Tranquillizzatevi tutti, non si tratta di un parente stretto o di un usurpatore del Maestro. Il vecchio Eddie Romero (classe 1929) è uno dei più famosi cineasti filippini, autore di pellicole con forte sottotesto politico che, inevitabilmente, flirtò con la American International Pictures di Arkoff e Nicholson, regalando così agli appassionati dell'exploitation settantesca opere pregiate come "The Twiligth People" (1971) e pure questo "Black Mama, White Mama" (1973), scritto su soggetto di Jonathan Demme.
"Chicks in Chains, where they come from this is...Fun!", strilla la tagline di questo ottimo Women In Prison, che dopotutto, Women In Prison lo è solo per i primi venti minuti, con l'arrivo delle carcerate Lee Daniels e Karen Brent, una nera l'altra bianca, ma che ve lo dico a fare, nella prigione gestita con guanto di pelle nera dalla suberba, biondocrinita Lynn Borden (si, si, proprio lei, già vista in "Zozza Mary, Pazzo Gary" e "Frogs", e , se non vi basta, pure di una marea di serial Tv, "Hazel", "Get Smart", "Ironside", tra le altre cose) che subito (o quasi) si esibisce in una magnifica scena di autoerotismo mentre spia le detenute che si fanno la doccia. Naturalmente, le due protagoniste riescono a trovare un motivo per litigare e farsi così punire finendo direttamente, nude of course, dentro il "forno", cioè una cabina/latrina piazzata in un campo sotto il sole cocente, per poi venire trasferite in un'altra prigione di massima sicurezza. Durante il tragitto in autobus, un gruppo di terroristi, il cui capo è amante di Karen, attacca il mezzo ma, come da copione, va tutto a puttane. Si compie una carneficina mentre le due donne approfittano della situazione per fuggire, rimanendo però incatenate l'una all'altra. Ci siamo dimenticati di dire che Lee, l'amazzone nera, è la donna di un super-pappone malavitoso al quale ha fregato 40.000 dollari e quindi vuole tagliare la corda via battello al più presto, mentre Karen è decisa a riunirsi al gruppo di anarchici. Ci siamo anche dimenticati di aggiungere che le due supergirls sono nientemeno che Pam Grier e Margaret Markov, bellissime, arrapantissime, magnifiche sia in giacchetta giallo canarino che con vestale sacra, capaci ancora oggi di far tremare i polsi dello spettatore.
Si, perchè la scorza dura di Pam Grier (mi dispiace, ma non ha assolutamente bisogno di presentazioni da queste parti, la stupenda"Sheba Baby","Coffy", "Foxy Brown", "Jackie Brown" e pure battona nel capolavoro "Fort Apache, The Bronx" [1981] diDaniel Petrie con Paul Newman, per tacere degli altri WIP and Blaxploitation, vedi "The Big Doll House" [1971] di Jack Hill) si sposa in maniera pressochè perfetta con la dolcezza e il sorriso obnubilante della Markov, capelli biondi lunghissimi, gambe da infarto, pura bellezza seventies, anche lei presente in diversi prodotti espolitativi come "Run, Angel, Run/Corri, Angelo, Corri" (1969) diJack Starret, "The Hot Box" (1972) di Joe Viola, sempre su script di Demme e, soprattutto, "La Rivolta delle Gladiatrici"The Arena" (1974) diretto da Aristide Massaccesi (ma accreditato anche a Steve Carver, regista cormaniano di fiducia) in cui si ricostituisce l'accoppiata Markov/Grier, con contorno di volti bis come Mimmo Palmara, Franco Garofalo e Daniele Vargas.
Detto ciò, è bene continuare avvertendo il pubblico che la pellicola da WIP si trasforma in film avventuroso con fuga delle protagoniste per poi virare sui maneggi criminal-politici tra il governo, i terroristi, il pappone e un weirdissimo cowboy interpretato dal mio idolo Sid Haig, iconograficamente lontanissimo da Captain Spaulding, ma con la sua inconfondibile, straordinaria voce e sigaro e cappellone (nel senso di copricapo) in bella vista, capace di rubare la scena a tutti quanti, sia vestito di tutto punto (celeberrima la scena in cui costringe il primo ministro e il capitano della polizia a mostrare chi ce l'ha più lungo) che in mutande (l'orgia con due giovini fanciulle, il cui padre ascolta preoccupato dietro la porta). Pura exploitation settantesca con fughe, Wolkswagen Country Buggies, cazzotti, tentati stupri, coltellate e fintissimo sangue rosso vernice che trova quadratura pure in un finale concitato con esplosioni e sparatorie, venato però da un'amarezza ed una malinconia che difficilmente si trova nei prodotti di questa filiera; la battaglia finale, con il corpo di Karen, finalmente riunitasi con il gruppo di rivoltosi, crivellato dai colpi e poi abbandonato insieme agli altri cadaveri sul molo, mentre Lee si allontana su una barca, è notevole e degno di essere ricordato. E Romero (Eddie) non perde occasione di esprimere la sua disincantata visione politica mettendo in bocca al capitano, che per tutto il film ha inseguito senza successo le due ragazze, di fronte al corpo insanguinato di Karen, una battuta in cui ammette che, entro l'ora di cena, sarà promosso dopo dodici anni di servile servizio. Bellissima colonna sonora del jazzista Harry Betts(utilizzata dal solito Tarantino in Kill Bill Vol.1, mi pare), che suonò con Ella Fitzgerald in "Get Happy", valore aggiunto ad una pellicola che merita una visione. Se non altro per Pam e Margaret. C'è chi lo considera la versione femminile, con tutte le attenuanti del caso, di "The Defiant Ones" (1958) cult di Stanley Kramer con Sidney Poitier e Tony Curtis nei panni dei due carcerati. DvdMGM del 2003, PAL , Anamorphic, 1.85:1, ma con extra veramente risicati, solo il trailer. E vabbè, accontentiamoci.
Consigliatissimo. Buona visione.
Belushi