Trentennale quest'anno per questo film originale, sperimentale, che racconta un'immaginaria vicenda accaduta 80 mila anni fa ad uomini primitivi, quando si stava affacciando sul pianeta l'homo sapiens. Meritava celebrazione. Per dare idea dell'importanza dell'opera, comincio ad elencarne i premi: Oscar 1983: miglior trucco; 2 César 1982: miglior film e miglior regista; Saturn Award 1982: miglior film internazionale; 5 Genie Awards 1983: costumi, suono, realizzazioni, attrice principale.
Grazie alla pagina Wiki posso attingere, tradotta, l'introduzione del film: "80.000 anni fa, la sopravvivenza degli uomini nelle immense distese inesplorate dipendeva dal possesso del fuoco. Per quegli esseri primitivi, il fuoco rimase un oggetto misterioso fino a quando non impararono a crearlo. Il fuoco doveva essere rubato alla natura, mantenuto in vita, protetto da vento e pioggia, difeso dai nemici. Il fuoco divenne simbolo di potere e sinonimo di sopravvivenza. Coloro che possedevano il fuoco, possedevano la vita.".
E' esattamente quello a cui si assisterà.
Una tribù, direi di neandertaliani, conserva un piccolo fagotto con all'interno una brace che si premura di mantenere sempre ardente, al fine di poter accendere in ogni momento il fuoco. Disporre del fuoco è vitale, serve certo a cuocere la carne delle prede ma soprattutto, cosa fondamentale, a non diventare preda! Li vedremo quegli animali che ancora risiedono nelle nostre paure ancestrali, e tra queste quella di morire sbranati è ancora la più temuta: lupi, mammuth, tigri dai denti a sciabola, orsi.
C'è però un nemico, ed è il più imprevedibile di tutti, che non viene allontanato dal fuoco, ne è anzi attratto e non esita ad ucciderti per procurarselo. Sono gli altri uomini. Saranno lotte sanguinose. Solo i primi sapiens, capaci di produrselo sfregando legni, usciranno da questa vita nomade, perennemente violenta, e saranno capaci di creare i primi insediamenti stabili. Il film ci mostrerà quel periodo in cui sapiens e neandertaliani (si pensa) hanno convissuto, la fase di passaggio e il finale sarà davvero commovente in questo senso, mostrandoci proprio una metamorfosi, col neandertal legato alla donna sapiens che guarda alla luna dopo essere riuscito ad accendere un fuoco dal nulla. Ci sarà un caldo senso di umanità in questo, nell'uomo che finalmente occupa la sua mente in qualcosa di più alto, che non sia il semplice sopravvivere: si comincia forse a Vivere.
Sempre dal citato wiki altre info molto importanti:
La guerra del fuoco (La guerre du feu) è un film del 1981 diretto da Jean-Jacques Annaud, ispirato all'omonimo romanzo di J. H. Rosny aîné.
Si tratta di un film d'avventura di ambientazione preistorica, la cui caratteristica peculiare è che gli interpreti si esprimono solo tramite gesti e suoni gutturali incomprensibili. Per rendere efficace questa scelta azzardata, Annaud si è servito di illustri consulenti: lo scrittore Anthony Burgess, noto per aver creato una lingua artificiale, il Nadsat, per il suo romanzo Arancia meccanica, ha ideato un linguaggio fittizio per il film, l'Ulam; l'etologo Desmond Morris si è occupato invece del linguaggio gestuale.
Questa del linguaggio, insieme alla ricostruzione ambientale e all'uso estremamente realistico degli animali, è la cosa che alla fine più mi ha colpito, anche e soprattutto dal punto di vista cinefilo. Non preoccupatevi di cercarlo in alcuna lingua o doppiaggio: si sentono solo dei suoni che nella vostra onomatopeica interpretazione, unita alla gestualità che comunque non è assimilabile alla nostra moderna, assumeranno i significati che voi spettatori vorrete dargli. Scoprirete lo stupore di "cominciare a capirli", inteso non in modo testuale ovviamente. Ci si calerà nel contesto del periodo, e il poco che si faceva era brevemente descrivibile. Chiaro che il linguaggio non è una scienza indipendente, s'è evoluta con l'evolversi delle esigenze, ha seguito di pari passo il progresso delle organizzazioni sociali e dell'evoluzione tecnica/tecnologica.
Rappresentazione che raramente indugia sulla bellezza di paesaggi, non punta a commuovere e intenerire, ci sono anche momenti di vero "horror". Bastante però a fornire fin troppe riflessioni in merito ai contenuti, cosa ancora più apprezzata vista la totale assenza di retorica. E' un mini-ciclo virtuoso quello a cui si assiste. C'è un bene primario scarso, le inevitabili guerre, c'è chi ha trovato alternative per procurarsi quel bene senza dover combattere con altri simili, la trasmissione della conoscenza tra individui e individui, l'accrescimento della qualità della vita complessiva. Non è questo, ripeto, un CICLO VIRTUOSO che sempre dovrebbe contraddistinguere la storia dell'umanità?
Già troppe parole scritte per un film "muto", tale lo è rispetto al linguaggio moderno.
Capolavoro notevolissimo per i tempi e ancora molto attuale, per qualità d'immagini, di trucco e di contenuti.
Visione obbligatoria.
Robydick
Accidenti che perla, e finora me l'ero lasciata sfuggire. Vedrò di obbedire alla visione obbligatoria... :)
RispondiEliminaStrano regista, questo. Tanta attenzione e sensibilità anche per il regno animale, e due superfilm che hanno incontrato in me opposto gradimento: ho amato Sette anni in Tibet, e odiato con tutto me stesso la banalità commercialoide e gli stereotipi popolar-narrativi con cui ha saputo rovinare Il nome della rosa.
dici bene Zio, questa è veramente una perla. non mi esprimo sugli altri, non li amo particolarmente entrambi ma quando capitavano alla tele li guardavo, non erano certo il peggio di quel che poteva capitare :)
RispondiEliminasembra un vero e proprio gioiellino, vedrò cosa farne. si trova facile?
RispondiEliminasì Dr.Nick, vai di muletto che farai anche alla svelta ;-)
RispondiEliminaOttima segnalazione. In lista in tempo zero...
RispondiEliminaciao Dolcetto! buona visione :)
RispondiEliminaBel film, ma Annaud è davvero stato ai tempi dei suoi enormi successi di pubblico come "il Nome della rosa"('86), un regista enormemente sopravvalutato.Anche rivedendo il suo film migliore -come mi è capitato di recente- ovvero insieme a "Il Nemico alle porte"('95)dal vecchio progetto di Sergio Leone- mi riferisco naturalmente a "L'Orso"('88)l'impressione che proprio gli manchi comunque il guizzo del vero autore, rimane e viene confermata, di essere soprattutto un ottimo e corretto calligrafo, "La Guerra del fuoco" anche se nel film è come spesso gli capita, praticamente irriconoscibile sotto pesanti protesi e make-up a là "Hellboy", ci ha fatto conoscere uno degli attori caratteristi del cinema americano ma anche di grande successo personale, più inconfondibili e importanti e pure contemporaneamente,-vedi in "Drive"('11) di Refn, e la serie tv di enorme successo sulla famiglia di "Hell's angels" motociclisti trafficanti di droga-, ovvero Ron Perlman. Tornerà con Annaud per un importante ruolo di frate medievalmente deforme e gobbo proprio nel famoso suo film tratto dal romanzo di Eco.
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