va alla stazione ferroviaria per vedere un po' di gente. E' lì che incontra una bambina, Francoise, diretta al pensionato delle suore col padre, il quale nonostante le promesse la abbandonerà. Pierre l'andrà a trovare, e scambiato dalle suore per il padre gli verrà permesso ogni domenica di portare fuori la bambina, che è una dodicenne molto vispa e intelligente, quanto sofferente per la sostanziale condizione di orfana, visto che i genitori pur vivi sono scomparsi dalla sua vita.
Ogni domenica vanno insieme al parco dove c'è un bel lago. Madeleine lavora quei giorni. Tra i 2 s'instaura un'amicizia che non tarda ad attirare l'attenzione, il paese è piccolo e la gente mormora. In realtà tra loro, seppur per ragioni diverse, c'è solo affinità nella solitudine e nel bisogno di crearsi un'identità, e la bambina con la sua gioia e un pizzico di mistero porta Pierre ad una nuova ragione di vita.
Vivono in un loro mondo.
La bambina perché è il solo che le è concesso e Pierre la sola persona amica. Mai un pensiero od un ammiccamento sessuale, nulla di più lontano dai pensieri di entrambi, anche se lei conteggia gli anni che le mancano a diventare maggiorenne per potersi sposare con lui. Pierre è come se volesse ripetere una vita daccapo, ricostruirla dalla fanciullezza pur in un corpo ormai adulto, più che cercare di ricordare chi era. E' felice e gioioso, pare guarito.
Insorgeranno problemi. Una domenica non passata con la bambina sarà il principio, porterà ad un attaccamento ancora più morboso, e a questo punto la storia, vissuta quasi come una fiaba poetica avrà un'impennata di tensione, la loro amicizia riceverà fin troppe attenzioni da parte di altri, ed il finale sarà ancora più triste e drammatico di quanto si comincia a percepire, veramente fortissimo.
Che possibilità ci sono in questo mondo di vivere in una fiaba, di essere non dico capiti e compresi ma perlomeno tollerati? Poche.
Non aggiungo più nulla per non rovinare la visione, consigliatissima, di questo magnifico film più che degno del mio Olimpo, che si ammira per tutto, la trama, l'atmosfera, la qualità di immagini e le 2 splendide interpretazioni dei protagonisti.
Oscar nel 1962 come miglior film straniero, non sente minimamente gli anni trascorsi, perfetto ancora oggi.
Vive con Madeleine, l'infermiera che si prese cura di lui, innamorandosene.
Vaga per la cittadina dove vive, spesso va alla stazione ferroviaria per vedere un po' di gente. E' lì che incontra una bambina, Francoise, diretta al pensionato delle suore col padre, il quale nonostante le promesse la abbandonerà. Pierre l'andrà a trovare, e scambiato dalle suore per il padre gli verrà permesso ogni domenica di portare fuori la bambina, che è una dodicenne molto vispa e intelligente, quanto sofferente per la sostanziale condizione di orfana, visto che i genitori pur vivi sono scomparsi dalla sua vita.
Ogni domenica vanno insieme al parco dove c'è un bel lago. Madeleine lavora quei giorni. Tra i 2 s'instaura un'amicizia che non tarda ad attirare l'attenzione, il paese è piccolo e la gente mormora. In realtà tra loro, seppur per ragioni diverse, c'è solo affinità nella solitudine e nel bisogno di crearsi un'identità, e la bambina con la sua gioia e un pizzico di mistero porta Pierre ad una nuova ragione di vita.
Vivono in un loro mondo.
La bambina perché è il solo che le è concesso e Pierre la sola persona amica. Mai un pensiero od un ammiccamento sessuale, nulla di più lontano dai pensieri di entrambi, anche se lei conteggia gli anni che le mancano a diventare maggiorenne per potersi sposare con lui. Pierre è come se volesse ripetere una vita daccapo, ricostruirla dalla fanciullezza pur in un corpo ormai adulto, più che cercare di ricordare chi era. E' felice e gioioso, pare guarito.
Insorgeranno problemi. Una domenica non passata con la bambina sarà il principio, porterà ad un attaccamento ancora più morboso, e a questo punto la storia, vissuta quasi come una fiaba poetica avrà un'impennata di tensione, la loro amicizia riceverà fin troppe attenzioni da parte di altri, ed il finale sarà ancora più triste e drammatico di quanto si comincia a percepire, veramente fortissimo.
Che possibilità ci sono in questo mondo di vivere in una fiaba, di essere non dico capiti e compresi ma perlomeno tollerati? Poche.
Non aggiungo più nulla per non rovinare la visione, consigliatissima, di questo magnifico film più che degno del mio Olimpo, che si ammira per tutto, la trama, l'atmosfera, la qualità di immagini e le 2 splendide interpretazioni dei protagonisti.
Oscar nel 1962 come miglior film straniero, non sente minimamente gli anni trascorsi, perfetto ancora oggi.
mercoledì 6 ottobre 2010
Caro diario
Probabilmente il film più noto e di maggior successo di Moretti. Anch'io come tanti conobbi il regista con questo film, il primo dei suoi che ho visto, tanti anni fa.
Meno "ostico" degli altri film, meno politico (ma non apolitico, impossibile dato il personaggio) e quindi più adatto a raggiungere anche il grande pubblico, divertente in senso assoluto, sempre con una forte impronta autobiografica seppur dipinta con fantasia, che ha protagonista lo stesso Moretti che interpreta sé stesso stavolta senza l'alias di Apicella. Credo il solo film che compare anche, con buona frequenza, nei palinsesti televisivi dei canali generalisti.
E' diviso in tre episodi, nell'ordine di riproduzione sono: Medici, Isole e In Vespa. Io però, per ragioni puramente di scelta espositiva, li racconterò in ordine inverso.
ep. 3: MEDICI
"I medici sanno parlar bene ma non sanno ascoltare", questa la sentenza definitiva. L'ultimo e terzo episodio, dei 3, è quello più realista e rigorosamente autobiografico, la piccola odissea che Moretti visse in un periodo della sua vita nel quale per mesi soffrì di prurito a gambe e braccia, sudorazioni e dimagrimento. Nelle 8 direzioni in cerca del dermatologo e/o allergologo in grado di capire l'origine del problema, infinità di cure, medicine, shampoo, di tutto un po', prima di capire che si trattava di un tumore, per altro curabilissimo.
Bello ed interessante anche biograficamente, ma cinematograficamente parlando è l'episodio meno ricco (forse volutamente) di trovate, sia nel copione che nelle riprese.
ep. 2: ISOLE
Moretti è in cerca di un luogo tranquillo per portare avanti suoi lavori per un film in preparazione. Si reca a Lipari dall'amico Gerardo, ma l'isola è peggio d'un baccanale, allora con l'amico inizia a girare per le Eolie solo che ogni isola, per una ragione o per l'altra (Salina è dominata dai figli unici, Panarea regno di animatrici "stilose", Stromboli col vulcano trasmette nervosismo, Alicudi la più selvaggia non ha corrente elettrica), si rivelerà inadeguata e il lavoro non prosegue, in compenso inizia ad insorgere anche un certo stress che trova pace solo nelle traghettate da un'isola all'altra.
Episodio più comico dei tre, con piccole ma mai feroci satire sociali, i falsi miti dei luoghi isolati, le invidie tra isole che scadono fin nel vilipendio. Tormentone è Gerardo, col suo snobbissimo rifiuto della televisione, che poi invece si rivelerà assiduo spettatore di telenovelas. C'è una splendida scena con Moretti che cammina sull'isola e sullo sfondo il traghetto che pare muoversi alla sua velocità e sul terreno invece che sul mare.
ep. 1: IN VESPA
In giro per Roma a bordo di una Vespa nell'urbano desertico agostano. Belle e divertenti alcune considerazioni sul suo carattere, come l'ambizione di saper ballare (c'è un cameo di Jennifer Beals, famosa protagonista di Flashdance, film cult primi anni '80 che più volte cita). Caustica la sua presa in giro ad un critico cinematografico (interpretato da Carlo Mazzacurati) dai testi prodotti molto bizzarri. Interessante e ironica visione dell'architettura della città, con le sue considerazioni di volta in volta, dal quartiere Garbatella, all'imborghesimento pantofolaio "da pizza d'asporto e videocassetta" delle villette di "periferia bene" che sembrano nascondigli, fino al vituperato quartiere Spinaceto che lui invece in qualche modo rivaluta.
Qua però, ecco perché l'ho lasciato per ultimo, in questo episodio c'è il meraviglioso "pellegrinaggio" ad Ostia, nel luogo dove ha trovato la morte Pier Paolo Pasolini il 2 Novembre 1975. E' un pezzo capolavoro, lo amo da morire e basta da solo a far inserire questo film tra i miei Cult:
Inquadrature di ritagli di giornale che parlano dell'omicidio (Moretti ha la mania di conservare ritagli). Stacco. Inizio del viaggio in vespa con riprese del litorale con famiglie in spiaggia, e già i colori e la fotografia ricordano quegli anni, quei luoghi paiono fermati nel tempo. Un avvicinamento al luogo ed al clima dei tempi.
Secondo stacco e poi un lungo piano sequenza fino all'arrivo, macchina da dietro a riprendere lui e la moto in viaggio. Ad attenderli un monumento di una miseria sconfortante, se rapportato poi alla grandezza del personaggio assassinato è da urlo di dolore e vergogna. Tutto questo con in accompagnamento il bellissimo pezzo della prima parte di Koln Concert di Keith Jarrett. Ecco, quei pochi minuti di scena sono quanto di più bello Moretti ha fatto nella sua carriera, ed anche tra il meglio di quanto è stato fatto dal Cinema Italiano di sempre. L'avvicinarsi al luogo mi procura un magone sempre ogni volta che rivedo questo pezzo, commovente, un grande omaggio a Pasolini.
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