domenica 29 novembre 2009

13 Tzameti

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Un giovane operaio, poco più che ragazzo, lavora su un tetto. In quella casa vive un tossico appena uscito di galera. Scopre che ha un segreto, un lavoro che gli procurerà tantissimi soldi, peccato però che muore d'overdose in vasca da bagno. Arriva anche la polizia, che pedinava il proprietario. Si cerca una lettera, ma quella lettera l'ha presa il ragazzo. Contiene un biglietto ferroviario e la prenotazione d'un albergo e lui capisce che si tratta di "quel lavoro".

Il bravo ragazzo mantiene con la sua paga madre, padre e tutta la famiglia, non proprio in condizioni economiche brillanti. Difficile sfuggire alla tentazione. Parte spacciandosi per l'altro. Ha chiaro che si tratta di qualcosa di poco pulito e certamente rischioso, ma quello che gli capiterà supererà le peggiori aspettative. Quanto vale una vita umana?

Poco bianco e molto nero in questo viaggio nel torbido cinico e crudele nel quale un innocente capita per caso eppure ne diventa eccezionale e lucido interprete.

Fantastico film, imperdibile.
Solito caldo abbraccio a BadGuy per il consiglio.

Garage

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La storia commovente di Josie in un paesucolo sperdutissimo nella campagna irlandese. Leggermente ritardato, molto ingenuo, un problemino fisico all'anca, è il cosidetto pasta-buona che tutti considerano tale e qualche cretino maltratta.

Lavora in una piccola stazione di servizio che senza di lui sembrerebbe abbandonata. Per aumentare le ore di apertura il proprietario gli affianca un giovane ragazzo che diventa suo amico e col quale vive come vivrebbe con un suo coetaneo: qualche chiacchiera, qualche lattina di birra. Inizia un bel periodo per lui, diventa più intraprendente, sempre con molta misura, con le donne e persino coi prepotenti.
Purtroppo per lui e con totale innocenza, questo ragazzo gli procurerà un piccolo guaio, quanto basta per fargli riconsiderare la sua vita che pur nella totale ripetitività era una sicurezza.

Un film molto grazioso, un bel ritratto di quello che in Italia verrebbe volgarmente definito "lo scemo del paese" nella sua versione più innocua.
Bella l'interpretazione del buono e dolcissimo Josie da parte di Patt Shortt.

Da vedere.

sabato 28 novembre 2009

Voci nel tempo

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Quattro stagioni e quattro fasi della vita, illustrate nel corso di 5 giornate, in Stile Piavoli.
In Primavera l'infanzia e la pre-adolescenza, poi l'adolescenza e la gioventù coi suoi primi amori. In Estate il matrimonio, la festa, la nascita di una famiglia. L'Autunno l'epilogo, le rughe che avanzano, la vecchiaia e la malattia. L'inverno è embrione della nuova gioventù e l'infante smorza con l'anziano su un laghetto ghiacciato in un paesaggio candido.

Immagini e suoni reali magistralmente riprodotti. Un quadro.
Interamente girato a Castellaro (MN), paesino rurale che ha fornito paesaggio ed attori dei quali ci si potrà solo stupire anche perché non si limitano, in alcuni casi, ad essere sé stessi. Anche il parlare degli uomini è suono di fondo, le parole non sono praticamente mai intellegibili e non servono. Le metafore sono semplici, i gesti e la natura parlano da soli, tutto è estremamente facile e comprensibile da chiunque eppure non è banale, né retorico.

Realismo totale con rare musiche di fondo, ad eccezione delle scene con balli e danze. In una di queste ho provato la Sindrome di Stendhal.
Al termine del banchetto del matrimonio, estate, sole calante, solo gli anziani sono rimasti alla trattoria a mangiare e bere all'aperto. C'è un "valzerino" popolare bellissimo, molti volti di chi è seduto diventano ritratti, due coppie ballano quella musica serena, dietro di loro per sfondo delle spighe altissime di granoturco.
Certe scene non si possono spiegare, bisogna solo vederle. La sensibilità di Piavoli è unica.

Su tutte le stagioni della natura e della vita impera sempre la presenza dell'anziano, un filo rosso a volte solo percepibile, segno di continuità. Ho percepito la netta sensazione dell'amore di Piavoli per ogni fase della vita umana: ogni momento ha un suo perché, ogni vita un suo ruolo.

Adoro questo "sconosciuto" regista.
Tra quelli che conosco Piavoli è il più simile ad un pittore. Solo Olmi gli è paragonabile in questo aspetto.
Questo film è meraviglioso, come tutti quelli che ha fatto.

Free Zone

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Rebecca, americana, scappa e s'infila in un taxi. Siamo in Israele e Rebecca è senza meta. Hanna, l'autista israeliana, non è proprio in servizio, sta lavorando al posto del marito ferito in un attentato e ha un impegno importante da sbrigare nella Free Zone che si trova al confine tra Giordania, Iraq e Siria.
Un viaggio lunghissimo, una telecamera sempre sulla macchina con la quale sballonzoli anche te, in continuo movimento, splendido espediente per viaggiare in macchina con le prime 2 protagoniste, che durante il viaggio dialogano sulla situazione dei luoghi dove si trovano. Sempre dall'interno della macchina si vedono i paesaggi, i posti di frontiera...

All'arrivo alla Free Zone incontrano Laila. Hanna deve incassare molti soldi per un lavoro dall' "americano", che non c'è. Sale un po' di tensione, poi si riparte ancora, sempre in macchina, stavolta sono in 3, mancava l'ultima donna rappresentante dei conflitti: Laila è palestinese...

Uno strano on-the-road-in-the-car, per vivere dal di dentro la vita così come si svolge tra Israele, Giordania, ecc... . Quasi documentaristico.

M'è piaciuto, merita la visione.

venerdì 27 novembre 2009

Dans ma peau

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E' stato necessario, al termine della visione, documentarmi un po', non sul film, ma su quello che rappresenta.
Esiste una patologia psicologica/psichiatrica poco nota, molto rara e che nonostante ciò, ho letto in giro, ha almeno 3 livelli di gravità.
E' nota come Automutilazione. Colpisce soprattutto le donne.

Nella forma più cruenta, chi ne soffre s'infligge, con strumenti da taglio anche improvvisati se occorre, ferite al limite del letale, senza per questo provare dolore, o meglio, il piacere emotivo che provano supera di gran lunga il dolore. La persona ne diventa dipendente, un po' come i dipendenti da adrenalina (praticanti di sport estremi i più tipici) e quando scatta "il bisogno", se non saziato, normali funzionalità fisiche come la vista, l'udito, i sensi in generale, ne risultano compromessi. Quando la lucidità invece domina il bisogno, le mutilazioni assurgono la precisione chirurgica, vengono persino progettate. Queste ultime diventano spesso asportazioni di brandelli di pelle.
La pelle rappresenta l'interfaccia tra il sé e l'esterno, qualche trauma infantile (violenze fisiche o sessuali subite, mancanza di contatto fisico post-natale coi genitori) ha generato un rapporto con la propria pelle anomalo e l'automutilante, per renderla più sensibile, la violenta per meglio percepirla e percepirsi.
Lo scopo non è infliggersi dolore, non ha nulla a che fare col masochismo. Non è nemmeno desiderio di deturparsi, cosa che per altro avviene. Al contrario: i brandelli di pelle vengono conservati; il sangue bevuto per quanto possibile.
E' una patologia Allucinante, aggettivo abusato che qua è d'obbligo e non iperbolico.

Parliamo del Film? E' PERFETTO!
Lo sarebbe già di per sé, ma alla luce di quanto ho potuto verificare, la descrizione della donna che ne emerge è perfetta, non esagero. Ogni singolo dettaglio della patologia emerge.
E allora della trama non vi racconto nulla, non serve. La vicenda della donna che viene raccontata è pretesto.

Aggiungo la grandissima qualità delle immagini e della regia, che unite all'assenza o quasi di musiche, fanno respirare, vivere con la protagonista la sua esperienza con straordinario realismo.
Al di là, appunto, di effetti speciali o espedienti cinematografici, il film è di realismo assoluto.

Assolutamente imperdibile!
Scritto da Marina De Van. Diretto da Marina De Van. Attrice protagonista? Sempre lei, Marina De Van. Bravissima in tutti e 3 i ruoli.

Note per il consumatore: ci sono scene che richiedono uno stomaco di ferro. Sangue ne scorre parecchio. Ho fatto fatica in certi momenti, non sono abituato. Se al contrario di me siete divoratori di horror (genere che io "aborror", è un mio limite) sarà per voi una passeggiata.

Quai des Orfèvres - Legittima difesa

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Quai des Orfèvres, la Via degli Orefici (orfèvres ho scoperto essere una parola desueta nel francese moderno), è l'indirizzo della sede storica della polizia parigina. Indirizzo che ricorderò per un po': negli ultimi giorni ho visto ben 3 film che ne parlano! Questo il più vecchio per ora e sicuramente non il peggiore.

In breve: Film "extraordinaire" per l'epoca e non solo!

Una coppia male assortita, lui pianista, uomo ligio, semplice, geloso non a torto, lei di umilissime origini, cantante, civettuola, bella e smaniosa di far carriera per la quale è disposta a tutto, ma non proprio tutto-tutto. Un cinico uomo d'affari le sobilla una parte nel cinema, lei lo va a trovare ma alle sue advance risponde con una bottigliata che uccide il perverso pigmalione. Scappa. Dopo di lei arriva il meschino marito, armato, voleva essere lui omicida solo che l'opera era già stata compiuta. Siccome non bastava, anche un'altra persona metterà piede prima della polizia sul luogo del delitto e sarà un personaggio con una relazione perlomeno ambigua con entrambi i coniugi citati.

Una lunga serie di interrogatori, fatti che s'intrecciano, personaggi più o meno coinvolti ed un poliziotto umile, severo ed intelligentissimo (a mio parere ha ispirato il famosissimo Tenente Colombo, per certi aspetti) che, opinabilmente quanto coscienziosamente, instraderà la giustizia guardando la verità come uno dei tanti misteri da gestire e, alla fine, controllare.

Un grande classico imperdibile!

giovedì 26 novembre 2009

Le deuxieme souffle - Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide

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Dopo aver visto (con moderato entusiasmo) 36 Quai des Orfévres, grazie all'immancabile guida della cara amica BadGuy ho deciso di approfondire il genere Polar (poliziesco noir) da uno dei grandi classici della categoria.

Be', lo devo dire: QUESTO E' UN CAPOLAVORO!
E non semplicemente del genere Polar, ma assoluto.
Bellissimo il titolo originale, Il secondo respiro. Il titolo italiano, un po' spaghetti-noir, va considerato ché ormai è troppo noto.

Gustave Menda noto come Gu, boss della mala parigina, evade dopo 10 anni di prigione. Ne ammazza due che importunano la sua donna e prepara una fuga all'estero via nave. Anzitutto si trasferisce a Marsiglia. Servono soldi e si fa coinvolgere da persone fidate in un cruento colpo ad un portavalori che trasporta platino. Bolt, commissario a Parigi, lo conosce ed è sulle sue tracce. Con un trucco l'arresta e lo consegna alla polizia di Marsiglia che lo umilia e lo fa passare per traditore dei compagni. Un affronto intollerabile...

Due ore e venti di tensione fra le gang e la polizia, colpi di scena, in un bianco e nero Jazz, tra personaggi parchi di parole che tirano dritti al dunque, durissimi quanto fieri della loro fama ed onore. Pochissima la musica, regna sovrano un silenzio in potenza latente, una "morte" eventualmente fatale.
Scene girate con maestria straordinaria: l'evasione-incipit palpita in tachicardia; l'attesa dei quattro in montagna dell'arrivo del furgone con la telecamera che gira a 360° è ansia pura; l'attacco stesso al furgone; l'incontro nell'appartamento dopo l'arresto di Gu con immagini che ritmicamente arrivano dal basso, poi alto, poi un dettaglio seguito da panoramica; primi piani che staccano violenti su ambientazioni che ti dilatano le pupille. Continuo cambiamento di ritmo, da lento a veloce e viceversa...

Che film! Vorresti non finisse mai!
Lino Ventura e Paul Merisse due icone, ma tutti sono come strumenti d'un concerto di Mussorgsky. Meravigliosa Christine Fabrega.
Grandissimo Jean-Pierre Melville, ne vedrò parecchi dei suoi film.

mercoledì 25 novembre 2009

Mille anni di buone preghiere

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Yilan, cinese di Pechino che vive negli USA, si ritrova ad ospitare il padre che non vede da molti anni. Una infanzia senza dialogo ed anche ora il dialogo fra i due stenta a decollare, nonostante è proprio quello che il padre vuole con insistenza, fino a ficcare il naso nella vita della figlia nei dettagli, particolarmente angustiato dal fatto che la figlia, separata, non trova un amore a lei adeguato che porti lui, finalmente, ad avere un nipote.
Il finale sarà una reciproca confessione e in quel momento le loro "scorze" si apriranno...

Francamente da Wayne Wang mi aspettavo qualcosa di più. Questo film è loffio, molto loffio, e non va a parare da nessuna parte. I silenzi con immagini "metaforiche" sono troppo scontati, nemmeno mi scomodo a commentarli.
Rimane l'eleganza delle immagini e dei ritratti.
Smoke e Blue in the Face sono lontani anni luce. Pazienza.

Mi ha fatto sorridere, anche se il regista sicuramente non ne aveva intenzione, l'episodio quando il vecchietto, al parco con la coetanea iraniana (un dialogo fra quasi sordi, entrambi poco pratici della lingua, divertente a tratti) sente dalla donna raccontarsi il momento in cui morì sua figlia, in Iran, durante la guerra degli 8 anni. Episodio in sé tragico, solo che non ho potuto fare a meno di pensare a quella gente che ogni volta che approfondisce un minimo la conoscenza con te a un certo punto ti spiattella addosso la sua disgrazia incurabile. Che bisogno ne hanno? Pensano di farmi (parlo personalmente) un onore o una cortesia? Anch'io ne ho, tutti o quasi ne hanno, ma ne parlo se ce n'è un motivo, un pretesto importante, non così, "tanto per"...
Anche nel film la cosa mi ha fatto un effetto tragicamente comico.

martedì 24 novembre 2009

Lo scafandro e la farfalla

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Sceneggiatura tratta fedelmente dall'omonimo libro pubblicato nel 1997, autore Jean-Dominique Bauby che racconta la sua esperienza vissuta di paralizzato totale, sindrome locked-in, a seguito di un grave ictus. Grazie ad una tenace specialista, Jean-Do riesce a comunicare battendo il ciglio dell'occhio sinistro, solo movimento che riesce a governare nel suo corpo che egli stesso definisce Scafandro. Dice di Sì con un battito e No con due. Gli viene letto un alfabeto basato sulla frequenza delle lettere nella lingua francese: un battito per indicare la lettera giusta, due per lo spazio, tanti battiti per l'errore.

Con questo sistema ingegnoso (siamo nel 1995) e la pazienza infinita di un'assistente nominata dall'editore, si arriva alla stesura del libro pubblicato nel 1997. Jean-Do morirà dieci giorni dopo la pubblicazione, quando già aveva progetti di scriverne altri. Dieci anni dopo arriva il film.

Un giornalista di grande successo nel pieno della vita e della carriera, quarantenne. improvvisamente catapultato in una dimensione surreale. Quando esce dal coma è come se si risvegliasse in un incubo, scopre cosa gli è capitato, si rende conto di non poter parlare, muoversi. La rara sindrome mantiene tutti gli organi vitali funzionanti, intelletto e coscienza di sé perfettamente integri, è solo il corpo a risultare un oggetto estraneo, involucro inerte. Vorrà morire ma sarà solo un breve attimo, prenderà coscienza delle sue possibilità, della farfalla che è la sua immaginazione e la sua memoria, e deciderà di scrivere l'opera.

E' una vicenda di vita straordinaria, inutile dirlo.
Il film nella prima mezzora è emotivamente travolgente e sconvolgente! La telecamera, figurativamente, è quasi costantemente dentro l'occhio funzionante di Jean-Do del quale si sente la voce-pensiero, il respiro. Lui non lo si vede nemmeno. Poi comincia ad uscire, ad inquadrarlo dall'esterno, tornando nell'occhio più di rado. Poco riusciti a mio avviso i flashback, potevano essere più intensi, è il dettaglio, però importante, che non mi fa gridare al capolavoro. Bellissimi invece i suoi sogni, il volo della farfalla particolarmente.

Inevitabile l'accostamento, per la vicenda, ad un film che a mio parere è uno dei capolavori di sempre della storia del Cinema, E Johnny prese il fucile di Dalton Trumbo. Non siamo allo stesso livello, ma ci si affianca con onore.

Assolutamente imperdibile!

p.s.: un sentito grazie a Grazia, l'amica di Udine che mi ha consigliato questo film.

lunedì 23 novembre 2009

Cria cuervos

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Questo regista, per me, è una rivelazione! Mai avrei pensato che sotto il franchismo fosse possibile un'opera simile! E' uscito nell'anno al termine del quale il Caudillo ha liberato la Spagna e la terra tutta dalla sua infausta presenza ma non per questo la censura aveva alzato le braccia.

Eppure... eppure ci troviamo di fronte ad un personaggio la cui intelligenza ha saputo, almeno in quest'opera, dissacrare, rivoltare come un calzino tutta la moralità cristiano-perbenista che all'epoca imperava in Spagna (ora è rimasta solo l'Italia, ma esco dall'argomento). Oltre a ciò, abbattuto ogni luogo comune sui bambini che sono buoni per definizione, degli angeli senza colpe. Il titolo si rifà a un proverbio spagnolo che dice testualmente "Alleva corvi e ti beccheranno gli occhi.".
Per una volta, le considerazioni personali le ho fatte subito.

Tre bambine rimangono orfane. La madre morta da tempo, il padre all'inizio del racconto muore durante un amplesso con l'amante. Anna, protagonista tra le bimbe, vede l'amante uscire, impassibile prende un bicchiere, lo lava per bene e se ne torna a letto. La zia farà loro da matrigna e si assisterà al dipanarsi del passato di Anna e dei suoi genitori, la malattia della madre, le amanti del padre che era un ufficiale dell'esercito, con flashback che altro non sono che sogni della bambina, di notte e da sveglia. La madre è sempre presente per Anna, la zia pure purtroppo e Anna comincerà ad odiarla. Ci saranno altri bicchieri da lavare?

E' girato magnificamente, coi tempi giusti, belle musiche.
La protagonista, Ana Torrent, è una bambina di bravura stupefacente e di una bellezza che non stonerebbe in un Renoir. Ho visto che è stata protagonista anche del bellissimo Tesis del grande Amenábar.
Si fa apprezzare anche Geraldine Chaplin, figlia del notissimo Charlie, nel ruolo della madre.

Da non perdere assolutamente.

domenica 22 novembre 2009

Das Leben der Anderen - Le vite degli altri

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HGW XX/7 è un agente della Stasi a Berlino Est. Mancano meno di 5 anni alla caduta del Muro. Glaciale, imperturbabile, zelante fra zelanti, individua in Georg Dreyman, scrittore di opere teatrali di successo, uno da indagare. Anche il ministro della cultura vuole l'indagine, ma per motivi diversi: tiene sotto ricatto la compagna del regista esigendo sesso in cambio. HGW scoprirà prestissimo questa cosa.

Inizia un precisissimo piano per spiare la vita del regista nei dettagli. La casa viene riempita di microspie e HGW si occupa personalmente di stare alle cuffie. Ogni momento significativo viene verbalizzato.
Dreyman è circondato da intellettuali che si oppongono al regime, ma inizialmente non ne vuole sapere di attaccarlo. Dopo la morte per suicidio di un suo caro amico regista a cui il regime ha vietato di lavorare cambia idea, svolge un indagine sui suicidi in DDR e, nel più assoluto anonimato, fornisce l'articolo ad un importante settimanale tedesco.
Dopo la pubblicazione la Stasi, su ordine del regime, si scatena. Sono convintissimi che sia stato Dreyman a scrivere l'articolo... Dreyman si salverà, grazie all'aiuto di un complice impensabile, che saprà ringraziare anche senza incontrarlo, ben dopo la caduta del Muro. Ma il finale completo è più drammatico...

Il film è stupendamente condotto su un filo di rasoio che non lo abbandona mai.
Bravissimo Ulrich Mühe, l'agente GWH, interpretazione fatta soprattutto di sguardi, perfetta.

Da non perdere.

p.s.: Se qualcuno pensa che certe cose le faceva solo la Stasi sappia che è un illuso.
Il principio "sapere tutto di tutti" è la base di ogni corpo di polizia segreta.
Chi vi scrive è sicuramente schedato da qualche parte. Chi legge pure.

sabato 21 novembre 2009

Luther

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Non mi metterò certo a raccontare la vita di Martin Lutero. Se volete, e non richiede 5 minuti, leggetevela su Wiki.
Il film, finanziato anche da una fondazione luterana, ne dà un'egregia sintesi: la vocazione, la fede tormentata, il grande lavoro di teologo, l'editto, il coraggio di affrontare l'inquisizione, i moti sanguinosi, la traduzione della Bibbia in tedesco (ancora oggi il testo primo ad aver coniato la grammatica tedesca), la grande vittoria nella fondazione di una nuova chiesa.

E' un film biografico, come tale l'ho guardato. Girato con rigore quasi classico, si concede alcune scene modernamente artistiche come la stupenda e spettacolare caccia al cinghiale o il momento in cui Lutero torna dopo i massacri succeduti al suo processo, quando Lutero cammina tra rovine fumanti e cataste di cadaveri.
La cura dei costumi e delle scenografie è notevole. La partecipazione di Peter Ustinov, oltre al bravo protagonista Joseph Fiennes, si fa apprezzare.

Ma qui, come in altri casi, è la grandiosità della avventurosa e significativa vita di Martin Lutero a spadroneggiare, e giustamente, secondo le intenzioni del film e anche le mie nel vederlo.
Eccezionale! Sono da sempre un ammiratore di Lutero, come lo sono di tutti gli uomini che nella storia hanno lottato contro privilegi, potere, discriminazione.

Da vedere, molto bello.

L'uomo senza passato

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Un uomo che vaga per una città viene aggredito da un trio di teppisti. Quasi morto, si rialza dal letto d'ospedale ma non ricorda più nulla di sé.

Inizia una nuova vita, prima con disincanto poi anche con una certa gioia, in un ambiente di diseredati. Sembra un automa a volte, in realtà è in continua autoanalisi, scopre sé stesso negli altri. Piano piano acquista più sicurezza, si ricostruisce un'identità cercando istintivamente di comprendere ciò in cui ha un talento che appare come spontaneo mentre risiede chiaramente nel suo passato.
S'innamorerà, ricambiato, di una timidissima donna dell'esercito della salvezza. Una dolcissima storia, come due fidanzatini.

Sarà coinvolto suo malgrado in una rapina in banca. Di seguito la polizia scoprirà chi è ma... il suo passato è stato "rinnovato" e non si può tornare indietro.
Certo che la storia si presta davvero a speculazioni filosofiche. Non avere un passato non è poi necessariamente un dramma. Il "vissuto" è spesso fonte di pregiudizi, vincoli all'espressione della propria personalità. Nei casi peggiori causa sfiducia in sé stessi. Quello che piace e diverte del protagonista è la sua massima apertura mentale, l'inesistenza in lui di ogni intolleranza, moralità becera. Vive ogni fatto, ogni esperienza con naturalezza e curiosità.

Bellissimo film, poetico, imperdibile, con non pochi momenti divertentissimi.
Un viaggio, quello dell'uomo misterioso, tra gente che sembra si muova come in un aldilà, tutto da godere ed ammirare.
Grandissimo Kaurismaki.

venerdì 20 novembre 2009

Il curioso caso di Benjamin Button

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Film famoso e arcinoto, trama pure. Per un racconto dettagliato vi rimando alla scrupolosa pagina di Wiki. Fare attenzione ad andarsi a leggere anche quella del romanzo da cui il film trae origine, perché la sceneggiatura differisce dallo stesso.
Preferisco spendere qualche parola su considerazioni a latere.

La storia è interessantissima. Pura invenzione ma decisamente singolare, dà spunti di riflessione: una vita che scorre al contrario non può essere ignorata. Si dice che la vita, come un cerchio, nell'anzianità fa tornare bambini: vedere le cose al contrario è drammaticamente esilarante per certi aspetti.
M'è piaciuto tantissimo l'incipit che racconta dell'orologiaio cieco. Il suo orologio che va al contrario, simbolicamente ad auspicare una rinascita dei figli perduti da lui e da altri nella grande guerra è splendido.

Avrei preferito una maggiore densità degli eventi, più ritmo, certe parti le ho trovate inutilmente troppo lente. E' una critica dettata dalle aspettative generatemi dal regista di quella meraviglia che è Fight Club. Ad altri registi non l'avrei nemmeno pensata.
Troppo, troppo lungo! Il finale, stupendo, coi maroni in carpione non sono riuscito proprio a godermelo.

Merita in ogni caso una visione.

giovedì 19 novembre 2009

36 Quai des Orfévres

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Una feroce banda di malviventi terrorizza Parigi con furti sanguinosi. Arrivano ordini di agire con risolutezza per la cattura.
Leo Vrinks e Denis Klein sono a capo di due distinti gruppi all'interno della polizia. Sono in competizione per succedere al loro capo e devono entrambi catturare la banda, ma la cattura diventa anche la condizione per far carriera. Leo riesce a trovare le informazioni ma lo fa compromettendosi con un omicidio. Denis, che ormai lo odia, durante l'agguato per catturare la banda disattende i patti causando inutili morti e la fuga dei malviventi.

Leo vuole le dimissioni di Denis, il quale però viene a conoscenza del segreto di Leo e si vendicherà con cinica brutalità...

Visto il cast magari qualcosa in più si poteva fare, soprattutto sul fronte recitazione ed affini (Depardieu in particolare è troppo "scontato"), comunque rimane un poliziesco decente, di quelli che considero d'evasione per rilassarsi tra una meraviglia del cinema ed un'altra.

Si può vedere.

Il settimo sigillo

0
Un cavaliere crociato e il suo scudiero, appena tornati dalle battaglie in terra santa, sono esausti su una spiaggia. La Morte, un uomo con mantello nero, va incontro al cavaliere ed inizia una partita a scacchi che finirà al concludersi del film.

C'è la peste nel territorio. Il cavaliere è molto sconfortato, da tante cose: la sensazione di inutilità dei pericoli corsi in terra santa; l'atteggiamento fanatico verso la fede estremizzato dai flagellanti; l'esecuzione di una strega sul rogo, il grande pessimismo che pervade tutti. L'incontro con una piccola compagnia di teatranti, allegri, gentili e gioviali, porterà nuova linfa alla sua voglia di vivere.
Ma la Morte è sempre lì incombente...

Un piccolo film, "teatro con la cinepresa", sui grandi interrogativi dell'uomo.
Per gli amanti del genere. Tra i quali chi scrive.

mercoledì 18 novembre 2009

La Fille sur le pont - La ragazza sul ponte

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Una bellissima ragazza, Abele, che vuole suicidarsi saltando in un fiume da un ponte. Non sa dire mai No, tutti gli uomini abusano della sua fiducia incondizionata, del suo corpo. Non vuole più vivere. E' la partner ideale per un lanciatore di coltelli spregiudicato nella vita quanto nel mestiere, Gabor, male in arnese, con poco lavoro ma convinto che con lei può tornare al successo.

Gabor ha ragione. La ragazza, affascinata da lui accetta e Gabor si lancia persino in numeri mai fatti prima, sempre più azzardati. Ogni spettacolo un piccolo taglio, un cerotto e il problema è risolto, ma fra i due il rapporto trascende la collaborazione professionale ed anche il sesso. I loro orgasmi avvengono durante gli spettacoli.

Quegli spettacoli sono sensualmente tragici. Da una parte un pubblico che sadicamente freme, come quello di un'antica arena romana. Dall'altra loro, essenzialmente loro.
Quei lanci di coltelli sono di grande carica emozionale. Lui è in assoluta tensione, ogni tiro una penetrazione. Lei è votata a lui, mette la sua vita nelle sue mani, si dona nel modo più totale, ogni coltello che arriva è il passo di un amplesso.

Nessuno dei due può più vivere senza l'altro. Quando lei decide di andarsene...

Bellissimo bianco e nero con momenti anche esilaranti. Brillante, dinamico, dominato in ogni caso dall'imprescindibile legame tra i protagonisti che potremmo definire sadomaso con un'originalità particolare.
Tutti i film di Leconte che ho visto hanno una Originalità Particolare e sono da vedere.

martedì 17 novembre 2009

Feast of love

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Non ho memoria di film che parlano d'Amore in modo così semplice, bello e romantico come questo, sono ancora affascinato dalla visione. Forse, come mi ha fatto notare una cara amica, sono in fase romantica. Strano però, perché personalmente... sarà l'inizio della vecchiaia, i sogni che ancora si vorrebbero realizzare.

L'amore, l'innamoramento, la pulsione sessuale e vitale, le sue regole non razionali che pure si vorrebbero coniare.
La frase: "Non si può dare la colpa a una persona per l'amore che prova" l'ho incorniciata, è lucida poesia e perfetta sintesi del film.

Non voglio raccontare nulla. La trama me la ricorderò facilmente guardando la locandina. D'altronde non sono un recensore, questo blog per me è semplicemente il diario di quello che vedo, un deposito di memorie.

Questo film ha rappresentato tutto ciò che intendo per Amore, che vorrei la mia vita potesse avere e non ha, che ha avuto solo a tratti, i più bei momenti che ricordo ovviamente. Si dà troppa poca importanza al rapporto di coppia, di qualsiasi coppia. Il maledetto buon senso fa vivere vite troppo cinicamente basate sul "sistemarsi", sullo "stare tranquilli", su cose insulse che non servono a niente, perdita di tempo, la vita dura davvero pochissimo e la cosa più grande che esista, più bella ed appagante, che fa vibrare il corpo, dà emozione, fa emergere l'umanità delle persone è l'Amore che anzitutto si prova per la persona amata che te lo ricambia. Quando questo cessa, che senso ha continuare, proseguire? Cosa si sta facendo?

Non è mostrato un mondo facile, solo un mondo dove, tra varie vittorie e sconfitte nei fatti materiali, l'immateriale sentimento più volte citato risulta vincente! E' questo che mi ha fatto davvero sballare della trama, che non ha nulla a che fare con sdolcinerie di bassa lega. Qua sono persone comunissime coi problemi più normali del mondo, di varie età e fasce sociali, che si confrontano continuamente col bisogno di amare, di seguire l'Amore come regola di vita, senza compromessi.

Bellissimo film, me lo ricorderò a lungo.

lunedì 16 novembre 2009

6 gradi di separazione

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Un giovane piomba in casa di una famiglia benestante nella "quinta" di NY. Si presenta con una ferita allo stomaco, vittima di uno scippo, ma anche come amico intimo dei figli, compagno di università ad Harvard, esperto appassionato di arte e letteratura (i signori sono commercianti d'arte), tanto da affascinarli in modo totale. E' persino figlio di Sidney Poitier! Qualcosa non quadra, alla mattina ne hanno conferma e lo cacciano. A un matrimonio raccontano l'episodio a curiosi ed andranno avanti a raccontarlo in tutte le sue nuove vicende. Paul, il truffatore, affascina e lo fa anche con altre famiglie, sempre benestanti e sempre sfruttando conoscenze delle loro vite. Si comincia a ricercare Paul. Dopo un'episodio tragico Paul viene ricercato anche dalla polizia...

Perché lo fa? C'è chiaramente una voglia d'inserirsi in un mondo agiato che non gli appartiene, un po' di mitomania, tanta intelligenza. Paul s'infila nei buchi familiari di queste famiglie, nelle falle affettive: i figli sono lontani nei college, hanno rapporti coi genitori conflittuali. Paul trova genitori che con lui realizzano un rapporto che coi figli non hanno né mai potranno avere ormai. Dalla sua iniziativa emerge quindi uno strato sociale particolare dell'alta borghesia newyorkese.

Testo di chiara provenienza teatrale, trama dinamica e brillante, un po' di giallo, ordito intricato a voler proporre appunto la "teoria dei 6 gradi di separazione", che Paul sembra far emergere come appare ad uno dei protagonisti: tutti gli esseri umani del pianeta sono collegabili tramite un massimo di 6 relazioni di qualunque tipo. Teoria che a mio parere sta in piedi a fatica, almeno nel numero, certamente è affascinante. Più che altro il film non mi ha dato la sensazione di volerla enfatizzare.

Film bello, divertente, elegante. Merita davvero una visione.
Il titolo non mi pare sia estremamente adatto o perlomeno l'argomento non propriamente sviluppato. L'episodio coi due ragazzi che Paul riesce a turlupinare appare anche un po' forzato, così come qualche altra situazione, perlomeno rispetto, mi ripeto, all'argomento citato dal titolo.

domenica 15 novembre 2009

L'uomo del treno

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Un uomo taciturno giunge in un piccolo paese della provincia francese, deserto in una sera, incontra solo un altro uomo, un vecchio professore di letteratura, col quale nasce una strana amicizia, fatta inizialmente solo di silenzi del taciturno e di tanta voglia di novità, di parlare del professore.

Due vite al tramonto che si confrontano, molto diverse ma con le stesse domande. Il taciturno in realtà è un rapinatore, lì per organizzare un colpo in banca con dei complici, e il professore lo scoprirà ma non per questo se ne scandalizzerà e nemmeno lo caccerà di casa, dove si è offerto d'ospitarlo di buon grado. Anzi...
Il prof ha voglia di avventure, una vita trascorsa nella sua splendida casa, con le solite persone, all'insegna dell'abitudinarietà, desideroso di abbandonare ogni ipocrisia. Il rapinatore è perplesso sulla rapina, comincia ad amare le serate tranquille in casa, la comodità delle pantofole, il piacere di una chiacchierata su arte, musica, poesia.

Bellissimo film con due grandi interpreti: il solito Jean Rochefort nei panni del professore ha decisamente il fisico del ruolo, e il bravissimo (è stato un piacere vederlo in questi panni) Johnny Hallyday, rapinatore intellettuale freddo e concreto.

sabato 14 novembre 2009

Cemento armato

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Gangster piccoli e grandi all'italiana? Sì, ma ben fatto!
Il poco più che teppistello della Garbatella, Diego, spacca lo specchietto al boss della mala detto Primario (un adeguatissimo Giorgo Faletti), il quale nel mentre che lo cerca violenta la ragazza di Diego. Diego alla caccia del Primario e viceversa. Il risultato sembra scontato, ma...

Poliziotti corrotti, informatori, piccoli e grandi malavitosi, la storia trascina senza mai annoiare, sembra un film d'altri tempi.

Bello!

Teza

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Anberber ha studiato medicina in Germania e ritorna in Etiopia definitivamente dopo molte vicissitudini, per ritrovare sua madre e la sua terra. C'è già stata da tempo la rivoluzione marxista che ha portato al potere Mengistu e che soprattutto ha portato ad un regime di terrore il popolo, che lui ha vissuto dopo il suo primo ritorno, quando con l'amico e compagno di studi Tes aveva cercato di portare avanti un centro di analisi e cure mediche.

Per due terzi abbondanti del film scopriremo a ritroso la vita passata di Anberber, che lo ha profondamente segnato e gli provoca incubi continui tanto che esorcisti tentano di guarirlo. Il periodo di studi e le amicizie e amori tedeschi, il rientro dopo la rivoluzione che a tanti, ma non a lui, aveva gonfiato il petto di speranza per una vita felice in patria; le vessazioni violente, sia fisicamente che verbalmente, subite da alcuni esagitati rivoluzionari che vedevano di malocchio gli intellettuali; il rientro in Germania su richiesta del governo etiope coi problemi di reinserimento sia tra i connazionali che, soprattutto, fra i tedeschi tra i quali i fenomeni di razzismo e xenofobia sono in grande aumento e lui ne sarà vittima; il crollo del muro di Berlino poco prima del suo rientro definitivo in Etiopia, le difficoltà ideologiche che ha causato, insieme alla politica innovativa di Gorbaciov.

E' meravigliosa la rappresentazione cronologica degli eventi. Non semplici flashback ma innesti di trama che non trascendono mai il presente. Anberber sogna anche ad occhi aperti, ogni avvenimento che vive lo traspone su di sé quasi come un de-ja-vu.
La sua "scienza" affronta il fanatismo politico e le tradizioni pagano-cristiane con fierezza e ciò qualche problema glie lo provoca. Attraverso di lui e degli altri personaggi veniamo però in contatto con una cultura complessa piena di tradizioni, superstizioni, molto credente, estroversa e allegra. Interessantissimo tutto.

Alcune scene sono d'uno splendore fotografico uniche. E' un film di qualità eccelsa anche solo dal semplice punto di vista cinematografico. Grande onore ad Haile Gerima che lo ha scritto e diretto.
Tutto ciò poi passa quasi in secondo ordine, per la storia decisamente pregna ed emozionante. Della trama in realtà ho detto davvero poco. Anche gli "italiani" sono spesso citati, per motivi intuibili che certo non risiedono nel nostro "glorioso" passato.

Da non perdere. Assolutamente.

La famiglia Savage

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Wendy e Jon sono fratelli che abitano distanti fra loro, cresciuti in una famiglia piuttosto disunita, vivono alla meno peggio. Entrambi con lauree umanistiche, cercano di sfondare scrivendo commedie (Wendy) e libri (Jon),
ma senza successo e nel frattempo vivono storie d'amore senza futuro, pur essendo dei quarantenni. La madre non la vedono più da quando sono bambini e forse, un po' bambini entrambi, lo sono rimasti.

Il padre anche non lo frequentano da molto, ma ad un certo momento ricevono una telefonata. La donna con cui conviveva è morta e lui mostra segni di demenza senile fin troppo evidenti, inoltre deve lasciare la casa. Insomma: se ne devono occupare loro.
Che fare? Una badante personale è troppo costosa e poi in quale casa? Non c'è alternativa a una residenza per anziani, un ospizio come si diceva una volta. Il padre è incontinente, la testa funziona a tratti, non è autosufficiente. Stravolgendo le loro vite personali, seguiranno il lento decorso del padre, il peggioramento della sua malattia fino alla fine, l'unica certezza della vita di ogni uomo.

Questa la trama eppure, credetemi, non vi ho rivelato ancora nulla della più intima sostanza. Il film narra con grande realismo una storia che più comune non può essere: come ci si deve occupare dei genitori, una volta che essi diventano anziani ed hanno bisogno di aiuto? Nei "paesi per vecchi" che sempre più diventano i cosiddetti occidentali, è un problema di non sempre facile soluzione. Nelle cittadine pulite ed ordinate che vengono rappresentate tutti i drammi vengono chiusi nelle case, tutto deve funzionare a dovere e un demente vicino alla morte è solo un problema da gestire, non porta nulla.

Jon, il più lucido dei due, sarà concreto ed avrà le idee più chiare mentre Wendy, ossessionata dall'idea della morte e dal voler fare di-più per il padre, incarnerà tutti i sensi di colpa, le paure, gli imbarazzi possibili. Ci saranno anche momenti drammaticamente esilaranti e sempre si assisteranno a scene e dialoghi altamente significativi ed aggiungo, per esperienza personale, decisamente veri.
Wendy andrà a vivere per il tempo occorrente da Jon, l'ospizio è vicino casa sua. I due fratelli ritroveranno un rapporto perduto, anzi mai nato, cominceranno ad interrogarsi sul significato delle loro vite, cresceranno. Allora possiamo pensare che assistere in quel modo un genitore, probabilmente, non è tempo che rubiamo alle nostre egoistiche ambizioni ma un'esperienza di vita? In fondo è come vedere un film del proprio futuro, di quello che prima o poi, salvo dipartite più brusche da questo mondo, ti dovrà capitare. Val la pena, finché si ha salute e lucidità, vivere la propria vita non con frenesia, ma sicuramente con maggior impegno ed una seria attenzione alle relazioni che si costruiscono, alle cose anche semplici che si possono realizzare.

Film bellissimo ed imperdibile!, diretto con cura e grazia da Tamara Jenkins. Esporre un argomento così "fuori moda" con tanta qualità e senza noiosa retorica non era impresa facile.
Encomio ai due protagonisti: Laura Linney con Wendy e Philip Seymour Hoffman con Jon sono stati bravissimi.

venerdì 13 novembre 2009

La canarina assassinata

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2008,  Daniele Cascella.

Una troupe cinematografica un tantinello sgangherata riesce ad affittare per quattro soldi una bellissima villa per fare un film, del quale non se comprenderà mai la sostanza, e vi si trasferisce.

Julien Donkey-Boy

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Non riesco a definire una trama per questo particolarissimo film, già un Cult per me.
Un insieme di piccole storie che ritraggono principalmente la disgraziatissima famiglia di Julien, in una desolatissima periferia suburbana americana. Julien è uno schizofrenico quindi l'anello più debole, ma gli altri gli fanno una bella concorrenza! Il padre (un irriconoscibile Werner Herzog) ha perso la testa dopo la morte della moglie, ossessiona i figli con le sue paranoie; la nonna pensa solo al suo cagnolino; il fratello, spinto dal padre, è fissato con la lotta e l'ossessione di diventare un vincente nello sport e nella vita. La sorella, incinta di padre ignoto, ha sempre desiderato fare la ballerina ed ha un rapporto con Julien che definire ambiguo è poco, ogni tanto gli fa da sorella, altre impersona la madre al telefono, dopo Julien è il personaggio più interessante a mio parere, anche perché conserva un'umanità positiva in quella squallida famiglia: sogna una vita felice per il figlio, suona l'arpa, balla, ha delle speranze.

Julien vive senza alcun canovaccio da seguire. Pronti via, all'inizio del film lo vediamo ammazzare un bambino per futili motivi, cosa che fa senza coscienza reale, poi invece si dimostra un ragazzo d'una grande dolcezza. Vive in un suo mondo, ma cerca sempre d'interagire con chi lo circonda e la cattiveria con cui lo tratta il padre in un determinato momento è sconvolgente. Ha poi un rapporto con la fede profondo, le preghiere e le messe lo travolgono emotivamente, pensa sempre a dio, se questi gli vuole bene, cosa pensa di lui ed è un argomento che tratta con altri disabili di vario genere che frequenta, si chiedono perché dio li abbia fatti così: fantastica questa trattazione! La religiosità di questi disabili è divina, hanno un rapporto con dio diretto, non mediato e sinceramente calato nella loro vita quotidiana.

Tutto il film, girato volutamente in bassa definizione, ti fa entrare nella testa del povero Julien. Cominci a provare la sensazione che quel mondo distorto e confuso, nelle immagini e nei suoni, che all'inizio mette disagio e fa male allo stomaco, è quello che il cervello malato del ragazzo riproduce.
Il tormentone della danzatrice su ghiaccio, che balla accompagnata dalla Callas (almeno m'è parso fosse la sua voce in Casta Diva) è commovente, simbolico, da interpretare a piacimento, il sogno della sorella di Julien ma anche la leggerezza di quei movimenti, come il modo in cui le onde delle vite dei "normali" trasportano la mente di Julien, un ragazzo profondamente innocente e che forse anche per questo causa disagio a qualcuno.

Talmente innocente Julien che sembra incapace di soffrire e invece... il terribile finale ti spiazza.

L'interpretazione di Julien fatta da Ewen Bremner è da urlo.
Un Cult per me, come detto. Uno dei capolavori del Dogma 95.
Me lo rivedrò sicuramente altre volte.

giovedì 12 novembre 2009

El rey de la montaña

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Quim si sta recando dalla sua ex-fidanzata. Si ferma in un'area di servizio dove incontra una ragazza, Bea. Ci scambia effusioni in bagno e questa lo deruba del portafogli e dell'accendino a cui è affezionato. Riparte ma nell'inseguirla entrambi si ritrovano in un ambiente montagnoso ed estremamente selvaggio.

Improvvisamente qualcuno spara alla macchina di Quim. E' un tiro al bersaglio. Fugge, prima da solo, ferito, poi insieme a Bea. Sempre sotto tiro, come prede per cacciatori implacabili, non si vede chi caccia e soprattutto non se ne comprendono minimamente le ragioni...

Film d'altissima tensione. Regia, fotografia e montaggio bellissimi soprattutto se rapportati all'evidente ridotto budget. Ricorda molto "Un tranquillo week-end di paura" per la struttura scenografica e per il mistero sul cacciatore, ma le storie sono molto diverse.

Bea è il personaggio che più m'è piaciuto, misteriosa, bellissima, senza passato né futuro, sembra una donna da fumetto. Introduce, poi si capisce, la situazione incredibile "da videogame" che si palesa nel finale quando, dopo una serie di ammazzamenti ben più lunga di quella illustrata, si comprendono le assurde ragioni dei crimini perché la focale si sposta, appunto, dalle prede ai cacciatori.

Molto bello, da vedere. Non è uscito in Italia.

mercoledì 11 novembre 2009

Il marito della parrucchiera

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Se da piccolo ti prendi una scuffia pesante per la parrucchiera per uomini, giunonica e dall'odore inconfondibile, è comprensibile che poi quella passione per quel tipo di professionista ti rimanga anche da grande. Quando incontra Matilde non ha dubbi: sarà sua moglie.

Con flashback dal vago sapore-amarcord ed il resto girato nel negozio-alcova da parrucchiere per uomini, si assiste ad un amore tra un uomo ed una donna che non richiede amici, viaggi, frequentazioni, nessuna vita sociale se non quella dei clienti del negozio dove la donna lavora e lui fa quasi il saltimbanco con spettacolini per bambini capricciosi, o s'intrattiene in conversazioni. Il resto è sesso incontrollabile, appassionato.

Tanta semplice felicità spaventa se improvvisamente cessi di goderla e cominci invece a farti ossessionare dal rischio di perderla. Allora, prima di essere abbandonati, dalla felicità, meglio abbandonare...

Simpatico oltre il solito Rochefort, improbabile quanto divertente ballerino di danze arabe, che indubbiamente è un grande caratterista, almeno con Leconte. In grande forma, in tutti i sensi, Anna Galiena.
Belle le musiche composte da Nyman.

Blackout

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Matty è un attore professionista sulla cresta dell'onda. Gran consumatore di alcol e droghe assortite. Infatuatissimo di Annie (una Béatrice Dalle da sturbo!), pornostar del cast di Mickey, un personaggio privo di scrupoli (solito bravissimo Dennis Hopper che adoro!).
Quando Annie gli dice di aver abortito il suo figlio Matty perde completamente quel poco di sano che era rimasto nel suo cervello, nemmeno ricordava che l'aborto fu una sua richiesta, e Annie lo pianta in asso. Incontra in un bar, dove ci lavora, una giovane ragazza che si chiama Annie anch'essa, la seduce e la porta nel locale-set cinematografico di Mickey, la truccano e cominciano a girare una scena. Una scena che il cinico Mickey registrerà e della quale Matty è completamente inconsapevole.

E basta. La storia finisce qui per Matty. Un Blackout cerebrale totale azzera la vita per lui, che ritroviamo insieme alla classica brava ragazza (Claudia Shiffer, sorprendente come attrice soprattutto in una scena finale) 18 mesi dopo, disintossicato in terapia da alcol e droga. Non si sarà disintossicato però da Annie, la cercherà, per risolvere degli strani incubi che lo perseguitano, nemmeno sa se è viva. Cercherà Mickey, ritroverà Annie.
Soprattutto comprenderà cosa è tragicamente capitato ad Annie-cameriera...

Abel Ferrara ci regala un altro fantastico viaggio nel torbido dell'animo umano dopo Il Cattivo Tenente che rimane a mio parere il suo capolavoro. Eccezionale il "disordine" dell'inizio del film, la prima parte fino al Blackout: il caos che regna nella vita e nella mente di Matty è rappresentato magistralmente. Dopo i 18 mesi è la coscienza a diventare l'argomento principale, il senso di colpa.

Bellissimo, m'è piaciuto molto.
Bravissimi gli attori. Personalmente, dopo aver visto Betty Blue, ho un debole per Béatrice Dalle, lo confesso, che non avevo più rivisto in un grande film, donna di una sensualità mostruosa come poche se ne sono viste nel Cinema.

martedì 10 novembre 2009

Les Deux Anglaises et le Continent - Le due inglesi

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Romanzo d'altri tempi, roba da fine '700-inizi '800, romanticismo elegante, raffinato, letto e raccontato da voce fuori campo e a volte dagli stessi  protagonisti sia interpreti che narratori.

Trama in brevissimo: Claude è francese, benestante, conosce due ragazze inglesi figlie di un'amica della madre. S'innamora della più giovane, Mauriel, dalla quale non potrà essere corrisposto, ma poi avrà una storia, non esclusiva, con Ann, la più grande. Quando finalmente Mauriel potrà "essere sua" la storia precedente con la sorella sarà determinante...
Mi spiace non dire di più, sarebbe troppo un peccato rovinare la visione. In mezzo a quelle due parole che ho scritto ci sono piccoli drammi, confessioni, dialoghi dolcissimi nei quali poco a poco la trama si dipana ed i personaggi esprimono tutte le proprie caratteristiche, con appunto l'eleganza, il pudore, la ricerca del puro sentimento che è tipica del romanticismo.

Subito il pensiero va all'indimenticabile Jules e Jim, con non poche affinità stilistiche. Lì abbiamo due uomini per una donna, qui un uomo per due donne. J & J è decisamente più "allegro", questo più intimo, persino tenebroso a tratti il personaggio di Muriel in particolare. Il primo attraversa la I guerra, questo invece conclude i 15 anni di vita che racconta immediatamente dopo la fine della II.
Che contrasto incredibile che si prova alla fine! Se anche si riesce a restare impassibili di fronte agli struggenti amori, il contrappasso, dopo tanto amare, con i pochi dati della guerra che vengono esposti è una doccia gelata dopo un caldo e avvolgente bagno.

Film stupendo.
Fortunatamente ho visto una versione non mutilata dalla censura italiana.
François Truffaut: non ci sono aggettivi per lui. Ci si può solo inchinare.

lunedì 9 novembre 2009

Il pianeta azzurro

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1981, Franco Piavoli.

Soggetto: la natura e la vita contadina in Val Bruna, in varie stagioni e momenti della giornata. Musica: i suoni della flora e della fauna, umana compresa, così come sono, ad eccezione di un pezzo finale bellissimo che purtroppo non è indicato nei titoli di coda.

domenica 8 novembre 2009

Monsieur Hire

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Preferisco il titolo originale all'italianizzato "L'insolito caso di Mr.Hire". Perché mister? Perché insolito?
Anzitutto una scimmiottata per botteghino di "lo strano caso di..." ma Hire nulla ha a che fare con Hide e soprattutto è francese. E poi cos'ha di così tanto insolito il povero Hire? Il mondo è pieno di misantropi disadattati, ed Hire non è nemmeno un caso limite. Ma insomma, lasciamo perdere dai, il commercio ha le sue leggi.

Hire fa il sarto e vive solo, senza moglie o amante, senza amici. Non fa male ad una mosca, è fondamentalmente una brava persona, però tutti lo odiano. Vive in un popoloso condominio che esige relazioni sociali. Questo è già interessante: cosa odiano? La sua assoluta libertà, indipendenza, anche se gli costa molto cara. Lo maltrattano, gli fanno dispetti e lo accusano persino di un omicidio avvenuto vicino al condominio. Anche la polizia si fa influenzare dalla sua fama ed irritare dalla sua freddezza ed insofferenza.

Hire lavora e va a casa, andata e ritorno. A casa da qualche mese mette su un disco di classica, sempre lo stesso, e va al suo cinema-televisore, la finestra che punta diritta sulla casa di una giovane donna che ammirerà e studierà morbosamente, della quale ormai sa tutto e, purtroppo per lui, arriverà a sapere troppo.
Verrà scoperto dalla donna che stranamente lo sedurrà invece di rimproverarlo. Un amore coltivato a lungo nel silenzio interiore, una sofferenza ed anche una gioia infinita, sarà fatale al buon Hire, che pure comprende la falsità della situazione ma ne è succube. La donna, infatuata di un giovane poco-di-buono, con grande cinismo lo immolerà alla sua causa personale e lui ne sarà felice.

Piccola perla, m'è piaciuto tantissimo, ancora una volta la mia mentore BadGuy ha fatto centro.
Molto molto bello ma non facciamo troppi paragoni (comprensibili) con "La finestra sul cortile" (bellissimo anch'esso). Il film è tratto da uno degli n-mila romanzi di Simenon, ed il personaggio solitario che guarda da una finestra non è raro per lo scrittore. Hire poi è voyeur per scelta, Jeff lo è per caso; Hire è completamente assorbito dalla giovane, Jeff guardava tutto e tutti. Sono film diversi.

Te doy mis ojos - Ti do i miei occhi

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Toledo. Pilàr fugge nella notte, col figlio, a casa della sorella dopo l'ennesima sfuriata violenta del marito Antonio. Sono una coppia ancora giovane. Lei rifiuta di tornare allora Antonio si mette in cura, una terapia di gruppo dedicata a mariti/compagni violenti. Sembra funzionare e
Pilàr, che nel frattempo s'è messa a lavorare, decide di tornare. Purtroppo però Antonio, dopo un breve periodo di calma, ricomincia a perdere il controllo...

Ho trovato questo film straordinario! Su un'unica trama tocca diversi punti, in modo profondo.

Anzitutto certamente quello della violenza che le donne, a volte e troppo spesso, subiscono tra le mura domestiche. Anche senza che venisse mostrato nulla di cruento ho provato sensazioni terrificanti e qui devo fare un encomio solenne a Laia Marull che interpreta Pilàr: le sue posture, il terrore che esprimono le sue labbra tremanti, gli occhi, le espressioni di panico, le tensioni quando percepisce che qualcosa sta per accadere. Ottima anche la regia: la scena dell'ultima violenza è da archiviare come storica, perfetta, d'una drammaticità unica. Si percepisce senza che nulla venga tralasciato tutta l'angoscia che può provare una donna in quelle situazioni, il modo in cui cerca aiuto all'esterno con totale imbarazzo, la difficoltà di farsi aiutare anche dalle forze dell'ordine. Nonostante tutto nella donna permane un senso di colpa, ingiustificabile ma grazie al film diventa comprensibile, nel senso che lo si capisce, se ne colgono le cause.

Poi l'attitudine alla violenza come condizione vitale. Antonio vuole sinceramente uscire dal tunnel, il suo impegno dallo psichiatra è serio e sincero. Quando però gli sale il sangue alla testa non c'è più verso di controllarsi e viene da pensare che fuori di casa non sia molto diverso. La gelosia, la volontà di possesso esclusivo della vita di Pilàr, sono sentimenti errati che non possono portare a nulla di buono. Anche qui una grande interpretazione da parte di Luis Tosar. Con grande semplicità, le scene delle terapie di gruppo e gli incontri individuali di Antonio sono momenti di grande interesse, fanno riflettere moltissimo.

Infine il rapporto di Pilàr con la madre e la sorella. Rispettivamente rappresentano colei che col padre ha passato esperienze simili alle sue e lo ha fatto con rassegnazione, quindi non è un esempio da seguire, mentre l'altra, la sorella, fuggì in passato da quel problema abbandonando la madre e Pilàr al loro destino ed anche con lei il rapporto non può produrre aiuto concreto.
A Pilàr il sostegno definitivo arriverà da delle amiche molto in gamba e coraggiose.

Basta, mi fermo qui. Film, mi ripeto, fantastico e da non perdere.

sabato 7 novembre 2009

Il Rito

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Cosa deve valutare il giudice della censura? L'oscenità della rappresentazione teatrale titolata "Il Rito" o quella della vita personale dei tre attori, famosi quanto "bizzarri": un uomo in età avanzata ormai apatico e rassegnato ad ogni genere di umiliazione,
la moglie decisamente più giovane sesso-maniaca e piena di fobie e paranoie, l'amante della moglie piuttosto aggressivo oltre che altezzoso e non meno maniaco della donna.

Il testo è una costante messa in discussione della morale cogente e di cosa possa essere o meno rappresentato artisticamente, da godere parola per parola, anche quando lambisce il non-sense, appositamente secondo me, ché così facendo crea rotture, spezza la narrazione, taglia gli argomenti e non lo fa quindi solo dividendo il film in tanti piccoli atti. Il giudice è una figura che ostenta "normalità" senza possederne.
Evidente il Genio Letterario dello sceneggiatore.

Film sì, grande Cinema, ma Teatro, di altissimo livello. Le recitazioni sono impressionanti. La regia particolarissima nei primi piani tagliati o asimmetrici. Il bianco e nero perfetto.

Non sente il tempo né mai lo sentirà. Capolavoro nel suo genere.

Tandem

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Storia del malinconico declino della carriera di un conduttore di quiz radiofonici, Mortez, da 20 anni in onda con "La lingua al gatto", trasmissione itinerante per tutta la provincia francese. Sempre in giro quindi, sempre insieme al suo assistente-autista-tecnico di scena-factotum Rivetot che è come un figlio premuroso.

Un po' snob, con abitudini di vita da uomo "importante", Mortez comincerà a fare i conti con sé stesso, si renderà conto che il suo pubblico è soprattutto popolino, la sua fama è tra quella gente che spesso disprezza anche se senza cattiveria. Comincerà ad essere stanco, anche ad ammalarsi. La radio gli chiuderà il programma e Rivetot cercherà di nascondergli la cosa finché potrà.

Tanti anni vissuti sempre nello stesso modo, da entrambi, si fanno sentire. Tutta una vita sempre in giro non ha permesso di costruirsi famiglie personali. Sono loro la famiglia, loro due, il loro rapporto esclusivo è di un affetto davvero di padre e figlio. Il finale sorprenderà e si scoprirà la vera natura soprattutto di Rivetot.

Da vedere, film tenero ed elegante. Bravi gli attori, in particolare Jean Rochefort che mi piace sempre molto.
Bella la canzone appositamente composta da Cocciante, autore molto amato dai francesi.

Happy go lucky - La felicità porta fortuna

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Polly è una trentenne, graziosa e dolcissima maestra di scuola, condivide con una collega casa ed una incredibile simpatia e capacità  di star bene insieme alle persone, sempre allegra, pronta alla battuta, intelligente e sensibile. Ogni situazione la vita presenta diventa un'opportunità per esperienze interessanti, sempre all'insegna della leggerezza e della felicità: un piccolo infortunio e la fisioterapia, il corso di flamenco, persino il corso di guida con un istruttore satanista particolarmente asociale. Troverà l'amore una così splendida ragazza?

Ci sono anche aspetti negativi (negativi?) a comportarsi così. Tanta gioia ed umanità possono turbare chi non ce l'ha, generare invidie, è inevitabile. Persino far perdere la testa a qualcuno, e Polly sarà capace di gestire queste situazioni, anche negarsi.
Davvero un esempio di comportamento.

Film carino e divertentissimo, senza per questo essere stupido, tutt'altro.
Non si può fare a meno di adorare Polly e Sally Hawkins, l'attrice che la interpreta splendidamente e con grande spontaneità.
Ancora una volta Mike Leigh ha saputo ritrarre magistralmente uno spaccato di umanità.

Grazie a BadGuy per la, al solito, ottima segnalazione.

venerdì 6 novembre 2009

Il giardino di cemento

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Quattro fratelli rimangono orfani prima del padre, poi della madre dopo brevissimo tempo. Quest'ultima però la tumulano in una scatola riempita di cemento, per evitare di essere divisi dai servizi sociali, e a questo punto inizia il loro folle stile di vita, chiusa in una famiglia-guscio, metafora estrema della borghesia inglese dove la casa è una sorta di carapace il cui interno è extra-lege. Jack e Julie, i due più grandi, diventano "papà e mamma" ed iniziano una morbosa relazione incestuosa, la terza con lucidità scrive un diario degli eventi, il piccolo Tom si traveste da donna e regredisce ad infante e pure lui, alla fine, partecipa alla messa in scena dal macabro sottosuolo. Il finale non dà scampo.

La casa autonoma immersa in una periferia immensa e glabra su un orizzonte di calcinacci, un parallelepipedo in cemento circondato da un muro di cemento, colori mai intensi quasi un b/n, la musica (stupenda!) dal sapore "wagneriano-mahleriano" composta appositamente da Edward Shearmur, tutto contribuisce al tono crepuscolare di questo ritratto di ragazzi innocenti quanto terribilmente cinici.

Da vedere assolutamente.

giovedì 5 novembre 2009

Genova

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Un quadretto familiare in macchina, mamma e due figlie sedute dietro, s'interrompe tragicamente. Giocando, la figlia piccola chiude gli occhi con le mani alla donna, che sbanda. L'incidente le è fatale.
C'è bisogno di cambiare aria. Il padre, professore universitario, prende per un anno una cattedra a Genova, un'occasione per lui e le ragazze, soprattutto la piccola comprensibilmente traumatizzata.

Inizia una vita nuova, da Chicago a Genova il passo non è breve. Vanno a vivere nella Genova Vecchia, zona suggestiva e purtroppo anche un po' malfamata. Dalle strade a 4 corsie a vicoli ed angiporti.
Ognuno di loro, con nuovi amici, nuove esperienze, anche amori, cercherà una forza rinnovata per superare il lutto. La piccola, con sensi di colpa fortissimi, acuiti da un non facile rapporto con la sorella, farà più difficoltà, ma imparerà a "vedere l'angelo" della madre nel quale trovare conforto.

E' un film che ho trovato molto grazioso e gradevole, a tratti documentaristico sulla città e sui personaggi, credo volutamente. I sentimenti sono trattati con garbo ma anche con momenti di forza emotiva che coinvolgono. Bellissimo ritratto della città e dintorni. La camminata drammatica da San Fruttuoso fino a S.Margherita Ligure del padre alla ricerca della piccola è il momento più "cinematografico". Anche le passeggiate nei vicoli: tra spacciatori e prostitute, giri l'angolo e ti ritrovi dentro un'antica chiesa dedicata ai bambini morti durante la Peste: momento davvero suggestivo.

Mi sono rilassato, divertito, ed ho imparato qualcosa su una splendida città a meno di 2 ore di macchina da casa mia. L'occhio di uno "straniero", per certi aspetti, è sempre più competente e soprattutto privo di pregiudizi di quello di un connazionale, è uno specchio interessante.

Da vedere.

mercoledì 4 novembre 2009

Al primo soffio di vento

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2002,  Franco Piavoli.

Bisogna uscire dallo schema che abbiamo in testa su cosa un film debba rappresentare per entrare nella corretta ottica ed affrontare, è il caso di dirlo, un film di Piavoli, un po' come chi,

martedì 3 novembre 2009

Badlands - La rabbia giovane

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Kit fa il netturbino o qualsiasi lavoro capiti, meglio all'aperto, si veste come un cow-boy, è palesemente un fan di James Dean e lo scimmiotta. S'invaghisce d'una quindicenne, Holly, che vive sola col padre, molto severo. Non ci sono i presupposti per una relazione facile,
anche se è molto rispettoso della ragazza. Prova a parlare col padre ma viene cacciato. La ragazza lo ama, è il suo primo amore. Basta allora, non è tollerabile una simile ingerenza sul suo-loro sogno di felicità, va a casa di lei, senza foga né nervosismo, le fa la valigia, il padre si oppone:
lo ammazza, due colpi di pistola, così, tanto per?, no, tanto quanto basta, non è una cosa grave, era inevitabile.
Kit inizia così il suo sogno di libertà, Holly il suo sogno di non sa cosa ma sceglie di seguire Kit.

Non c'è mai un senso di colpa opprimente, nemmeno c'è una ricerca della violenza come sensazione di potere. Tutti i morti che lasceranno sul loro cammino, spiegherà Kit ad Holly, sono ineluttabili e tutto avviene con un aplomb che sorprende. La luce è sempre accesa sull'innocenza infantile di entrambi: un coretto di voci bianche può essere adeguato ad accompagnare una fuga dopo un omicidio; la voce fuori campo di Holly rende plausibile ogni folle gesto del suo compagno. E' accesa in particolare sull'innocenza dell'adulto mancato Kit, che ha coscienza che quel suo (non più loro) sogno di rifarsi una vita in Canada non è realistico, ma persegue costantemente una vita libera se pur ormai inevitabilmente breve, ed un finale col cappello il testa, uno sguardo ammiccante da valutare nello specchietto dell'auto ed il miglior complimento che un uomo possa ricevere da un altro: sai? sembri proprio James Dean.

Terrence Malick l'ha scritto, prodotto e diretto. Non pochi ruoli in un'opera prima e tutti in odore d'encomio solenne. Spettacolare anche la fotografia, mai tediosa, non si lascia tentare dagli infiniti orizzonti dei paesaggi ed il regista mantiene sempre il focus sui due dolcissimi ed inquietanti protagonisti. Scadere sull'on-the-road sarebbe stato un peccato, quì è la gioventù annoiata, isolata da un mondo adulto impenetrabile se non con un'azione di petto devastante, ad essere in discussione.
Interpretazione di Martin Sheen memorabile.

Questo film, secondo me, è un piccolo capolavoro.

Italiano per principianti

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Subito il giudizio finale per questo film: Splendido! Ebbene sì, è ancora possibile fare dei film belli, romantici, per tutta la famiglia, con storie plausibili, persino con un lieto fine senza essere stupidi e banali! E' anche divertente!
Ho speso volentieri una manciata di esclamativi. Sono anche felice che questo film sia un produzione non solo danese ma anche italiana.

Tanti piccoli protagonisti, tre donne e tre uomini soprattutto, che partono anzitutto con le loro piccole vicende un po' tristi, per vari motivi. Nulla di strabiliante, cose normalissime: una ha un padre in crisi nervosa, un'altra la madre malata terminale, uno gestisce il ristorante dello stadio con modi "bizzarri", un altro è rimasto impotente, ecc... . Tante piccole vicende che lentamente prendono forma e legano tra loro, con uno stile che mi ha ricordato il grande Altman di America Oggi, qui però avviene tutto in modo più semplice e con un filo rosso che rende meno il senso di casualità: un corso di lingua italiana che per motivi diversi tutti si ritrovano a frequentare e che li porterà, tutti insieme, ad un catartico viaggio a Venezia...

La meraviglia ti coglie per la scorrevolezza della storia, il cui centro è l'Amore tutto, per le persone in generale, per i familiari e per la persona desiderata, in fondo appunto non sono così dissimili, il sostantivo è il medesimo.
Alla splendida trama la regia che mai indugia su primi piani o situazioni d'effetto mostra ogni tanto idee splendide. Distinguere una lacrima caduta dall'alto sul viso di un uomo che sta facendo uno shampoo, goccia di liquido prezioso tra tanta acqua, è poesia pura. Un sogno che s'infrange è un dolce che donato col cuore può miseramente cadere in terra.

Imperdibile. Tra i film del "Dogma 95", ma non te ne accorgi.

lunedì 2 novembre 2009

Viaggio a Tokyo

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Nel Giappone post-bellico è normale che i giovani dalle campagne si trasferiscano nelle città. Così è anche per tutti i figli di un'anziana coppia che vive in un remoto paese di campagna: tutti a Tokyo dopo gli studi tranne uno ad Osaka e la più piccola, che vive ancora con loro.
Dopo molti anni che non li vedono, decidono di andare a Tokyo a trovarli e con l'occasione vedere, per la prima volta, la grande metropoli. Riceveranno un'accoglienza formale, si sentiranno presto un peso tranne per la nuora vedova del loro figlio morto in guerra, la sola davvero felice di vederli. Mestamente torneranno al paese, ma il lungo viaggio di ritorno sarà fatale all'anziana donna. Anche alla morte della madre, l'atteggiamento dei figli emigranti non si smentirà...

L'Ozu che ti stupisce! Dopo tanti film, vederne uno che, pur mantenendo la pacatezza e la sobrietà tipiche, va dritto al cuore del tema, senza indugi, senza mezze parole. L'atteggiamento dei figli è da subito chiaro, la vita di Tokyo frenetica anche, con quelle ciminiere fumanti, treni sferraglianti, immensi palazzi di vetro, "... è talmente immensa questa città..." .

Nonostante tutto, nessun messaggio di condanna. Ozu ritrae una situazione, sempre di persone comuni, sempre con grande eleganza e poche parole, solo quelle che servono.

domenica 1 novembre 2009

Fragola e Cioccolato

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1993, Juan Carlos Tabio, Tomas Gutiérrez Alea.

E' un film importante per vari motivi. Primo film cubano distribuito in Italia, ha vinto l'Orso d'oro, ma soprattutto in considerazione della trama è ancora più importante che è stato premiato al Festival dell'Avana. Dovevo vederlo. Non mi ha deluso, anzi mi ha deliziato, come il suo titolo.