mercoledì 30 giugno 2010

Nang Nak

8
E' bene non farsi fuorviare dalla locandina occidentale (non italiana, da noi il film non s'è visto). Produzione thailandese a 360° che narra una leggenda dello stesso paese che è una leggenda d'amore, con risvolti anche drammatici e violenti di contorno, questo sì, che la rendono straordinariamente singolare, ma non è un horror.

Nak è la moglie di Mak e vivono sul canale di un fiume, una casa di legno che è quasi una palafitta, dietro di essa distese di campi di riso. Siamo nel 1868 e Mak viene chiamato come soldato in una guerra che non ho capito qual'è. Torna da Nak dopo essere guarito miracolosamente da una ferita gravissima, la trova con il loro bimbo appena nato, solo che il canale è curiosamente in stato d'abbandono. In realtà Mak sta vivendo con gli spettri di moglie e figlio, entrambi morti durante il parto mentre egli era in lotta con la sua ferita. Quando accetterà la cosa qualcuno avrà già pagato il prezzo di aver cercato di aprirgli gli occhi, altri riceveranno anche poi il conto. Nak è uno spettro che non tollera interferenze nel suo voler restare nel mondo dei vivi accanto al suo amore. Il fine giustifica ogni mezzo.

Gli ultimi 25', dopo un crescendo di pathos con immagini e musiche meravigliose, mi verrebbe voglia di incorniciarli, sono da ammirare come un quadro, concentrato di spettacolo e simboli, nessuna descrizione gli renderebbe giustizia.
In Thailandia ha avuto anche un sequel a puntate, comprensibilmente, a furor di popolo visto il successo e la bellezza del film. Nimbutr tira fuori un'opera che ti travolge, anche un agnostico come me che rifugge fantasmi ed affini si ritrova assorbito dal fascino del tutto. Nak è simbolo di amore totale, sentimento di una forza che supera la fisicità, non più legato al terreno, ed è di duplice metafora: la forza dell'amore appunto, ammirevole e degna di memoria, e il suo errore che la rende un mostro, l'attaccamento alle gioie terrene ché anche Mak è tra queste, ed anche di questo occorre tenere memoria.

Cos'avremmo fatto quasi sicuramente in occidente? Una schifezza con qualche millantato esorcista? La dottrina cristiana, ridicola in sé, quasi priva di enunciati del fondatore e tutta costruita da fanatici visionari che lo hanno preceduto e seguito (fatta qualche debita eccezione), è povera, se paragonata alla ricchezza di quella buddista diventa miserabile, risibile, e l'ansia di voler dominare il mondo secolare con tabù e regolette ne è prova eloquente, bisogna voler credere a tutti i costi e dimenticarsi d'avere un cervello.
Nel Buddismo che invece non accetta la casualità tanto meno personaggi che a tutto vedono e provvedono, ogni evento, razionale o meno, viene lucidamente interpretato ed anche quando la pratica mistica si rende necessaria il ragionamento, la saggezza deve prevalere e non si cerca con punizioni inutili di risolvere il senso di colpa, né una confessione o un giubileo hanno senso, ma più attivamente si lavora a comprendere le cause degli effetti, a determinare un senso logico alla luce di fatti e dottrine e quindi ad agire, a rimediare sulle cause. Una leggenda è una storia facilmente raccontabile e memorizzabile, ha questo scopo la forma di fantasia che in ogni caso non trascende la realtà, fantasmi e demoni simboleggiano le forze vitali, gli effetti del karma.
Questo quanto penso, da moltissimi anni, e che il film mi ha stuzzicato nell'esporre, glie ne sono grato.

Film eccezionale!
Ancora un asiatico da Olimpo, ormai ultimamente grazie all'amica Giulia sto scoprendo un mondo sommerso, di opere quasi sempre mai apparse in italia, che mettono il Cinema di quella parte del mondo al vertice assoluto delle mie preferenze. La capacità che hanno, a parte le grandi doti tecniche, di raccontare ogni genere di storia senza remore, senza nascondere alcun particolare anche scabroso, li pone ai miei occhi al vertice per cultura, in generale, e questo poi si traduce in alcuni film eccelsi.

martedì 29 giugno 2010

Non ti muovere

17
Un chirurgo non opera mai un figlio.
Timoteo veglia durante una delicata, rischiosa e necessaria operazione alla testa, eseguita dai suoi colleghi alla figlia Angela, caduta col motorino mentre indossava il casco slacciato. Una veglia durante la quale rivivrà il suo passato.

3 donne: la moglie, l'amante e la figlia.

Con la moglie una vita agiata, lui chirurgo lei giornalista, ma spenta di passione e senza volontà d'avere figli. Angela arriverà quasi per caso. Con la figlia, che vediamo solo ormai adolescente poco prima dell'incidente, un rapporto che stenta a decollare nelle espressioni affettive. Con entrambe un amore non completo, manca qualcosa, con la moglie l'amore, con la figlia per riflesso, ma forse perché avrebbe voluto averla con un'altra donna

Con l'amante Italia, violentata al primo incontro e trattata da puttana nei successivi, è scoppiato in realtà, a suo tempo, il vero amore che non ha mai potuto esprimersi alla luce del sole. Diventata una sorta di seconda moglie clandestina, una donna straniera non proprio bellissima con qualcosa di fatale per Timoteo, che la ama sinceramente ma non riesce a staccarsi dalla moglie e quando deciderà di farlo scoprirà che la moglie ha pronta per lui la felicità che voleva da Italia. Il futuro dirà che non sarà mai la felicità che voleva.

Una storia molto bella, peccato svelarla, ne ho fatto criptica sintesi, tratta dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, di successo per critica e vendite, moglie di Castellitto ed insieme hanno curato la sceneggiatura. Una parte iniziale un po' fiacca a parte qualche sprazzo, poi ricca di colpi di scena, situazioni drammaticamente intense con un Timoteo costantemente combattuto tra moglie ed amante, non religioso ma con sensi di colpa da risolvere. Particolarmente triste ed intensa la vicenda della povera Italia, una di quelle figure che sembrano nate per saziare la felicità altrui e mai la propria.

Storia bellissima, mi ripeto, film non all'altezza. Molto incostante nel livello, alterna momenti patetici a scene di ottimo livello e grande intensità. Non un attore o un aspetto in particolare, altalenante è proprio la rappresentazione. Lungaggini inutili, scene di sesso ridicole (non sono morboso, ma o le fai come si deve oppure fammi capire che c'è stato sesso che basta ed avanza!), alcuni momenti di pessima recitazione come quando Italia vuole partire definitivamente, o le urla della figlia in pubblico contro il padre, davvero misere. Fa incazzare, perché gli stessi attori e personaggi in altri momenti eccellono, allora dove sta il problema? Ha un nome e cognome, quelli del regista.

Un ultima considerazione, più generale. Ma a cosa serve chiamare Penelope Cruz per imbruttirla? Dico io, la bellezza è dote rara ed occasioni alla splendida spagnola di recitare non mancano. Non ci sono attrici meno strafighe che possono interpretare un ruolo del genere? Ci sono ci sono, e pure brave, anzi forse in un ruolo del genere pure molto più brave, anche fra le italiane. Non ce l'ho certo con Penelope, gli dei la benedicano, ma è stata una scelta, per il ruolo, a mio parere inopportuna.

Insomma, un film che merita d'essere visto per la storia. Per i cinefili che cercano qualità superiori e non possono evitarlo, in diversi momenti occorre resistere alla tentazione di premere stop e cestinare, meglio coprire un occhio e a volte pure tutti e due e tirare fino alla fine, che ne vale la pena.

lunedì 28 giugno 2010

Tokyo Sonata

8
Su una famiglia di Tokyo, genitori e 2 figli maschi, cade una brutta tegola. Il padre, 46enne, zelante direttore amministrativo, viene licenziato dall'azienda in cui lavora, senza alcun demerito, semplicemente perché col suo stipendio ci pagano 3 cinesi che fanno le stesse cose. L'uomo, fiero ed orgoglioso, non dice nulla in casa e si produce in espedienti per fingere che tutto è come prima, e nei luoghi dove si radunano i disoccupati (uff. collocamento, distribuzioni pasti gratuiti ai poveri) troverà altri come lui, un amico in particolare che non reggerà a lungo la cosa. Umiliazioni di ogni sorta ai colloqui, non troverà un lavoro commisurato ed estenuato finirà per accettare di fare le pulizie in un grande magazzino. Le bugie, come si dice, hanno le gambe corte, prima o poi tutto emergerà.

Il declino inevitabile di una famiglia che sarà salvato moralmente dal grande talento del figlio minore nel suonare il pianoforte (c'è un pezzo nel finale che è di una bellezza smisurata!). Questo potrebbe essere un lungo sottotitolo.

Una storia molto "europea". Non tantissimo tempo fa avevo visto "Cacciatore di teste", sullo stesso argomento, altro ottimo film ma molto diverso per trama. Raro vedere in Giappone affrontare questo tema.
Lessi parecchi anni fa, quando ancora quel paese non conosceva la crisi attuale, che per un giapponese perdere il lavoro era un fatto di una gravità enorme, come da noi d'altronde, ma per loro è un qualcosa che tocca l'onore e la dignità a livelli che ci sono sconosciuti, molto più in alto di quanto non tocchi la stabilità economica personale. I casi di suicidio dopo licenziamento erano numerosissimi se rapportati ad altri paesi. Ecco, ho visto in un film, molto ben fatto ed interpretato (premio "Un certain regard" a Canes), tutto ciò, senza sconti su nulla. Com'è la vita di una famiglia tipo, prima e dopo un evento del genere.

Situazioni al limite del comico, non si ride per il contesto drammatico. Il verbo dominante è Ricominciare, ma scollinare dalla montagna delle abitudini, e di una vita radicata su valori e rapporti sia familiari che interpersonali interamente da rivedere, è operazione difficilissima. Ci sarà uno scollamento, uno sfibrarsi dei legami che porterà quasi ognuno dei 4 a vivere per sé. Perfettamente scelte tutte le scene a evidenziare ciò, con fantasia e realismo.

Assolutamente imperdibile!

Del genere musicale che più amo il Tema della colonna sonora, di un pianista e compositore che per me è una felicissima scoperta, Kazumasa Hashimoto. Ho trovato uno splendido video di animazione che la riproduce, così non vi anticipo nemmeno le scene.


domenica 27 giugno 2010

Ne le dis à personne

8
Francia. Dopo 8 anni l'omicidio della moglie di un medico con non pochi misteri irrisolti, attribuito allora ad un serial killer, torna alla ribalta perché sul luogo del reato sono stati trovati 2 corpi sotterrati alla meno peggio con indizi che portano ancora al marito, già indagato allora nonostante fu ferito durante l'aggressione e trovato privo di sensi.

Oltre alla polizia che lo tormenta, il medico trova sulla sua strada altri personaggi che complicano ulteriormente le cose. Il padre della moglie la cui famiglia frequenta regolarmente anche da dopo l'omicidio ha comportamenti imprevedibili, la sorella e la sua compagna scoprono fatti a lui sconosciuti, arrivano mail che millantano che la moglie è ancora viva, un altro omicidio con un palese tentativo di incriminarlo. Deve scappare.

Un thriller intricatissimo, dove emergeranno molte storie e di molti personaggi. 2 ore di continui colpi di scena fino all'ultimo frame, estremamente avvincente con una regia brillante, scene d'azione e non, attori ineccepibili. Canet ci sa fare, sia con le storie che con la telecamera, bello vedere che in Europa abbiamo registi con queste capacità.

Ottimo film del genere, disimpegnato ma di qualità, stranamente non uscito in italia dove sarebbe stato ottimo anche ai botteghini secondo me.
Reperibile facilmente coi sottotitoli. Da vedere.

sabato 26 giugno 2010

Nashan naren nagou - Postmen in the Mountains

12
Giudizio immediato: Capolavoro da Vertice dell'Olimpo. Per il mio gusto personale, lo ammetto, un condensato di cose che adoro vedere in un film.

Sinossi che più semplice non potrebbe essere: regione montuosa della Cina, un uomo da una vita svolge il servizio postale partendo dal suo villaggio, zaino in spalla e facendo a piedi un giro lungo circa 230 miglia,

venerdì 25 giugno 2010

They live - Essi vivono

23
Stati uniti, in città un uomo è in cerca di lavoro, licenziato dopo le crisi che hanno colpito Detroit. Viene accolto in un accampamento di baracche in periferia, dove scopre una strana chiesa dove ci sono persone che parlano di "Loro", di altri esseri che vivono mischiati alle persone e che comandano tutto, influenzano tutto.
Una notte uno sgombero improvviso, tutte le baracche distrutte dalle ruspe, ma l'obiettivo è la chiesa. In quella chiesa, in un posto che gli incursori non hanno scovato, ci sono delle scatole con degli occhiali, apparentemente normali occhiali scuri da sole, in realtà hanno il potere di farti vedere la realtà delle cose.

Il nostro eroe li indossa ed è uno shock immediato, nulla è più come prima. Tutte le insegne ed i cartelloni pubblicitari si trasformano in scritte imperative: dormire, conformarsi, obbedire, credere... di queste scritte ne sono tappezzati anche i giornali, le riviste, persino il denaro. Altra sorpresa i famosi Loro: fra le persone alcuni hanno un aspetto mostruosamente scheletrico, decisamente non umano, non terrestre. Chi sono? Tra le persone comuni sono diffusi in modo apparentemente casuale, mentre tra chi gestisce il potere hanno un sostanziale monopolio. La Terra è in mano ad un'oligarchia aliena...

Il film è modesto nella qualità complessiva. Budget molto basso, attori approssimativi persino tra i protagonisti, hanno inciso e si vede. Sforzi registici di trovare in alcuni momenti alta tensione e pathos s'infrangono, fortunatamente non sempre, sulla pochezza di mezzi e di tempo evidentemente, ché senza fretta Carpenter fa recitare anche le cozze.
Però è un film notevole nella trama, anche coraggioso visti i tempi e l'esplicito messaggio. Si poteva sottotitolare "gli occhiali che aprono gli occhi". Seppur esagerato pensare a tanto, che noi abitanti del mondo siamo rincoglioniti da media, tv in particolare, messaggi subliminali in ogni dove, pedine in mano ad una ristretta nicchia di potenti, è inconfutabile e solo la pecora che ama la sicurezza del gregge non desidera diventare un falco ed arrischiarsi anche da solo a volare.

Merita la visione. Non cerca difficili metafore o simbolismi, va diritto al punto e bisogna riconoscergli grande schiettezza. Da un racconto di 4 pagine ("Eight O'Clock" in the Morning di Ray Nelson) a cui s'ispira ricavarne tanto non era semplice.
Bravo Carpenter, che si compone da solo anche le musiche. Autarchico per talento o per necessità? E' solo una battuta, le musiche non sono affatto male e lui è sicuramente un personaggio del Cinema.

giovedì 24 giugno 2010

Doro no kawa - Muddy River

1
Una storia semplice di gente umile, ambientata ad Osaka 10 anni dopo la fine della guerra, sulle rive di un "fiume fangoso" (il titolo) nel tratto che scorre in una zona industriale.

Nobuo è un bambino che vive coi genitori nella sola casa di quella riva, utilizzata anche come rosticceria. Non ricchi, ma non manca da mangiare e

mercoledì 23 giugno 2010

La ballata di Cable Hogue

11
C'era una volta il western tutto eroi ed avventurieri bianchi e nemici indiani. Poi sono arrivati anche film che hanno cominciato a restituire dignità agli indigeni, così come altri che scesi dal pulpito han voluto raccontare verità più semplici, di persone "normali" che non sono pistoleros, gringos, rangers e via discorrendo.

A quest'ultima categoria e con grande originalità, soprattutto ai tempi dell'uscita, appartiene questo splendido film. Cable è il nome del protagonista, analfabeta ma tenace che abbandonato nel deserto dai compari cercatori d'oro trova incredibilmente una sorgente d'acqua, acquista il terreno su cui riesce a costruire una specie di autogrill, s'innamora di una prostituta che poi va a vivere con lui per breve tempo, acquista rispetto e considerazione mano a mano che crescono le sue ricchezze.

Lascerei perdere titoli come antieroe per Cable o chissà quali reconditi significati di critica sociale. Resterei sul pezzo come si dice, sulla voglia di fare un ritratto vero, scarno ed ironico, di cosa voleva dire essere pionieri del west quando la modernità del XX sec. cominciava a muovere i primi passi (si vedono macchine e moto nel film). Scomodando parallelismi con Nataniel Hawthorne potremmo rilevare come i pilastri fondanti la nascente società capitalistica americana vengano denudati e messi allo scoperto, ma non c'è una volontà di attaccare, solo di mostrare. Cable è sì il self-made man, ma è anzitutto Cable e non si erige a modello medio di riferimento, è un tipo particolare, cinico e spiritoso, umano e compassionevole, amante premuroso, troppe qualità per tradurle su un tipo "medio".

Allora mi fermo al film divertente, ironico, anticonvenzionale e sicuramente realista ed allora abbiamo un western adatto a tutti e soprattutto più vicino a tutti, con persone e non super-persone. Lo spaccato comprende, oltre alla citata prostituta co-protagonista, un banchiere, un burocrate del demanio, i compagni di Cable, postiglioni, un falso predicatore d'una falsa congrega, un vero predicatore d'una vera congrega più falso nella realtà del precedente. C'è un po' di tutto, proprio com'era allora probabilmente, ritratto con serietà e non poco umorismo.

Film assolutamente da mettere in carnet.

martedì 22 giugno 2010

Taji Ga Mitsuryo Suru Toki - Embrione

7
Un uomo ed una giovane donna appartati in macchina sotto un temporale, un padrone ed una commessa che lavora per lui. Vanno a casa dell'uomo, lei non se la sentiva di arrivare al dunque in macchina. Una scelta sbagliata. Lui ha una casa disadorna, priva d'ogni conforto, piena solo della sua pazzia, una forma di misoginia patologica che si esprime con violenza.

Dopo pochi convenevoli la donna è prigioniera, legata nuda, il pazzo la frusta, la picchia, esige sottomissione totale, la tratta come una cagna dichiaratamente. Scopriremo le ragioni della sua pazzia, un rapporto irrisolto con la madre, colpevole di averlo partorito mentre lui voleva restare in grembo. Soprattutto poi il rapporto con la moglie. La ragazza ha il grave difetto di somigliare alla moglie che lo aveva lasciato poco tempo prima e l'uomo scarica su di lei tutta la frustrazione...

Un film claustrofobico, interamente nell'appartamento lager dove la ragazza subisce di tutto. Non si tratta di horror fisico bensì di horror psicologico, girato con una forza e determinazione spaventosi, inquadrature geniali nelle quali invece la fisicità emerge quasi a farla sentire a chi guarda, solo la visione può descriverle.

Anche se può sembrare assurdo, ci ho visto una grande illustrazione delle paure maschili, che qua vedono la loro massima espressione, nei confronti dell'altro sesso. L'uomo che deve tutto alle donne s'è inventato da sempre come tormentarle, come esercitare su di essere tutta la prepotenza possibile, con la forza, il potere, e le religioni sembrano tutte studiate apposta per relegarle ulteriormente (ci sono citazioni della bibbia nel film, tra le altre). Quello che l'uomo fa è volerla per sé, pura e da purificare, esigere: è diverso da quello che gli uomini hanno sempre fatto da che é mondo? Da meditare.
Potrei scriverci molto ma basta così. Per chi vuole ho fatto considerazioni attinenti su un'opera molto più recente di un altro genio del Cinema: Antichrist.

Imperdibile! Wakamatsu ormai tra i miei grandi.

lunedì 21 giugno 2010

Persepolis

11
Semplicissima favola di formazione a cartoni, non me ne intendo ma definirei i disegni come semplici, quasi bidimensionali, contorni netti. Quasi tutto il film usa il bianco e nero in alternanza al colore per distinguere i racconti del passato o dell'immaginario dal presente. A gusto personale, mi sono piaciuti molto.

Mi sono piaciuti i disegni come descritti proprio perché risultano molto chiari ed efficaci, rendono benissimo con una rappresentazione adatta a tutti, grandi e piccini, le situazioni, sia quelle divertenti (poche) che drammatiche (molte) rappresentate.
Soprattutto non distraggono, anzi danno il giusto risalto, alla storia, verissima, che viene rappresentata. Dal 1978, anno in cui khomeini prese il potere in Iran, passando per la guerra Iran-Iraq e fino alla fine del secolo scorso, le vicissitudini di Marjane, una bambina-ragazza-donna, cresciuta ed educata in una famiglia acculturata e moderna, nella quale più d'uno dovette subire persecuzioni dallo scià prima e dal regime islamico poi. Quali sono tutte le nefaste conseguenze dell'avvento dell'islamismo, che riuscì a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita degli iraniani, sono note, non sto certo a ribadirle tutte, poi di recente ne ho parlato, in parte, a riguardo del film I Gatti Persiani.

Non c'è nulla di sconvolgente in questo film, nel senso cinematografico. Anzi, l'andatura per bambini può persino annoiare. Ma ha meriti grandissimi in termini storici! Senza girarci intorno racconta quanto accaduto in modo diretto e deciso ed infatti: Il film ha attirato proteste dal governo iraniano. Anche prima del suo debutto al Festival di Cannes, l'organizzazione legata al governo Iran Farabi Foundation ha inviato una lettera all'ambasciata francese a Teheran dicendo: "Quest'anno il Festival del cinema di Cannes, con un atto anticonvenzionale e non idoneo, ha selezionato un film sull'Iran che ha presentato una faccia irrealistica dei traguardi e dei risultati della gloriosa Rivoluzione islamica in alcune delle sue parti." (da wiki). Basti questo a garantire sulla validità del film, proprio come ogni volta che il vaticano s'adombra per qualcosa bisogna correre a guardare l'oggetto dello scandalo: è di sicuro valore.
Il film inoltre, anche se a cartoni, racconta una storia vera, scritta (forse anche disegnata) e pubblicata prima dalla stessa regista Marjane Satrapi, che ormai vive a Parigi da molti anni, e anche questo è un fatto di notevole valore, anche di talento polivalente di questa donna.

Insomma, secondo me è davvero un film da non perdere.

Aggiungo, una riflessione piccina picciò, non riesco ad evitarlo.
Sulle nefandezze, ancora attuali, dell'Iran siamo tutti bravi a sparare senza pietà e nulla si può obiettare. Saremmo ugualmente capaci, noi italiani senza andare a cercare altri, di fare altrettanto sulle nostre di vergogne? E quando dico vergogne non intendo solo lo schifo immane attuale dove nel nome della libertà stiamo tornando al medioevo, ma intendo quelle storiche.
Esempio: è stato mai fatto un cartone animato, adatto a tutte le età, che racconta le leggi razziali del '38, quello che hanno comportato, le deportazioni dall'italia verso i lager? Non parlatemi del filmaccio diseducativo di benigni, parlo di roba seria, tosta, da far vedere anche nelle scuole. Non mi risulta, ma se qualcuno ne ha notizie mi dica, ne avrei grande piacere. E non è la sola vergogna di quell'abominevole ventennio della storia d'italia, ma ne ho citata una tra le più clamorose. Ed il ventennio non è la sola vergogna del XX secolo. E non abbiamo vergogne solo nel XX secolo.
Fine della riflessione.

domenica 20 giugno 2010

United Red Army

9
Film storico che narra le vicende che portarono in Giappone nel 1971 alla formazione del gruppo terroristico di ispirazione comunista United Red Army. Una storia che parte dal 1960 ed arriva al 1972, anno in cui gli ultimi componenti del gruppo furono arrestati.

3 ore e passa di film intensissimo,
quasi impossibile fare un resoconto di tutti i dati storici riportati in particolare nella prima parte, con nomi e cognomi, immagini di repertorio miste a finzione, la parte che racconta come, a partire dal '60 in particolare col movimento studentesco, in Giappone siano iniziati i disordini con repressioni governative estremamente dure. Il paese usciva da un periodo di dipendenza dagli stati uniti ed era in ballo la permanenza di questi ultimi alla base di Okinawa. Dal 1951 era stata decretata la fine dello stato di guerra e contemporaneamente stipulato il "Trattato di sicurezza" nippo-americano. Nel '60 scadeva ma la dipendenza economica del Giappone spinse il governo a rinnovarlo, con usufrutto ancora della suddetta base, strategica per le guerre che poi sappiamo. Per una dettagliata narrazione storica leggere QUA. Fra gli studenti nasce la protesta e si forma un forte movimento, con intenti interventisti, che rafforza le proprie convinzioni politiche soprattutto dopo la rivoluzione culturale cinese del '66.

Alla fine degli anni '70 però, dopo sommosse ed occupazioni, rimangono fondamentalmente due gruppi, "Red Army Faction" con leader lo studente Tsuneo Mori e i maoisti del "Revolutionary Left Wing of the Japanese Communist Party" con leader la severa Hiroko Nagata, fuggono sulle montagne per addestrarsi e preparare la rivoluzione ed il loro esiguo numero li porterà ad unirsi in un gruppo che chiameranno appunto United Red Army. A questo punto finisce la (eccezionale!) parte docu-fiction ed inizia, sempre e rigorosamente riportante fatti realmente accaduti, la pura finzione.

Il gruppo vive tutto unito e svolge un severissimo lavoro di addestramento che è più mentale che fisico. Studiano, si allenano fisicamente, cambiano la base mano a mano che la polizia è sulle loro tracce. Fine del '71, sono tutti ragazzi molto giovani, persino qualche minorenne, fanno ormai vita monastica e parlano anche degli anni passati oltre che di dottrina politica. Sempre più braccati per evitare delazioni decidono che nessuno potrà più allontanarsi, pena la morte.
Ad un certo punto partono con quella che chiamano "autocritica": ognuno deve meditare sul proprio comportamento passato e presente per depurarsi di tutto ciò che è borghese, vigliacco ed inadeguato ad un rivoluzionario comunista. E' l'inizio di una follia da incubo! Un vero inferno: non è sufficiente pentirsi a parole, vengono comminate pene fisiche, il colpevole viene colpito da tutti i suoi compagni, "per il tuo bene" gli dicono. Mori e Nagata sono in pieno delirio, ormai basta un niente per processare uno dei loro compagni, il primo morto la notte del 31.12.71, poi è un susseguirsi, viene persino codificata la condanna a morte come necessaria, già sono pochi e diventano sempre meno. Quando cominceranno in concreto la lotta armata sono ormai ridotti al lumicino. Il finale lo lascio da ammirare, è un apogeo.

La seconda metà del film è l'angosciante e spaventosa vita che l'URA conduce in quel modo. Una follia collettiva dove chi aveva un momento di lucidità veniva immediatamente sottoposto alla fatale autocritica. Uno sguardo ed una osservazione verbale di Mori o Nagata voleva dire quasi certamente morire, ed in modo terribile. Terrore costante, una cosa inimmaginabile, riprodotto da Wakamatsu mirabilmente, non potrei mai descriverlo come merita.

Capolavoro da Olimpo, senza esitazioni, imperdibile. Reperibile ottimamente sottotitolato, in italia è stato visto solo al Festival di Torino. Interessantissimo anche storicamente, non ne sapevo nulla dei fatti narrati.

P.S.:
Wakamatsu è regista d'incredibile prolificità, questo a quanto ho letto è il suo 101° film! Avevo già visto "Su su, per la seconda volta vergine", consiglio lettura della breve recensione. Tutti e 101 dubito di aver vita sufficiente a guardarli, ma ce n'è altri di molto interessanti, prossimamente sul blog.

sabato 19 giugno 2010

Blindness

11
Premessa:
Riciccio oggi questa recensione, scritta l'11.2.10, come mio personale omaggio a José Saramago, morto ieri all'età di 87 anni. Proprio in questi giorni sto leggendo il libro, meraviglioso!, da cui è tratto questo film che ora, posso dirlo con cognizione anche se ancora devo finire il libro, è più che degno. Di questo grande della letteratura consiglio di leggere anche QUESTO discorso che condivido in pieno, e ringrazio l'amico ReAnto per averlo segnalato nel suo blog.
Fine premessa.

Nel mondo si diffonde un'epidemia davvero imprevedibile: le persone diventano improvvisamente cieche. Una cecità "luminosa", vedono tutto bianco, un mare di latte.

Dopo i primi casi quasi immediatamente vengono creati centri di quarantena per gli infetti. In uno di questi andrà una donna, che invece inspiegabilmente ci vede, per stare insieme al marito. Chiusi come in prigione, senza alcuna assistenza, cibo razionato.
Inutile quasi dire che lì dentro succederà di tutto, ed a riguardo le analisi psico-etiche si potrebbero sprecare...

Spettacolarissima sarà l'uscita da quel centro, che perderà ad un certo punto i suoi guardiani militari. Di paesaggi da apocalisse ne ho visti tanti in parecchi film, ma questo, di un mondo popolato quasi ed esclusivamente da ciechi, ha un sapore particolare.

All'inizio alcune recitazioni un po' approssimative (film stracolmo di attori da fiction) lasciano un po' perplessi. Poi compare Julianne Moore (una grande, attrice che amo particolarmente) e già, almeno sul cast, ti rinfranchi lo spirito. Il film in realtà, attori a parte, è un grande crescendo, di trama, intensità drammatica ma anche di qualità di riprese. Ricostruire alcune situazioni, sia nel claustrofobico centro che negli incredibili paesaggi urbani popolati da disperati, soprattutto direi questi ultimi sono fatti alla grandissima, non dev'essere stato semplice anche perché è tutta fotografia "vera", non c'è computer grafica.

Proprio questo "realismo" è il punto di forza di un film che sarebbe potuto essere un trionfo di effetti speciali. D'altronde, a quanto ho letto, l'autore del libro omonimo, José Saramago, aveva posto condizioni precise a che non si abusasse della storia per fare un horror e così è stato.
Il libro, ed anche il film, è sintetizzato nell'incipit: "Non penso che siamo diventati ciechi. Lo siamo sempre stati. Ciechi che vedono. Persone che possono vedere ma non vedono".

Bello! Sicuramente un film che merita abbondantemente d'essere visto.

Valhalla Rising

7
E' un regista che tengo d'occhio, dopo la trilogia di Pusher, dopo aver visto lo spettacolare Bronson, non posso non prestargli attenzione.

Un vichingo che assumerà il nome di One-Eye (ha un occhio solo, l'altro è devastato da una ferita), vive in una gabbia, sempre legato da un clan, usato come animale da combattimento, è violentissimo ed imbattibile. Riuscirà a liberarsi mentre la zona è attaccata dai cristiani. Si unirà a questi ultimi per un viaggio in terra santa, quasi allo sfinimento su una barca avvolta dalle nebbie e in bonaccia finiranno in america ma saranno accolti dall'inferno, lo stesso luogo da cui si dice provenga One-Eye.

Non il "solito" film di eroi. E' minimalista e crepuscolare, ha nella lentezza esasperante, salvo alcune scene dove accelera repentinamente, la sua debolezza, forse, ma è una scelta, che può piacere o meno, atta a risaltare massimamente l'Epica di un uomo che vive l'inferno in terra.
One-Eye non parla mai, lo fa per lui un bambino che lo accompagna. Bella e ricercata la fotografia che crea un'ambientazione molto celtica e gotica, avrebbe fatto la felicità di Wagner, peccato non aver usato almeno qualche musica di quest'ultimo. C'è molto Herzog, anche le musiche assomigliano a quelle dei Popol Vuh.

Non mi ha del tutto convinto, ho trovato eccessivo l'insieme che ne viene fuori, è comunque un film molto potente e coinvolgente, trasmette senza metodi convenzionali tutta la rabbia e l'energia del protagonista. Ci avrei messo più trama ed evitato d'indugiare troppo su primi piani e panorami. Soprattutto la "mistica" di One-Eye, un uomo che ha chiaramente un contatto con l'ultraterreno, si poteva sviluppare di più. Sono critiche a un bel film che avrei voluto ancora migliore.

Un tentativo sostanzialmente riuscito di uscire dagli schemi e di europizzare, nordicamente, un genere troppo spesso banalizzato da kolossal americani dove si perde nella spettacolarizzazione la nostra cultura. Quindi da migliorare, ma avanti così!
Merita la visione.

venerdì 18 giugno 2010

Dogma

7
Due angeli puniti da dio per aver disobbedito durante uno sterminio da egli voluto, si trovano esiliati nel Wisconsin.
Vengono a sapere che un cardinale nel New Jersey, con la sua iniziativa Cattolicesimo Wow! che vuole portare nuova linfa alla chiesa (il simbolo non è più l'uomo sofferente sulla croce ma uno allegro e gioviale che il cardinale stesso definisce "gesù compagnone"), permetterà a chiunque varcherà il giorno dell'inaugurazione la porta della sua chiesa di ottenere un completo perdono dei propri peccati ed un accesso al paradiso dopo la morte. Decidono di andarci...

Se riusciranno nel loro intento allora vorrà dire che la parola di dio non è infallibile, smentirebbero il dogma dei dogmi. Si fronteggeranno 2 coalizioni extraterrene: la prima di demoni che cercheranno di favorire il proposito dei 2 angeli; la seconda è composta da uno che dovrebbe essere il 13° apostolo solo che siccome è negro non fu menzionato nei vangeli, 2 profeti hip-hop uno dei quali pensa solo a scopare tutte quelle che trova, un angelo importante e soprattutto la sola discendente di gesù per lontanissima parentela, una donna credente anche senza particolare fervore che lavora in un centro dove praticano aborti.

Un gran bel serraglio di personaggi strampalati, non c'è che dire! Tra il poco serio ed il molto faceto, con punte di blasfemia di livello assoluto, il vecchio ed il nuovo testamento vengono rivoltati come calzini che invece che rammendati vengono bucati col ferro rovente! Inutile dire che le chiese, sia quella cattolica che protestante, ne escono particolarmente malconce. Il film è una sequenza demenziale di citazioni, anche di altri film, quasi illogica, divertente ma non per tutti, per me molto. Non mancherà nemmeno dio in carne ed ossa, con la curiosa partecipazione della cantante Alanis Morissette ad interpretarlo.

Può piacere e non piacere, è un film molto strano, persino il finale è incomprensibile. Io l'ho trovato a suo modo geniale ed originale. Tale lo scalpore prodotto che prima di uscire nelle sale il regista e la produzione si sono sentiti in dovere di apporre questo incipit scritto: "Benché dopo 10 minuti diventi evidente, View Askew dichiara che questo film è, dall'inizio alla fine, una commedia surreale che non va presa sul serio.
Insistere sul fatto che quanto segue sia incendiario o provocatorio significa fraintendere le nostre intenzioni ed emettere un giudizio inopportuno; emettere giudizi spetta solo e unicamente a Dio (questo vale anche per i critici cinematografici… scherziamo).
Quindi, per favore, prima che pensiate che questa sciocchezza di film possa nuocere a qualcuno, ricordate: anche Dio ha un senso dell'umorismo… Prendete l'ornitorinco.
Grazie e buona visione.
P.S. Porgiamo le nostre sincere scuse a tutti gli amanti dell'ornitorinco che si sono offesi per questo sconveniente commento.
Noi di View Askew rispettiamo il nobile ornitorinco e non è nostra intenzione mancare in qualche modo di rispetto a questo stupido animale.
Grazie ancora e buona visione.
"

Occorre dire che il film è molto coerente con l'incipit.

giovedì 17 giugno 2010

La leggenda di Ip Man

17
Yip (o Ip) Man è probabilmente uno dei più grandi maestri cinesi di kung fu di sempre, certamente il più famoso del XX secolo. Alla fama come fondatore della disciplina Wing Chun (spero di dire bene) ha unito quella di eroe nazionale per il suo coraggioso atteggiamento durante l'occupazione giapponese dal 1937 al 1945. Il film è ambientato proprio in quegli anni.

Yip è un uomo benestante, vive in una meravigliosa villa con moglie e figlia. Trascorre il suo tempo nello studio del kung fu ed elabora una tecnica che fa della filosofia, buone maniere e fermezza di spirito i punti essenziali per la mente, della velocità di azione e reazione quelli per il corpo. Fisicamente minuto ed affatto appariscente, è persona di modi gentilissimi; spesso sfidato da altri maestri mai affonda il colpo, sempre si complimenta con l'avversario. Nella città dov'è nato e vive, Foshan, sud della Cina, è amatissimo da tutti.

Durante la sanguinosa invasione giapponese Foshan passa da 300.000 a 70.000 abitanti, la casa di Yip viene sequestrata dal comando militare e lui si ritrova a vivere di stenti. Un generale appassionato di arti marziali scopre Yip, che viveva in penombra, e vuole a tutti i costi che lui insegni il Wing Chun ai soldati giapponesi ma lui rifiuterà. Quello che non rifiuterà sarà di sfidare in luogo pubblico il generale in combattimento, per motivi e con risultati che lascio scoprire.

Non riportato dalla trama, cosa che lascia presupporre (e me lo auguro!) un sequel sul resto della sua vita, il periodo post guerra di Yip ad Hong Kong, dove fondò, finalmente, una scuola di kung fu nella quale crebbe una superstar ineguagliata della categoria, Bruce Lee, un'iradiddio che unì all'eleganza dell'arte di Yip potenza fisica e furore agonistico (lo ammetto, Bruce Lee è un mio mito, prima o poi un suo film lo devo recensire, per rispetto). Inarrivabile invece la pacatezza e la cultura di Yip, veramente ammirevoli.

Film biografico quindi, certamente un po' apologetico ma lo si può concedere (qualche storico ha storto il naso, pare, non per Yip che non si discute, ma per qualche personaggio di contorno).
Forse un film per amanti del genere, ma non credo. Non si vedono mostri che con uno schiocco di alluci saltano da terra sui tetti delle case, o gente che vola. A parte le scene storiche con splendide ricostruzioni, i combattimenti sono realistici, ottimamente riprodotti senza effetti strabilianti, veramente stupendi! Esibizione d'arte marziale seria e precisa, di altissimo livello e non posso che dire superbravo all'attore protagonista Donnie Yen.

Osannato da critica e pubblico in Asia e non solo, in italia s'è visto solo in rassegne dedicate ma è reperibile coi sottotitoli (meglio!).
A mio parere è imperdibile e non vedo l'ora di vedere la seconda parte.

mercoledì 16 giugno 2010

Bubba Ho-Tep

16
In un ospizio del Texas c'è un tizio, con un problema di pus sul pisello, che sostiene di essere Elvis, effettivamente gli somiglia parecchio, ma non gli danno molto credito. D'altronde c'è anche un nero, il suo migliore amico, operato al cervello, che si spaccia per John Fitzgerald Kennedy, e questo davvero è molto poco plausibile.

Questa geriatrica coppia di eroi si ritroverà a fronteggiare una mummia, che chiameranno appunto Bubba Ho-Tep, risvegliatasi dopo essere stata trafugata da ladri impiastri. La mummia si nutre di anime delle persone e se ne impadronisce succhiandogliele dal culo. Questa suzione rettale porta poi i poveri defunti a non poter godere nemmeno dell'aldilà. Una situazione intollerabile, va combattuta a costo di spaccargli il deambulatore in faccia!

Film simpatico, divertente, un po' horror ma proprio poco, che gioca anche su una delle n-mila ipotesi sulla fine di Elvis mai morto, magari nascosto da qualche parte appunto sotto mentite spoglie. Tratto da un racconto breve e fantasioso di Joe R. Lansdale. Tanta ironia sulla senilità, che Totò definirebbe l'anticamera della Livella.

Ottimo per una serata all'insegna dello humor non cretino. Coi sottotitoli si apprezza lo slang americano che è tutto da godere. Bravo bravo bravo Bruce Campbell che interpreta una caricatura di Elvis affatto offensiva, anzi l'uomo viene mostrato per quel che è, o meglio sarebbe potuto essere.

Consigliato.

martedì 15 giugno 2010

La Horde

18
L'horror francese prosegue la sua strada, fra alti e bassi ma prosegue, dimenticata troppo presto da altri europei (italiani anzitutto) ma sempre in tempo per recuperare.

Sinossi breve: 4 poliziotti si recano in un malconcio palazzo di una banlieau parigina per vendicare l'uccisione di un loro collega. Quando arrivano al dunque, loro e la banda che cercavano,
si rendono conto che il palazzo è infestato da zombie che si nutrono di carne umana, alcuni sono gli stessi che loro hanno ammazzato. Senza alternative uniscono le loro forze per uscire da quel palazzo trappola. Quando si troveranno sul tetto vedranno Parigi a ferro e fuoco, tutta la città è invasa da zombie, intorno al palazzo ve n'è un formicaio. Lotta durissima...

Una volta tanto ci vengono risparmiate quelle rotture di palle introduttive che ci devono portare, a volte solo in pochi minuti finali, alla polpa, cioè alla violenza ed al sangue che noi che amiamo vedere questo genere di film desideriamo come mannari. Se non ci sono particolari trame da esporre, andiamo subito al dunque!
La Horde non delude, un breve funerale iniziale e poi adrenalina a mille per il resto del film, sempre, prima durante e dopo scene orrorifiche di prim'ordine. Pure qualche battutina socio-politica, qualche richiamo alle guerre, flebili tentativi da parte dei nostri eroi di mantenere valori umani in mezzo a quella carneficina. Ma non disturbano, per il resto pressione cardiaca alle stelle.

Grazie. Quando si fa dichiaratamente un horror violento lo vogliamo così!

Stasera ci mangio sopra un bel roastbeef all'inglese tagliato a mano e sempre con le mani penso lo mangerò. Niente pane, il sangue deve colare pulito nello stomaco. Un bel Nebbiolo, tra i vini che amo di più, a rafforzare il colore.

lunedì 14 giugno 2010

Amores perros

6
Un inseguimento in macchina. La macchina davanti ha un cane che sanguina ferito sul sedile posteriore, gli inseguitori sparano. Semaforo rosso, gli inseguiti passano e si scontrano violentemente con un'altra auto, a bordo una donna che ora urla disperata. Un barbone con carretto e cani guarda la scena poi interviene.

Un incidente che sconvolge ed incide pesantemente sulle vite di 3 personaggi protagonisti e quindi su quelle di chi gli sta intorno, soprattutto di chi amano. Loro 3 sono uniti solo dal terribile incidente. Percorrendo il tempo precedente e successivo a quel momento viviamo i loro drammi ed avventure, ambientati tutti a Città del Messico, paese che il regista ha voluto ritrarre nelle vite di persone comuni dell'immensa periferia come nell'alta borghesia del centro cittadino

Sintetizzare quasi 150' di film intenso non è semplice. Senza rovinarvi la visione, i 3 protagonisti sono: un ragazzo innamorato della moglie del fratello che vorrebbe fuggire con lei ed accumula soldi con combattimenti di cani; una modella famosa che dopo aver realizzato il sogno di vivere con l'amante che finalmente ha abbandonato per lei moglie e figli si ritrova su una sedia a rotelle in una casa; un barbone che in realtà esegue omicidi su commissione con un passato da rivoluzionario, quindi da carcerato, che cerca l'affetto di una figlia che nemmeno lo riconosce. Poco e niente, solo un assaggio delle 3 vicende.

"Amore e cani" o "amori bastardi" è un titolo forte come forti e pregne sono le storie, per motivi diversi con un unico denominatore: l'amore, per un partner o per un figlio, che può essere la gioia tanto ricercata come la causa dei più grandi dolori. Molto carnale l'episodio del ragazzo, ambientazione di degrado al limite della disperazione, un amore impossibile con il principale nemico in famiglia, un fratello odiatissimo. Raffinato quello della modella, più metaforico e sottile con quella casa dove il cagnolino sparisce in un buco dell'impiantito che fino alla soletta pare ricolmo di topi, un cartellone pubblicitario che la ritrae ne decreta la durata nel successo, e la fine. Torbida la vita del barbone, che salverà il cane dall'incidente e quel cane distruggerà la sua alternativa alla vita familiare ed allora, con cinismo verso chi vuole che lui uccida, ritroverà motivazioni verso la famiglia che abbandonò.

Non c'è pietas per queste vite che si trovano di fronte a situazioni che, quasi senza alternative, loro malgrado devono fronteggiare quasi impotenti, affogate in una megalopoli ingovernabile, dove la violenza può travolgerti da un momento all'altro anche solo con un incidente. Forse solo il barbone, che ha sacrificato tutto ai suoi ideali, ha un bastone a cui sorreggersi, nel riscoprire che la sua vita dopotutto ha avuto uno scopo, anche se nulla può dargli la certezza, ed è commovente che sia a lui dedicato il finale.
C'è chi dice che ognuno di noi è quello che sceglie di essere. Una bella frase, sottende volontà e presa di responsabilità, ma non bisogna dimenticare che la tela su cui ognuno si dipinge è l'ambiente e le circostanze in cui si ritrova a vivere, oltre a una dose di eventi imprevedibili che possono cambiare tutto in un solo istante.

Bellissimo ed assolutamente imperdibile.

domenica 13 giugno 2010

Kiss Kiss Bang Bang

8
Ogni tanto mi propongono un film per staccare la spina, come si dice. Questo da questo punto di vista funziona bene, devo dire che è iniziato e finito senza che nemmeno me ne accorgessi, mentre che andava ho letto persino il giornale ascoltandolo e sbirciando giusto quando c'erano le donnine nude (molto poche) che nonostante la tarda età m'intrigano ancora, senza perdermi un solo fatto importante, avrei al limite dovuto prestare un'attenzione certosina per trovarne.

E' una commedia-thriller? un giallo con humor? Sicuramente adattissimo ad una prima serata per mediomanSet o vomiteRai, magari con emozionante intervista del lecchincuratore di turno della pagina cinematografica.

Altri motivi per guardarlo a parte la voglia di spegnere il cervello: non avete proprio un cazzo da fare; un amico vi ha chiesto un parere (mio caso, è l'ultimo, la prossima volta ti sputo in un "ecchio", sappilo); siete sbarbatelli da muretto ed occorre qualche argomento da esibire e coi lucchetti avete già dato fondo al vostro sapere; volete mangiare una pizza con amici e serve del rumore in sottofondo; siete trendy, fate i brunch vestiti stilosi, non saltate un happyhour ed usate il "piuttosto che", l' "assolutamente sì/no" ed anche il "comunque" con grande disinvoltura.

Monnezza. Per il Cinema consultare il resto del blog.

sabato 12 giugno 2010

V for Vendetta

21
Il mondo è appena uscito da guerre non ben chiare, gli ex stati uniti sono implosi in un caos interno e non esercitano più il loro potere internazionale essendo completamente devastati da una guerra civile e non solo loro. In inghilterra da molti anni a partire dal 2015 il potere è stato preso da Adam Sutler, un dispotico leader conservatore completamente privo di scrupoli, dominato da fame di potere. Sutler porta la cultura della paura come dominante, genera dipendenza nelle masse, controlla i mezzi d'informazione e con violenza si libera di possibili oppositori, distruggendone anzitutto l'immagine per poi passare anche all'eliminazione fisica.

Ma come in un romanzo di fantascienza di Asimov, dove il futuro è reinvenzione e conseguenza del presente, compare una variabile impazzita, un "mulo" che non è controllabile e rende imprevedibile ciò che appare scontato. Un uomo mascherato che si chiama "V".

V comincia ad uccidere una serie di persone di grandissima fiducia dell'Alto Cancelliere, così Sutler si fa chiamare. Un bravo detective comincerà ad indagare scoprendo cosa lega le vittime a V, ma al di là dell'individuare la maschera terrorista scoprirà verità terribili sulla storia del suo paese da quando è comparso Sutler, sull'enorme castello di menzogne in cui lui ed i suoi connazionali sono costretti a vivere. Notizie montate ad arte, stragi di stato, falsi nemici... non manca nulla, nulla che noi italiani non conosciamo già benissimo.
E il resto della trama, avvincente e spettacolare, lo lascio scoprire.

Evidentissima la critica politica e sociale che emerge da questo film, che non è mica Il Caimano, non ha alcun riferimento diretto ad una persona o ad uno stato in particolare anche se ambientato in terra d'albione. L'ambientazione è un qualunque paese occidentale, particolarmente azzeccata (mia ipotesi, non conosco il racconto a cui è ispirato il film) nel tempo se "letta" dopo l'11 settembre 2001. Quegli attentati che, teorie complottiste o meno, non c'è stato verso ancora di chiarire come siano potuti avvenire (si guardi Fahrenheit 9/11, tuttora senza risposte), la guerra infinita al terrorismo, lo stillicidio di news stupide su argomenti inutili ma tranquillizzanti oppure catastrofiste e tendenti ad ingenerare panico persino sulle previsioni del tempo. E' un ingranaggio mostruoso, un lavaggio del cervello collettivo che tende a tenere le persone succubi, persino desiderose dell'uomo forte che le protegge, che portano ad autorizzare o giustificare concessioni al potere e limitazioni alle libertà personali altrimenti inaccettabili, e ciò che si perde poi riaverlo non è semplice.
A parte le considerazioni, qua si va oltre! V non si rassegna a subire passivamente tutto ciò. Spinto dalla Vendetta e da una lucidità unica sul mondo che vive unita ad una cultura non comune, è uomo d'azione. Non esita mai: uccide, ed altre soluzioni non ce ne sono. Su questo punto la coscienza di ognuno ci si deve confrontare. Personalmente non ho esitato un attimo: facevo il tifo per lui e sono d'accordo sul fatto che di certa gente te ne liberi solo con la morte, l'ho già detto e scritto altrove, mi ripeto.

Un film tosto, profondo per trama e spesso anche per testi e dialoghi, contiene pezzi notevoli di letteratura quanto semplici, diretti, non c'è sofisticazione, si vuole arrivare a tutti, giustamente. Film oltretutto grandemente spettacolare, lo si può anche vedere come film d'azione e di fantascienza politica. Meglio comunque tenere desti i neuroni e le orecchie ben aperte, si gode di più.

Fatico a capire come questo regista, che qua ha prodotto una simile perla, è poi riuscito 4 anni dopo a fare una schifezza cosmica come Ninja Assassin.

Imperdibile e da rivedere. E' già un mio personale Cult!

Questa recensione la dedico all'amico Giovanni Pili che nel suo ottimo blog svolge opera d'informazione di pregio completamente sganciata dai canali convenzionali e dove in QUESTO articolo recente mi ha ricordato che dovevo vedere questo film, perché vi si parla del libro da cui è tratto e del personaggio che lo ha scritto: la graphic novel "V for Vendetta" di Alan Moore, illustrata da David Lloyd. Ho la sensazione che il nome del blog di Giovanni si ispiri a questo film.

venerdì 11 giugno 2010

Kanzo sensei - Dr. Akagi

2
Siamo in Giappone nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale. In un paesino di provincia il dottor Akagi, medico condotto, corre, corre sempre con grande dedizione da un paziente all'altro. Lo chiamano "dottore fegato" perché, a parte qualche febbre, non fa altro che diagnosticare epatiti a destra e a manca, è una sua fissazione, anche una paranoia, quella che il suo paese è già in buona parte colpito da un'epidemia di questa malattia.

Akagi è un gran brav'uomo comunque, molto rispettato, un'intera comunità che lo prende in giro con quel soprannome gli si affida con gran fiducia. Ha un grande senso di missione, non guadagna quasi nulla ma non gli manca di che vivere, molti si prendono cura di lui per riconoscenza.

Un paese fiero e devastato che ci viene mostrato con ironia, a tratti estremamente spassosa, con riprese in grana grossa che seppure a colori forniscono un effetto volutamente anticato e realista al tutto. Molti i personaggi simbolo che ruotano attorno ad Akagi: militari ormai in delirio coscienti della sconfitta imminente; prostitute e tenutarie di bordelli; medici suoi colleghi tossicodipendenti. C'è poi una situazione sociale tutta imperniata su favoritismi, corruzione. Una situazione di anarchia da assenza di governo.
E' la società che è malata e l'epatite è solo un pretesto. Nel Buddismo il concetto di malattia è sempre concernente, in un unico indivisibile, sia il corpo che la mente e questo concetto è applicato al singolo quanto alle collettività. Il finale, molto simbolico, bellissimo e poetico, quasi melvilliano, condenserà tutta l'apparente confusione alla quale si assiste. Sarà lo stesso Akagi ad esplicitarla ed allora non ci saranno più dubbi.

Curiosità: la poca musica che ogni tanto si sente è un jazz / free-jazz, non saprei meglio definirla, che lascia basiti, all'inizio appare inadeguata. In realtà è una trovata molto creativa che sposta in occidente una storia completamente orientale.

Imamura è un Grande ed anche se questo film non è da Olimpo (ma quasi) lo considero, come molti in Europa, un regista di grandissima fantasia ed originalità, che approfondirò ancora.

giovedì 10 giugno 2010

Kinetta

11
Dopo aver visto Kynodontas, Capolavoro di questo impressionante regista, non potevo esimermi dall'indagare nelle altre sue opere.

Giudizio breve per Kinetta: il Capolavoro che sconsiglio.

Breve sinossi: 2 uomini ed una donna hanno le loro vite personali,

mercoledì 9 giugno 2010

Hatchet

9
Classico slasher in chiave moderna, molto gustoso dal punto di vista gastronomico, uscito solo ora in Italia. Negli usa a fine anno esce il sequel, atteso dagli appassionati, forse questo ha reso possibile l'uscita del primo.

New Orleans durante il martedì grasso, un ragazzo nonostante tutta la festa, che propone gnocca ed alcol in quantità, vuole fare una gita notturna nella paludi, proprio in una zona sconsigliata e sarà accompagnato da un amico molto malvolentieri. Parteciperanno alla gita anche 2 pornostar con un finto produttore di quei film, una coppia attempata e una ragazza introversa, oltre ovviamente all'organizzatore guida. La barca s'incaglierà durante un improvviso temporale e gli alligatori cominceranno a dare il benvenuto, ma non sono loro il pericolo principale.

Una leggenda vuole che in quella zona anni prima viveva un uomo con un figlio, Victor, nato deforme, mai uscito di casa. L'uomo uccise il figlio, in modo accidentale, con un'accetta e non ne ebbe più pace. Dopo la sua morte però, in quelle paludi, un mostro procurava sparizioni di persone. Incredibile a dirsi, era proprio Victor (ma va?). I nostri turisti allo sbando ci dovranno avere a che fare.

Non manca nulla in termini di sbudelsquartamenti, grande assortimento di devastazioni fisiche, ho apprezzato in particolare lo svitamento di una testa dal collo, tra le opere di carpenteria carnale ammirate una delle migliori, ma anche l'apertura di un cranio con leva sulle mandibole non è stata affatto male. Battute ironiche e personaggi di varia sfiga assicurano anche qualche risata.

Chi ha apprezzato la macelleria di Feast I, II e III non resterà deluso.

Come da tradizione, propongo un menù: vedo bene, vista la stagione ormai estiva, 2 bei tranci alti almeno 3 cm di filetto di tonno rosso crudo, marinato con limone, sale, poco pepe e a chi piace rafano in polvere, un filo d'olio solo all'ultimo, da mangiare stracciando la carne con 2 forchette. Accompagnare con pane siciliano al sesamo ben cotto e un onesto Sannio Falanghina molto freddo, non amo i bianchi ma per questa pietanza è doveroso.

martedì 8 giugno 2010

Das Experiment - The Experiment

21
Una equipe di psicologi universitaria decide di fare un esperimento di simulazione di un carcere. Siamo in Germania. Viene pubblicato un annuncio dove si spiega per sommi capi di che si tratta e grazie soprattutto al compenso di denaro cospicuo per 2 sole settimane di lavoro molti uomini rispondono, alcuni di loro solo per curiosità di fare un'esperienza fuori dall'ordinario.

Verranno scelti 24 uomini. Per 2 settimane 12 di loro faranno i prigionieri, il ruolo più duro perché quello che prevede la rinuncia ad alcuni diritti civili e soprattutto la permanenza in prigione senza possibilità di uscita. Gli altri faranno le guardie, seguiranno dei turni e quando in riposo potranno uscire. Poche regole di base vengono impartite dall'equipe: i prigionieri devono limitarsi ad obbedire e non possono rifiutare il cibo; le guardie devono far rispettare l'ordine e le regole; per tutti è vietato far uso della violenza.

Inizio scherzoso e giocoso, tutti sono complici, guardie e reclusi, col solo scopo di portarsi a casa i soldi promessi. Non passeranno però nemmeno 36h che cominceranno i problemi, per futili motivi ma strettamente connessi alle regole stabilite. Il recluso 77 in particolare, un reporter entrato con l'intento di documentare quanto accadrà, non è minimamente in grado di tollerare alcun sopruso ed interviene sia che la cosa è rivolta contro di lui che contro altri compagni. Fra lui e le guardie, coinvolgendo poi tutti, nascerà una lotta durissima, le regole salteranno, con un escalation di violenza drammatica! Lascio i dettagli alla visione...

Film sconvolgente, con qualche "concessione" narrativa sul recluso 77, il bravissimo attore tedesco Moritz Bleibtreu, che stempera un attimo la tensione. Fosse stato per me, non avrei tolto la telecamera dal carcere un solo secondo ché della fidanzatina del 77 non ce ne poteva fregare di meno! Ecco, ho evidenziato il solo neo, per il resto un film veramente fantastico, di fortissima tensione, adrenalinico: Imperdibile!

Ciò che però è veramente incredibile è che la storia è ispirata, e ne riproduce i fatti con un realismo totale ad eccezione del finale, ad un esperimento condotto nel 1971 negli Stati Uniti, ora noto come Stanford Prison Experiment. Consiglio un'approfondita lettura QUI, testimonianza e conclusioni di Philip G. Zimbardo, il professore che ha ideato e diretto l'esperimento. Tutt'oggi un esempio di come la prigione possa trasformare, ed in peggio ovviamente, le persone fino ad arrivare a dei livelli patologici.
Durante l'esperimento solo alcune delle umiliazioni a cui sottoporre i prigionieri furono premeditate, alcune delle guardie andarono ben oltre. I reclusi dopo solo 3 giorni provavano la sensazione che non sarebbero mai più usciti da lì e manifestavano seri problemi psicologici. Vennero di fatto attuate tutte le forme di tortura psicologica possibili e l'esperimento non poté superare il 6° giorno, per il grave rischio di situazioni incontrollate. Non fu facile ricondurre alla "normalità" tutti, persino lo staff dei ricercatori in buona parte s'era completamente immedesimato nel ruolo, lo stesso Zimbardo si sentiva il direttore di un carcere più che un ricercatore.

Ci sarebbero tantissime cose da dire, ma insisto, leggete il sito linkato sopra, è interessantissimo. Qualcuno ricorderà quanto accaduto in certi carceri in Iraq, o a Guantanamo. In questa storia troverà la spiegazione di tutto ciò.
Dal sito voglio riportare qui lo stralcio di una lettera che un vero detenuto di un carcere americano inviò a Zimbardo, poco tempo dopo l'esperimento:
"Sono stato da poco liberato dopo trentasette mesi di cella di isolamento. Mi è stato imposto il silenzio assoluto e se appena sussurravo qualcosa all’uomo della cella accanto venivo picchiato dalle guardie, cosparso di una sostanza chimica, sbattuto in una cella ancora più piccola, denudato e costretto a dormire su un pavimento in cemento, senza coperte, senza lavabo e senza water… E’ giusto che i ladri vengano puniti, e non giustifico il fatto di rubare sebbene io stesso sia un ladro. Una volta libero, non credo che tornerò a rubare. Questo non vuol dire però che mi abbiano riabilitato. Adesso penso solo ad uccidere – uccidere quelli che mi hanno picchiato e trattato come se fossi un cane. Spero e prego per il bene della mia anima e per la libertà futura, spero di riuscire a sconfiggere l’amarezza e l’odio che giorno dopo giorno mi corrodono l’anima. Ma so che non sarà facile".
Ogni commento è superfluo.

lunedì 7 giugno 2010

Red Road

8
Non potevo non guardare questo film molto apprezzato a Cannes, della brava regista inglese del già visto Fish Tank. E' poi il primo film della trilogia Advance Party tra i cui ideatori c'è Lars Von Trier, uno dei miei miti, che la produce anche con la sua Zentropa.

E' la storia, a Glasgow, di Jackie, un donna che lavora in un centro di videosorveglianza che 24/24h controlla una zona periferica della città. E' chiaro fin da subito che ha alle spalle una grande sofferenza. Quel lavoro solitario e "ficcanaso" le calza bene addosso, vive con empatia le vite degli altri che di tanto in tanto le strappano un sorriso.

Un giorno scopre un uomo in un monitor che ben conosce, s'aspettava fosse in carcere e vederlo fuori l'angoscia. Solo alla fine del film si comprenderà cosa la lega a quell'uomo, perché da quel momento non ha fatto altro che pensare a lui, a pedinarlo sia con le videocamere che a piedi al punto di arrivare a conoscerlo, frequentarlo, persino...

Film crudo, duro. Una trama più pregna del già citato Fish Tank ed anche qua alcune scene di grande emozione. Quando Jackie con coraggio approfondirà la conoscenza di quell'uomo tutto il dramma emergerà. Una storia che all'inizio parte molto lenta, ma poi è un grande crescendo fino al finale.
Il dramma non è altro che un banale fatto di cronaca, noi almeno da parti terze lo leggeremmo così su un giornale, quelle cose che ti colpiscono per 5 minuti prima di pensare poi ad altro. Ovviamente per chi li vive non è così, sono cose che condizionano un'intera esistenza, trasformano l'individuo che le subisce ma anche chi le compie se ha uno straccio di umanità addosso. Questo concetto emerge splendidamente in questo film che consiglio caldamente di vedere.

Gran bella musica britannica durante il film, ma soprattutto bellissima la cover degli Honeyroot di "Love will tear us apart", stupendo pezzo dei Joy Division che in questa versione ha una dolcezza unica e si presta magnificamente al finale.

domenica 6 giugno 2010

Kasi az gorbehaye irani khabar nadareh - I Gatti Persiani

8
Siamo a Teheran, particolare fondamentale, ai giorni nostri.
Un duo appena uscito di prigione, che canta e compone indie-rock, ha un sogno: andare a Londra a proporre la propria musica. Vivono però in un paese in cui le libertà civili sono ridotte al lumicino, il solo procurarsi passaporto e visti per uscire dal paese è impresa titanica. La musica stessa la devono suonare clandestinamente.

Tramite amicizie ed un manager bravo ma inevitabilmente confusionario, iniziano un percorso nell'underground della città, alla ricerca di musicisti, cantanti e quant'altro occorre sia per formare la band che per ottenere i permessi. Tutti, senza eccezione, devono lottare e fare carte false per poter suonare. Si organizzano persino concerti col passaparola.
La retata della polizia, però, è sempre in agguato, si vive nel terrore di finire nelle loro grinfie, eppure è più forte di loro, sono condannati dalla loro passione a vivere da fuorilegge.

E' una bella storia, di giovani che amano il proprio paese pur essendo da esso maltrattati. Tanta la musica che si sente, ogni incontro è occasione per suonarla, con generi i cui nomi sono noti a tutti, come metal, pop, ecc..., ma tutti, e ci tengono a dirlo, non dimenticano mai di mettere "tracce persiane" nei loro pezzi. Poi dipende dai gusti, io ho particolarmente ammirato un canto arabo di world-music, che m'ha ricordato tantissimo i famosi islandesi Sigur Ros. Ad ogni modo la musica m'è piaciuta tutta. Colonna sonora da procurarsi.

Questo è però uno di quei film che va giudicato andando oltre la semplice rappresentazione, che pure ho apprezzato molto. Ghodabi, di origine curda, ha girato tutto in 18 giorni nella stessa Teheran, lo stesso film è clandestino, proprio come i musicisti che hanno partecipato mettendoci le loro facce ed opere. Grande coraggio quindi, bel Cinema che è anche denuncia, forte! Teheran emerge come una città che coltiva nel sottosuolo un fermento artistico importante, che nemmeno l'oppressione attuale può scardinare, è un fenomeno giovanile diffuso e popolare.
Il titolo, molto indovinato, identifica questi giovani come i gatti persiani, animali molto amati e presenti nelle famiglie iraniane ma che è vietato esibire, devono restare relegati. Bellezze condannate a restare nascoste.

Premiato a Cannes 2009 nella sezione "Un certain regard", devo dire che questo premio individua sempre film molto belli e spesso, come in questo caso, significativi.
Assolutamente da vedere, dinamico, brillante, anche divertente, la componente drammatica interamente dovuta al regime ma questi giovani sono una grandissima speranza, nascerà una democrazia libera in quel paese prima o poi, bisogna solo sperare che qualche idiota non ce la voglia esportare con la forza perché poi di fatto quello che accadrebbe è che non se ne verrebbe più fuori.

Ci ho messo un po', ma ho trovato il video col pezzo che dicevo prima.

sabato 5 giugno 2010

Le Concert - Il Concerto

12
Al teatro Bolshoi di Mosca Andrei Filipov dirige un'orchestra che non c'è. Ex grande direttore di quell'orchestra, per una sua ribellione al regime di allora, da 30anni si ritrova a fare le pulizie nel teatro ed anche tutti i suoi vecchi orchestrali sono ridotti a lavori ordinari quando non umili. Più d'uno è finito pure in Siberia, senza più tornare.

Con lo straccio ancora in mano intercetta per caso un'email per il direttore che arriva da Parigi, è il direttore artistico del teatro Chatelet che scrive, vuole un concerto dell'orchestra del Bolshoi entro brevissimo tempo. Non ci pensa su un attimo, stampa l'invito e cancella la mail: quel concerto vuole e deve farlo lui!

Col contributo del violoncellista Sasha, amico di sempre, e della compagna inizia una frenetica "caccia all'orchestrale perduto". Serviranno anche un finto manager (ex dirigente comunista) ed uno sponsor a coprire le spese per raggiungere Parigi (un cafonissimo magnate del gas). Una gag dietro l'altra, condite da satira pungente sia sul passato sovietico che sul presente russo. Parlare poi delle allegre bizzarrie di ogni singolo personaggio diventerebbe troppo lungo. Arriveranno a Parigi, con passaporti falsi compilati direttamente in aeroporto, sgangherati come un'orchestra di zigani allo sbaraglio. Perplessità reciproche, casini, musicisti 'mbriachi. Risolto l'importantissimo ingaggio di una violinista che vive a Parigi alla quale Filipov tiene moltissimo, si arriverà all'improbabile concerto, in un teatro stipato all'inverosimile, presenti anche le cosiddette autorità, ripreso in mondovisione, senza mai aver provato una volta che fosse una, né a Mosca né a Parigi!

Tra risate incontenibili ma anche momenti drammatici, per una storia che si risolverà proprio durante la performance, si arriva all'ultimo quarto d'ora che non posso non descrivere nella sua essenza, è il titolo del film, il grande concerto. In programma c'è il concerto per violino ed orchestra di Tchaikovsky, difficilissimo, per un violinista una vera e propria prova di forza.
Filipov dà le spalle al pubblico, la violinista è tesa, l'attacco è orchestrale ed è mostruoso, un inizio indecente. Poi parte il violino, con una melodia dolce, leggera e scatta immediatamente una magia, il pubblico rumoreggiante si zittisce, la donna suona in modo misticamente ispirato, virtuosismi impressionanti scivolano fuori dalla sue dita come guidati da una mano esterna, una reminiscenza forse, tutti gli orchestrali si rivitalizzano e tornano con la mente, insieme con Filipov, al loro ultimo concerto, fatto 30anni prima, in programma c'era proprio quel pezzo non scelto a caso quindi, che fu brutalmente interrotto e con esso la loro vita musicale.

Descrivere la musica mi è impossibile, qua poi la storia, che prosegue, ogni tanto si sovrappone alle immagini del concerto, è epica, straordinariamente commovente. L'ho rivista 3 volte per intero questa scena, per riascoltarmi la melodia che è stata interpretata maestosamente dall'orchestra sinfonica di Budapest (violinista Sarah Nemtanu), e per 3 volte mi si sono gonfiati gli occhi. 15 minuti circa di Cinema che resteranno nella Storia, non esagero.
Bravissimo Mihaileanu, già regista di uno splendido film: Train de vie.

P.S.:
Devo assolutamente riferire una nota dolente che personalmente ho aggirato. Questo film va visto col dvd, o comunque in lingua originale (recitano in russo ed in francese) ed i sottotitoli. La versione portata nei cinema italiani, doppiata, che mi sono rifiutato di andare a vedere, E' UNA VERGOGNA! Ne ho sentito qualche minuto a campione, per curiosità. Indipendentemente dalla traduzione delle parole, è mai possibile che la voce di un russo deve diventare come quella di un russo in italia che sta imparando la nostra lingua? Una scelta demente, cretina, stupida, degna del più grande ignorante! Tale la rabbia che il titolo della recensione l'ho lasciato in originale apposta.

P.P.S.:
questa recensione è dedicata, per personali motivi, ad un caro amico che conosco solo per il nickname del web: azzodinick. non lo trovate tra i sostenitori ma è un lettore abituale, competente ed anche bravo segnalatore.
ciao azzo, grazie mille! :)

venerdì 4 giugno 2010

Ninja Assassin

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Qualche recensione ad encefalogramma piatto ogni tanto mi serve, devo accettare questa necessità di premere il tasto reset nel cervello e mettere a riposo neuroni e sinapsi. E' la sola ragione per cui colleziono nel mio blog questo film insulso e completamente avulso da contenuti d'ogni genere e sorta.

La trama cercatevela pure in giro, bisognerebbe però coniare un termine diverso da sinossi prima di descriverla.

Vediamo i punti positivi che rendono il film osservabile, prerequisito sufficiente "Per" è la presenza, anche solo in flebili tracce, di vita organica nella propria testa, non necessariamente senziente: scene d'azione abbastanza belle di arti marziali immaginifiche; molto sangue con amputazioni nette; attore protagonista da sturbo per le donne, fisico immenso e lineamenti orientali di pregio.

Giudizio breve su regista ed attori: 2 dita in gola calate in profondità fanno vomitare di meno.

p.s. all'amico consigliere: nessun problema, ti stimo lo stesso! ;-)

A Single Man

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Una giornata, quella definitiva, di George, un professore di letteratura, piuttosto benestante, al quale è morto il compagno, con cui viveva felicemente da 16 anni, in un tragico incidente stradale. Opera prima di Tom Ford (adattamento anche di suo pugno dell'omonimo romanzo) devo dire molto apprezzabile, che prima di cimentarsi come regista era (ed è) uno stilista, che ha lavorato in passato a lungo per Gucci.

Una vita che fatica a ritrovare un senso, tutti gli agi possibili perdono significato. Un concetto semplice però espresso con naturalezza ed anche schiettezza, le vere sensazioni  che si provano dopo una perdita di questo genere, la disperazione priva di scampo, vengono mostrate ed espresse senza troppi giri di parole.

Il senso estetico del regista emerge in una evidente grande attenzione alla fotografia, ai dettagli del periodo (California, anni '60) ottimamente rappresentato. Abbigliamento ed arredamenti dell'alta borghesia sono splendidi, così come le musiche. La grande sostanza è però tutta nella mente di George, che ripercorre a flashback la vita trascorsa col compagno ormai morto. Lo scorrere di una una sola giornata è sufficiente ad offrire molte opportunità di uscita, di fuga da quella condizione di tormentata malinconia e solitudine, che lui vede chiaramente, individua, apprezza persino, ma non coglie o forse non vuole cogliere. Schiavo d'un passato irripetibile che non vuole cancellare o sovrapporre con nuove esperienze, ogni occasione è un deja-vu amaro.

Non un capolavoro ma decisamente godibile. Punti di forza l'estetica già citata e una costanza di ritmo, serafico ma incessante, privo di vuoti e sempre sul pezzo senza deviazioni inutili, che sottende una grande cura di regia e montaggio. Regista indubbiamente raffinato Tom Ford, a tratti mi ha ricordato Greenaway.

Guardandolo in lingua originale coi sottotitoli, cosa che consiglio caldamente come sempre, si apprezzano maggiormente le interpretazioni ed il testo, che si legge come un libro. Diversi i momenti da incorniciare, ma in particolare la lezione che tiene al college ispirato dalla lettura proposta agli studenti di un libro di Aldus Huxley, lo voglio salvare qui:
"I nazisti sbagliavano a odiare gli ebrei, ma il loro odio non era senza ragione. Solo non era una ragione reale. Era immaginaria. La ragione era la paura.
Lasciamo da parte gli ebrei per un momento. Pensiamo a un'altra minoranza che possa passare inosservata. Esistono minoranze di ogni sorta, i biondi per esempio, o le persone con le lentiggini. Ma una minoranza è riconosciuta tale solo quando costituisce una minaccia per la maggioranza. Minaccia reale o immaginaria. Ed è lì che si annida la paura. Se questa minoranza in qualche modo è invisibile allora la paura è maggiore. La paura è la ragione per cui le minoranze vengono perseguitate. Quindi c'è sempre una ragione: la ragione è la paura.
Le minoranze non sono che persone, persone come noi.
"

giovedì 3 giugno 2010

Achille e la tartaruga

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Il titolo prende spunto dal notissimo Paradosso di Achille e la tartaruga, e lo spiega persino nei primi frame con un'animazione. Dove vuole andare a parare comincerà ad essere chiaro già a metà film.
Assisteremo all'intera vita di Machisu, in 3 fasi: bambino, adolescenza fino al matrimonio, mezza età. Nell'ultima ci sarà Kitano in persona ad interpretare il protagonista.

La prima parte, a mio parere la meno riuscita ma fondamentale a comprendere il personaggio, illustra Machisu ancora bambino che ha la fissazione di dipingere. Non fa altro che dipingere, ovunque, anche a scuola durante le ore di lezione. Nessuno osa contraddirlo, è figlio di un uomo ricco e potente, è introverso, non apre quasi mai bocca e non gli importa nulla degli altri, non per superbia ma proprio per carattere: pensa solo a dipingere. Ci saranno non pochi problemi per lui quando per una disgrazia economica si ritroverà orfano...
Da ragazzo si mantiene con modesti lavori, sempre però pensando a dipingere, vuole diventare un pittore a tutti i costi. Un critico titolare di una galleria d'arte diventa il suo riferimento, ma quest'ultimo non è mai soddisfatto delle opere di Machisu, esige maggiore cultura e meno improvvisazione. Nel frattempo si iscriverà ad una scuola d'arte e si sposerà.
L'adulto, ancora privo del benché minimo riconoscimento delle sue qualità d'artista, sarà ancora spronato dal critico, ma adesso c'è una costante spinta a cercare cose nuove, mai viste prima. Tutti i pochi guadagni che realizza la moglie finiscono in colori e tele, mai un'entrata dai quadri, diversi problemi anche di tipo legale per combinare quello che combina con la complicità passiva della moglie, la sola persona che crede in lui.

La storia del Machisu bambino è piuttosto noiosa e prolissa, apparentemente ho detto molto anche delle altre 2 fasi ma in realtà ho detto poco. La parte del bambino appare abbastanza convenzionale e tranne qualche "kitanata" è la classica favoletta drammatica del bambino chiuso, semimuto e talentuoso.
E' poi così talentuoso il bambino? Da giovane quando comincia a frequentare il critico e la scuola d'arte non pochi dubbi insorgono. E' sicuramente molto influenzabile, si fa trascinare in ogni iniziativa, copia di fatto opere di altri. Se da bambino perlomeno seguiva un Suo Proprio percorso poi crescendo il desiderio di affermarsi, magari non per arricchirsi ma solo per trovare un riconoscimento gratificante diventa prioritario.
Da adulto cresciuto il bisogno di affermazione lo porta addirittura a compiere gesti ed azioni folli, degni di un pazzo che però pazzo non è solo che vorrebbe esserlo. Ormai completamente dimenticato il proprio talento fanciullesco, la ricerca di qualcosa che riesca ad impressionare il critico diventa il centro della sua vita, a livello patologico, chiunque ruota intorno alla sua vita ha senso solo se funzionale al suo scopo. Le gag che già col ragazzo cominciavano a diventare importanti qua nell'ultima parte, la più bella per me, sono drammaticamente esilaranti.

Cos'è questo film, una critica o un'autocritica? Tante le interpretazioni ed i significati attribuibili a questo particolare film, non unanimemente apprezzato anche se io, lo sottolineo, sono tra gli estimatori. A prescindere dal giudizio cinefilo, mette in evidenza tanti aspetti del mondo dell'arte, non solo della pittura, e lo fa in modo semplice e diretto, alcune didascalie spiegano persino cosa accade in alcune situazioni.
Il "voler compiacere", tema principe, non è un'esclusiva degli artisti, è un problema di vita per tutti. In qualunque mestiere, hobby o qualsiasi attività, compreso ad esempio queste recensioni che scrivo in sostanziale libertà il rischio di condizionare il proprio modo di comportarsi o di esprimersi sulla base del gusto altrui è sempre presente. Anche senza arrivare al delirio di Machisu è difficile negare che inconsciamente subiamo il fascino del complimento altrui e che lo cerchiamo già a priori. Argomento molto sottile sul quale è difficilissimo essere obiettivi.
Visibile, anche per un profano come me, una certa critica all'arte moderna che cerca a tutti i costi un'inutile originalità portando in alcuni casi ad opere che definire bizzarre è riduttivo. Anche qua però l'arte è metafora di vita comune, nel senso che molti cercano un tratto distintivo, di essere e fare qualcuno o qualcosa che non s'è mai visto, cosa affatto sbagliata e che certo è fonte di progresso solo che quando non supportata da talento e spinta solo da ambizione porta a risultati deplorevoli quando non estremamente dannosi. Altro argomento sottile.

Un film facile, anzi facilissimo, che porta a cento, mille pensieri e qua c'è la grande lezione di Kitano, nello specifico. Non ha fatto un film originalissimo, non ha fatto un film che cerca il plauso, che non ha ottenuto né dal pubblico né dalla critica (salvo rari casi, tra cui il mio), eppure ha fatto un film "alla kitano", dove si parla di argomenti importanti (ne ho omessi alcuni), senza iperboli, eccessi, in modo cristallino.

Non da Olimpo ma sicuramente un film di grandissima godibilità, che fa lavorare il capoccione a posteriori: solo quando finisce si capiscono molte cose.
Grandissima testa Kitano, uno dei miei miti tra i cineasti viventi.