La notte ad Hong-Kong, parimenti al resto del mondo, è come se 2 popolazioni si dessero il cambio. Mentre quella diurna e prevedibile va a dormire una meno scontata ma non meno vera si risveglia... Film visionario su personaggi né in né out, semplicemente "extra", proposto e recensito dell'amico
Dr.Nick (al secolo Nicola, quando non è in sala operatoria). A lui la parola. Io chiudo qua la mia presenza, ringraziandolo tantissimo, pezzo splendido.
Più o meno la storia è andata così. Allora bello, immaginati che io ero in questa città ok? Un sacco di occhi a mandorla ok? Un sacco di neon azzurri e rosa e verdi pure ok? Ora io non so se te hai presente, però so che vivi in una grande città quindi più o meno una metropolitana la sai com'è, ecco, pensala che sta fuori da sottoterra. Si bello hai capito bene, diciamo che è sopraelevata.
Io me ne stavo in uno di questi vagoni e mi rigiravo tra le dita un pacchetto di paglie che non ti so dire la marca perchè io il cinese non lo so leggere. E qua bello lasciami aprire una parentesi, perchè va bene che ci sono stato poco, ma ad hong kong fumano davvero tutti un sacco. Fumano come turchi. Più dei turchi. Fumano come più turchi tutti insieme. Che poi si dice ah l'inquinamento rovina l'atmosfera, ma io dico che là l'aria è piena di fumo cazzo, mica gas di scarico o scoregge di vacche. Te lo dico io che ci sono stato.
Comunque ti dicevo, ero su questo vagone e passo praticamente sotto un'appartamento e vedo che c'è una finestra e dietro questa finestra c'è una luce gialla accesa e illuminata da questa luce gialla ci sono dei vestiti che uao! e dentro questi vestiti c'era una donnina che amico non ti dico a cos'ho pensato la mezz'ora dopo. Però non so, c'era pure qualcosa che non andava in lei. Certo, fumava, come tutti, ma i suoi occhi bello. Quelli non me li scordo.
Erano occhi di chi è disposto a tutto, e dico tutto, occhi di chi spera in un amore invisibile, erano occhi di chi si ubriaca e di chi ascolta quella canzone a ripetizione solo per farsi del male. Io dico che stava aspettando il suo uomo, forse sarebbe arrivato a momenti. A quel punto del mio viaggio ancora non potevo sapere, ma lei era triste e io pensavo che forse avrei dovuto consolarla. Sicuro avevo una mezza idea su come fare.
È con questi pensieri che me ne scendo dalla metropolitana che sta fuori da sottoterra e passo davanti a questo baracchino che vende gelati, e ora ascoltami bene bello perchè la storia si fa davvero assurda.
Immaginati questo ragazzo tutto orientale occhi a mandorla e senza erre. Immaginati però pure che lui non aveva neanche le altre lettere, lui era muto. E bello, nonostante questo handicap ti assicuro che era molto, ma molto, loquace. Convincente direi. Perchè te lo dico? Beh almeno lasciami finire il discorso no?
Allora, c'era sto muto qua dietro al baracchino dei gelati che quando passo mi fa un gesto per dire ehi ne vuoi uno? Io gli dico no bello guarda che sono le quattro e mezza non ho voglia di un gelato. Così lui si ruota la punta dell'indice sulla guancia come per dire guarda che è buono, non sai che ti perdi! Ma io ormai non gli bado più e mentre faccio per superarlo lo sento afferrarmi da dietro e in un istante sono per terra con lui sopra la mia schiena. Lo guardo e sorride. Gli chiedo cosa vuole e lui fa per prepararmi un gelato. Bello io il tuo cazzo di gelato non lo voglio! Lui sorride e comincia a ficcarmi il gelato in faccia per far si che io lo mangi. Ti giuro bello che mi volevo muovere, ma lui era un toro e continuava a sporcarmi ovunque col suo dannatissimo gelato.
Ok ok! Lo mangio! Te lo pago! Levati però cazzo, lo mangio! Lo pago!
Sorride. Me ne fa un altro.
Sorride.
Bello ti giuro io non so quanto sono stato lì. Ho mangiato almeno quattro gelati ed ero lercissimo. E mi era rimasta una sola sigaretta, dannazione.
Pago. Sorride. Me ne vado. Sorride. Vaffanculo, gli dico.
Mi metto poi a camminare per le strade al neon di questa città e non fare quella faccia lì se ti dico che mi giravano già alla grande. Ho ben pensato che un bicchierino potesse tirarmi su.
Entro in questo bar, un sacco di fumo, come sempre, pochissima gente. Ma i miei occhi sono tutti su una donnina con addosso dei vestiti da uao! illuminata da una luce gialla. Si bello, hai capito bene, al bancone c'era la tizia della finestra. Stava bevendo qualcosa che forse era gin. Era ubriachissima. Da vicino era ancora più bella, amico, ti giuro. Subito mi scordo di quel coglione muto e mi siedo lì vicino, ordino un whiskey e faccio portare un altro gin alla tizia. Lei sorride, mi avvicino e ci presentiamo, tiro fuori l'accendino e le accendo la sigaretta che si sta portando alle labbra. Che labbra amico. E che gambe! Mi sto già facendo grandi programmi per la serata quando lei apre bocca.
Era tutto troppo perfetto, bello. Ci doveva essere qualcosa che non andava.
Singhiozza. Tira. Beve. Si distende sul bancone e piange. Mi racconta che è innamorata. Mi racconta che non ha mai visto il suo amore. Mi racconta che non mi può dire che lavoro fa lei o lui perchè poi probabilmente non tornerei più a casa.
Quelle parole bello, erano come ghiaccio nei miei pantaloni. Faccio mente locale, mi rilasso e ordino da bere. Ascolto.
Stiamo lì tutta la notte, lei è ubriachissima davvero. Alla fine mi dice che il suo uomo è un assassino. Un assassino, le dico. Sì, dice, ammazza la gente, come quelli come te.
Dice che devo stare attento sennò viene il suo uomo e ammazza quelli come me, compreso me.
Mi dice che era il migliore, mi dice pure che vuole smettere. Beve. Se smette non avranno mai più motivo di lavorare insieme. Tira. Saranno due vite che viaggiano su corsie diverse. Ordino da bere, di nuovo.
La mia vista cominciava a ballare, quando noto quelle due bellissime gambe che si alzano e vanno verso un juke box. Mette una canzone che presumo fosse la 'loro' canzone. Anche se ormai non so più quanto la parola 'loro' faccia parte di quel rapporto.
Amico, ormai anche te l'avrai capito che non avrei combinato nulla. Decido che ne ho abbastanza, mi alzo, pago, non la saluto, esco.
Piove che Dio la manda, o Buddha, non so bene qua chi è che governi le sfighe. Per strada mi ricordo di aver più e più volte ripensato a quelli come me che muoiono. Muoiono a decine, mi dicevano quelle gambe bellissime al bar.
Bagnato e pensieroso svolto un angolo e incrocio un tizio. Giacca nera, catenella, maglia bianca. È sporco di sangue, ma lo noto dopo questo. Bagnato, pensieroso e confuso svolto un altro angolo.
C'era quest'osteria bello. Vetri in frantumi, pareti rosse. Ma non tinte bello, era sangue. Era il sangue di almeno una quindicina di tizi stesi per terra, tizi morti sforacchiati che erano esattamente come me. Mi prende una fifa blu e accelero il passo, ripenso anche alle parole della donna al bar. Faccio due più due. Era quello il suo uomo. Quello che ammazza le persone come me. Quello era il suo amore, un assassino senza pietà. Chissà se riuscirà davvero a smettere.
La pioggia mi calma e penso che era bello quando la donna del bar diceva 'amore'. Le sue labbra facevano movimenti che mi attanagliavano, avrei voluto baciarle.
E invece ero qua sotto una pioggia che Dio la mandava insieme a Buddha.
Avrei voluto entrare nelle sue mutande, dannazione.
E invece la pioggia mi aveva bagnato tutte le sigarette.
Avrei voluto avere un ricordo migliore di questa città.
E invece tutto quello che mi son portato a casa sono quattro gelati e quindici morti ammazzati.
Bello ascoltami.
Hong Kong.
Non ci andare. Mai.