martedì 21 dicembre 2010

Electra Glide in Blue

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John Wintergreen è un poliziotto motociclista in Arizona ma il suo sogno è diventare detective alla omicidi. Piccolo di statura, in piena efficienza fisica, reduce dal Vietnam, il lavoro sulle sterminate strade nel deserto a far multe gli sta stretto, oltretutto i suoi compagni di lavoro hanno un'indolenza che disapprova, lui invece ci crede in quello che fa.

Arriverà un'occasione, il suicidio del gestore di uno store isolato, che lui capirà per primo essere invece un omicidio. Entrerà nella omicidi, a fianco dell'egocentrico e un po' brutale Harve Poople. Condurranno indagini che porteranno ad una comunità hippy, ad altri personaggi vari. Sarà una delusione cocente, anche tra quei poliziotti troverà poca umanità, e tornerà in sella alla moto...

Solo una breve sinossi, passo la parola a Napoleone Wilson, curatore in primis della categoria Incolti. Consiglio a tutti, se faticano e leggere a video e dispongono di una stampante, di stampare il tutto. Trovate il link per la Stampa sotto, al termine del testo. Fate come volete ma leggetela assolutamente, è una recensione fantastica!

“Già, perché Alan Ladd e io, siamo alti uguali. Voi sapete chi era Alan Ladd…?” John Wintergreen.


“He’s a good cop. On a big bike. On a bad road” Frase di lancio internazionale del film, bellissima.


“Nella vita bisogna pure sognare o no?” John Wintergreen


“Per diventare come uno di quei poliziotti che si vedono nei films, perché io fare il poliziotto lo intendo tutto in un altro modo!” John Wintergreen.


“La solitudine ti ammazza più di una 357 magnum!” John Wintergreen ad Harve Poole.


Ti fai una bella vita sulla tua moto:tu fai le tue ore, poi smonti e ti sei guadagnato il pane. Cosa c’è di più semplice?” Zipper.


“Il mio di sogno Wintergreen? Il mio sogno è un motore più o meno di 1400 di cilindrata montato su un telaio su misura di lega leggera.” Zipper.


Considerato da alcuni, con una descrizione abbastanza “geniale” ma poco corrispondente all’effettiva realtà sostanziale di un film talmente poco “incasellabile” che si presta ben poco a mediocri “classificazioni”, -“Una sorta di “Easy Rider” visto dall’altra “parte”, quella dei tutori dell’ordine, quindi da “destra” in un certo qual modo- , è sicuramente insieme a “Punto zero”(Vanishing point)(’71) di Richard Sarafian, con l’indimenticabile Barry Newman/Kowalski(ma anche il famoso avvocato Petrocelli, tra cinema e tv), il miglior film in assoluto espresso da, e rientrante, nel glorioso e aureo periodo dei road movies americani anni’70.
La triste parabola di vita e di morte,epica, dell’agente John Wintergreen della polizia stradale in motocicletta –la leggendaria Harley Davidson Electra Glide appunto, del titolo- che diventa inarrivabile ballata triste sull’impercorribile distanza che separa sempre i sogni dalla schifosa realtà della vita, un oceano inarrivabile nella sua enormità, rispetto al loro avverarsi.
E la disillusione, l’impotenza, la rassegnazione, che ne derivano. Certo, messa così potrebbe anche sembrare la solita “scoperta dell’acqua calda”, ma è il come, l’ha realizzata e messa in immagini il regista –per di più esordiente - James William Guercio, a fare la differenza, con una padronanza di stile e messa in scena, una chiarezza e maturità d’intenti e idee impressionante, e che impressionò all’epoca tanto continua a impressionare oggi, anche per la programmaticità di essere stata volutamente un’opera unica, per il dotatissimo (all’epoca solo 26-28 enne) James William Guercio, che era già il capo esecutivo della celeberrima The Caribou Companies di Boulder, in Colorado. Per cui registravano ed erano appunto da lui prodotti, i Chicago. Difatti la Caribou Films che produsse “Electra Glide” era una diretta emanazione della medesima.
“Electra Glide”, fu presentato con enorme consenso critico al Festival di Cannes del 1973.
Robert Blake, eccelso attore di cinema e televisione, attualmente in carcere dopo un famoso processo degli anni 2000 ad Hollywood per l’omicidio della moglie, ed oggi colpevolmente dimenticato, è stato uno degli attori più bravi e in un certo senso, per un tipo di cinema americano uno dei più rappresentativi degli anni’70. Proprio per il ruolo di John wintergreen in “Electra Glide”, fu candidato al Golden Globe come Miglior attore Drammatico, battuto guarda caso, da Al Pacino per l’analogo ruolo di Frank Serpico,in“Serpico”di Sidney Lumet.
“Electra Glide” è uno dei più famosi e migliori esponenti di quel romanticismo sulla sconfitta e l’amarezza, e di quello stato sapientemente un po’ “masochistico”, uno di quei magnifici film che era in grado di realizzare la Hollywood dei’70, “Electra Glide” è un film che non ha solo meravigliato i critici e i cinefili, ma anche registi come Quentin Tarantino, P.T.Anderson, e David Gordon Green, per loro stessa ammissione.
Per molti, l’avventuroso periodo che va ristretto a partire dal 1967 di “Gangster Story”(Bonnie and Clyde) di Arthur Penn, rappresenta un’epoca utopica in cui dei veri hippy e “ribelli” erano ascesi alla conquista della vecchia Hollywood, mentre un film capolavoro come “Electra Glide” rappresenta bene la già intervenuta (nel 1973) rottura con il cinema “radicale” di sinistra, viste le considerazioni implicite e contenute in questo film, che esplicano bene perché proprio alla prima di Cannes (dove fu uno dei film in concorso più validamente considerati per la Palma d’Oro, ma poi vinse l’ugualmente splendido “Lo Spaventapasseri”(Scarecrow)(’73) di Jerry Schatzberg, con Al Pacino e Gene Hackman), “Electra Glide” fu erroneamente percepito come, “fascista”. Eppure, di quel tempo, non è certo da considerarsi un film corsaro o battagliero, nei modi da piacere al Presidente Nixon, anzi, alla fine è un film che mostra quelli stessi diritti che venivano calpestati, quelli della “controcultura” dell’epoca, per la quale Nixon era proprio “L’Uomo nero”.
Diciamo che, lucidamente e senza ingenuità, nemmeno venute fuori a distanza di oltre trentacinque anni, e rivedendolo oggi, era un film che già nel pieno di cambiamenti traumatici, nel corpo della nazione della Grande Nazione Statunitense, il “Big Country” del Mito della Grande Frontiera, mostrava con grande perspicacia in che direzione reazionaria e caoticamente feroce, sarebbe andata la società americana. E questo, metaforicamente, viene con splendida efficacia rappresentato nell’indimenticabile finale del film.
Allorquando, il disilluso e amareggiato reduce del Vietnam e poliziotto motociclista della stradale dell’Arizona, John Wintergreen, interpretato da Robert Blake, (piccolo di statura –esattamente uguale a quella di Alan Ladd, come avrà modo di dire a due ragazze durante il film- ma immenso personaggio), nell’unico tentativo riuscito di compiere finalmente una buona azione, paga a caro prezzo il suo slancio disinteressato. Per mano di chi era sempre stato la vittima designata, l’hippy, del suo collega ottuso e superficiale Billy Green Bush/Zipper, apparentemente un mediocre felice del suo lavoro, senza ambizioni e senza angosce –apparentemente-personali, se non quella di “trovare” un po’ di soldi per potersi permettere il lusso di comprarsi un’”Electra Glide” appunto, tutta cromata, scintillante, di colore blu. Da qui il titolo originale, “Electra Glide in Blue”.
Che poi altro non è che la stessa moto in versione stradale di quella su cui entrambi prestano servizio in interminabili turni lungo le interstatali dell’Arizona, su interminabili strisce d’asfalto che attraversano la Monument Valley.
Geniale metafora della sclerotizzazione alienata, del personaggio Zipper, che ha come massimo sogno della vita possedere una moto uguale a quella su cui passa tutto il giorno, al lavoro.
La Monument Valley con le sue strade deserte, nel film è una presenza paesaggistica importantissima, ritratta e immortalata dalla fotografia del famosissimo e sempre grande Conrad L.Hall (per poter avere il quale e pagarlo, Guercio rinunciò al suo compenso da regista), che crea una sequenza finale con fermo immagine, dopo un camera-car all’indietro lunghissimo, interminabile,di rara emozione, che è rimasta tra i dieci più belli, struggenti, e potenti finali della storia del cinema, e non soltanto per la Hollywood aurea del New Cinema anni’70.
Quasi dieci minuti di somma, lirica bellezza, a comporre un’immagine che sembra quasi un dipinto di arte americana da poter essere esposto, al pari degli altri, allo Smithsonian Institute, sequenza inscindibile, dall’indissolubile simbiosi con “Tell Me”dello stesso James William Guercio, eseguita dal compianto Terry Kath, famosissima e inarrivabile ballata nostalgica in versi sulla fine del sogno americano, e delle sue inevase e disilluse, speranze.
Talmente bella, struggente, e conosciuta negli Stati Uniti, che Michael Mann la scelse per il lunghissimo finale in slide di immagini e sequenze degli episodi delle precedenti serie, per il meraviglioso episodio finale dell’ultima serie, la quinta, di “Miami Vice”, trasmesso la prima volta nell’aprile dell’89.
“L’impossibilità di essere un poliziotto normale”, potrebbe anche chiamarsi -parafrasando il titolo di un altro celebre film del periodo, di Richard Rush, con Elliott Gould- la triste e amara parabola del protagonista, come già qualcuno suggerì all’epoca, visto che quello che Wintergreen vorrebbe è appunto poter fare ampiamente il suo dovere, usare il cervello, e non dover fare solo multe ai camionisti,”beccarsi i colpi di sole”, come dice lui, o picchiare i giovani protestatari di una comune e incastrare gli hippy mettendogli bustine di Marijuana nascoste da qualche parte nel furgoncino.
E proprio per non dovere far più questo, vorrebbe riuscire a guadagnarsi il tanto agognato distintivo d’oro da Detective dello Stato, e smettere finalmente la divisa, come il suo mentore e “modello” personale Harve Poole (il grande Mitchell Ryan)leggenda vivente fra i Detective della polizia di Los Angeles, che invece anche lui si dimostrerà una delusione totale, un uomo arbitrario e meschino, interamente imbevuto della sua tronfia e ottusa prosopopea, in definitiva solo uno stronzo colpevole per la sua boria dell’inutile morte di un’innocente ragazzo che non c’entrava niente con il caso invece di semplice risoluzione del film, come avrà modo di dirgli in faccia Wintergreen, una volta che tutte le maschere saranno cadute… Molto bello nel film è anche il personaggio femminile di Jeannine Riley/Jolene, barista nel bar che frequentano tutti i personaggi-poliziotti del film, di cui con alcuni va a letto, come Harve Poole e Wintergreen, e sognava che la sua vita sarebbe stata come “una lunghissima pellicola”, con il solito sogno della frontiera californiana, di poter arrivare a Hollywood –e difatti all’inizio citerà a Wintergreen il suo libro preferito, “La Valle delle bambole”-, e che per quel suo desiderio di diventare un’attrice –ovviamente abortito- perse pure l’amore dell’una volta adorato marito. C’è poi lo strepitoso personaggio dell’anziano Willie interpretato dal piccolo gigante dei caratteristi americani(uno su oltre 350tit. fra cinema e tv, il suo importante ruolo in “Rapina a mano armata” di Kubrick) Elisha Cook, “uomo ormai stanco” come spiegherà inascoltato, l’intelligente e riflessivo Wintergreen al pallone gonfiato Poole, depresso e impazzito per la troppa solitudine della sua intera vita, che desiderava –anche lui, un solo semplice desiderio, costantemente disilluso- di poter invecchiare “serenamente” sulle montagne in cui è cresciuto in compagnia del suo unico e ultimo, amico, Frank. Sarà lui ad uccidere Frank che lo aveva abbandonato, preferendogli la compagnia –anche lui uomo anziano- dei giovani, una “compagnia” di “famigli” motociclisti-spacciatori e lussuriose ragazze, in cambio della lucrosità della droga. Ed è per questo, che Willie lo ucciderà, rendendosi conto di come ormai fosse insopportabile la disperata solitudine in cui egli aveva finito per ritrovarsi. Questa, è la risoluzione del caso. Semplice, “semplice”, come avvolte sono le cose, nella vita. E come sconsolatamente Wintergreen rivelerà ad Harve Poole, deluso e pieno di risentimento verso il “grande Harve Poole”, supersbirro pieno solo d’arrogante superiorità , il quale ascolta “la voce del deserto” per cogliere l’illuminazione atta a risolvere i suoi casi, e dicendosi anche cosciente che “l’incompetenza è la peggior forma di corruzione”. Però subito contraddicendo quest’ultima affermazione, sempre pieno di sé e di non sbagliare mai, nella sua “ricerca della verità”. (“La saggezza è come una religione:la mia religione è me stesso. Quando parlo con me stesso io parlo con il mondo intero!”, dice di sé), subito pronto però a usare modi brutali e arbitrari per ottenere le sue risposte, quelle che lui vuole sentire, prendendo poi ovviamente marchiane quanto clamorose cantonate.
Come appunto proprio nelle indagini per il caso dell’omicidio di Frank, per cui ha fatto arrestare un ragazzo innocente (tra l’altro è il famoso cantante Peter Cetera) e ha picchiato da sbirro belluino alcuni ragazzi di una comune che non c’entravano con l’omicidio, né potevano dare risposte utili all’indagine. E appunto quindi, “Ti puoi prendere il vestito e il distintivo e darli a qualche imbecille che crede alle tue stronzate:perché tu sei uno stronzo!”, come alla fine gli sbatte in faccia la verità Wintergreen, prima di ricominciare i suoi monotoni turni alla stradale.
Finale tragico che nessuno che ha visto il film potrà mai dimenticare, e per le modalità e i tempi in cui avviene, non ha, come qualcuno invece vi ha ravvisato, alcunché di “programmatico”, perché talmente potente che anche i formalismi d’alta scuola peckinpahiana, come i ralenti nelle grandissime scene d’azione e nel finale, sono resi mai prevedibili o in un certo qual senso “scontati”, dalla superba e fantasmagorica bravura registica e degli scenari naturali in cui girava i suoi western il mito John Ford.
Tutti gli attori da “State of Grace”, e veramente superlativo, consta di rimarcarlo ancora, Robert Blake, di rara intensità e così richiedeva il suo ruolo, di questo film così originale come giustamente hai detto anche tu Roby, e di rara epicità,oltre che in definitiva, di grandissimo e unico fascino.
Un’epica ballata triste, malinconicamente, un western moderno e poliziesco, dove la spietatezza e la crudeltà del mondo odierno, senza alcuna pietà, -come già diceva il bel titolo francese di un film con Hyppolìte Girardot di vent’anni fa- spazza via spietatamente e crudelmente i personaggi più veri e in profondità umani. Perché “losers”, perdenti, quindi osservanti la vita con disincanto, lasciati indietro nelle varie sconfitte personali dallo schifo della vita,spietatamente come detto, e senza più possibilità di speranza o di salvazione. In un mondo che può andare tranquillamente avanti senza di loro come senza nessuno di noi, con “civile” impassibilità e indifferenza, sempre dritto per la propria infame “strada”.
Simbolicamente rappresentato questo, dall’interminabile, magnifico, carrello finale all’indietro.
D’altronde, come urla ad un certo punto Zipper (grande Billy Green Bush) disperato, prima di farsi “suicidare” dal suo migliore amico:-“se le cose non te le prendi non ti dà niente nessuno e io mi prendo quello che mi spetta!”.
Su tutti, grandi personaggi, sovrasta il piccolo John Wintergreen, poliziotto solo all’apparenza ordinariamente limitato, che non può fare carriera proprio perché ingiustamente svantaggiato dalla sua piccola statura, ma di elevati valori quali l’onestà, il rigore e la lealtà, che persegue con determinazione ancora un codice morale, sempre attento a non tradirlo come anche per i suoi valori.
Continuamente oltraggiati invece, con cinismo e non curanza, quando non anche con presunzione, dai suoi superiori. Proprio un collega non metropolitano del coevo “Serpico”, quindi.
Commovente, bellissimo, quando Wintergreen parla da solo con il silenzioso, anziano inserviente nero delle pulizie, intento a mangiarsi un panino seduto, tra una ramazzata e l’altra, dopo la fine del concerto dei Madura (enormi), in un palasport.
John Wintergreen: -“Io sto a sentire tutti quelli che parlano in questo mondo del cacchio meno che me:come vorrei ricominciare tutto da capo”.
“Electra Glide” si racchiude perfettamente nelle due, consequenziali e di rara perfezione sintetica, sequenze iniziali, l’apparente suicidio/omicidio di Frank, e gli esercizi al mattino con i pesi di un non ancora “disvelato” John Wintergreen, l’assunzione delle vitamine dopo le ripetute fatiche dell’amore con Jolene, la successiva, ritualistica, “erratica” vestizione dell’uniforme d’ordinanza di pelle da motociclista, la 357 Magnum, scena entusiasmante e memorabile, anche per l’eccezionale tema musicale d’apertura, grande maturità registica di Guercio solo ventisettenne, che riesce pure a stemperare senza banalizzare, la bruciante e dolorosa drammaticità del film con una sottile, pungente nella sua apparente delicatezza, ironia.
Basti la famosa sequenza in cui Wintergreen, appena nominato suo autista da Harve Poole, si abbiglia elegantemente alla moda “texicali” come un moderno Ranger alla Harve Poole per andare al locale a far bisboccia con i suoi nuovi colleghi, per poi accorgersi, e gli spettatori con lui, appena uscito all’aperto dalla casa, di non avere i pantaloni.
La conversazione in coda dal gelataio ambulante con due tipiche avvenenti ragazze californiane, in cui John afferma di avere la stessa esatta altezza di Alan Ladd; o la bellissima sequenza del violento alterco tra Wintergreen e l’iroso coroner (Royal Dano, altro grande e famoso caratterista del cinema americano per oltre 300 film, dal dopoguerra agli anni ottanta), fortemente irritato dalle osservazioni divergenti di questo piccolo agente della stradale che lo accusa-giustamente, ed è proprio qui che Poole lo noterà,gli darà ragione e lo prenderà con sé- di inquinamento delle prove.
Bellissimo anche il dialogo con un giovane della comune di fricchettoni quando John vestito di tutto punto da Ranger con gli Stetson di pelle, nelle stalle, si aggira in cerca dello spacciatore Bob Zemko(Peter Cetera):-“Vorrei qualche informazione” chiede John, -“Io ce l’avrei un’informazione:stai con i piedi nella merda.” Risponde impassibile un ragazzo.
Genialmente “provocatoria” la sequenza in cui John si esercita al tiro con la pistola, sparando a Captain America/Peter Fonda, Dennis Hopper, e Jack Nicholson, nel poster di “Easy Rider”: intenzione di un’omaggio, affetto, o ironia irridente, se l’intenzione era quella di uno sberleffo, è comunque molto seducente.
Esordio di Nick Nolte non accreditato, si riconosce bene, attonito e indignato, come uno dei ragazzi della comune, quando Poole picchia alcuni di loro, e di Meg Ryan bambina, in coda dal gelataio ambulante.
La Front-side dell’LP della o.s.t. originale, rarissimo ormai, da collezione, mostra sette poliziotti della stradale di alta statura e proprio in mezzo a loro il piccoletto Wintergreen(come nella famosa sequenza del film, con la cinepresa che deve scendere più in basso per inquadrarlo nel volto, perché affiorava solo un poco il casco): la stessa immagine è appesa sul muro in forma di poster, nell’ufficio del Capitano Furillo/Daniel J.Travanti(grandioso attore e personaggio) nella seconda mia serie tv preferita di sempre –dopo “Miami Vice”- “Hill Street giorno e notte”(Hill Street Blues)di Steven Bochco/David Hill”N.Y.P.D.”e tanti altri)/Anthony Yerkovich(“Miami Vice”)/Mark Frost(“Twin Peaks”).
Napoleone Wilson


11 commenti:

  1. quando rivedo questi film mi luccicano gli occhi; questa è stata la stagione più fertile del cinema americano, girato per strada, camera in mano, storie spesse come una fetta di soprassata e i blockbuster di là da venire.
    "Alice non abita più qui", "Non torno a casa stasera", "La rabbia giovane", "Cinque pezzi facili", "L'ultima corvèe", "Lo spaventapasseri", questi alcuni dei titoli che mi hanno fatto amare il cinema americano.

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  2. eheh, harmo hai fatto un elenco di obbligatori, e me ne manca qualcuno che ho in mente da tempo...

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  3. bellissima recensione..e sequenza di caplacvori citati da harmo..quelli che han fatto innamorare anche me del cinema americano,da ragazzo..

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  4. hai letto brazzz cosa si può scrivere su un film quando si ha una Testa come quella di Wilson? non è una persona "comune"...

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  5. Siamo alla storia del cinema. Quello vero, quello che ha la qualità, fatta di una grande storia, una regia attenta e ben dosata e, sopratutto una sceneggiatura eccezionale. E' una canzone di Springsteen prima di Springsteen...uno spaccato di America che ha fatto innamorare migliaia di giovani. Grande!!!
    Se qualcuno non l'ha visto...cercatelo sul web, e godetevelo, ne vale la pena!

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  6. Molto bello l'accostamento con Springsteen...E molti fanatici di Springsteen (ne conosco tanti)neanche lo vedranno mai, solo perchè non lo conoscono...E non ci avevo mai pensato,in 25 anni strano, ma appunto, dovrebbero. Dovrebbero.
    "I'm on Fire" nel bellissimo, strepitoso videoclip che gli girò nientemeno che John Sayles nell''84,ha alla fine un'indimenticabile "piccolo suicidio", come tanti ne hanno, i personaggi e le storie,tematicamente "sottotraccia", di "Electra Glide"...

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  7. petroliuccia cara, se non l'hai ancora fatto, dovresti scrivere uno dei tuoi "labirinti" su quei paesaggi ;-)

    oh magar, ti aspettavo, sai perché? ho scoperto il tuo blog grazie a questo film, mentre cercavo la locandina, quindi Electra fu galeotto, eheh!

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  8. Questo é un film per me. Sì. Sul serio. Come ho fatto a non vederlo ancora?

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  9. ...il finale mi ha ammazzato , bellissime immagini...personalmente lo collego ad altri film anche se nn centra nulla tra loro , come nashville,sugarland express,duel..etc etc...cmq il regista è stato manager dei chicago e come scritto da alcuni il film si presta molto ad una vibrazione "sprigsteiana" che nn rcorda in nulla i chicago...anche se in sto film sento molta "puzza" di YES,AMERICA,simon e garfunken etc etc

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  10. Avete detto tutto voi, grandi. Recupero gli altri film

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