giovedì 30 giugno 2011

Jing wu men (aka Fist of Fury) - Dalla Cina con furore

15

Eccomi al secondo, grandissimo film di arti marziali che decretò il boom del genere nel 1973 in Italia, anno in cui uscirono da noi. Di questo boom e della mia esperienza personale ne ho parlato in occasione di "Cinque dita di violenza", altro film imperdibile come questo.

A Shangai nel 1910 ci sono i "soliti" giapponesi che fanno i prepotenti e il maestro cinese di una scuola di kung-fu muore misteriosamente. Chen (lo stesso Bruce Lee, qua per la prima volta userà questo nome che diventerà un suo pseudonimo), allievo del maestro, non ci vede chiaro in quella morte e non tollera minimamente le prepotenze giapponesi, sia della scuola nipponica che li perseguita che quelle sociali. In breve: s'incazz'abbestia! E diventerà il nemico da abbattere per i giapponesi, che le studieranno di ogni, sia con le impunite scorribande che per vie legali...

Siamo di fronte a un "salto di qualità" ulteriore rispetto a "cinque dita", su alcuni aspetti in particolare. Ulteriore evoluzione e affinamento dei combattimenti, sempre più realisti e di alta tecnica! D'altronde qua c'è un'animale da combattimento mai visto né prima né dopo di lui, extraterrestre ai tempi in piena rivelazione, Bruce Lee, il quale non si limita ad esibire appunto la sua Grande Arte Marziale, ma recita, va "oltre" il ruolo di semplice combattente e mostra doti, in particolare di caratterista (il tecnico dei telefoni finto-idiota è eccezionale) sorprendenti e mai prima esibite da attori di questo tipo. Un film vero e completo, insomma, certo non bisogna pensare di vedere in azione Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, ci vuole un po' di buon senso e "relativismo" nel giudicare, siamo davanti anche ad un cinema, quello di Hong Kong, agli "inizi" della sua era moderna, che oggi produce roba di grandezza assoluta e che deve comunque molto a questi film, ed anche a Bruce Lee in particolare.

Aggiungo ancora solo 2 cose importanti.
1) Il film è ispirato a un fatto realmente accaduto, l'uccisione misteriosa di un maestro di cinese di lotta, Ho Yuan-chia, che però non trovò mai soluzione ufficiale. Il film, come dice esplicitamente all'inizio, si basa su "voci popolari".
2) C'è una scena che fece urlare di gioia il pubblico di Hong Kong e della Cina, ne trovate un frame sotto, quando Chen con 2 calci stacca e distrugge la targa posta all'ingresso di un parco pubblico che recitava: "ingresso vietato ai cani e ai cinesi". E' un altro fatto vero, quella targa di fronte l'ingresso del parco ci fu veramente e a lungo.
Mai prima di questo film, e in modo così marcato, venne evidenziato da un film cinese il razzismo che quel popolo subì in quegli anni.

Grande spettacolo, qualità del colore e delle riprese per i tempi di rilievo, passo avanti significativo nella recitazione, storia con contenuti storici, inizio definitivo del fenomeno Bruce Lee: cos'altro serve per vedere un film d'azione? Cult e consigliatissimo.
Robydick

mercoledì 29 giugno 2011

To Have and Have Not - Acque del sud

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Humphrey Bogart è il capitano Harry "Steve" Morgan, americano che vive a Martinica noleggiando il suo battello per lo più per la pesca sportiva.
Un lupo solitario che non cerca rogne, con miglior amico, e all'occorrenza marinaio sul battello, un vecchio ubriacone. Nonostante ciò si ritroverà ad innamorarsi di Marie "Slim" Browning, una giovane e bellissima avventuriera (Lauren Bacall) e, cosa ben più "grave", ad aiutare dei francesi oppositori a Vichy.

2 anni dopo Casablanca ancora un film con sfondo eventi della seconda guerra mondiale ancora in corso, e ancora, anche se non feroce ma certamente di parte, una denuncia di crimini nazisti anche se in questo caso ad opera del regime collaborazionista francese. Harry come detto preferisce farsi i cosiddetti Propri, però quella gente, tra spie varie e soprattutto poliziotti bastardissimi, lo fanno proprio uscire dalle grazie e siamo in un "classico" (almeno oggi) personaggio-eroe, individualista in apparenza e in realtà portatore sano di valori umani importanti, come l'onestà, il rispetto per le persone, ecc... Se poi ci aggiungiamo che è fatale con le donne allora c'è tutto il campionario per renderlo invidiato da noi uomini. Bogart lo era anche nella vita reale, tanto che poi sposò la sessosissima Bacall, di ben 25 anni più giovane di lui.

Libera reinterpretazione dell'omonimo romanzo del 1937 di Ernest Hemingway, storia portata nell'estate del '40 (la Repubblica di Vichy è durata dal '40 al '44). Alla sceneggiatura un nome che dovrebbe bastare: William Faulkner. Non c'entra nulla al solito con l'originale, ma mi piace anche il titolo italiano, ti porta subito alla mente profumi esotici.

Cosa posso dire io dal mio piccolo di un film così? E' stato un piacere vederlo, emozionante il giusto, rilassante per le languide atmosfere. A parte i magnifici interpreti, è carico del fascino che avevano quei luoghi "internazionali", multietnici e multiculturali, in un particolare periodo storico politicamente parlando del mondo. Erano come "occhi del ciclone" dove misurare le dosi di umanità ancora presenti nella nostra specie, in aree sostanzialmente neutrali o dove perlomeno nessuno poteva vantare egemonie dispotiche.

Il Grande Cinema è sempre consigliato da queste parti.
Bogart è un attore che apprezzo molto, arriveranno altri film con lui. Ogni volta che lo vedo la sensazione che egli fosse tale e quale nella vita come nei film è netta. Per me, di quegli anni, è Il Divo.

Robydick

martedì 28 giugno 2011

Il Blog cresce: ora siamo in tre!

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Ciao a tutti!
Questa è solo una doverosa comunicazione di servizio.

Come avrete già notato, il titolo del blog è cambiato, perché non è più solo "mio". Ora c'è una vera e propria Redazione.

Da tempo l'amico e gran maestro di cinema Napoleone è parte integrante del blog, quando non con le recensioni lo è con commenti magistrali. Non sto a presentarlo, potrei solo sminuirlo. Vi anticipo che la sua presenza in termini di recensioni, dall'attuale una a settimana, è destinata ad aumentare ed inoltre, sempre su sua iniziativa, sono in arrivo altre importanti rassegne, sia di genere che di registi. Vedrete...
Appuntamento fisso con Napoleone ogni lunedì e venerdì, salvo eccezioni.

Oggi si aggiunge anche l'amico e appassionatissimo Belushi. Una conoscenza recente ma è stato "amore a prima vista". Anche in questo caso, non perdo tempo in presentazioni, dico solo che ha competenze formidabili e sono felice che sia dei nostri.
Appuntamento fisso con Belushi al mercoledì e alla domenica, salvo eccezioni.

Io cosa farò? Sempre il solito, cioè scriverò recensioni a coprire i restanti 3 giorni della settimana. Inoltre sarò al servizio dei 2 bravissimi soci, guardando in anteprima i film che proporranno e nel preparargli i post, che scriveranno in totale autonomia. Non farò più interventi nelle loro recensioni, a differenza di come faccio con gli amici collaboratori, dove il discorso è un po' diverso (sono, quale più quale meno, rece scritte a 4 mani). Al massimo mi concederò qualche battuta sui frame, ma solo col loro permesso, e ovviamente le commenterò come ogni altro ospite del blog.

Questo blog, nato per puro sfizio, cresce e continua a crescere, quasi mio malgrado. Mi sta procurando un impegno al limite del professionale ormai, ma è fonte di sempre maggior soddisfazione e, mi pare di poter dire, anche maggior qualità e intrattenimento per gli ospiti.
Napoleone e Belushi possono parlare ad altissimo livello di qualsiasi cosa riguardo al cinema, ve lo garantisco, soprattutto Napoleone e non se ne voglia Belushi se dico questo ma sono sicuro che concorda: è un Maestro per entrambi. Viste le rare competenze di cui dispongono, sicuramente opereranno su terreni "difficili" e/o "poco noti", ne leggeremo delle belle! Sarebbe folle mettere simili centravanti d'attacco a fare i portieri, tanto per usare una metafora calcistica. Ci penserò io, dal ruolo di portiere fino alla mezzala tornante, con le mie recensioni e con quelle che continuerò a fare con gli amici collaboratori (bellissime, un fiore all'occhiello del blog!) a mantenere un certo "equilibrio", chiamiamolo così. Questo Luogo è e resterà un punto di vista a 360° sul cinema, ribadisco un concetto che nel sottotitolo del blog è sintetizzato e che tutta la redazione condivide.

Per ora la frequenza resterà di un film al giorno, in futuro vedremo. L'istinto mi dice che 7 rece a settimana cominceranno a starci strette, ma non precorriamo troppo i tempi.

Con l'occasione, un ringraziamento grandissimo a tutti gli amici ospiti!
In particolare a coloro che commentano, anche se solo con un saluto.

Robydick

Antropophagus (aka: The Grim Reaper Anthropophagous-The Beast)

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Iniziamo oggi una rassegna (quanto completa vedremo, ma senza veli è sicuro) del romanissimo Joe D'Amato, al secolo Aristide Massaccesi. Regista discusso, per alcuni discutibile, sicuramente molto prolifico, eclettico, creativo ed apprezzatissimo da cultori di vari generi. Imprescindibile la sua presenza in un blog di cinema ad ampio spettro. E' una rece "galeotta" questa, dà il via da queste parti alle recensioni di Belushi, fresco nuovo redattore di questo blog. Ne parlerò poi stasera in un post a parte, ora gli passo la parola.

Cominciamo dall'inizio. Una coppia con tanto di cane al seguito, giunge su una spiaggia solitaria. Lei si mette in costume, lui si sdraia su una roccia con una radiocuffia calcata sulla testa. Il cane si accuccia tranquillo vicino al padrone. Scena idilliaca. La ragazza si tuffa, comincia a nuotare. Fin qui, tutto bene. Si intravede una barca, vicino agli scogli. La ragazza la raggiunge. C'é qualcuno o qualcosa sulla barca. Cominciano le urla. Il sangue scorre. In soggettiva, qualcuno o qualcosa si avvicina al piacione sulla spiaggia; il suo viso si rispecchia nella lama di una mannaia, poco prima che la stessa gli apra la testa in due. Che dire. Scena simile a tante altre, già vista centinaia di volte. Vero. Però, in questo caso, oltre alla tecnica di D'Amato, ci troviamo anche nel 1980, quando ancora l'attacco dei cloni jasoniani non aveva invaso i cinema mondiali e lo slasher era ancora genere non istituzionalizzato.

Comincia così, il famigerato "Antropophagus" di Joe D'Amato/Aristide Massaccesi, titolo imprescindibile nella filmografia del grande regista romano. Pellicola torbida, sporca e malsana, sicuramente piu' rozza del precedente "Buio Omega" (che già non era un musicarello) ma di grande resa spettacolare. Si, perché Massaccesi e Luigi Montefiori (alias George Eastman, attore e sceneggiatore di talento, collaboratore di lunga data di Aristide e regista di "Anno 2020- I Gladiatori del Futuro-1982 e "DNA -Formula Letale-1990" per la Filmirage) si inventano un villain straordinario, a metà strada tra il morto vivente e l'assassino onnipresente e imbattibile di Carpenteriana memoria, tale Klaus Wartmann, uomo dai nobili natali che si trova costretto a cibarsi delle carni della moglie e del figlio a causa di un naufragio. Genio del bis italico alla massima potenza. Massaccesi poi, centellina le apparizioni della sua creatura, lasciandola nell'ombra per quasi tutto il primo tempo, in modo tale da presentare il manipolo di attori protagonisti, sperduti su un'isoletta greca disabitata e alla mercé del cannibale.

Protagonisti schiacciati, rinchiusi in luoghi inospitali e polverosi nei quali troveranno indicibile morte. In questo senso D'Amato ci regala una serie di sequenze deliranti e indimenticabili. Cioé, immaginate il pubblico in sala, nel 1980, che assiste alla scena in cui Montefiori, in una vera catacomba (quelle di Santa Savinilla a Nepi) sempre piu' affamato, estirpa dal corpo della povera Vanessa Steiger (vale a dire Serena Faggioli, in arte Serena Grandi) nientemeno che il feto che la donna si porta in grembo, per poi ciucciarselo come un'ostrica, di fronte al di lei marito. Gli innocenti non hanno nessuna speranza di salvarsi nei film di Massaccesi, impossibile, nemmeno la ragazzina cieca scampata alla prima mattanza nel villaggio (Margaret Donnelly, al secolo Margaret Mazzantini, proprio lei, l'autrice di "Non Ti Muovere") puo' ritenersi al di sopra delle parti. Anzi, viene orrendamente sfigurata e sgozzata con un morso proprio nel prefinale. Quanta violenza.

Ma é proprio questo il cuore pulsante del cinema di Joe D'Amato (o David Hills, Michael Wotruba, Peter Newton, Robert Yip, a seconda dello pseudonimo): lo spingersi oltre, aggredire lo spettatore con immagini al limite della decenza, frullare decamerotico, cannibalico, post-nuke, fantasy, erotico, horror e porno come nessuno aveva mai osato prima (vedi lo straordinario ciclo "Emanuelle" con Laura Gemser, mutuato dal capostipite di Bitto Albertini). "Antropophagus" é, cronologicamente parlando, il terzo horror tout court girato da Massaccesi; il primo, suo esordio alla regia, fu "La Morte Ha Sorriso all'Assassino"(1973) aka "Sette strani cadaveri" con Ewa Aulin, Klaus Kinski, Luciano Rossi e Angela Bo, film strepitoso, avanti di almeno dieci anni nella cinematografia italiana e internazionale, lontanissimo dal thrilling a tematica argentiana che impazzava in quel momento storico, mentre il secondo fu quel "Buio Omega"(1979) citato all'inizio del quale si parlerà prossimamente. Tutto questo senza contare le altre opere selvagge degli anni settanta (nel 1979 girò a Santo Domingo la bellezza di SEI film in dodici settimane) e quelle che seguiranno, massimamente prodotte da Edward Sarlui. Gli altri due horror puri Massaccesiani sono il cripto-seguito di "Antropophagus", cioé "Rosso Sangue/Absurd"(1981) e il suo canto del cigno "Frankenstein 2000/Ritorno Dalla Morte"(1989).

Si chiude un cerchio, una esplorazione dei generi portata avanti con passione, gusto per l'erotismo (che poi si trasformerà in hard) e, sicuramente, ricerca del profitto, dato che il buon Massaccesi, da produttore astuto qual era, ha sempre cercato di vendere i suoi prodotti senza troppe perdite. Il che ci riporta alla pellicola in questione. Cioè uno slasher ante litteram in cui un gigante sfigurato massacra senza pietà una comitiva di sventurati; un antipasto di quello che si vedrà sugli schermi nei prossimi quindici anni (e oltre). Puo' sembrare una facile semplificazione, ma il cinema, almeno per chi scrive, é anche un gioco di rimandi, citazioni e capacità di rinnovarsi e di superare i limiti imposti. Quindi, questo "Antropophagus" come apripista per il decennio eighties, ce lo vedo proprio bene. Sadico, cupo, cimiteriale e con un bel branco di topi dagli occhi rossastri che strisciano nelle catacombe. Impossibile non amarlo.

Due parole su George Eastman. Oltre ad essere attore carismatico, Gigi Montefiori é soprattutto un grandissimo sceneggiatore, autore di film spesso sottovalutati, ma di grande spessore, come "Amico Stammi lontano almeno un palmo"(1972) di Michele Lupo, ottimo spaghetti-western in cui fa coppia con Giuliano Gemma (pellicola che gli permise di conoscere Massaccesi, ne era infatti il direttore della fotografia) e "Canne Mozze"(1977) di Mario Imperoli, bellissimo noir con Antonio Sàbato. Per non parlare poi di "Deliria"(1987) di Michele Soavi e, si, il capolavoro "Keoma"(1976) di Enzo Girolami Castellari (che si avvalse anche della collaborazione di Joshua Sinclair, é bene ricordarlo).

Finiamo parlando un poco degli attori che non sono stati citati fino a questo punto. E ci mancherebbe altro, perché abbiamo lasciato fuori la splendida Tisa Farrow, sorella di Mia, già in "Zombi 2"(1979) del Maestro, "Una Magnum Special per Tony Saitta"(1976) di DeMartino e ne "L'Ultimo Cacciatore" (1980) di Margheriti. Mica bruscolini. Donna bellissima che, a quanto narra la leggenda, pare lavorasse come tassinara in quel di New York. Aggiungiamo alla portata anche Zora Kerowa (Zora Ulla Keslerowa) nel ruolo della medium del gruppo, la cui morte per sgozzamento é rimasta fuori dal montaggio finale. Ma va bene così, anzi la scena é piu' efficace montata in questo modo. Niente in confronto alle sevizie che subirà in "Cannibal Ferox"(1981) di Umberto Lenzi e in "Lo Squartatore di New York"(1982), capolavoro inarrivabile di Fulci. Dimentichiamo gli attori che sono Mark Bodin ("Alien 2 sulla Terra"-1979 di Ciro Ippolito), Bob Larson, Mauro Curi (il figlioletto del nobile) e la "statua di sale" Saverio Vallone, che ha il grande onore di picconare George Eastman (truccato da Pietro Tenoglio) nel finale cultissimo in cui si addenta i propri intestini. Film da vedere almeno una volta nella vita. Musiche stranianti del Maestro Marcello Giombini. Ok, fine. Negli Stati Uniti ha riscosso un grande successo con il titolo "The Grim Reaper", anche se ampiamente rimaneggiato in fase di edizione.

Mi permetto, in questa sede, di ringraziare il padrone di casa, Il Gajardo Robydick, per avermi dato la possibilità di parlare di Aristide e dei suoi film. Anche se non gli ho reso giustizia. Un saluto anche al grande Napoleone Wilson, straordinario professionista. Ciao Gajardi!!!

Belushi


Hai reso giustizia eccome caro Belushi... Sono non felice, felicissimo che fai parte della squadra.

Questo film è un cultissimo imperdibile! Io proprio non posso aggiungere nulla se non che condivido tutto! Segnalo una cosa: il film capolavoro di Bava dove ho visto per la prima volta come attore George Eastman/Gigi Montefiori: Cani arrabbiati (aka Semaforo rosso).

lunedì 27 giugno 2011

Peur sur la ville (aka: The Night Caller) - Il poliziotto della brigata criminale

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Fantastico poliziesco d'azione violenta, “Il Poliziotto della brigata criminale” (Peur sur la Ville)('75) di Henri Verneuil si potrebbe altresì definire la versione francese di “Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo” (Dirty Harry)('71) di Don Siegel. Tant'è che la parte più violenta dell'intero film inizia proprio con un massacro avvenuto al seguito di una rapina in banca a Asnierès, un sobborgo popolare alle porte di Parigi.

Il commissario Letellier (Jean Paul Belmondo in uno dei ruoli simbolo della sua intera carriera) afferra questa occasione per vendicarsi definitivamente del bandito Marcucci (Giovanni Cianfriglia!). Ma la sua attenzione viene attirata e richiesta ugualmente dalle scellerate azioni di “Minos”/Pierre Valdeck (Adalberto Maria Merli, eccezionale in un ruolo indimenticabile tra i suoi non moltissimi ruoli al cinema, quello del criminale psicopatico alla “Scorpio”/Andrew Robinson del capolavoro di Siegel con Clint Eastwood sopra citato), come detto folle killer in crociata personale contro la “liberazione sessuale”. Verneuil dirige magistralmente da quel grande regista di film polizieschi e d'azione quale è sempre stato, mentre Belmondo che come tutti negli anni '70 aveva visto e ammirato il primo film di Clint Eastwood nei panni dell'Ispettore Harry “La Carogna” Callaghan, rifa un personaggio di poliziotto apparentemente molto simile, anche se maggiormente ironico come è nella personalità dell'istrionico Belmondo. Questa è certo la ragion d'essere principale di “Peur sur la ville”, ma non solo perché la seconda e non meno importante fu quella di rinnovare fortemente il poliziesco francese o polàr secondo la definizione d'oltralpe, realizzando un grande film d'azione molto prossimo al poliziesco urbano allora in auge in Italia, ma anche vicino al film poliziesco con grandi sequenze dinamiche d'inseguimento che ebbe in “Bullitt”('68) di Peter Yates il suo capostipite, con però un maggior aspetto politico dell'intero contesto della trama. “Il Poliziotto della brigata criminale” è certo uno dei film “manifesto” della carriera di Bebèl/Belmondo negli anni '70 (tant'è che è stato scelto dallo stesso tra la cinquina dei film che il mese scorso il Festival di Cannes ha proiettato nella retrospettiva a celebrazione del premio alla sua carriera); ruolo in questo film, tra i preferiti dunque della propria magnifica, intera filmografia, personaggio duro più di qualunque duro, fortemente individualista, apertamente entusiasta di poter compiere personalmente scene talmente pericolose “che non avrei mai voluto nessun cascatore le potesse compiere al posto mio” da intervista dell'epoca rilasciata da Belmondo stesso, o come il lungo finale d'inseguimento e d'assalto concluso sospeso ad una corda agganciata ad un elicottero sui grattacieli di Parigi, alla mitica caccia a piedi di Letellier a Minos sui tetti del quartiere de l'Opéra e de Les Galleriès Lafayette, e su tutto, il doppio inseguimento a Minos e Marcucci nella metropolitana, magistralmente tirato e ansiogeno.
“Peur sur la ville” è uno dei polizieschi francesi più affascinanti e riusciti degli anni'70 anche per questo, e perché in parte ancora attaccato ad una certa tradizione d'ambiente parigino, e già cosciente di una certa modernità -come restituiscono allo spettatore le numerose scene ambientate all'interno dell'allora da poco ultimato quartiere de La Défense, uno dei più rappresentativi del neo urbanismo parigino degli anni'70- ai bordi della Senna nel XV° arrondisemènt, magnificato dall'eccellente apporto che la nervosa composizione di Ennio Morricone, tutta in musica dissonante, gli conferisce. Il film è quindi per molti aspetti una fotografia degli anni al debutto della Francia giscardiana, i primi anni in cui nelle sale parigine debuttarono i film di classificazione X, presso le quali un grande pubblico ogni mese più grande e persino “di famiglie” si pressava alle porte, per poter entrare a vedere questi film nei cinema che li proiettavano. E davanti ad uno dei quali, lo psicopatico Minos getterà tra la folla in coda una bomba a mano, ossessionato dai manifesti raffiguranti la stella del film e del porno Pamela Sweet (grande topa interpretata dalla sorella di Stella, Germana Carnacina, la coproduzione del film fu italiana, da qui la presenza di molti attori del nostro cinema, a partire da Lea Massari e lo splendido Adalberto Maria Merli). Questo in particolare, sarà l'episodio che scatenerà la movimentatissima azione della seconda parte del film, spettacolare e prodigioso action thriller tipico di quel tipo di film che ebbero un altissima popolarità e un elevatissimo impatto popolare anche in Francia alla metà degli anni settanta. “Peur sur la ville” in tal senso epitomizza ed estremizza in maniera e modi straordinari il “crime-thriller” o come detto alla francese, il “polar” di quella decade, in cui duri poliziotti perseguivano criminali ancora più duri, e nella quale era pienamente presente una fortissima empatia verso le scene spettacolari realizzate non come oggi con veri stunts, sempre pienamente presenti oltre il plot e le interpretazioni. “Il Poliziotto della brigata criminale” è un film interamente costruito intorno alla figura di star di Belmondo, uno degli attori più popolari della storia del cinema francese, che solo con questo film in Francia attirò nelle sale l'enorme cifra di quattro milioni di spettatori. Ma di tutti gli altri thriller d'azione interpretati da “Bebèl” e successivi a questo, anche di notevolissimi e tra i primi che possano essere sicuramente citati “Lo Sparviero” (L'Alpaguèur)('76) di Philippe Labro, e “Joss il professionista” (Le Professionèl)('81) di Josè Giovanni, di tutti questi dicevo, “Peur sur la ville”è il più angoscioso e denso di un senso di grave minaccia, calibrati magistralmente dalla regia di Henri Verneuil, come detto uno dei registi francesi più variegati e talentuosi della sua generazione (vedasi ad esempio lo stratosferico “Gli Scassinatori” (La Casse)('71) con l'eccellente coppia composta sempre da Belmondo, e da un versatile Omar Sharif, oltre che in supporto dal nostro Renato Salvatori e dal sempre carismatico Robert Hossein, che è stato e rimane uno dei film dai più grandiosi e inventivi inseguimenti automobilistici della storia del cinema), e anche in questo suo film le interpretazioni sono tutte molto buone, anche perché ispirate da una sceneggiatura anch'essa molto buona e dosante alcuni tocchi da black comedy ben accresciuti dalla inquietante e suggestiva partitura di Morricone, da tutti questi elementi sarà quindi facile dedurre come mai questo grande action thriller francese sia così considerato da praticamente tutti uno dei più notevoli classici francesi del genere, per gli anni '70 e per sempre, uno di quei film di genere che assurge alle vette dei più alti meriti artistici, splendido esempio di film “popolare” al meglio della propria definizione, contenente molte delle più famose e più impressionanti in assoluto, acrobazie compiute in prima persona da Belmondo, compresa la più impressionante e sensazionale di tutte la già sopra citata esagerata, bellissima, sequenza di inseguimento a piedi sopra i vagoni di convoglio della metropolitana lanciato ad alta velocità,oltre a uno dei più entusiasmanti inseguimenti automobilistici realizzati nella storia del cinema francese, oltre ancora alla già citata e impressionante caccia a piedi in cima agli altissimi tetti de Le Galleries Lafayette, straordinariamente girata e dal vero, nel pieno centro di Parigi. Nel film è presente in un ruolo di completamento professionalmente svolto, il bravissimo Jean-Francois Balmer, come “Dallas”. Strepitoso come sempre anche l'apporto di grandissimi attori francesi dalla filmografia e dal curriculum professionale da far anche molti attori americani, come il truffautiano quasi per eccellenza Charles “L'Uomo che amava le donne” Denner /L'Isp. Moissac, e Jean Martin/Sabin, che i più ricorderanno per l'interpretazione del Gen-in pratica Massù- dei parà francesi in “La Battaglia di Algeri”('66) di Gillo Pontecorvo, e del cultissimo sceneggiato tv anni '60 e dell'infanzia di molti, “I Compagni di Baal”...

Jean Paul Belmondo realizzò personalmente tutte le sue scene d'azione comprese le più pericolose che avrebbero dovuto essere realizzate solo dagli stunts, e compresa quella in cui corre sopra i vagoni di un convoglio della metropolitana lanciato in velocità anche sopra un ponte della Senna. Mirabile sequenza d'inseguimento in evidente citazione omaggio di quella analoga e celeberrima di “The French Connection” (Il Braccio violento della legge)('71) di William Friedkin, e certamente non inferiore a quest'ultima. Per gli inseguimenti automobilistici Belmondo venne istruito da Remy Julienne, forse il piu grande stunt driver di sempre del cinema europeo, e non solo, molto attivo anche nei film italiani di genere.

Esistono varie differenti edizioni di diversa durata, di questo film. La versione europea è la più lunga rispetto alla versione U.K./Usa (conosciuta come “The Night Caller”), più corta. Però, la versione così intitolata “The Night Caller” contiene alcune scene non presenti nella più lunga versione europea. La versione Usa dura 91 minuti mentre la versione U.K. dura un minuto in meno (questo per effetto del taglio di alcuni momenti di violenza).
Napoleone Wilson

domenica 26 giugno 2011

LaCapaGira

8

Prendo da wiki: "Grazie a questa sua opera prima, presentata al Festival di Berlino, Piva è stato premiato come miglior regista esordiente dell'anno da entrambi i maggiori riconoscimenti cinematografici italiani, David di Donatello e Nastri d'argento.". Dev'essere stata un'annataccia per il cinema italiano per arrivare a tanto.

Ah ma aspetta che leggo meglio: premio come "esordiente"! Ok dai, vista l'aria che tira da un po' d'anni a questa parte, ci può stare, forse. Ma vediamo la trama (parolona!), prendo sempre da wiki, pigrizia massima verso 'sto film: "Bari: un gruppo di piccoli criminali è dedito al contrabbando di droga e sigarette e alla gestione di una sala di video poker illegali. Viene smarrito un carico di cocaina proveniente dall’Albania in occasione di uno sbarco di clandestini e Carrarmato, il boss della banda, incarica della ricerca Minuicchio e Pasquale. Dopo il ritrovamento, i due provvedono anche alla preparazione delle dosi e a recapitarle al “biliardo” gestito, per conto dello stesso Carrarmato, da Sabino e Pinuccio. Presso il locale, oltre allo spaccio di droga, vengono vendute sigarette di contrabbando e sono presenti alcuni video poker. La vicenda si conclude [...]. LaCapaGira è stato uno dei film che ha riscosso più successo in Italia da parte di una produzione barese.".

Film tutto sommato divertente, girato interamente in dialetto stretto barese, fortunatamente sottotitolato. Qualche scena carina per le strade di Bari, sia in diurna che notturna, pure in soggettiva da macchine e moto, alcune gag ben riuscite. Girato con quattro denari, ma diciamolo chiaro e tondo: è poco più che amatoriale. Se poi togliamo il dialetto e pensiamo ai dialoghi in italiano allora per ridere credo non basti manco il solletico sotto i piedi. Però tanto è bastato a renderlo per alcuni di culto, per la serie "il dialetto è tutto", e tra una "fess 'e soret'" e un "vaffamocc" va via liscio fino alla fine dove mi sono chiesto: e quindi?

Come dicono i francesi? Un "divertissement"? Ecco, siamo lì, voglio dargli un buon giudizio e la lingua "cinefilo-stilosa" aiuta. Consigliato ai curiosi.

Visione propedeutica per quanto mi riguarda. Piva ha fatto altri 2 film poi, pare molto apprezzati, che voglio vedere e volevo partire dall'inizio.

Robydick

sabato 25 giugno 2011

Death at a Funeral - Funeral party

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Un funerale in casa, una bella villa nelle campagne inglesi, una cosa che dovrebbe essere estremamente formale nel suo elegante rigore, si trasforma in un evento surreale. Anche ai miei parenti, in occasione di questi eventi, dico che sono i soli momenti nei quali poi si torna a vedersi tutti assieme, e inevitabilmente qualche coperchio si alza, ma qua si va ben oltre!

Il figlio che vive in Inghilterra e che ha organizzato tutto è tormentato dalla moglie per i soldi d'acquisto della casa nuova. L'altro dei 2 figli del morto, scrittore di successo a New York, si scoprirà che spende più di quanto guadagna. C'è il nipote spacciatore di acidi che mette le sue pasticche in una boccetta di valium, sostanza quest'ultima che va alla grandissima e che quindi combinerà sfaceli. La sorella del nipote si troverà il fidanzato, un tipo regolarissimo, vagare nudo sul tetto della casa a causa di una di quelle pasticche. Poi un anziano parente disabile e stracciamaroni, un amico ipocondriaco, un altro che... il classico casino corale! La sorpresa massima però la rivelerà un nano, personaggio che dietro a un viso triste e compassionevole per l'occasione nasconde segreti del padre a dir poco scabrosi...

Bella e divertente commedia, ben fatta e di buon ritmo, con qualche momento irresistibile. Un "quasi tipico" esempio di c.d. humor all'inglese, fatto di dialoghi serrati e battute taglienti, senza particolari eccessi devo dire così che alla fine risulta essere un film abbastanza "regolare" e orientato al grande pubblico. A mio parere il Vero humor inglese, su temi come questo, è in grado di graffiare molto di più.

Ad ogni modo, per un pizzebbirra tra famiglie e pizzebbibbita coi rispettivi figli, se ne può tranquillamente godere la visione. C'è solo il problemino del nano da spiegare a li più piccini, ma si può risolvere. Al limite, siccome certi argomenti si fa fatica a snocciolarli (secondo alcuni è persino contrario alla costituzione) potete dire che "... erano amici che facevano corruzioni per affari, scommesse su partite truccate, trafficavano farmaci scaduti...", argomenti che non scandalizzano più nemmeno le giovani menti.
Io quello che non riesco proprio a spiegare ai miei figli è un grave problema italiano causato dall'esistere stesso di un altro "nano", ma questa è tutta 'n'altra faccenda...
Robydick

venerdì 24 giugno 2011

Necromantik

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Attirato fatalmente, amore a prima vista, dal titolo e dalla locandina, mi sono ritrovato davanti un film goticamente minimal come solo un tedesco può fare, digeribile come una ciambotta a colazione: meravigliose sensazioni per un horrorofilo, uno che ama far del male alla propria umanità. E poi c'è una scena, ma facciamo anche 2, che da sole valgono la visione...

Mai avrei immaginato di utilizzare l'avvertimento in testa per un film amatoriale. E' circolata a lungo una vhs che s'è propagata in modo virale, anche nel file-sharing. Ora è commercializzato in dvd. Film capostipite, ho scoperto poi, del sottogenere horror denominato "necro-splatter", è talmente poco recitato da sembrare un documentario o peggio uno snuff. Invece è proprio finzione, fortunatamente.

L'argomento è appunto la necrofilia. Rob lavora per una curiosa società (J.S.A., "Joe's Streetcleaning Agency") che si occupa di ripulire dai cadaveri situazioni d'incidenti, stradali e non. In questo modo riesce a procurarsi qualche pezzo di carne di straforo. Il massimo però è riuscirsi a procurare un cadavere, e ci riuscirà, un bel tronco di scheletro in avanzata decomposizione ma integro quanto basta, per la gioia infinita sua e soprattutto dell'angelica Betty, la sua ragazza, che potrà saziarsene... il resto lo racconto coi tantissimi frame.

Ecco! Dopo la commedia horror di 2 giorni fa, abbiamo riportato immediatamente l'amato genere, che tanta soddisfazione dà alle nascoste e private perversioni, sui giusti binari! C'è molto grasso umano oltre al tanto sangue, per cui, anche se fuori stagione, consiglio un bollito di muscoli, reale con l'osso e biancostato, da condire a piacere e vino, tanto vino!, rigorosamente color cremisi. Eventualmente tenetevi il titolo per una piovosa notte solitaria d'autunno inoltrato, veramente inadatto ad una notte romantica, a meno di non avere "filie" affini a quelle di Rob e Betty...
Io invece non ho pazienza, e quindi appena possibile guarderò anche, restando come si dice "sul pezzo", "Buio Omega" di Joe D'Amato e, naturalmente, il sequel "Necromantik 2".
Robydick

giovedì 23 giugno 2011

La casa del sorriso

20

Adelina è una bella vecchina, non tanto anziana ma abbastanza da vivere in un ospizio. Ha perso il figlio da poco morto e la nuora con le 2 nipoti la va a trovare solo per interesse su eredità. Tutti gli uomini la tengono d'occhio, nella sua "categoria" si distingue per bellezza e soprattutto per il suo sorriso dolcissimo, e sarà Andrea quello che saprà corteggiarla ed ottenerne le grazie. Inevitabile suscitare invidie agli altri ospiti e imbarazzi al personale gestore del centro.

Adelina e Andrea però hanno le idee chiare e soprattutto lei, Miss Sorriso nel 1947 in non ricordo che concorso, saprà sempre reagire con un sorriso appunto alle piccole e grandi cattiverie che toccherà loro subire, cosa che aumenterà ancora di più l'amore di Andrea. Se le citate invidie dei "colleghi" sono tutto sommato comprensibili (maggiori quelle degli uomini che non delle donne), meno lo sono i sempre citati imbarazzi del personale che arriveranno a tradursi in vera e propria persecuzione rubando alla donna ciò che le è più caro ed eterno, inattaccabile persino dal tempo: un sorriso amabile. Le faranno sparire la dentiera, la sola cosa che le poteva causare depressione e tristezza, e il fatto di aver dato tutto quello che aveva alla nuora l'ha messa in una indigenza che non le permette di provvedere in breve tempo ad una nuova. Come ogni favola che si rispetti, anche questa storia troverà una soluzione, solo che non sarà quella che le favole normalmente propongono e Adelina troverà una strada tutta sua, nonostante Andrea e nonostante tutto.

Ambientazione visionaria molto "a la Ferreri" rasente il grottesco. Interpretazioni pacate con rare punte di frenesia, tutto scorre placido coi partecipanti alla storia come ad un gioco, tutta la vita in fondo lo è, ricopriamo parti e ruoli in modo causale e casuale, al timone della barca e in balìa di correnti. La parte finale della nostra vita ci vede, se si è un minimo seminato bene, consapevoli di ciò e quindi più umili ma anche volenterosi di godere quanto ancora è possibile solo che, soprattutto in un contesto come quello descritto, si è in una condizione di sostanziale impotenza, persino di sudditanza con le generazioni che si è cresciuto e l'unica soluzione per avere ancora un po' di libertà è semplice: abbandonare tutto, ricominciare altrove.

Pur avendo vinto l'Orso d'Oro a Berlino non ha avuto grandi riscontri se non dalla critica più "cinefila" e incline al genere autoriale, eppure è un film dalla chiave di lettura semplice e molto dolce e poetico, ai miei occhi apprezzabile da un vasto pubblico, ma forse mi sbaglio e sono io che a furia di vederne di film ho perso contatto con chi invece li guarda episodicamente.

Lo consiglio decisamente.
Rileggendo quanto sopra ho notato il ripetersi più volte della parola Sorriso. Non correggo, va bene così.

mercoledì 22 giugno 2011

Doghouse

25

Recensione a cura dell'amico musico-psyco-terrorista Nicola (aka Dr.Nick nei peggiori reparti neuro di Caracas) al quale passo la parola.


Vince, divorziato da poco, depresso, si sveglia all'una, probabilmente dopo aver passato una notte a mangiar gelato e ad autocommiserarsi. Neil, adepto della corrente zen della donna-oggetto, giusto stanotte è stato con.. con... come diavolo si chiamava? Graham, gay, saluta il suo tesoro ed esce di casa, ho come il sospetto che sia lui l'attivo. Mikey, sposato, ha la formidabile abilità di non ascoltare mai e far incazzare sempre la moglie. Patrick, maniaco del te, se non fosse per il suo iPod avrebbe un esaurimento nervoso ogni dieci minuti. Matt, sfigato, patito di fumetti e anomalie spazio temporali.

Sei amici, una sola missione: far dimenticare al buon vecchio Vince la sua ex-moglie. E allora da bravi inglesi giù pesanti di birra e ricordi del passato glorioso; ma non è finita qui: destinazione "casa della nonna di Mickey" a Moodley, baby, che se non lo sai è un paesino in mezzo ai boschi con un rapporto donne-uomini di quattro a uno, "e naturalmente stanno tutte morendo dalla voglia, un'intero paese pieno di donne affamate di maschi in attesa di buttarsi sul primo gruppo di disperati in arrivo da Londra".

Lo scopriranno presto i nostri che, appena arrivati nel paesello, verranno accolti da un'esercito di donne-zombie vogliose solo di maschi, o meglio, della loro carne. Insomma, capisci anche te che il galateo in questi casi può benissimo andare a farsi fottere e il non sfiorare una donna neanche con una rosa diventa solo un modo per dire che, forse, al posto della rosa è meglio una mazza da baseball. O una pistola ad acqua. Dipende da quel che trovi.

È quindi tra una scazzottata e l'altra che Vince e gli altri, cercando di trovare una via per uscire da quel mattatoio, vengono a scoprire le "oscure trame filogovernative" che stanno dietro a questo particolare virus che colpisce solo le donne. Ma tranquilli! Nulla di veramente serio o impegnato! Alla fine l'unica cosa che conta è una giusta dose di sangue e viulenza, battute idiote e gratuite e un po' di sana azione godereccia e senza pensieri.

Non me ne vogliano le lettrici se questo film ad un primo colpo d'occhio potrebbe sembrare "leggermente" misogino. Perchè in effetti lo è. Ma non ci mettiamo a fare gli snob o i moralisti e per una volta limitiamoci a guardare una pellicola che, in fin dei conti, è davvero divertente e spensierata.

È d'obbligo accompagnare la visione con un giusto numero di amici e un'ingente quantità di birra ghiacciata.



Sì sì, posso solo confermare il totale disimpegno della pellicola, commedia-horror consigliata anche da me per gli usi consentiti dalla legge. Alla rece di Nick, che ringrazio molto e per un po' non disturberò ("...ché è studente che studia, deve prendere la laura...") nulla da aggiungere. Non potendo fare il raduno di amici con birra mi sono accontentato di una boccia di rosso su un battuto di carne cruda lasciata macerare prima, in olio, sale, limone e tabasco. Nel sughetto misto-sangue che si trova alla fine della pietanza suddetta pucciare il pane è un sollazzo.

Buon divertimento e appetito!

martedì 21 giugno 2011

Il Decameron

20

Eccomi al primo film della "Trilogia della vita" di Pasolini, impresa impegnativa per me ma ci provo, perlomeno a godermeli e segnalarli, come film e basta, dubito di poterne estirpare i più profondi significati. Come disse qualcuno: "ognuno c'abbiamo i propri limiti".

Non solo diretto ma anche scritto dal grande intellettuale italiano (regista per lui è titolo riduttivo). Com'è ovvio è tratto nella sceneggiatura dal "Decameron" di Giovanni Boccaccio, scritto tra il 1349 e il 1351, insieme alla Divina Commedia di Dante (che rimane l'origine prima, sia chiaro) fondò le basi della lingua volgare italiana, opera d'importanza enorme e non solo per l'Italia.

Novelle bellissime e divertenti, qualcuna drammatica, difficile fare una classifica. Pasolini è formidabile interprete del c.d. "spirito boccaccesco", goliardicamente satirico e de-costumizzato, osando non poco per i tempi anche sui nudi. Pare sia il primo film italiano dove i genitali maschili sono ripresi senza veli, uno persino in piena erezione pre-copula, cosa sconvolgente persino oggi per la sessofobica (e quindi proporzionalmente infoiata) italietta.

Ecco le novelle, rappresentate nell'ordine come segue (preso da wiki):
  1. Giornata II, novella V - Il giovane Andreuccio viene truffato due volte, ma finisce col diventare ricco.
  2. Giornata IX, novella II - "Una badessa riprende una consorella ma è a sua volta ripresa per il medesimo peccato" (Tradotta in napoletano da un vecchio ascoltato dalla folla)
  3. Giornata III, novella I - Masetto si finge sordo-muto in un convento di curiose monache.
  4. Giornata VII, novella II - Peronella è costretta a nascondere il suo amante quando suo marito torna improvvisamente a casa.
  5. Giornata I, novella I - Ciappelletto si prende gioco di un prete sul letto di morte.
  6. Giornata VI, novella V - L'allievo di Giotto aspetta la giusta ispirazione.
  7. Giornata V, novella IV - Caterina dorme sul balcone per incontrare il suo amato la notte.
  8. Giornata IV, novella V - I tre fratelli di Lisabetta si vendicano del suo amante.
  9. Giornata IX, novella X - Il furbo don Gianni cerca di sedurre la moglie di un suo amico.
  10. Giornata VII, novella X - Due amici fanno un patto per scoprire cosa accade dopo la morte.
Anche se alcune novelle sono ambientate a Napoli e altre in Toscana, il film è portato tutto nella città partenopea e dialetto e cadenza ne rispetteranno i crismi (senza timori per niuno, tutto è perfettamente comprensibile). C'è un'affermazione dello stesso Pasolini che è utile riportare: "Ho scelto Napoli contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva: niente babele linguistica, dunque, ma puro parlare napoletano". Non era uomo che dava fiato alla bocca in modo casuale.

Ogni tanto contestualizzo storicamente il film. Vediamo nel 1971 in Italia che accadeva e prendo in considerazione solo 2 episodi:
* 17 marzo – Roma, il ministro degli Interni, dopo le indiscrezioni edite da Paese Sera, rende noto il tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese del 7 dicembre 1970; Borghese, colpito da mandato di cattura, scappa in Spagna. (Solo 2 mesi prima una commissione d'inchiesta a maggioranza DC, PSI, PSU e PRI aveva negato il golpe)
* 31 marzo – Italia: la pillola anticoncezionale non è più clandestina: è abrogato l'articolo 553 del codice penale che vietava la propaganda, la produzione e il commercio degli anticoncezionali.
Il primo l'ho citato solo per dare un'idea del clima politico, non è nemmeno commentabile.
Anche il secondo si commenta da sé. Non ricordavo nemmeno io che la pillola fosse addirittura punibile penalmente, parimenti alle droghe! Eran solo 40anni fa...

Quella era l'Italia che accolse questo film che mette tutti, furbi e onesti, laici e preti, mogli e monache, poveri e ricchi, su un unico piano, ovvero su una comune visione dei piaceri della vita, il sesso sopra ogni cosa ma anche ricchezza. Un campionario completo di umanità che esteriormente gioca un proprio ruolo, mentre intimamente non nega, anzi cerca con insistenza, spontaneamente il piacere. E' questa sensazione che m'ha pervaso nella visione, quella di una libertà necessaria ed inevitabile che non si può imprigionare in alcun modo, non c'è legge che tenga e tutti in queste novelle cercano questo. Non c'è nei protagonisti, che pure commettono "marachelle", quella spesso millantata soddisfazione che nasce dall'infrangere le regole di per sé. Qua si infrangono solo perché non si può fare altrimenti o quasi, ironizzando e prendendo in giro anche le debolezze umane stesse, come l'incredibile creduloneria che porta un uomo ad offrire la moglie nuda e a cavaceci a un prete che la deve trasformare in mulo, là tocchiamo proprio la vetta.

Come dicevo, andate altrove per trovare edotte spiegazioni, non ne sono all'altezza. Io metto questa splendida commedia tra i miei Cult semplicemente perché ho riso, ma tanto, e ho visto delle scene anche belle solo da vedere. Chiudo come chiude l'allievo di Giotto il film: "Perché realizzare un'opera quando è così bello sognarla soltanto?". Fortunatamente "Il Decameron" Pasolini non s'è solo limitato a sognarlo, ma l'ha anche fatto.

Visione inevitabile.
Prossimamente a completamento della Trilogia della Vita ci saranno "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle Mille e una notte".

lunedì 20 giugno 2011

Napoli... la camorra sfida e la città risponde

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Poliziottesco per la categoria Incolti, da superamatori del genere ma anche no. Qua abbiamo la fortuna di poter contare sui contributi di Napoleone Wilson, che ha conosciuto personalmente Mario Merola, personaggio snobbato e bis-trattato che merita invece considerazione, fa niente se postuma. Sono particolarmente orgoglioso che questo blog possa dare un suo omaggio al famoso artista napoletano, ci tenevo molto, certo anche per le mie fiere origini campane, è innegabile.
I titoli delle rubriche che Napoleone cura sono a sua completa discrezione, ma non potevo non chiedergli un contributo su almeno uno dei film interpretati da protagonista dal "passatore" napoletano. Non solo. Il poliziottesco che io amo guardare e mi diverto a recensire non può dai miei limiti essere valorizzato come merita quindi questa è anche un'occasione per sentire un vero esperto recensore di film cosa ne sa dire. Io ovviamente l'ho già letta, e al solito ci si deve solo scappellare, ve lo anticipo.
E' stato gentilissimo e disponibile Napoleone. Ora, dopo una doverosa introduzione, gli passo subito la parola.


Ma come si fa, ad andare a chiedere il pizzo da un negoziante come Merola?

Don Vito/Antonio Sabàto :-“Guagliò, se non pagherete quà stasera farà caldo...molto caldo.”
Tony il pizzaiolo/Lucio Montanaro :-”E..eh..e allora, che cazzo mi frega a me..., ho montato apposta l'aria condizionata.”

“Napoli: La Camorra sfida, la città risponde”, fu il terzo dei film di enorme successo -sotto Roma- diretti da Alfonso Brescia e prodotti da Ciro Ippolito con protagonista Mario Merola, ed è insieme a “La Tua vita per mio figlio”('80) (e rispetto ai precedenti “L'Ultimo guappo”['78] e “Napoli serenata calibro 9”['78]) sicuramente il migliore, di tutti quelli realizzati dal trinomio; girato benissimo, sorprendente e ispirato nella sua atmosfera cupa, è quasi incredibile -soprattutto nel suo finale da molte parti giustamente definito addirittura come “visionario”. Il che sembra un miracolo se si pensa che ad averlo realizzato sarebbe appunto Alfonso Brescia, regista praticante di proprio tutti i generi più popolari del cinema italiano a partire dal peplum, ma da sempre comunque considerato piuttosto sciatto e grossolano, certo non brillante di particolari doti di finezza, ma con quell'evidente approssimazione da “buona la prima” così tipica delle produzioni più frettolose e inadeguate sotto il profilo economico e delle pretese, del nostro cinema bis di quegli anni. Eppure, “Napoli: La Camorra sfida, la città risponde”, seppur nonostante l'enorme successo di pubblico dei film polizieschi-sceneggiata con Merola e realizzati in serie nel quadriennio '78/'81, realizzato in evidente risparmio economico, si discosta come detto nettamente dai primi due che lo avevano preceduto per la evidente diversa fattura e ad alta dose adrenalinica, sia per il livello generale dell'azione-addirittura con grande utilizzo, quasi a spreco, del ralenty- che per la tensione che riesce a mantenersi per tutto il film, oltre che, come ha osservato qualcuno in un commento molto attento e pertinente, una forte rassomiglianza di trama e personaggi con il capolavoro di Castellari “Il Grande Racket” (The Big Racket) ('76), tutto un'altro livello di cinema, quindi. Molto interessanti sono anche le diverse location del film, già parecchio presenti e utilizzate in tutti gli altri film del filone, a cominciare da Via Chiatamone sede de Il Mattino in cui lavora come giornalista d'”assalto” delle inchieste alla Siani il personaggio interpretato da Ciro Ippolito, continuando con lo splendido lungomare di Viale Partenope per poi passare imprescindibilmente da Piazza Dante e da Piazza Sanità dell'omonimo famosissimo rione della S.ta Maria della Sanità, e dal Cimitero delle Fontanelle, “Golgota” di fatto del finale stupefacente e scenografico del film, ma anche ripetutamente da Via Santa Lucia, Via Caracciolo, la Chiesa di Santa Caterina a Formiello, e di nuovo al Cimitero delle Fontanelle, per il compimento della vendetta dal sapore ancestrale e quasi horror a mezzo di crocifisso da parte di Don Francesco Gargiulo/Mario Merola. Una menzione speciale per la colonna sonora di Eduardo Alfieri, compositore di fiducia per tutto questo genere di produzioni napoletane di Ciro Ippolito, il quale qui ha semplicemente superato sé stesso con una colonna sonora leggendaria tra gli appassionati di O.s.t. del cinema bis italiano, in particolare proprio per il brano finale che accompagna la tesissima fuga di Vito/Antonio Sabàto nelle catacombe del Cimitero delle Fontanelle, e il feroce inseguimento di Don Francesco Gargiulo/Mario Merola. Brano stupendo, che riprende quello già presente nei titoli di testa; oppure il sempre bel brano presente nella paurosa scena del manicomio e della camera imbottita, anche questa sequenza molto ben realizzata e cruda, girata ad amplificare un senso di angoscia e terrore, con grande uso di grandangoli e teleobiettivi; anche intelligentemente perché così lascia davvero l'amaro in bocca al riguardo della terribile sorte del povero figlio (Marco/Walter Ricciardi) di Merola, drogato in vena con una sostanza talmente pesante che lo fa precipitare direttamente nella follia più allucinata. Poi tutte quelle riprese agghiaccianti delle facce trasfigurate dei malati di mente ricoverati, o le spaventose sequenze dello stupro e della morbosa violenza sulla coppietta dei fidanzatini o come appunto quella dell'overdose. Come sono veramente ottime anche le interpretazioni e in primis quella del boss dei taglieggiatori Vito, di Antonio Sabàto baffuto, proprio lui in particolare è eccellente come cattivo irrimediabile e spietato, un vero bastardo stronzissimo da film quasi lenziano per la sua indole violenta e il cinismo sfrontato e disarmante, sempre incazzatissimo per qualcosa, e altrettanto cazzutissimo. Attore che rende sempre benissimo in ruoli come questo Sabàto, molto ben calato nel personaggio del boss meridionale di quegli anni, anche per la propria sicilianità, dal tipico look “selvaggio” con camicia aperta sul petto villoso di un fisico al massimo e collanona d'oro al collo come in “Milano il clan dei calabresi” '74) di Giorgio Casorati Stegani e soprattutto “Milano Rovente”('72) di Lenzi in cui fa un ras siculo del racket della prostituzione, in questi ruoli da siculo poteva anche parlare con la sua bella voce roca da cantante alla Salvatore Adamo (e difatti era bravo anche a cantare), caricandola sull'accento siciliano. C'è anche immancabile la splendida “Caroline di Monaco di Forcella”, ovvero una giovane Sabrina Siani (Maria, la fidanzata di Marco).
Bravissimo come al solito Merola, drammaticissimo nella sua interpretazione di padre sconvolto, riesce a non farsi sminuire nemmeno dagli imposti, stonati e sempre fuori luogo inserti comici con Lucio Montanaro/Tony il pizzaiolo che fanno scadere il film immancabilmente nelle farsacce pecorecce del cinema bis a cui Montanaro prendeva immancabilmente parte, questo ogni volta che entra in scena, anche se purtroppo -ed è l'unico vero altro elemento in sottrazione del film- Merola qui canta meno che in altri film.

Per un momento, nella scena in trattoria prima del “redde rationem” over the top of the violence finale compare Bianchi Fasani, superpresente caratterista in tutti i generi di film del bis italiano “sudista” di quel periodo, e successivamente fra i primi storici attori del porno tricolore della “Golden Age”.

Grandiosa l'immancabile sequenza con il monumentale Mario che canta ai numerosi invitati del banchetto, dinanzi ad una tavola imbandita.

Fantastica scena nella pizzeria di Lucio Montanaro/Tony, con la bomba piazzata da quelli del racket che esplode proprio mentre lui è alla toilette. E ancora più fantastico il colpo di bazooka (!) sparato dal solito qui accompagnato dal padre con i capelli bisunti, nell'auto sbagliata la propria, alla fine del film.

Come un attento appassionato ha potuto notare, nel film c'è un evidente errore di montaggio durante la festa di fidanzamento del figlio di Merola, quando appare tra gli invitati il terribile killer François/impersonato dall'aiuto regista Franco Pasquetto[!] (che nello stesso momento è quello, immancabilmente con gli occhiali da sole, che fa materialmente l'iniezione dello “speedball” al figlio di Merola, rapito a Roma dove era stato mandato per metterlo “al sicuro”, dal padre) il quale sta addirittura a ballare proprio con la moglie (Liana Trouche/Elvira Gargiulo, anche lei immancabile in questo filone) di Merola mentre lui riceve la telefonata della “proteggici”, come può allora stò killer François essere contemporaneamente a Napoli tra gli invitati, e per fare cosa??!

regista/produttore/attore/principale responsabile della rovina definitiva della povera Laura Antonelli, il da giovane aitante e precocemente imbiancato “Richard Gere del Vomero” Ciro Ippolito, interpreta come detto nel film un ruolo importante di giornalista d'inchiesta. Ippolito è stato lui il creatore vero del Merola cinematografico grazie al quale farà i primi veri milioni, e convincendolo per primo a ritentare la carriera cinematografica a cinque anni (1973) dal non irresistibile esordio filmico del cantante in “Sgarro alla camorra” di Ettore Fizzarotti, il notissimo ma vicino al ritiro regista dei musicarelli. E riuscendo a far firmare ad un ancora recalcitrante e dubbioso Merola un contratto per tre primi film su un frigorifero dei gelati nel Caffè della Stazione di Napoli.
Discendente di una famiglia molto nota da generazioni della sceneggiata e del teatro napoletano, titolari di un omonimo teatro, Ippolito ha diretto Merola anche in quello che è unanimemente considerato il miglior risultato cinematografico della sceneggiata napoletana, ovvero “Lacrime napulitane”('81), con gli storici -oltre a Merola-, interpreti del teatro napoletano e anche eduardiano, Angela Luce, Pupella Maggio, Marzio Honorato, Franco Javarone.

Impagabile il nome di “copertura legale” per l'”assicurazione” offerta dai taglieggiatori di Don Vito/Antonio Sabàto ai commercianti e imprenditori minacciati e intimiditi dal racket:”La Proteggici”, con tanto di sede ufficiale in un palazzo borghese ed elegante, e placca laccata d'oro accanto al portone. Il vero capo de “La Proteggici” è Rik Battaglia/Il Dott.Rampone, presenza ricorrente nei film di Merola/Brescia, come ad esempio con importanti e incisivi ruoli nei successivi “La Tua vita per mio figlio”('80) e “Zappatore”('81). Battaglia, fu uno degli attori giovani e di bell'aspetto tra i preferiti dal pubblico femminile e dalle più rosee speranze di carriera negli anni'50, poi interprete dalla lunga e variegata carriera un po' in tutti i generi del cinema italiano, amico personale di Sergio Leone e frequentatore di famiglia, tant'è che Sergio alla fine non avendogli mai dato una parte in uno dei suoi film, gli costruì apposta per lui una parte in “Giù la testa” (A Fistful of Dynamite/aka Duck, you sucker)('71), come ebbe a dirmi Merola stesso quando lo intervistai a più riprese per la mia tesi, anche tra lui e Battaglia i rapporti furono amicali e per questo si trovarono bene e quindi si ritrovavano a lavorare insieme, quasi sempre per Battaglia, suo era il ruolo dell'antagonista di “caratura” criminale del “camorrismo estetico” di Merola stesso, come ebbe a coniare con geniale e folgorante espressione Kezich, in una sua sua innegabilmente memorabile recensione de “Il Mammasantissima”('79) sempre di Alfonso Brescia.

Sempre come ebbe a dirmi Merola stesso, l'intento di fare con “Napoli, La Camorra sfida, la città risponde” consapevolmente ovviamente non c'era, si era deciso però di calcare un po' di più la mano sull'aspetto hard-boiled cioè sui toni neri e violenti, cupi appunto, rispetto ai due film che lo avevano preceduto, e anche il primo in cui Merola non interpretò il solito ras del contrabbando di sigarette, guappo di rispetto ma dal cuore d'oro, sempre contrapposto alla camorra dei veri criminali spietati. Qui invece, è per la prima volta una sorta di self made man dell'imprenditoria. Perfettamente integrato nella legalità, il quale decide di non volersi piegare alle vessazioni dei parassiti senza codice d'onore né rispetto che gli chiedono la tangente per la protezione. Da loro.
Come disse Merola, in quel momento della sua relativamente nuova carriera cinematografica, dopo l'enorme successo di pubblico dei primi due film al sud, si sentiva un po' insicuro nell'interpretare un personaggio dallo status un po' più borghese di quello che era il suo solito, e non “guappesco”. Anche se dalla medesima provenienza sociale. Lui stesso che per radici esperienze di vita e mestieri fatti era in pratica questi stessi suoi personaggi.

Merola per tutta la vita ha più o meno accarezzato un desiderio non realizzatosi ma neanche tanto inespresso, di poter avere una proposta per confrontarsi anche con il teatro “alto”, visto che quello napoletano della sceneggiata storica alla Bovio e Furlan lo aveva reimposto al successo in tutto il mondo, con le storiche tourné dall'enorme successo presso gli italiani emigrati e non solo, in Canada, Stati Uniti, Australia, Brasile ecc., come il suo “allievo” delfino degli inizi e dal maggior successo conseguito in carriera, Massimo Ranieri. Come anche qui, ben vide e pressoché unico Tullio Kezich in una delle sue recensioni dell'epoca ('78/'79) ai suoi film, Merola, come anche nella scena famosa della “vestizione” da boss assistita da parte di tutte le donne della sua famiglia, aveva un che -a partire dalle movenze per lui così normali ma all'apparenza molto calibrate, come il modo di parlare a fraseologie e espressioni spesso “definitive”- un che da interprete strehleriano. E non sembri una boùtade ma era proprio così e Kezich qui ci vide veramente con grande perspicacia.
L'unica occasione per Merola di confrontarsi con un personaggio per lui davvero completamente diverso avvenne nel 1995 nel film Rai tvindipendente e con pretese “autoriali” ma non completamente non riuscito “Corsia preferenziale” di Luigi Maria Gallo, con Gianni Palladino, Bebo Storti e Lucia Vasini in cui Merola interpreta addirittura un commissario di P.S. decisamente anni'70 (i protagonisti sono proprio tre attempati e decaduti ex-rockstar drogati di quel periodo), con lunghi monologhi esistenzial-filosofici molto teatrali seduto alla scrivania del suo ufficio, davanti alla cinepresa fissa.
Fu un personaggio e un'esperienza diversa che Merola ricordava con piacere, anche se la Rai in pratica non lo programmò mai se non nei palinsesti notturni.

Napoleone Wilson

domenica 19 giugno 2011

Little Miss Marker - E io mi gioco la bambina

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Ciumbia che cast questa commedia! Tony Curtis a fare il gangster "facc-de-càz", Brian Dennehy ancora giovane sua guardia del corpo con un gran "fisìc-du-ròl", Lee Grant che farà 2 min. di scena ma basta a citarla, Julie Andrews al solito incantevole, la sorprendente bimba Sara Stimson e, rullino i tamburi e urlino le trombe, inchiniamoci a Sua Maestà Walter Matthau nei panni di Tristezza (Sorrowful) Jones che già il nome è un programma.

Tristezza è un allibratore spietato coi debitori. Basti la prima battuta che gli sentiamo dire prima ancora di vederlo, da dietro la vetrata del suo ufficio: "io dare una mano a lei? non la darei nemmeno a mia madre sull'orlo di un precipizio, al limite solo per spingerla!", e si rivolge a una vecchietta. Siamo negli Stati Uniti più o meno negli anni della grande depressione. Un giovane vedovo, incallito del gioco, gli lascerà in pegno la figlia per una scommessa di 10 dollari ma non farà più ritorno e presto si scoprirà esser morto, probabilmente suicida, in un canale.

Lui che evita ogni genere di problema dovuto a relazioni "umane" si ritroverà con una bambina da accudire alla quale inevitabilmente presterà cure (sfruttando a lavorare tutti i debitori della sua sala scommesse), e un gangster alle calcagna per un affare di una bisca che si vedrà costretto a condividere. Causa la bisca conoscerà anche una bellissima donna che si affezionerà sia a lui che alla bambina, un vero disastro!

Commedia vivace e divertente. Seppur abbastanza recente il film è girato con una fotografia volutamente retrò che lo rende affascinante, lo cala nel periodo descritto. Sequenza senza fine di battute acide dell'avaro, misantropo e infinitamente ricco di "burberitudine" Tristezza, uno di quei ruoli in cui Walter Matthau si esalta e non ha avuto né avrà mai eguali, pietra miliare del genere.

Film gradevolissimo e per tutti.

sabato 18 giugno 2011

Roma a mano armata (aka: Brutal Justice) (aka: Brigade spéciale)

13

Il poliziottesco perfetto, da manuale nel senso buono, con parti noir e d'azione dosate e alternate senza sosta, botte, inseguimenti in diurna, in notturna, a piedi, sui tetti, cattivi che son proprio cattivi e s'attaccano ad ogni cavillo di legge, polizia frenata da scrupoli ma quando gli girano gli girano. Super!

Al massimo splendore i 2 principali antagonisti. Maurizio Merli è il commissario Tanzi, fresco di fama dopo il gagliardo "Roma violenta", primo della trilogia del commissario Betti (il secondo, "Napoli violenta", lo farà proprio con Umberto Lenzi). Tomas Milian è nei panni de Il Gobbo, ancora un ruolo cattivo quasi quanto il mitico e aranciomeccanico Sacchi ne "Milano odia: la polizia non può sparare". Più che una recensione è un'elegia questa, chi conosce i film citati già si lecca i baffi, a me la lingua arrivava alle sopracciglia.

Sulla trama la faccio molto breve: Tanzi è sulle tracce di una banda di marsigliesi che si occupa di traffici vari. Per questi lavora il cognato del Gobbo e quest'ultimo diventerà il soggetto su cui si accanirà Tanzi, con botte e pure vessazioni. Ci saranno rapine e un rapimento, che sarà anche il fatto finale che porterà i 2 a una vera e propria sfida che ormai è diventata anche una questione di principio, vero e proprio duello. Nel mentre Tanzi smaschererà anche un gruppo di "giovani di buona famiglia" (è un modo di dire dal quale deriva anche l'altrettanto noto "figli di buona donna") di un circolo monarchico, reo di aver assalito una coppia appartata ed aver violentato in gruppo la ragazza (chiaro richiamo al "Massacro del Circeo"). Per non farsi mancare nulla, anche la cattura con l'alfetta di 2 scippatori minorenni in vespa e lo speronamento di un altro ladro motociclista, tanto per...

Al solito anche questo film vide il pubblico connotare politicamente situazioni e personaggi. Per Merli non fu una novità beccarsi del fascista, fu addirittura fischiato alla proiezione della prima e certo non per la sua interpretazione ma solo appunto per quello che rappresentava. Non ridiamo, erano altri tempi... Sorprendente leggere di quanto "tifo" riscosse il personaggio del Gobbo, un delinquente veramente terribile del quale ho perso il conto dei morti che ha ucciso, eppure evidentemente quello che rimane di lui, alla fine, è quell'aria da anarchico ribelle che, crepasse il mondo!, i piedi in testa da uno sbirro non se li fa mettere!
Io non ho posizioni da prendere, il film me lo sono gustato alla grande, ho ammirato entrambi gli attori, Merli e Milian, e anche gli altri di un grande cast. Dico solo che il personaggio di Milian, secondo me anche se non l'ho letto dichiarato da nessuna parte, è decisamente ispirato nella gestualità, sguardi e incazzatura compresi, a "Il gobbo" di Carlo Lizzani, film magnifico e storia vera. Chissà, forse nel pubblico anche come reminiscenza inconscia qualche memoria di Giuseppe Albano era presente e da qui le simpatie che ne derivarono.

Il titolo inglese sembra voler enfatizzare il "fascismo" della giustizia, problema evidentemente sentito anche da quelle parti perché, non dimentichiamolo, il titolo in un film è la prima pietra per il suo successo e deve fare presa. Quello francese addirittura mi fa venire in mente le "Tropa de Elite" di recente visione, ed effettivamente si parla nel film di costituire delle squadre speciali con qualche licenza in più d'agire rispetto alla norma.

Per chi ama il genere poliziottesco visione imperativa e categorica!
Per chi non li ama... se non lo ha visto ancora questo film, forse cambierà idea.
Presto su questi schermi il successivo "La banda del gobbo".

venerdì 17 giugno 2011

The Commitments

20

Film proposto dall'amico Unwise (al secolo Mauro, ma solo se resistete a un suo discorso sulle ideologie). Musicista, esperto Americanista del blog con ampie competenze in generale sul mondo anglofono, cestista e tennista, onanista secondo necessità infatti non porta nemmeno gli occhiali... ecco cosa è venuto fuori dall'intervista a cui l'ho sottoposto.

robydick:
La trama la sbrighiamo in un nanosecondo, e cioè: c'è un giovane di Dublino, tale Jimmy, che con un semplice annuncio su un giornale e relative udienze di selezione formerà un gruppo di musica Soul, una band di giovani molto brass, con un bel coretto di pupe e quando il successo starà per arridere loro tutto verrà mandato a puttane dalla loro litigiosità. Sono stato abbastanza riduttivo e minimalista? Cosa aggiungeresti a quello che ho scritto?

unwise:
Direi che hai un minimalismo versione winzip… descritto così sembra uno di quegli squallidi teen-drama, dove un gruppo di giovinastri si incontra, decide di formare una band, e tutto, canzoni, arrangiamenti e perfino coreografie, si materializza all’improvviso. Se questo era possibile, e perfino plausibile, nell’atmosfera quasi fatata di “Fame”, non lo è altrettanto nella Dublino povera e semidepressa dei primi anni 80. Parker se ne rende conto benissimo, e dedica buona parte del film alle audizioni e alla formazione del gruppo e del suo repertorio. Proprio l’atmosfera delle audizioni, in cui si rivela un microcosmo parecchio variegato, è la più frizzante del film. A casa di Jimmy ne arrivano di tutti i colori, di tutti i generi (musicali e umani), tutti a formare una sorta di caos creativo dal quale nascerà il nucleo della band. Proprio le prime prove del gruppo, con attrezzature raffazzonate e location improbabili, sono particolarmente verosimili: la difficile ricerca di una certa compattezza esecutiva, dell’equilibrio fra le parti, appartengono al periodo di formazione di tutte le band. Grazie a Jimmy, che non suona ma ha un’idea molto chiara del suono che vuole dal gruppo, e soprattutto all’apporto di esperienza del “vecchio” Joey “lips” Fagen (trombettista piovuto dal cielo, che vanta, o millanta, collaborazioni con nomi leggendari), la dedizione (appunto “commitment”) dei singoli riesce ad essere incanalata verso un suond compatto e ben articolato. Non a caso il momento corale e “positivo”, narrativamente parlando, appartiene proprio a questa prima, entusiastica parte (una versione a cappella di “Destination Anywhere”, cantata da tutto il gruppo durante un viaggio in metropolitana, “copiata” poi da Cameron Croew nel suo “Almost Famous”, che con “the Commitments” ha parecchi debiti…). Poi, come da te anticipato, l’ego dei singoli, cresciuto di pari passo alle loro abilità, finirà per rovinare qualcosa che, con un po’ più di umiltà, avrebbe potuto veramente funzionare. Ed è proprio questa parabola evolutiva a rendere il film una visione obbligatoria per tutti coloro che hanno intenzione di formare una band: qui c’è tutto, la passione, il sacrificio, l’allegria, gli scazzi… insomma è un prontuario dei rischi e della bellezza di un’impresa del genere.

robydick:
Sarà anche fatata in "Fame" l'atmosfera, ma qua non è che siamo molto ottimisti? Intendiamoci, niente di male alla finzione, però a leggere la tua risposta precedente sembra (in parte) che parliamo di un film neorealista. Era davvero così diffusa la "voglia di far musica" in Irlanda? Se sì, da che tipo di tradizioni nasce? Oggi, rispetto ad allora, ci sono delle differenze?

unwise:
L’Irlanda ha avuto, nel corso dei secoli, e continua ad avere, un substrato di pratica musicale vastissimo (tanto a livello professionale che dilettantistico), perfino sproporzionato rispetto all’esiguità della popolazione… in pratica si suona in ogni famiglia! La musica tradizionale, che risale addirittura al periodo pre-cristiano, oltre ad aver fornito le basi per la country music (ne avevamo parlato in occasione della rece di Nashville), continua ad essere molto praticata e conosciuta, e costituisce, anche tecnicamente, un universo a parte. Sopravvive l’uso di strumenti particolari, come il tin whistle, l’arpa celtica o il bodhràn, e soprattutto sopravvive il gaelico: l’orgoglio irlandese, anche in contrasto con il vicino Regno Unito, ha continuato a tramandare le tradizioni, spesso in forma cantata. Tanto il governo quanto i media, poi, supportano fortemente questa tendenza (oltre ai cartelli stradali bilingue, continuano ad esistere e a prosperare pubblicazioni, programmi TV e perfino cartoni animati in lingua gaelica). Parlando invece di periodi più recenti, è bene ricordare che l’Irlanda non è solo la patria degli U2, ma ha dato i natali a una pletora di musicisti di livello internazionale, coprendo una vasta gamma di stili e di generi: dal cantautorato di Van Morrison, all’hard rock dei mitici Thin Lizzy (il cui primo successo fu proprio un riarrangiamento rock di una canzone popolare, Whysky In The Jar) al blues di Rory Gallagher (no, non è uno degli oasis!), fino al folk-punk dei Pogues, alla new age di Enya e dei Clannad, senza dimenticare Bob Geldof e i suoi Boomtown Rats, i Cranberries e i più pop Corrs (questi ultimi tutti membri della stessa famiglia), e ultimo, ma non da meno, il recentemente, e prematuramente, scomparso Gary Moore, cantante e chitarrista fra i migliori al mondo. L’Irlanda sembra poi avere una gran considerazione delle sue glorie musicali: a Temple Bar, quartiere “artistico” del centro di Dublino, sono tutti immortalati sulla Wall Of Fame (che in basso ha anche una sagoma vuota per posizionarsi e farsi ritrarre in fotografia – cosa che il sottoscritto non ha mancato di fare durante la sua ultima visita), una statua life-size di Phil Lynott dei Thin Lizzy fa bella mostra di se nello stesso quartiere, e a Rory Gallagher è stata dedicata addirittura una piazza nella natia Cork. Insomma, Rugby e Guinness non sono certo gli unici passatempi nazionali…

robydick:
Intanto mi scappello a te per tanta conoscenza. Ora però è d'obbligo chiederti: alla luce anche di quanto hai detto, cazzo c'entra il Soul? Perché fare una band che suona un genere tipicamente d'oltre oceano? E' sicuramente significativa oltre che divertente la famosa battuta di Jimmy Rabbitte: "Gli Irlandesi sono i più negri d'Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: sono un negro e me ne vanto!", ma in che senso dobbiamo interpretarla? Tra l'altro se ricordo bene a un certo momento descrivono il Soul come un genere che ha un certo rigore di forma nel senso dell'espressione collettiva della band che lo suona, cosa che viene ben evidenziata in contrasto al Jazz nel quale invece oltre al gruppo vengono esaltate le individualità. So che non ami ideologie né dietrologie, solo che, niente niente, c'è un "messaggio" pure politico, o perlomeno di coscienza sociale che dobbiamo saper interpretare? Parliamo pur sempre di un paese diviso in 2, con la componente cattolica che tutt'oggi ritiene gli inglesi degli invasori. A Dublino poco c'è mancato sorgesse un muro come a Berlino...

unwise:
La frase di Jimmy sottolinea, pur con ironia, la realtà di un paese profondamente segnato da divisioni politiche, religiose e sociali, riflesse anche nella città stessa dove la vicenda si svolge, dalle due sponde del fiume Liffey, che tradizionalmente divide la parte benestante (al sud) da quella meno abbiente (al nord – e non a caso uno dei nomi proposti per il gruppo sarà “the northsiders”), nel quale era ancora ben udibile l’eco del clamoroso sacrificio di Bobby Sands e dei suoi seguaci (il racconto di Roddy Doyle è datato 1987) di qualche anno prima (1981). Un momento importante nella storia dell’Irlanda moderna, nel quale (soprattutto dopo l’episodio di Sands) il cieco odio per l’invasore britannico cominciava a lasciare spazio al semplice amore per la propria patria, alla voglia di superare il periodo nero del terrorismo e delle repressioni. Ancor più pregnante, in questo senso, è la frase pronunciata da Joey “lips” Fagen, nel momento in cui incontra Jimmy: “i fratelli irlandesi non si ammazzerebbero come cani se avessero (il) soul!” (ovviamente si tratta di un piccolo gioco di parole sul significato di soul=anima). Nello scenario di un paese depresso, unito alle singole condizioni di semi indigenza dei protagonisti, forse ci si sarebbe aspettati che la musica si dirigesse verso il nichilismo dei Sex Pistols o la palude accidiosa dei Joy Division, invece, la scelta del soul come genere è assolutamente funzionale alla storia che Doyle vuol raccontare, e al messaggio che vuol lanciare: è una musica che parla un linguaggio semplice e onesto, che ha, come sottolinea Jimmy “il ritmo del lavoro (manuale) e delle scopate”. È anche, come gli spirituals di cui è discendente profano, una specie di mantra corale, che proprio nell’abbandono di ogni deriva egoistica, e nell’impegno comune, ha il suo fondamento. È una forma che non ha sovrastrutture e pretenziosità intellettuali, è una specie di sport che esalta il gioco di squadra, almeno finchè tutta la squadra profonde l’impegno dovuto nelle rispettive mansioni, e, ovviamente, finchè nessuno pensa di essere più importante degli altri… la vicenda può dunque viaggiare in parallelo alla storia d’Irlanda dei tempi in cui si svolge, proponendo una nuova chive di lettura del presente: la vera rivoluzione sta nel costruire qualcosa, non nel distruggere o nel lasciarsi morire. A cosa avevano portato, infatti, la cieca furia dell’IRA e l’auto-immolazione di Bobby Sands sull’altare di un’ideologia estremizzata? Solo a maggiore depressione, maggiore repressione e financo disprezzo.
E finchè il gruppo ci crede, finchè fa tesoro dei consigli di chi ha esperienza (vera o presunta), finche lavora sotto la stessa "bandiera" (il "dignitoso", secondo le parole di Joey, abito scuro)i risultati non mancano. Ma ci vuole pazienza, e se si vuole tutto e subito, quasi certamente si finisce per rovinare tutto. La fine del gruppo è una cocente delusione per Jimmy, che è un po’ il Thomas More di questa Utopia moderna, ma la chiusura, in cui lui stesso fa da narratore, non ce lo mostra sconsolato e senza speranza. E a buon diritto. In fondo lui, per citare il compianto Belushi, ha visto la luce…

robydick:
Veramente eccezionali le tue risposte! Pensa che metto questa rece in Olimpo più per la rece stessa che nemmeno per il film. I miei più riverenti omaggi e l'intervista la chiuderei quasi qua, il finale di questa risposta è strepitoso.
Però dai, ti ho pungolato su argomenti serissimi fino ad ora, colpa mia. Adesso ti propongo una chiusura chiedendoti di esaltare gli aspetti divertenti del film, in fondo è anche una piacevolissima commedia, no? Penso ad esempio a quel batterista che picchiava testate tremende a chi lo faceva incazzare, o al trombettista che trombava tutte le coriste. Ci dici 2 parole anche sul particolare casting di questo film?
Non aggiungerò altro alla tua risposta, che chiuderà la rece, per cui ti ringrazio infinitamente già qua!!

unwise:
The Commitments è comunque, soprattutto, una godibilissima commedia. Parente, anche se non diretta, di quel mitico (e da noi da sempre, inspiegabilmente, inedito) “This Is Spinal Tap”, “documentario” di Rob Reiner, che in modo quasi surreale, ma spesso non troppo lontano dalla realtà, raccontava la vita all’interno di una band, in un mix fra la commedia degli errori e l’aereo più pazzo del mondo. Il nostro è un susseguirsi di situazioni comiche, ma sempre piuttosto verosimili, di personaggi particolari, abilmente ritratti da Doyle nel suo racconto, e altrettanto oculatamente scelti da Parker per il film. E quale poteva essere il modo migliore di rendere la spontaneità dei personaggi, se non scegliendoli fra una pletora di candidati presi dalla strada? Non molto dissimili da quelle narrate, infatti, devono esser state le audizioni di Parker, con tanto di scoperta “casuale” del cantante solista: nel film Jimmy lo sente cantare ubriaco ad una festa, nella realtà capitò sul set al seguito del padre, che lavorava come vocal coach per Parker. Mancando in quel momento il supporto logistico adeguato, il padre gli chiese di accennare al regista alcuni brani che aveva scelto, e fu subito scritturato (aveva 16 anni… anche se sembra un tantino meno giovane). Furono audizioni più che altro musicali: anche chi poi non si trovò a suonare nel film, fece l’audizione per un ruolo da musicista (Robert Arkins provò come bassista, ma l’intuito di Parker gli affidò il ruolo del “manager” Jimmy Rabbitte, mentre quello della sorella, Sharon, fu affidato ad Andrea Corr, più tardi giunta al successo internazionale come cantante dei Corrs), e molti dei candidati compaiono fra gli audizionanti a casa di Jimmy in piccoli, e spesso esilaranti, camei (oltre alla citata Andrea, anche due altri membri della famiglia Corr). Nel documentario a corredo del dvd c’è l’audizione che Parker fa a Dave Finnegan, per il ruolo del rissoso batterista Mickah Wallace, provocandolo al limite della rissa… alla fine ha quasi la bava alla bocca! (una figura, questa, forse ricalcata su Phil “philty animal” Taylor, batterista dei Motorhead, al quale il padre aveva comprato una batteria, “così avrebbe smesso di picchiare gli altri”). Nel casting come nella vicenda, ai pur bravi ma sempre improvvistai attori, si affiancano, a mo’ di guide, due vecchie volpi, non a caso nei ruoli del musicista più esperto e del padre di Jimmy. Johnny Murphy, è Joe “lips” Fagan, trombettista e dongiovanni (a scapito dell’età avanzata, si ripasserà le tre giovani coriste), personaggio “misterioso” dal nebuloso, o glorioso, passato. Curiosamente, è l’unico del gruppo a non essere un vero musicista (alla sua obiezione a Parker “ma io non suono la tromba”, gli fu risposto “lo farai”). Nel ruolo di jimmy Rabbitte senior, invece, troviamo quella specie di prezzemolo del cinema britannico (oltre che membro fisso del cast di Star Trek) che è Colm Meaney: padre irlandese più che tipico, ma più che cattolico, devoto ad Elvis (alla frase del figlio “Elvis non è soul!”, risponde “Elvis è dio!”); sarà peraltro protagonista anche degli altri due adattamenti cinematografici (“The Snapper” e “The Van”) della “trilogia di Barrytown”, sempre nello stesso ruolo, ma curiosamente con nomi diversi…
la chimica fra gioventù irrequieta e "maturità" funziona benissimo sia nelle riprese che nella trama (almeno fino ad un certo punto), ed è l'occasione per esilaranti scambi di battute, che punteggiano le vicende e vicissitudini del gruppo (e chi ha o ha avuto un gruppo ci si può benissimo riconoscere). non c'è (e per fortuna, mi vien da dire) un finale alla "Hannah Montana", ma nemmeno nulla di tragico. c'è forse, nelle parole di Jimmy, che chiudono il film, un po' di rammarico, ma non manca il sorriso: "Rolling Stones? e chi cazzo sono costoro?"


giovedì 16 giugno 2011

Mine vaganti

44

Film a cura della Contemporaneista del blog, l'amica Laura alla quale passo subito la parola.


Una sposa che cammina concitatamente verso una torre di un casale antico…apre la porta e la guarda una signora anziana. Beh, propriamente non la guarda, la signora anziana è lei. La foto di un bellissimo giovane. Il baldo giovane si alza dalla sedia, la sposa chiude la porta con gli occhi luccicanti e lo guarda. I due si guardano e…la sposa alza una pistola nera verso il bellissimo in questione, anzi no, verso di lei.
Ammazza iniziamo proprio bene!!! E io che pensavo già ad una delle mie storie melense, non ci capisco una beata mazza.
1. La sposa si suicida? Ma no, dai finirebbe il film.
2. Il giovane è il suo amante? Mah sì, può darsi.
3. L’anziana è la sposa invecchiata in flashback? Boh!



Così inizia il lungometraggio di Ozpetek.
Così, tra occhiate e pistola, quasi fosse un western.

Poi parte il colpo di pistola…e PUM…in un casale bellissimo della provincia del Salento, dove la famiglia Cantone ne è proprietaria ed è proprietaria anche di uno dei più famosi pastifici, appare il “viaggiatore” Riccardo Scamarcio (alias Tommaso) che (diciamocelo) non è niente male in quest’aria un po’ vintage, tutto bello leccato e in ordine, che ritorna, come il figliol prodigo, a casa.

Tommaso che in realtà si è trasferito a Roma per studiare economia e commercio, si ritrova immediatamente a mangiare con tutta la famiglia e a parlare di cosa? Delle nipotine grasse. Ma no dico, iniziamo? Vogliamo smetterla?

Intanto il nostro bel Tommaso levatosi dai piedi dalla famiglia se ne va a zuzzurellare con il cellulare in giro finchè una spider rossa lo sta per mettere sotto ( e stai attento no!?! Stavamo tutte per morire d’infarto)! Scende dalla macchina una Nicole Grimaudo che riga con le chiavi un’audi nera…(ha carattere la ragazza!).

La scena seguente ci porta nel pastificio di famiglia dove Scamarcio e Alessandro Preziosi (alias Antonio, fratello di Tommaso) parlano dell’azienda di famiglia.
Il bel Tommaso dice al fratello che lui non può essere il successore del padre per tre motivi che dirà in serata alla famiglia: 1. Non ha mai studiato economia 2. È iscritto a lettere 3. È omosessuale (e va beh caro Scamarcio stavolta ci hai proprio fregato alla grande).

Ma durante la cena ufficiale per festeggiare il nuovo corso aziendale, Tommaso viene anticipato dal fratello maggiore Antonio (e non dovevi farlo però…anche tu, Alessandro! è proprio una vera congiura eh) che, dopo tanti anni di fedele servizio agli affari di famiglia, si dichiara omosessuale prima di lui e viene per questo espulso dalla casa e dalla direzione dell'azienda.
Al momento della rivelazione (e la scena è spettacolare: musica tra il comico ed il tragico, risate scherzose poi tadàààà sguardi rabbuiati) il padre ferito nell’orgoglio in primis, viene colto da un infarto in secundis e finisce in fin di vita in ospedale. Così Scamarcio finisce per non dire nulla sulla sua omosessualità ed assecondare i voleri del padre. Ma questo è solo l’inizio di un film che si svilupperà tra comicità, riflessioni, flashback e quant’altro.

Non posso che manifestare il mio debole per questo che regista (no beh, diciamo che Ozpetek mi piace proprio) che ha catturato la mia attenzione con il bellissimo le fate ignoranti e poi con la finestra di fronte. Film dal mio punto di vista imperdibili.
Ozpetek in tutti i suoi lungometraggi ci mostra i suoi mostri, le sue ossessioni, la sua visione di un’Italia un po’ retrò e bigotta. Notiamo la mamma di Scamarcio quando chiede al suo fidanzato Marco: “Ma da questa malattia (omosessualità) si può guarire?

Satira, umorismo e morale la fanno da padroni in questo film.

Mentre negli altri film era più spiccata una sorta di malinconia e drammaticità mista anche ad una sorta di romanticismo.

Mine vaganti non sono solo i due protagonisti del racconto e il filo conduttore rappresentato constantemente dalla figura della nonna ma è Il film stesso una mina vagante per tutti quelli che hanno degli schemi ben fissati nella mente, per tutti quelli che non vanno “oltre”.

In questo film, il regista vuole quasi dirci che gli uomini non vedono ciò che invece le donne hanno intuito (nonna, zia e sorella).

“Allora cinquantamila lacrime non basteranno perché” come canta la Zilli.

E come dice Scamarcio alla Grimaudi o meglio ai suoi neri occhi profondi “Non devi avere paura di lasciare, tanto le cose importanti nella vita non ti lasceranno mai”.

E lei risponderà malinconica con “bella fregatura”.

Eh sì, in effetti la nonna l’aveva avvisata “Gli amori impossibili non finiscono mai. Sono quelli che durano per sempre.”

Forse ha ragione la nonna o forse no. A voi l’ardua sentenza.



Grazie infinite a Laura, sempre più brava!
Aumenta la "ampiezza spettrale" delle mie visioni, ancora una volta un film sul quale i miei pre-giudizi erano forti.

Giudizio personale sul film: non del livello de "Le fate ignoranti" (che appare lontanissimo ormai), senza alcuna lode, interessante nei contenuti. In un paese omofobico merita attenzione, ma non graffia, non è cattivo quando deve, punta più al moccolo che alla bava. Belle le immagini, belle le scelte musicali oltre all'o.s.t. di Pasquale Catalano, bella anche la canzone cantata da Giusy Ferreri che quando sfila il kazoo dall'ugola è proprio brava. Recitazioni degne di nota quelle dei principali comprimari, il padre e la nonna dei protagonisti, Ennio Fantastichini e Elena Sofia Ricci, anche la mamma con Lunetta Savino (quest'ultima da non perdere ne "Il figlio della luna", grandissima!). Tutti da ammirare tranne i 2 fratelli protagonisti, facce da fiction versione "rai one prime clerical time" nonostante i ruoli interpretati. Scamarcio sarà anche "un bel Tommaso" ma recitare non è dote solo fotogenica; giudico in questo film non so in altri.

E' pura cattiveria da parte mia citarlo, ma certo che se lo confrontiamo con "Una giornata particolare"... m'è venuto in mente il Capolavoro di Ettore Scola, molto diverso da questo, pensando proprio: se c'era Mastroianni, solo con la sua presenza, che salto di qualità poteva fare questo film? Domande irrisolvibili; personaggi irripetibili; contemporanei improponibili.

Si può guardare, via!
Ed ha avuto un buon successo ai botteghini, ne sono contento.
Sarò ancora più contento se Ozpetek tornerà ad "osare" come agli inizi, quando mi sembrava una sorta di Almodovar nostrano, e azzardo il paragone proprio per incoraggiarlo.