martedì 31 luglio 2012

La più bella serata della mia vita

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1972, Ettore Scola.

Un imprenditore milanese di origini romane, tale Alfredo Rossi, spallone di sé stesso, si reca in Svizzera per versare soldi in banca. Un contrattempo, un piccolo ritardo, e la banca chiude prima del suo arrivo. Piacione e piacente, con la sua Maserati si mette a rincorrere una centaura molto sexy fino a ritrovarsi in panne in mezzo alle montagne. Soccorso da un carrettiere arriverà in un curioso castello dove sarà ospitato con tutti gli onori, a patto di sottoporsi volontariamente ad un processo...

Il film è tratto dall'adattamento per il teatro di "La panne. Una storia ancora possibile", racconto di Friedrich Dürrenmatt. A me è sembrato immediatamente di vedere una versione svizzera del "Club dei Vedovi Neri" di Isaac Asimov, notissima serie di racconti del genio russo-americano che divorai anni fa. Gli ingredienti sono quasi identici. Alfredo si ritroverà a trascorrere una serata in compagnia di 4 ex uomini di legge a vario titolo, tutti ora in pensione e tutti vedovi (tranne uno scapolo) i quali per gioco e per tenere le menti sveglie organizzano finti processi, quasi sempre a personaggi defunti e storici, quando capita a persone vive e presenti. Tutto "offerto" dalla casa, cena luculliana, cameriera avvenente (Janet Agren, ex Miss Svezia che molto ha dato anche al cinema di genere italiano, una vera favola), Alfredo accetta il gioco, attirato soprattutto da aspettative allettanti nei confronti della cameriera. Il giorno dopo scoprirà con un certo stupore che le cose non funzionano proprio come nei racconti di Asimov, ma è un dettaglio folkloristico.

Si gioca tutto sul crine tra realtà e finzione in questo processo, un po' "commedia dell'assurdo", che scoperchierà i c.d. scheletri nell'armadio del buon Alfredo che proprio buono buono non è, anzi è lo stereotipo dell'imprenditore d'assalto all'italiana, persino si vanta di certe furberie. Pungolato dal pubblico ministero, praticamente indifendibile dal suo avvocato a causa della sua lingua lunghissima, arriverà ad essere fiero delle teorie dell'accusa per il ritratto a suo modo di pensare "lusinghiero" che ne ha fatto, prendendosi persino colpe che non ha!

Traumatizzati da 17 anni di orrore recenti, dominati dal più volgare e bieco dei bipedi in termini morali e civili, è inevitabile pensare a quanto sia attuale questo Alfredo Rossi, a quanto la realtà superi abbondantemente la fantasia, ma il film (e credo anche il libro) non fanno perno su questo. Lo scopo è palesemente un altro, forse anche più d'uno.
In primis il modo in cui una realtà può essere modificata, non solo eviscerata ma proprio modificata, in sede di dibattimento giuridico è sorprendente. L'uomo comune s'interroga sempre sul perché personaggi, situazioni palesi a tutti poi in un processo possono portare a risultati inattesi. E' la scienza del diritto ad essere opinabile? Be' sì, tant'è che ci sono fior di trattati sulla "interpretazione delle leggi", non a caso, ma non basta. In Aula si crea una "realtà virtuale": non è vero ciò che è vero, ma solo ciò che si può giuridicamente dimostrare vero e paradossalmente può diventare vero il falso, a patto che sia stato esposto con tutti i crismi del caso. Un ginepraio questo concetto, mi fermo qua.
In secundis, corollario di primis, la distanza quasi incolmabile tra la morale percepita, in questo caso da un imputato ignaro di avere delle colpe, e quella comune che è poi quella che (quasi) sempre diventa legge dello stato. Intendiamoci: quella "morale comune" non è comune a tutti, andrebbe differenziata per categorie di persone, o per classi sociali. Alfredo, carrierista ed arrivista, è una specie di criminale per caso. E' cresciuto in un ambiente dove non si studiano le leggi? Diciamo che s'è formato con le leggi della vita quotidiana, dove i suoi modelli di successo praticavano azioni che a lui non apparivano immorali e tanto meno illegali, e quindi s'è adeguato entrando alla grande nel meccanismo dell'opportunista, mostrando talento nel farlo proprio e quindi avvantaggiarsene. Il processo diventa uno specchio implacabile dove temere la pena e rimettere in discussione interamente la propria vita. A differenza dei capi di governo per caso, perlomeno non ha (apparentemente) l'arroganza di pensare che le leggi debbano essere rimodellate a sua micromorfa immagine e somiglianza.

Il racconto dev'essere molto bello, da leggere prima o poi. Il film dichiaratamente non lo rispetta per intero però penso ne sia un buon erede tutto sommato. Scade a mio avviso in qualche scena nel grottesco, soprattutto nel finale onirico dove non riesce a calcare il timbro drammatico a cui l'idea si prestava. E' una tipologia di racconto molto british, per noi italiani forse un azzardo, non siamo raffinati dialogatori né portati agli scambi serrati di battute, schiavi eterni del gestuale. Onore delle armi però a Ettore Scola, e averne di film così oggi, averne! I magnifici seventies italiani proponevano una costellazione di generi che non finirà mai di stupirmi.

Albertone nazionale al massimo della sua verve istrionica, negli anni del suo più pieno successo e popolarità, in un ruolo forse non proprio adatto o quantomeno "atipico". E' comunque sempre un piacere vederlo, la sua bravura olimpica non si discute ed oggi a distanza di parecchi anni questo film, che non compare mai o quasi in televisione, rappresenta una curiosa tappa della sua carriera che merita la visione.
Robydick




























lunedì 30 luglio 2012

Ai no Korīda - L'impero dei sensi

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Il film ai tempi uscì in italia tagliatissimo, col titolo "Ecco l'impero dei sensi". La versione integrale, ricca di notevoli scene di sesso esplicito per nulla volgare (n.b.: alcune ben esposte nei frame sottostanti), è disponibile solo dal 1990 e arrivò con la traduzione letterale del titolo francese "L'empire des senses". E' quella che ho visto e consiglio fortemente. Film ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto in Giappone negli anni trenta che fece molto scalpore, una sorta di "Caso Bobbit" ante litteram.

Abe Sada (superlativa, arrapante interpretazione di Eiko Matsuda, attrice poi di fatto scomparsa dalle scene internazionali) dopo una prima vita da prostituta passa a lavorare nella locanda di Kichi, personaggio che non fa null'altro che scoparsi la moglie tutte le mattine e geishe la sera. Abe se ne invaghisce, comincia una relazione con lui e lo spompa ogni notte. Andranno in affitto in una casa di geishe e lì la loro storia diventerà, sessualmente e non solo, ossessiva.

Il titolo del film è perfetto, non si poteva esprimere meglio quello che si racconta. Sarà sesso, fantasioso, in continuazione, praticato impunemente anche in presenza di altre donne, che talvolta coinvolgeranno, e persino in luoghi pubblici. Beati loro. Il Mondo sono loro. Abe non darà pace a Kichi, stimolandolo in continuazione. La sua mania presto rivelerà che lei non è semplicemente una ninfomane ma di più, è una specie di "donna ragno" che vuole impradonirsi interamente del corpo e della mente del suo amato. La tragica fine che farà Kichi per sua mano supera il gioco erotico estremo.

Difficile se non impossibile guardare questa esplosione di sessualità con indifferenza. Molte le scene che stupiscono, anche passato il momento iniziale quando realizzi che stai guardando un film che, anche se distante dal porno, non esita a mostrarti sesso e genitali in azione, in dettaglio. Il pompino all'inizio, quando Abe dichiara a Kichi che tutto il seme di cui lui dispone è suo e non ne vuole lasciare per altre donne, è un capolavoro. Altro momento ovviamente scioccante il finale con lo strangolamento e... il resto. Eloquente la cerimonia d'iniziazione di una giovane geisha. Le (s)copulate di Kichi con altre geishe, anche d'età avanzata, in presenza di Abe che lo sprona, lasciano interdetti.
Mi ha messo appetito, in tutti i sensi, vedere Kichi mangiare, in compagnia delle altre donne, pucciando ogni volta quanto preso con le bacchette nella vagina di Abe, la quale come al solito supererà le fantasie dell'amato infilandosi nella vagina un uovo sodo, espellendolo come fanno le galline e facendolo poi mangiare a lui.... slurp!

Al di là di tutte le considerazioni nelle quali posso scadere in quanto maschio etero-vulgaris et vulgare facilmente eccitabile, il film scuote per quanto un attaccamento sessuale possa diventare pervasivo. Nel loro essere pubblici persino durante il sesso, Abe e Kichi sono dei ribelli che pretendono di trascorrere la loro vita in barba ad ogni convenzione e volutamente schiavi di ogni istinto animale. Costumi e fotografia (bellissimi) sono senza tempo ma il film è collocato in un'epoca precisa, e il contrasto tra Keichi che passeggia e i soldati che partono per la Manciuria sarà da pelle d'oca.

Film imperdibile anche se, forse, non per tutti. Olimpo senza discussioni.
Il talento di Nagisa Oshima, già noto in patria, esplose in occidente con questa produzione nippo-francese. Esploderà anche qua nel blog, ho intenzione di vederne molti dei suoi film.
Robydick