giovedì 26 aprile 2012

Polisse

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Le ragioni che conducono lo spettatore a disprezzare un film sono così varie che tentare di riassumerle non sarebbe altro che un prolisso sforzo di immaginazione, mai ripagato da un'enunciazione completa del problema. Sostenere che un film è fatto male, d'altronde, a volte è più un complimento che un difetto, anche considerando che la definizione appena (impropriamente e riduttivamente) usata, l'essere fatto male, riguarda la tecnica piuttosto che la storia e gli elementi che la compongono. Come dire, è fatto male perché gli attori recitano da cani, perché è noioso, si dilunga e alla fine non riesce a rendere un'idea integrale e strutturata della propria fisicità cinematografica.

Polisse, diciamolo subito, è una pessima pellicola, ma non perché sia brutta nel senso tecnico, cioè fatta male, costruita secondo criteri di parziale completezza o di cattivo gusto, ma perché sbagliata. Non è tanto un discorso di disorganicità, tranne forse per un che di episodico, che costringe la sceneggiatura a procedere a scaglioni anziché in un unico blocco narrativo, quanto una questione morale che fa della pienezza stilistica un aspetto minoritario. Anzi, vorrei essere più cattivo. Il film di Maïwenn Le Besco (attrice, sceneggiatrie e regista francese conosciuta in genere come Maïwenn e basta), tra l'altro vincitore di svariati premi Cesar, nonché del Premio della Giura a Cannes (da non confondersi col quasi omonimo e ben più importante Gran Prix), è un'opera indecente, inguardabile, un'epitome alla bruttura concettuale, utile soltanto a deliziare i boccaloni e a sedurre garbate signorine con idealistiche virtù. Forse stroncare un film per ragioni “etiche” più che estetiche non è il massimo della professionalità, eppure Maïwenn, troppo bella per essere vera, scatenando le alchimie che soltanto la venustà femminea riesce a provocare, seppur di segno contrario, abbandona lo spettatore meno sprovveduto all'ira funesta di cui giusto un film, un pessimo film, è in grado di farsi vicario.

La trama è presto detta: Polisse, storpiatura infantile di police, polizia, è la storia (quasi una docu-fiction) di un reparto della polizia francese, che si occupa nello specifico di indagare i casi di presunti abusi su minori, arrestare i colpevoli e consegnare le vittime ai servizi sociali. Fin qui niente di strano, ma sono le modalità dell'enunciato a rendere l'argomento fonte di disputa. Sì, perché se l'intento della regista era girare una pellicola di forte impianto documentaristico, una sorta di cinéma vérité sugli aspetti meno noti eppur quotidiani della gendarmerie française, gli interventi manipolatori della sua demiurga, magari involontari ma pur sempre presenti, uccidono ogni pretesto di realismo per consegnare la fatica ingiustamente vincitrice sulla Croisette all'albo dei contes philosophiques per poverelli. Vale a dire? Vale a dire che in questo lavoro di angeli e demoni, di minorenni innocenti e crudeli carnefici, i presunti martiri, denunciando un abuso, dicono sempre la verità. Aprioristicamente. Senza se e senza ma. Non possono mentire perché mentalmente, umanamente, culturalmente messi nell'impossibilità di affermare il falso. A prescindere da ogni considerazione di ordine psichiatrico, psicologico e pedagogico. Maïwenn non si pone il problema, e porta avanti un discorso manicheo in cui il confine tra buoni e cattivi è così ben tracciato che le indagini sembrano quasi una formalità piuttosto che una metodologia d'analisi critica, e gli indizi, limitandosi alle testimonianze, alle suggestioni, alle incertezze spacciate per convinzioni, sono le uniche prove di colpevolezza.

Consideriamo gli interrogatori ai presunti pedofili, per esempio. Un capolavoro di illegalità giuridica: non soltanto i fermati (ma in base a quale prova?) sono costretti a sciorinare le proprie versioni in assenza totale di un avvocato, ma devono rispondere a una serie di quesiti del tutto scollegati dai delitti per cui sono (con preventiva faciloneria) processati. Così una probabile violenza domestica diventa il pretesto per una disamina morbosa e masturbatoria sulle fantasie sessuali dell'inquisito, come se ci fosse un'oggettiva interdipendenza tra abitudini e gusti sessuali e possibilità di commettere una prepotenza ai danni di qualcuno. Allora il politico che ama il pube rasato è giocoforza un pedofilo perché la rasatura ricorderebbe il pube della figlia, così come il sospettato che pratica sesso anale, essendo tale pratica una perversione, non può che essere anch'egli, per la stessa logica correlativa di cui sopra, un depravato pederasta dagli impulsi fuori controllo. Inutile dire che confessano tutti, uno dopo l'altro, senza nemmeno avere la creanza di negare il crimine e sfruttare a proprio vantaggio la mancanza di prove certe. Come dire, oltre a essere dissoluti, mancano pure di intelletto.

Il film procede per oltre due ore su questo tono: una serie di casi su cui concentrarsi, in linea di massima tutti accomunati dalla medesima sicura responsabilità (tranne uno, perché l'indiziato ha una faccina buona e i poliziotti si convincono, a pelle, che uno così può essere di tutto fuorché pericoloso). Tra un'indagine e l'altra, la macchina da presa di Maïwenn abbandona la cronaca per scivolare nell'intimità di questi agenti, identificandosi, o tentando di identificarsi, con la fotografa Melissa (interpretata dalla stessa regista), inviata dal governo per realizzare un book fotografico sulle operazioni del reparto. Allora scopri che questi poliziotti hanno quasi più problemi di quelli che dovrebbero risolvere, dall'agente anoressica preda di manie depressive, allo sbirro fedifrago e alla stessa fotografa, che utilizza Riccardo Scamarcio come amico di letto, per poi passare a quello del prestante (e ammogliato) Fred (Joeystarr, un noto rapper francese). Come può della gente così occuparsi dei problemi degli altri, Maïwenn non ce lo spiega, lo dà per scontato, come scontate sono le condanne che pioveranno sulle teste dei malcapitati. Ovviamente nessuno si chiede perché gli interrogatori dei bambini non vengano effettuati da personale competente (psichiatri infantili, come la prassi stabilisce), ma da agenti totalmente impreparati a svolgere quelle requisitorie e che quindi, vedansi i più svariati casi di cronaca, possono influenzare in ogni modo delle menti ancora troppo deboli per distinguere il bene dal male, la realtà dalla fantasia. Di tutto ciò non c'è traccia, e alla fine resta soltanto l'idea peregrina, smaccatamente fasulla, di un reparto che funziona perché incarcera i mostri e difende gli innocenti.

La nostra Maïwenn ha tentato di fare un film sulla tutela dei minori, finendo per celebrare la morte dei diritti civili. Da proiettare obbligatoriamente nelle scuole come esempio di moderno cinema di regime.
Marco Marchetti


22 commenti:

  1. ciao Marco! Come posso iniziare? Felice di essere tra i boccaloni? Eppure non mi ci sento tanto, forse perchè al cinema posso dire di aver visto molto, moltissimo. Io sono uno degli entusiasti di questo film.Probabilmente ti sei soffermato solo sull'aspetto giuridico della questione che a me francamente ha interessato poco. I casi presentati da Maiwenn sono casi reali , il girato originale era di circa 200 ore poi scremato progressivamente e il lavoro è stato fatto proprio come se fosse un documentario. Io la critica che ho fatto a questo film che ho trovato bello e terribile è quella di aver dato spazio a una deriva sentimentale tra Maiwenn(il deus IN machina) e il poliziotto. I due poi stanno veramente assieme. A scanso di equivoci questo quanto ho scritto se ti interessasse leggerlo(http://bradipofilms.blogspot.it/2012/02/polisse-2011.html). Comunque ben vengano i contraddittori, eh...è il sale del cinema! :-)

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  2. bradipo, porto subito la quota "boccaloni" a 2, ahah! anzitutto bravo, mi piace il tuo spirito critico. io la penso esattamente come te, diciamo che mi hai risparmiato quello che avevo promesso a Marco avrei scritto nei commenti.

    solo qualche cosa...
    a parte la love-story, ho trovato molto interessanti e realistiche le vite dei poliziotti. sono lavori usuranti psicologicamente, era un aspetto che meritava, anzi doveva essere svolto e m'è sembrato anche fatto con un certo coraggio, sono uomini e donne che escono senza infamia e senza lode.
    per quanto riguarda il discorso giuridico-legale non so, bisognerebbe informarsi meglio, ma mi pare troppo pensare siano state mostrate castronerie vista la delicatezza dell'argomento e il fatto che il pubblico francese non è proprio tra i più scemi. avrebbe sollevato un vespaio falsificare certe cose. che io sappia, anche in italia, la polizia entro certi limiti ha diritto d'interrogarti prima che arrivi il tuo avvocato, mi pare normale.
    sulla frammentazione della storia è vero, ma è proprio nella natura stessa di un film del genere, e nella professione dei personaggi, non m'è parso un difetto da sottolineare.
    coraggiosissima la rappresentazione della retata nel campo nomadi, roba che se la sbagliavi di un tanto ti trovavi messo in croce, e mi sembra è stata fatta bene.

    notevole, da leggere tra le righe, l'episodio della donna homeless che disperata porta il figlio per darlo in affidamento e va dalla polizia dopo che non ha trovato supporto nelle strutture dell'assistenza sociale. cosa si legge tra le righe? che persino nella civilissima Francia, come ovunque purtroppo, spendiamo molto più per reprimere che per aiutare.

    insomma, un film bello e interessante secondo me, con una notevole carrellata di casi e di personaggi

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    1. roby, concordo su tutta la linea.Io adoro film come questo che ho accostato a opere come La classe di Cantet, La schivata di Kechiche, Le petit Lieutenent di Beauvois da noi conosciuto troppo tardi con il comunque bello Uomini di Dio o come un mio cultissimo personale che è Legge 627 di Tavernier che è forse il film che assomiglia di più a questo Poliss(vabbè è il contrario ma ci siamo capiti) , solo che lì i poliziotti protagonisti erano dell'antidroga.Per quanto riguarda il mio spirito critico sono contento che ti piaccia, mi piace molto approcciate al cinema e sono uno vostro fedele seguitore da quando vi ho conosciuto. Io sono il primo che non si prende sul serio e soprattutto cerco di capire le ragioni di una persona che la pensa in modo diametralmente opposto al mio.Del resto c'è già la critica ufficiale parruccona che prende tutto tremendamente sul serio...

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  3. pure a me è sembrato un film splendido.
    i presunti intenti documentaristici si fermano fino a un certo punto, visto che lo sguardo di maiwenn, incarnato anche dal suo alter-ego nella pellicola, è ben presente e marcato. e il mix di realismo e fiction a me sembra realizzato con rara intelligenza.
    comunque il fatto che possa scatenare una reazione di odio come questa è dimostrazione di un film che almeno non lascia indifferenti.. e in circolazione di quel genere di film ce ne sono già troppi

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  4. Come dice il sommo Bruce all'allievo nell'incipt memorabile di "Enter the Dragon"(I Tre dell'Operazione Drago)('73) di Robert Clouse..: "c'è sempre qualcuno che quando punti un indice contro l'immensa spazialità del cielo, se ne sta a guardare tutto concentrato il dito."

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  5. Bradipo, bellissimo "Legge 627". Ti consiglio anche degli anni '90, un altro bellissimo polar in tema, "Le Cousin"(IL Cugino) -ovviamente pressochè invisibile in Italia, lo faceva solo Italia 1 la notte, ma c'è in filesharing in ita. dalla rara videocassetta-('95) del bravissimo e recentemente scomparso Alain Corneau.

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    1. Napoleone, sono un maniaco del polar a livelli preoccupanti. Le cousin l'ho visto e molto gradito( ne ho parlato anche da me), Alain Corneau è uno dei miei registi preferiti del resto. Rilancio se gradisci con un Corneau d'annata: che ne dici de Il fascino del delitto ( Serie Noir) con il mai abbastanza compianto Patrick Dewaere? Per me capolavoro extralusso!

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  6. Ciao. Concordo in toto sul fatto che se un film scatena una reazione, seppur virulenta, deve comunque essere un film interessante, che in qualche modo lascia un segno. E anche questo Polisse, di segni, ne lascia. Negativi o positivi che siano. Ho letto, Bradipo, la tua bella recensione, e vedo che hai parlato, giustamente, de La classe entre les murs, altro film orribile che fa capire come ciò che "ci divide" è solo la concezione del cinema, di questo cinema, e non certo una questione di merito "tecnico". In effetti i due film sono abbastanza simili, montati in modo simile, concepiti in modo simile, ma vituperabili per ragioni diverse. Questo Polisse è utile a scatenare soltanto una caccia alle streghe, infatti dà per scontato che chi viene indagato per questi reati è colpevole, mentre non si considerano i numerosissimi casi di persecuzioni giudiziarie (come il caso delle maestre di Brescia, tutte assolte perché i fatti non sussistevano e che però hanno visto la loro vita e carriera professionale gettate alle ortiche). Non ci sono psichiatri infantili, fondamentali, gli interrogatori sono improvvisati così, per simpatia, si assolve chi ha la faccia buona e si condanna chi ha la faccia cattiva, come il politico, che perché è cattivo merita pure le botte. Che tanto sono giustificate, perché i cattivi confessano tutti. Insomma, manca l'idea del sospetto, o per citare un altro straordinario film sullo stesso argomento, il "dubbio" che qualcuno possa anche non essere colpevole. Rendiamoci conto dell'impatto "culturale" che può avere una pellicola così, come già l'hanno avuto i casi di cronaca italiana che hanno messo in croce maestre e insegnanti innocenti. L'argomento è delicato, e va trattato in modo delicato, non secondo criteri da santa Inquisizione, secondo cui il minore dice la verità, e l'adulto è colpevole a prescindere. Poi boh, magari sono io a peccare di garantismo, ma questo è un altro discorso ah ah :-)Marco Marchetti

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    1. Può darsi che Polisse dia per scontato che i coinvolti siano colpevoli: sinceramente anche io l'ho dato per scontato perchè ho pensato che, visto che il metodo di lavoro è stato lo stesso dei documentari, Maiwenn e il suo staff abbiano scelto dai verbali esaminati(perchè i casi sono veri) i casi più emblematici.A me la cosa che ha lasciato letteralmente basito è il considerare normali dei comportamenti aberranti da parte di queste persone.Una mancanza del senso di colpa che per forza sfocia nella patologia. Poi hai ragione nel dire che se qualcuno ti accusa di questi crimini si ribalta in pratica il senso dellaa presunzione di innocenza perchè è difficilissimo dimostrare che sei innocente.Io però non la definirei pellicola di regime...

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  7. Sig. Marchetti, se puoi degnarti di rispondere anche a me, ti posso rispondere senza bisogno di tutto questo panegirico, con un solo film che sicuramente conoscerai e che riassume tutto l'insinuarsi necessario e appropriato del "dubbio", senza o con, le sue nefaste o evitate, conseguenze. Oltretutto e' sempre un film francese: "Il Testimone"('78) di Jean Pierre Mocky, con Alberto Sordi e Philippe Noiret entrambi bravissimi. Se ti puoi degnare di scendere al cospetto di noi mortali che non rilasciamo luci d'immenso dal nostro culo, certo eh...Come direbbe il sempre sommo Philippe Glenister/Ispettore Gene Hunt di "Ashes to Ashes".

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    1. Ah, ma io ti risponderei anche, se tu riuscissi per una volta a fare una discussione nel merito/demerito di un film. Cosa posso dirti se le tue annotazioni sono soltanto lunghi elenchi telefonici di film, citazioni, attori? Sei forse tu un cine-jukebox? :-)

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  8. Bradipo, "Sèrie Noir" bellissimo, ce l'ho in dvd francese della appunto Série Noire Collection di Studio Canàl. Con la copertina a riprodurre i famosi romanzi gialli dell'omonima collana Gallimard.
    Fui fortunato a recuperare e registrare l'edizione doppiata in ita. che uscì al cinema nel 1979. Lo faceva ogni tanto RaiSatCinema.
    Su Dewaere bisognerebbe inaugurare un grandioso topi a posta. Ho visto e ho tutti i suoi film, non me ne manca neppure uno, molti recuperati in dvd originale francese. C'è una collana monografica su di lui della Studio Canàl.
    Ne "Il Fascino del delitto" c'è anche l'esordiente 17enne e già "astonishing beauty",ma sfortunatissima, Marie Trintignant.
    Se hai tempo e voglia, vai a leggere da queste parti la mia rece su quello che secondo me, è il capolavoro assoluto di Corneau (ne ha fatti tanti, ma sempre con Montand,insieme almeno a "La Minaccia"[La Mènace]['77]),e uno dei più grandi noir post melvilliani mai realizzati, ovviamente "Police Python 357"('75).

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    1. Grande film Police Python 357, uno dei miei preferiti! Se di Dewaere hai tutto allora mi inchino!Un attore che ho scoperto tardi e che ci ha lasciato troppo presto!

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  9. Semplicemente, io parlo di cinema. E di film, che amo. E -quasi- sempre pertinentemente. Non amo,solo e soprattutto me stesso. E non me ne frega nulla di fare sfoggi di una cultura di solita formazione pseudo-letteraria o meno, che pure ho.Ma che non c'entra niente. Basta questa telegrafica tua risposta da cui traspare un certo disprezzo per chi può far valere una vera passione onnivora, umilmente "bassa" come anche "alta", e non culturalmente spocchiosa del cinema.
    appunto, c'è chi si abbevera solo alla passione di sè.
    Ossequi.

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  10. Marco, mi sento di definirmi piuttosto garantista anch'io, ma non riesco minimamente a capire quale impatto negativo "culturale" possa avere questo film per quanto possa sforzarmi di entrare nelle tue ragioni. Sono anche sorpreso nel leggere definito da te "orribile" un bel film come "La classe", credimi sei il primo che mi capita. E di questo allora cosa mi dici? Essere e Avere . E di Céline Sciamma cosa pensi?
    Trovo che i francesi, fra le tante cose nel cinema, siano maestri in questi film che sconfinano nel documentario, e sul mondo dell'infanzia hanno storicamente prodotto film famosi. Chiaro che questo non significa che allora questi sono presupposti di cui ogni film francese può godere, ma il fatto che in Francia (a me perlomeno non ne risultano) non ci siano state critiche come la tua non ti fa mettere un po' in discussione il tuo parere?

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    1. Essere e Avere l'ho trovato toccante e i due film della Sciamma Tomboy e Naissance des pieuvres li ho trovati entrambi molto belli e molto "veri".

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    2. be' bradipo, complimenti, ne hai vista di roba! :)

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    3. No, al contrario. Quando un film viene incensato da tutti, c'è qualcosa che non va. I grandi film, seppur vincitori di qualcosa, hanno sempre o quasi sempre suscitato dibattiti. The Tree of Life, Arancia meccanica, Inland Empire, e via discorrendo, film dopo film, regista dopo regista... Per come la vedo io, dove non c'è dibattito, c'è stagnazione del pensiero.

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    4. Ah, già, La classe non m'è piaciuto minimamente perché è una contraddizione "ideologica" unica: da una parte vorrebbe essere un film documentaristico, non dare giudizi,vorrebbe essere insomma super partes, dall'altra il regista dà voce a un insegnante che, però, al contrario, di giudizi ne dà anche fin troppi. Il suo metodo di insegnamento è il migliore, perché è bravo, simpatico, tollerante, è paziente... peccato che i suoi metodi siano quelli applicati da tutti gli insegnanti da quarant'anni a questa parte, con i risultati che sappiamo tutti: che a scuola non si impara più niente perché la didattica è passata in secondo o terzo piano. Ora, dei due l'uno: o fai il "documentario", o mi fai la storiellina morale su quanto è bravo e quanto è bello il protagonista. Non mi puoi prendere in giro spacciandomi per neorealismo ciò che già contiene un insegnamento ideologico. Come dire, faccio un film per far pensare la gente, ma nel frattempo do un aiutino indirizzando il pubblico verso quel tipo di idea. Tutto qui.

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  11. grazie roby, ma l'ho detto che sono malato...

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  12. Anonimo" Marco e'' come Formigoni, si sottrae...

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