lunedì 30 aprile 2012

Ace in the Hole (aka: The Big Carnival) - L'asso nella manica

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Breve News di premessa:

Questa è la prima di una serie di recensioni che verranno pubblicate anche dal blog Laboratorio di filosofia e politica dell'immagine, un'iniziativa di recente intrapresa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste. E' una proposta alla quale ho aderito con molto piacere. I film di questa serie saranno su loro indicazione o concordati, sulla base dei progetti che hanno in corso.

Chuck Tatum è un giornalista estremamente cinico ed ambizioso. Ripiegato nella mite Albuquerque dopo essere stato cacciato da un quotidiano di New York, trova posto in un piccolo giornale locale. "Tell the Truth" campeggia incorniciato in redazione, ricamato dalla moglie dell'integerrimo direttore, ma non è un motto che Chuck condivide. Non solo. Lui sa bene che "Nessuna nuova, buona nuova" è una massima che funziona, tranne che per i giornali, per i quali invece "La buona notizia non fa notizia". Ha le idee chiare su cosa serve a vendere i giornali, e lo dice chiaro al giovane fotoreporter con cui è in viaggio, mettendosi nei panni del lettore medio: "Un uomo muore e noi vogliamo sapere tutto di lui. Ne muoiono cento, mille, e nemmeno leggi la notizia". Siamo ancora all'inizio, manca soltanto l'occasione giusta per capire dove un uomo come Chuck si può spingere, e arriva proprio durante quel viaggio.

Leo Minosa è rimasto intrappolato dentro una montagna sacra agli indiani, località turistica ad ingresso gratuito annessa ad una di quelle "tipicamente americane" stazioni di servizio sperdute nel deserto, dove Chuck e il ragazzo si fermeranno per rifornire. Venuti a conoscenza della situazione da Lorraine, bellissima e disincantata moglie di Leo, Chuck prende immediatamente l'iniziativa di incontrare Leo e poi di coordinare i soccorsi. Ovvio, ha una sola cosa in mente: il grande scoop. Che ci sarà, ma tutto deve durare un po' di giorni per compiere appieno i propositi di Chuck, molto più di quanto dei normali soccorsi impiegherebbero a salvare Leo...
Un film di qualità stilistica insuperabile. Parliamo di Billy Wilder, tra i massimi registi di sempre. Esibisce chiaroscuri perfetti ad ogni occasione, scene di dialoghi tesi in interni con macro su dettagli di persone o oggetti, cupissime discese nell'oltretomba della buca di Leo, campi aperti desolati o con masse di persone eccitate. L'arrivo del treno speciale, la discesa di gente vociante che corre alla "festa" (vedi il secondo titolo, "The Big Carnival"), tutta la calca che ne deriva, credo abbia ispirato i finali caotici di John Landis. A rendere la visione obbligatoria di questo film da Olimpo ci sono anche le interpretazioni senza voto possibile di Kirk Douglas e Jan Sterling, rispettivamente Chuck e Lorraine, due figure che si attraggono nel reciproco disprezzo.

L'argomento solo apparentemente non è nuovo. Ben 10 anni prima un altro genio, Orson Welles, era uscito con lo sconvolgente "Quarto Potere". Questi due capolavori sono accomunati dalla descrizione del potere della stampa (oggi diremmo più ampiamente "dei media"), e si differenziano per almeno due aspetti. Il primo è da subito evidente, e cioè che mentre Citizen Kane manipola a suo vantaggio la notizia dando versioni false, qua Chuck non farà dei falsi reportage ma manipolerà direttamente il fatto a suo vantaggio. Confesso di non saper dire quale dei due comportamenti sia più scorretto. Il secondo aspetto è che la "focale" in esame si sposta da chi dall'alto manipola a chi, dal basso, chiede, in una sorta di follia inconscia collettiva, di essere manipolato. E' questo secondo aspetto, più tardivo ad emergere dalla visione ma anche più persistente, che vorrei approfondire per concludere.

Chi è più cinico? Chuck che cerca di procurarsi il prodotto più amato dai lettori o lo sceriffo corrotto che capirà dal giornalista che quella è un'occasione per ritrovare il consenso popolare necessario ad essere rieletto? I "turisti del macabro" che accorreranno a vagonate o le ferrovie che per loro organizzeranno treni speciali? Lorraine che farà affari d'oro nutrendoli e facendo pagare l'ingresso al parco dove sorge la montagna o i gestori del luna park che verrà impiantato per l'occasione? L'elenco, del quale ho fatto solo qualche esempio, prosegue volendo e comprende protagonisti e comparse, queste ultime essendo componente fondamentale. La maggior parte di noi compreso chi scrive è solo comparsa nel mare magnum delle notizie e quando il film finisce ti poni una domanda, che come dicevo arriva tardiva: io a quale di quelle comparse sono assimilabile? Una solida percezione che in quanto pubblico possiamo pilotare le notizie, anche solo l'esposizione delle stesse, ci aiuta sia a scegliere le fonti d'informazione e ci responsabilizza: nel momento in cui compriamo un giornale o premiamo un tasto sul telecomando esprimiamo un voto significativo. Anche se non siamo "spiati" dall'apparecchio dell'Auditel, perché il suono del televisore si spande, s'insinua nel nostro cervello, ci farà parlare di quel che abbiamo sentito e propagherà il suo messaggio anche se ne parleremo male. "Ace in the Hole" è diretto, non usa nemmeno metafore per raccontarsi, ma non è detto che faccia centro con chiunque. Come ho detto, non è raro che inconsciamente vogliamo essere manipolati, ad una verità inconfutabile preferiamo una non-verità perché ci viene comoda e ci giustifica, e non è raro nemmeno che la negazione della verità venga fatta consciamente. Con che faccia i parlamentari che a maggioranza votarono contro, quando fu chiesto loro se un certo personaggio era sincero nel dire che Ruby "rubacuori" era la nipote di Mubarak, potrebbero guardare un film del genere? Loro la notizia l'hanno volutamente distorta persino in una sede istituzionale.

L'esposizione della verità dovrebbe essere il principio primo di chi pubblica notizie e il punto di partenza per chi pubblica opinioni. Dovrebbe essere il suo "Giuramento di Ippocrate". Sappiamo che non è quasi mai così, e anche senza arrivare ai "Reporter des Satans" come nella locandina tedesca, persino da parte di chi è in buona fede. Anche io che non ho alcuno scopo di lucro sono sicuramente vittima del desiderio di compiacere al pubblico.

Eccomi quindi non più tra le comparse, ma dalla parte di Chuck, in un certo senso. Non sto dopotutto fornendo notizie di un film? Dovrei chiedermi se le sto scrivendo solo con l'intento di riportare fedelmente qualità e contenuti del film, indipendentemente dal giudizio di qualsiasi lettore. La mancanza d'interesse economico - insisto perché non va mai sottovalutato nei media che devono portare a casa soldi per vivere - mi pone in una condizione vantaggiosa, ma la tentazione di parlare ad auditores è sempre dietro l'angolo, il consenso è appagante. Visto che ci sono cascato? Quante volte ho scritto "ad auditores" nelle mie recensioni? Mai. E' chiaro che il fatto che questo pezzo sarà letto da degli universitari mi sta influenzando. Rischio persino di mettermi a parlare della Dialettica Eristica, così ben codificata da Aristotele, dell'abuso che se ne fa nei giornali e nei dibattiti televisivi. Ma non esageriamo...

L'utilizzo di una perforatrice, che nel caso di questo film è sciagurato, mi ha inevitabilmente portato alla mente il caso di Alfredo Rampi, detto Alfredino (Roma, 11 aprile 1975 – Vermicino, 13 giugno 1981). Trentanni dopo questo film in Italia abbiamo avuto il primo caso di tragedia vissuta in diretta televisiva. Ne abbiamo parlato in occasione della recensione dell'ottimo film documentario di Fabio Marra "L'Angelo di Alfredo" (2011), dedicato ad Angelo Licheri, l'uomo che eroicamente andò più vicino a salvare il bambino. Non fu una vicenda di sfruttamento mediatico quella, ma che audience che ebbe! Fu un fatto che a chi del mestiere insegnò molto, e da lì a far battaglia su chi è il primo a dare notizia dei bombardamenti in Kuwait, o sull'attentato alle torri gemelle, a mettersi a far plastici su ogni genere di vicenda, il passo è stato spontaneo e breve.
Robydick

domenica 29 aprile 2012

Hysteria

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Siamo dalle parti della commedia acuta, e, quella diretta da Tanya Wexler, nonostante l’argomento è intelligente e ricalca, i tabù, e l’ignoranza, legati al piacere sessuale femminile.

Nonostante l’argomento pruriginoso, la Wexler è stata capace di dirigere un film raccontando di come sia stato facile per anni, per i medici, legare alle donne che avevano delle sane esigenze sessuali inventando una malattia che non esisteva, perché allora si credeva impossibile che le donne provassero desideri e pulsioni sessuali, come ormai oggi sappiamo. Così, con la classificazione di hysteria, erano relegati tutti quei problemi in cui si credeva che le donne se soffrivano di questa malattia avevano l’utero spostato e bisognava rimetterlo a posto con il massaggio della vulva, fino all’invenzione più ingegnosa che ha messo fine a cure inutili e infruttuose: il vibratore. Chi meglio di una donna poteva descrivere questa storia?

Bene parliamo del film, che racconta di un giovane dottore Mortimer Granville alle prese con il suo lavoro in ospedale. Lui sostiene che i germi sono la principale fonte di infezione e per questo viene licenziato. Trova lavoro presso un medico, il dottor Dalrymple, che sostiene un massaggio speciale. Beh ha trovato il posto giusto, perché ben presto il giovane dottore diventerà una celebrità tra le donne, facendo si che lo studio in cui lavora sia frequentatissimo. La sua specialità? Il massaggio della vulva, comunemente ora chiamata masturbazione, per far si che l’utero si rimetta a posto. Il tutto procede bene, Mortimer entra nelle grazie di Dalrymple, che cerca in tutti i modi di proporgli come fidanzata la figlia più piccola Emily, e si scontra sempre con l’indomabile figlia maggiore Charlotte, paladina dei più deboli, finchè la mano inizia ad avere dei crampi per il troppo uso. Questo fa si che il giovane medico venga licenziato dal suo lavoro perché le clienti non sono numerose come prima, ma in aiuto arriva un amico e il suo acchiappapolvere, che farà si che venga trasformato in quello che allora veniva comunemente chiamato massaggiatore elettrico, è una rivoluzione. Il giovane dottore smette finalmente di usare la mano per sostituirla con il massaggiatore, che è un vero portento, e il successo sarà ancora più grande.

Una commedia sopra le righe capace di parlare dei tabù senza essere volgare né troppo facilona. Un film con un cast eccezionale tra cui spicca la bravissima Maggie Gyllenhaal, che da sola vale la visione del film. La regia della Wexler è presente e intrigante, e lo dico subito, non è un capolavoro ma riesce a catturare l’attenzione e anche a far riflettere nonostante l’argomento trattato, che può sembrare spregiudicato e invece è trattato con una serietà arguta, che rende piacevole la visione ed evita le solite volgarità pacchiane legate a film di questo genere. Forse è per questo che il film intriga.

In questi giorni al cinema, visione consigliata.
ArwenLynch

sabato 28 aprile 2012

Divergenti - Festival internazionale di Cinema Trans

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Promuovo con piacere questo festival, del quale pubblico il comunicato stampa.
Robydick


Dal 4 al 6 maggio a Bologna la quinta edizione del festival di cinema transessuale Divergenti

Si svolgerà al cinema Lumière di Bologna da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2012 la quinta edizione di Divergenti, il festival internazionale di cinema dedicato ai temi del transessualismo e del transgenderismo.


The Naughty Stewardesses - Attenti... arrivano le Svedesi tutto Sesso!

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Pellicola della Premiata Ditta Sherman-Adamson che insegue il successo del tedesco "Die Stewardesses/Le Hostess" (1971) di Erwin C. Dietrich, uno specialista, con Ingrid Steeger, ma anche e probabilmente "Le Porno Hostess in 3D/The Stewardesses" (1969) di Al Silliman Jr.

Dal titolo della distribuzione italiana sembra che si debba assistere ad un'orgia senza fine ma, in realtà, Adamson non ci pensa neanche a mostrare qualcosa in piu' del dovuto. Pura sexploitation , interpretata dalla bella starlette Connie Hoffman (spesso accreditata come Connie Marie Hoffman e Connie Lisa Marie) che avrebbe meritato certamente qualche dollaro in piu' di quelli raccolti in ambito exploitation (solo sei titoli, tra cui doppia apparizione nel serial Tv "Starsky & Hutch"). Ne riparleremo, o forse no. Sono della partita pure Marilyn Joi (qui come Tracy King) splendida amazzone nera spesso avvistata in ambito blaxploitation ("Black Samurai" sempre di Adamson) e la Donna Young di "Intimità Proibite" di Don Edmonds.

Sul plot, bè potete immaginare. Adamson era uomo buono per tutti i generi, horror, biker-movie, persino un fanta-erotico-musical come "Cinderella 2000", per cui fa il suo sporco lavoro anche in questo caso, come da par suo. Tutto senza soldi, ma ci sono le ragazze da guardare. Il film ha generato un sequel immediato "Blazing Stewardesses", con Yvonne DeCarlo e Regina Carrol, la moglie di Adamson. C'è pure il vecchio Robert Livingston, che dopo una marea di ruoli in serial Tv western, chiuse di fatto la carriera con i film di Adamson (anche se "Girls For Rent/I Spit On Your Corpse", 1974 con Georgina Spelvin, non è affatto male), il quale chiuse la carriera in tutt'altro modo, ucciso da Fred Fulford e seppellito sotto una colata di cemento il 2 agosto 1995. Fotografia del benemerito Gary Graver, regista hard. Dvd della E.I. Indipendent NTSC Region 1, ratio 1.33:1.

Buona visione.
Belushi

venerdì 27 aprile 2012

Soylent Green - 2022: i sopravvissuti

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Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror, USA
Anno 1975 Ha Vinto lo Scroll d'oro come Miglior Film di Fantascienza. Festival del Cinema Fantastico di Avoriaz Anno 1974 Ha Vinto il Gran Premio a Richard Fleischer
Hugo awards Anno 1974Nominato al Premio Hugo come Miglior Opera Drammatica Harry Harrison (romanzo) Stanley R. Greenberg (sceneggiatura)

Richard Fleischer (regista) Scienze Fiction and Fantasy Writers of America Anno 1974 Ha Vinto il Nebula Award per la Miglior Opera Drammatica aStanley R. Greenberg (sceneggiatura) Harry Harrison (romanzo) Thatcher.

Cast:
Charlton Heston (Detective Frank Thorn), Edward G. Robinson (Sol Roth), Leigh Taylor-Young (Shirl), Chuck Connors (Tab Fielding), Brock Peters (Hatcher), Paula Kelly (Martha), Joseph Cotten (William Simonson)

Trama:
New York nel 2025, è una città che sta scoppiando con una popolazione di 40 milioni di persone. Il detective di polizia Frank Thorn viene assegnato ad indagare dopo che Wilhelm Simonson (Joseph Cotten), il capo della Soylent Corporation, che fornisce il cibo per tutta la città, viene assassinato nel suo appartamento. I superiori di Thorn desiderano liquidare l'omicidio come una semplice rapina. Ma Thorn non è disposto a farlo e viene coinvolto nel mistero riguardante il segreto del Soylent Green. Alla fine, si scopre la vera oscura rivelazione che Simonson minacciava di divulgare- ovvero che il Soylent è costituito dai corpi dei morti, che vengono ritrattati come cibo.

2022: I Sopravvissuti” nel bel titolo italiano, (Soylent Green) è stato uno dei pochi film di fantascienza realizzati con un buon budget nell'era pre-blockbuster, inaugurata da “Star Wars”. Esso dimostrò di essere uno dei film di maggior successo del suo tempo, anche se non sembrava tale quando venne girato, infatti lo studio MgM non lo sosteneva. Charlton Heston, che all'epoca era una delle maggiori star, e soprattutto della fantascienza grazie al ruolo di Taylor nell'enorme successo di “The Planet of the Apes”, aveva acquistato i diritti del romanzo di Harry Harrison “Make Room, Make Room” (1966) e lavorato per anni, come era suo solito, per arrivare ad un finanziamento del progetto. Ma poi il tema della sovrappopolazione entrò nella coscienza della pubblica opinione, che emerge alla fine degli anni sessanta in mezzo tutta una serie di preoccupazioni ambientali, e spinta in gran parte dal famoso e documentato libro best seller di Paul EhrlichThe Population Bomb” (1968), che aveva espresso gravi preoccupazioni circa l'aumento esponenziale della popolazione mondiale. Un certo numero di altri film dell'epoca riprese il tema - del calibro di “ZPG -Un Mondo maledetto fatto di bambole” (1971), film britannico di Michael Campus, “The Last Child”(L'Ultimo bambino) (1971) di John Llewellyn Moxey, famoso film tv americano che un tempo programmava la benemerita TMC, e il più celebre di tutti “La Fuga di Logan”(Logan's Run) (1976) di Michael Anderson. Alla fine la MGM sostenne il progetto e il film fu un ragionevole successo, anzi, divenne uno dei primi dieci film di fantascienza in quanto al guadagno, del box-office americano pre-1977 di “Star Wars”. Il film è stato diretto da Richard Fleischer, uno dei maggiori e commercialmente solidi artigiani del cinema hollywoodiano classico. Il quale aveva già avuto due grossi risultati positivi prima di questo nel cinema di fantascienza, "20'000 Leghe sotto i mari” (1954) e “Viaggio allucinante” (1966).

Make Room Make Room” Harry Harrison, è un romanzo finemente scritto. Harrison imposta la storia sul bordo del millennio, oramai fra dieci anni, laddove Thorn è un investigatore che sta battendo diverse piste indagando su di un omicidio. Nel libro, non c'è nessuna cospirazione – i corrotti superiori di Thorn vogliono attribuire la colpa dell'omicidio ad uno che non c'entra niente, mentre l'assassino si rivela essere un piccolo drogato in cerca di soldi. Nel film però, questo è totalmente invertito, e in maniera decisiva - Thorn è colui che crede nella cospirazione, mentre è la polizia che vuole archiviare il caso soltanto come una tragica banalità. Infatti, l'indagine di Thorn per l'omicidio, nel libro è di scarsa rilevanza per la storia - per Harry Harrison, il romanzo poliziesco è stato incidentale, solo un mezzo per visualizzare lo sfondo cupo e deprimente di una New York sovrappopolata, che era quello che la storia era veramente.
Stanley R. Greenberg, che venne incaricato di scrivere la sceneggiatura, aveva all'epoca poca esperienza con la fantascienza scritta, e non riuscì a focalizzare bene ciò che il libro era veramente. Questo non è mai più evidente che dal cambio del titolo stesso rispetto al libro. Nel libro, Soylent Green era una parola che aveva inventato Harry Harrison - un concentrato fatto di semi di soia e lenticchie, nel film, ormai la parola non viene pienamente spiegata nel suo significato. La detective story è stata estesa fino a formare il centro del film, mentre Greenberg aggiunge un tema pesantemente significativo sul detective della polizia Charlton Heston il quale riesce a scoprire i veri segreti del Soylent Green - che consiste nei cadaveri con il quale è fatto- che fu comunque un eccellente invenzione rimasta nella memoria, con il suo potere di metafora. Infatti, se gli oceani si sono prosciugati - qualcosa che è scientificamente assurdo, in quanto non ci sarebbe più aria per respirare se ciò fosse avvenuto- i cadaveri ritrattati delle persone che muoiono, sarebbero rimasti tutto quello che c'era da mangiare, seppur al prezzo di un così grande oltraggio e disgusto, sarebbe stata l'unica scelta logica. E sicuramente, qualcosa che come detto - nozioni di moralità e disgusto a parte-, si sarebbe prospettato come una scelta percorribile. Qui la sceneggiatura avrebbe potuto cogliere maggiormente i molteplici spunti d'interesse, mentre si è soprattutto incentrata sull'aspetto exploitativo dell'oltraggiosa “utilizzazione finale”, e dello shock di tale rivelazione, e avrebbe potuto appunto ritrarre meglio ciò come parte del mesto mondo futuribile che descrive. Ci sono altre parti un po' lasche - come l'aggiunta di un intreccio romantico tra Charlton Heston e la supertopa d'alto bordo Shirl/Leigh Taylor-Young. In uno sviluppo molto più efficace, il personaggio di Shirl che è presente nel libro, invece di rimanere come i mobili nell'appartamento di lusso dell'uomo assassinato,Simonson, interpretato nel film con partecipazione dal sempre ottimo Joseph Cotten, se ne va con Thorn, solo per essere in grado di gestire la sua vita quando l'amministrazione cittadina decreta che Thorn deve condividere una camera del suo appartamento con un'altra famiglia.

Nonostante quindi certe incertezze di Stanley R. Greenberg, ci sono ancora molte cose valide circa “Soylent Green”. Non sorprende, che anche se oscurato dalla detective story, lo sfondo sia ancora la parte più interessante del film. L'aspetto di shock culturale - vedere famiglie che dormono nei corridoi, l'idea di un barattolo di marmellata di fragole che costa 150$, la reazione di Charlton Heston, splendidamente resa dalla sua interpretazione in uno dei momenti migliori del film, per essere in grado di fare un bagno nell'acqua calda, la gioia magica nel mangiare cibo vero, e la splendida, splendida scena, molto commovente, in cui Edward G . Robinson -qui al suo ultimo film- si reca alla clinica dell'eutanasia in cui si viene messi a dormire dinanzi a dei megaschermi sui quali si vedono le immagini del mondo verde e tranquillo come era un tempo, accompagnate dalla Sinfonia Pastorale di Beethoven (costituendo un ulteriore elemento di potente amarezza in quanto Robinson è morto poco prima che il film uscisse) – fanno di essa una delle più belle sequenze di un'ideale antologia del migliore cinema di fantascienza, e il cui merito è interamente ascrivibile alla finezza e sensibilità di Fleischer, -il quale è stato spesso e a torto “accusato” di essere un po' un impaginatore per immagini freddo e distaccato- per come riesce a cogliere il senso di un essere umano che immagina e ha delle reazioni naturali ad un ambiente che sente familiare ma gli è oramai estraneo, se per ragioni anagrafiche l'ha mai conosciuto.

Charlton Heston offre una interpretazione altamente empatica, tra le migliori e più celebri della sua carriera, almeno per la fantascienza di cui è stato uno dei protagonisti più rappresentativi, e Edward G. Robinson nell'umano, simpaticissimo personaggio di Sol, bèh... Edward G. Robinson è Edward G. Robinson, dire che offre al film un grande sostegno, sarebbe un eufemismo. La coppia che formano insieme è stata talmente perfetta, che si sarebbe voluto vederli insieme un'altra volta.
2022: I Sopravvissuti” è stato anche un film popolare, è lo è ancora oggi. Il disperato grido finale di Charlton Heston “Il Soylent è fatto con i morti!” è diventato una frase fatta popolare usata come scherzo in un episodio dei “Simpsons” (1989) e di “Futurama” (1999-2003), e anche come una frase di login del computer di Frank Black/Lance Henriksen nella più bella, e sfortunata serie tv di Chris Carter,Millennium” (1996-9), e poi addirittura campionata in una popolare traccia dancefloor tedesca dei Goth Wumpscut.

Richard Fleischer, come detto ha diretto altri famosi film di genere fantascientifico e altro, che sono: - l'adattamento di Jules Verne di 20'000 Leghe sotto i mari” (1954) per la Disney, "Viaggio allucinante” (Fantastic Voyage)(1966) sul viaggio di un sottomarino miniaturizzato all'interno del corpo umano, la versione musical di "Doctor Dolittle” (Il Fantastico Dottor Dolittle) (1967), che però fu un famoso e sonoro flop, “The Boston Strangler” (Lo Strangolatore di Boston) (1968), grande, avveniristico e anticipatore psycho-thriller “Terror See No Male/Blind” (Terrore cieco) (1971) altro bellissimo e moderno thriller angoscioso, la vera vita di un famoso assassino seriale seriale britannico del dopo guerra, Reginald Christie, nella trasposizione cinematografica di “10 rillington Place” (L'Assassino di Rillington Place N°10) (1971), l'escursione in una nota franchise di successo del new horror anni '70 con “Amityville 3D” (1983), e gli adattamenti da Robert E. Howard di “Conan the Destroyer” (Conan il Distruttore) (1984) e “Red Sonja” (Yado) (1985).

Harry Harrison è uno scrittore popolare all'interno della letteratura di fantascienza. Questo è l'unico dei suoi libri ad essere stato trasposto al cinema,anche se altre opere restano eminentemente filmabili. Alex Cox, l'eccezionale regista inglese di “Repo Man” (1984), aveva programmato una volta di adattare lo spietato romanzo di fantascienza satirica di Harrison “Bill, l'eroe galattico” (1965). mentre il racconto di Harrison “On Inox Steel” della serie “Rat”, è stato a sua volta citato diversamente come un possibile progetto, potrebbe essere la base per una grande serie fantascientifica e d'azione di film dal grosso budget, speriamo quindi che non la facciano mai, oggi come oggi.

Scena tagliata: Quando Tab Fielding ( Chuck Connors) va a fare shopping con Shirl, viene aggredito, e vince il combattimento. Questa scena è stata girata, ma eliminata.

Napoleone Wilson

giovedì 26 aprile 2012

Polisse

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Le ragioni che conducono lo spettatore a disprezzare un film sono così varie che tentare di riassumerle non sarebbe altro che un prolisso sforzo di immaginazione, mai ripagato da un'enunciazione completa del problema. Sostenere che un film è fatto male, d'altronde, a volte è più un complimento che un difetto, anche considerando che la definizione appena (impropriamente e riduttivamente) usata, l'essere fatto male, riguarda la tecnica piuttosto che la storia e gli elementi che la compongono. Come dire, è fatto male perché gli attori recitano da cani, perché è noioso, si dilunga e alla fine non riesce a rendere un'idea integrale e strutturata della propria fisicità cinematografica.

Polisse, diciamolo subito, è una pessima pellicola, ma non perché sia brutta nel senso tecnico, cioè fatta male, costruita secondo criteri di parziale completezza o di cattivo gusto, ma perché sbagliata. Non è tanto un discorso di disorganicità, tranne forse per un che di episodico, che costringe la sceneggiatura a procedere a scaglioni anziché in un unico blocco narrativo, quanto una questione morale che fa della pienezza stilistica un aspetto minoritario. Anzi, vorrei essere più cattivo. Il film di Maïwenn Le Besco (attrice, sceneggiatrie e regista francese conosciuta in genere come Maïwenn e basta), tra l'altro vincitore di svariati premi Cesar, nonché del Premio della Giura a Cannes (da non confondersi col quasi omonimo e ben più importante Gran Prix), è un'opera indecente, inguardabile, un'epitome alla bruttura concettuale, utile soltanto a deliziare i boccaloni e a sedurre garbate signorine con idealistiche virtù. Forse stroncare un film per ragioni “etiche” più che estetiche non è il massimo della professionalità, eppure Maïwenn, troppo bella per essere vera, scatenando le alchimie che soltanto la venustà femminea riesce a provocare, seppur di segno contrario, abbandona lo spettatore meno sprovveduto all'ira funesta di cui giusto un film, un pessimo film, è in grado di farsi vicario.

La trama è presto detta: Polisse, storpiatura infantile di police, polizia, è la storia (quasi una docu-fiction) di un reparto della polizia francese, che si occupa nello specifico di indagare i casi di presunti abusi su minori, arrestare i colpevoli e consegnare le vittime ai servizi sociali. Fin qui niente di strano, ma sono le modalità dell'enunciato a rendere l'argomento fonte di disputa. Sì, perché se l'intento della regista era girare una pellicola di forte impianto documentaristico, una sorta di cinéma vérité sugli aspetti meno noti eppur quotidiani della gendarmerie française, gli interventi manipolatori della sua demiurga, magari involontari ma pur sempre presenti, uccidono ogni pretesto di realismo per consegnare la fatica ingiustamente vincitrice sulla Croisette all'albo dei contes philosophiques per poverelli. Vale a dire? Vale a dire che in questo lavoro di angeli e demoni, di minorenni innocenti e crudeli carnefici, i presunti martiri, denunciando un abuso, dicono sempre la verità. Aprioristicamente. Senza se e senza ma. Non possono mentire perché mentalmente, umanamente, culturalmente messi nell'impossibilità di affermare il falso. A prescindere da ogni considerazione di ordine psichiatrico, psicologico e pedagogico. Maïwenn non si pone il problema, e porta avanti un discorso manicheo in cui il confine tra buoni e cattivi è così ben tracciato che le indagini sembrano quasi una formalità piuttosto che una metodologia d'analisi critica, e gli indizi, limitandosi alle testimonianze, alle suggestioni, alle incertezze spacciate per convinzioni, sono le uniche prove di colpevolezza.

Consideriamo gli interrogatori ai presunti pedofili, per esempio. Un capolavoro di illegalità giuridica: non soltanto i fermati (ma in base a quale prova?) sono costretti a sciorinare le proprie versioni in assenza totale di un avvocato, ma devono rispondere a una serie di quesiti del tutto scollegati dai delitti per cui sono (con preventiva faciloneria) processati. Così una probabile violenza domestica diventa il pretesto per una disamina morbosa e masturbatoria sulle fantasie sessuali dell'inquisito, come se ci fosse un'oggettiva interdipendenza tra abitudini e gusti sessuali e possibilità di commettere una prepotenza ai danni di qualcuno. Allora il politico che ama il pube rasato è giocoforza un pedofilo perché la rasatura ricorderebbe il pube della figlia, così come il sospettato che pratica sesso anale, essendo tale pratica una perversione, non può che essere anch'egli, per la stessa logica correlativa di cui sopra, un depravato pederasta dagli impulsi fuori controllo. Inutile dire che confessano tutti, uno dopo l'altro, senza nemmeno avere la creanza di negare il crimine e sfruttare a proprio vantaggio la mancanza di prove certe. Come dire, oltre a essere dissoluti, mancano pure di intelletto.

Il film procede per oltre due ore su questo tono: una serie di casi su cui concentrarsi, in linea di massima tutti accomunati dalla medesima sicura responsabilità (tranne uno, perché l'indiziato ha una faccina buona e i poliziotti si convincono, a pelle, che uno così può essere di tutto fuorché pericoloso). Tra un'indagine e l'altra, la macchina da presa di Maïwenn abbandona la cronaca per scivolare nell'intimità di questi agenti, identificandosi, o tentando di identificarsi, con la fotografa Melissa (interpretata dalla stessa regista), inviata dal governo per realizzare un book fotografico sulle operazioni del reparto. Allora scopri che questi poliziotti hanno quasi più problemi di quelli che dovrebbero risolvere, dall'agente anoressica preda di manie depressive, allo sbirro fedifrago e alla stessa fotografa, che utilizza Riccardo Scamarcio come amico di letto, per poi passare a quello del prestante (e ammogliato) Fred (Joeystarr, un noto rapper francese). Come può della gente così occuparsi dei problemi degli altri, Maïwenn non ce lo spiega, lo dà per scontato, come scontate sono le condanne che pioveranno sulle teste dei malcapitati. Ovviamente nessuno si chiede perché gli interrogatori dei bambini non vengano effettuati da personale competente (psichiatri infantili, come la prassi stabilisce), ma da agenti totalmente impreparati a svolgere quelle requisitorie e che quindi, vedansi i più svariati casi di cronaca, possono influenzare in ogni modo delle menti ancora troppo deboli per distinguere il bene dal male, la realtà dalla fantasia. Di tutto ciò non c'è traccia, e alla fine resta soltanto l'idea peregrina, smaccatamente fasulla, di un reparto che funziona perché incarcera i mostri e difende gli innocenti.

La nostra Maïwenn ha tentato di fare un film sulla tutela dei minori, finendo per celebrare la morte dei diritti civili. Da proiettare obbligatoriamente nelle scuole come esempio di moderno cinema di regime.
Marco Marchetti

mercoledì 25 aprile 2012

ITALIANI, BRAVA GENTE (aka: Oni shli na Vostok) (aka: Attack and Retreat) (aka: Italiano brava gente)

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E' vero, c'era questa nomea. Bella, ho volutamente scritto il titolo in un maiuscolo che vuol essere auspicio e speranza. Forse c'è ancora chissà, nonostante bunga bunga, fascisti e razzisti, tutti insieme al governo fino a poco tempo fa. Non lo so oggi, ma allora c'era. Eravamo spaghetti, pizza, mandolino, poeti e naviganti, ma fondamentalmente operai e contadini, Brava Gente certo, come lo erano gli operai e contadini sovietici che ci videro invadere il loro paese a rimorchio dei tedeschi.

La Brava Gente è uguale dappertutto, non ha nazionalità, è una Classe nobile e sovranazionale, non capisce la guerra anche se la deve combattere. Capita che un italiano vuol dare del pane a un russo prigioniero dei tedeschi e da un tedesco viene ostacolato brutalmente, ma l'italiano per quanto piccolo fisicamente gli salta addosso e lo prende a testate fin quasi ad ammazzarlo, alleato militarmente ma non complice di quel comportamento. Capita che un soldato-contadino italiano vede grano da mietere a perdita d'occhio e vorrebbe aiutare la raccolta prima che le pioggie lo rovinino ma sente rispondersi dai russi che raccoglierlo è inutile perché lo userebbero tedeschi ed italiani. Capita che un partigiano russo si mette a bere e a ridere con gli italiani che lo tengono ostaggio mentre il medico italiano va a soccorrere un russo ma il medico non farà ritorno all'ora stabilita e gli stessi compagni di goliardia impiccheranno il russo. Capita che un ufficiale tedesco lascia agli italiani, al loro "onore", il compito di fucilare dei sabotatori e tra questi c'è una bella e giovanissima ragazza, che il plotone risparmierà, e il tedesco insisterà perché venga uccisa ma l'ufficiale italiano sarà fermissimo e impavido, così la ragazza potrà fuggire nei campi di girasole. Capita che da una trincea gli italiani riescano a colpire un coniglio sulla neve e poi che dalla trincea opposta sbuchi un russo che con l'italiano faranno una specie di rubabandiera a chi riuscirà a prendere il coniglio, correranno, cadendo goffamente, cominceranno a ridere entrambi, le trincee come spalti di uno stadio a tifare, ma un idiota dalla trincea italiana sparerà al russo e dalla trincea opposta ricambieranno la cortesia...

Capitano un sacco di cose in questo lungo e meraviglioso film corale ed epico di Giuseppe De Santis, con un cast di primordine e perfetto nell'opera. Doveroso citare i principali: Andrea Checchi onnipresente in quegli anni nei film italiani che contano e sempre di smisurata bravura, il mio amato Riccardo Cucciolla qua soldato pugliese di Cerignola al solito malinconico e riflessivo, un romanissimo e vivace Raffaele Pisu, Peter Falk in un medico "gagà" napoletano ovviamente doppiato. C'è anche la splendida Tatiana Samoilova che abbiamo già incontrato qua in un altro capolavoro che parla della guerra in Russia: "Quando volano le cicogne".
Il soggetto è ricavato dalla somma di alcune testimonianze di reduci della sciagurata campagna in Russia, tra il 1941 e il '42. Le riprese effettuate sui luoghi reali che furono teatro di quelle tragedie. Un vero kolossal nel miglior senso del termine. Si vedono anche quelli che Brava Gente non sono, un branco d'imboscati che si facevano chiamare "superarditi" e che in realtà le sole azioni "eroiche" che compivano erano razzie e stupri nei villaggi messi a sacco. Erano i degni sodali dell'infame duce che comodamente stava a Roma. C'erano anche quelli, e ci sono ancora. Alcuni, privi persino del senso della vergogna, li vogliono persino celebrare lo stesso giorno in cui si festeggia la liberazione. Per questa gente ho già speso troppe parole. Però erano e sono italiani anche quelli, non dimentichiamolo.

E' così bello questo film, talmente perfetto, che non riesco nemmeno a dire due parole sulla pur eccellente tecnica rappresentativa. Mi devo rassegnare: non sono un critico. L'emozione su di me ha sempre il sopravvento. Due ore e mezza e ti paiono poche, non un momento di noia, non una frase o dialogo inutile. Vorrei scriverne per ore, scena per scena, ma non ne ho il tempo.

Mi ritaglio "un angolo" sulla scena che vedete rappresentata nella locandina qui a dx, e perdonate lo spoiler ma non temete, io l'ho riguardata non meno di 5 volte e potevo continuare ancora a lungo... La ragazza risparmiata dal plotone che dicevo prima, scappa in un campo di girasoli e viene inseguita dal soldato-contadino che citavo. Sono entrambi massima espressione di gioventù e bellezza, lui non chiede di meglio che di poter vivere in quel paradiso di terra fertile. Lei comprensibilmente prima ha paura e scappa, poi capisce, gli si affida, lo abbraccia. Un amore che sboccia in piena guerra con dei sogni semplici, nella difficoltà di scambiare parole, ma ne servono poche. Purtroppo arriverà una raffica da un aereo, fulmine a ciel sereno in quel momento d'idillio, e il ragazzo sarà involontario scudo per lei... ti viene da urlare "Noooooo!!!" con la ragazza. Tra le scene più strazianti che abbia mai visto, ti si ferma il cuore, ti nasce un odio per la guerra incontenibile. In questo senso è molto educativa.

Olimpo in excelsia, senza indugi. Visione godibile anche più e più volte.
Buon 25 Aprile a tutti.
Robydick

martedì 24 aprile 2012

Ladro di voci

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Una ricognizione
- la definisce lo stesso Luigi Faccini nei titoli di testa - Con: i reclusi del carcere minorile di Roma, recidivi e primari -. E' il carcere di Casal del Marmo.

Parte agli occhi dello spettatore come documentario, poi diventa qualcosa di più simile ad una fiction anche se rimane reale quel che vedi, e la spiegazione è concentrata in queste parole del regista:

"A Carlo i riccioli strinati cadevano sugli occhi. Soffiava con la bocca per spostarli, quando voleva essere guardato in faccia. Fabrizio sembrava uno zingaro, occhi di velluto e un sorriso bianco che nascondevano la depressione. Aveva imparato a suonare la chitarra nel carcere minorile di Casal del Marmo. Giochi proibiti era la sua colonna sonora. Carlo aveva un padre buono, indifeso, abbandonato dalla moglie. Carlo avrebbe voluto che questo padre, per correggerlo, gli avesse fatto assaggiare qualche cazzottone. Fabrizio, dal suo, avrebbe desiderato comprensione e dolcezza. Ne aveva avuto disprezzo, calci, manate...
Carlo e Fabrizio stavano per compiere diciotto anni. Decisi che sarebbero stati i protagonisti di "Notte di stelle". Tossicodipendenti entrambi, avevano promesso di disintossicarsi nelle strutture di sostegno collegate al carcere dei minori. Non avvenne. Usciti da Casal del Marmo erano finiti a Regina Coeli e Rebibbia, per furto e rapina. Persi i miei protagonisti, anche se continuai a mantenere rapporti con loro e, a volte, con le famiglie. Avevo passato quattro mesi a Casal del Marmo, tenendo un laboratorio audiovisivo per i ‘primari’ e i ‘recidivi’. Ero riuscito a far scrivere un soggetto cinematografico a Fabrizio, mentre Carlo rimuginava la storia di un figlio che per difendere la madre ammazzava un padre violento. Erano svegli Carlo e Fabrizio, i più audaci, i più coscienti che l’infrazione delle leggi qualificava la loro intelligenza. Contemporaneamente si sentivano rifiutati, scacciati, perduti."

Già all'inizio la confidenza con Carlo, in un'intervista frontale, viene volutamente tradita da Faccini. Spiace poi leggere nei titoli di coda che né Carlo né Fabrizio siano riusciti a cogliere l'opportunità offertagli. Spiace senza stupire, perché chi ha conosciuto ragazzi come loro sa che uscire da quella vita è un'eccezione alla regola. Ci sono esempi illustri anche recenti: diversi protagonisti di "Gomorra" sono tornati in carcere, chi prima chi dopo. Deve scoraggiare la cosa? Secondo chi scrive No, ma è doveroso disilludersi, pena sofferenze inutili. Anche questo s'impara solo con l'esperienza.

Dopo poco si percepisce che il documentario non è semplice cronaca. L'ambientazione che inizialmente risulta piuttosto fredda nelle luci ambientali, in contrasto col calore che un trasportato intervistatore comincia ad emanare ed a far emanare agli interlocutori, ha un sussulto quando il "ladro", un "intruso provocatore", proietta addosso ai ragazzi una calda luce rossa e chiede loro di inventare una storia. Difficile, fantasia ce n'è poca e la vita reale assorbe troppo. Mancano le Parole per esprimersi, perché non le si conoscono o per prudenza nell'usarle... Tra i più sensibili, o forse sono solo quelli che meno si mascherano, emerge consapevolezza di questo deficit, comincia quello che inizialmente è uno sforzo, poi diventa divertente e prosegue anche dopo quel momento artefatto. E' un risultato notevole, frutto anche di un linguaggio aperto, che non scade nel giovanilismo ma si adegua ai suoi tempi, alle sue ritmiche, anche a qualche locuzione gergale e questo con spontaneità, non c'è artificio.

Storie che potrebbero scoraggiare chiunque. Parlo dei loro sogni. L'ideale tipico: "trova' 'na ragazza bionda, occhi azzurri, ricca, e sistemarse, co' 'na bella casa, 'a machina...". E' un caso che il solo momento che Carlo si gira a guardare la tv durante un'intervista riproduce parte di quell'ideale? Non credo al caso. Qualcuno è più realista, e pensa di fare il colpo della vita per sistemarsi, tanto, galera per galera, meglio provarci bene. Non ha torto per certi aspetti. Col senno di 22 anni di Poi potrei dirgli "sì, ma se vuoi rubare bene, e non finire al gabbio, ti devi dare alla politica, non importa con chi, e magari fare il tesoriere". Solo una battuta, ma nasce da una riflessione banale e inevitabile, che cioè a ben guardare tra questi ragazzi e personaggi noti delle cronache di questi giorni cambia l'effetto ma non la causa dello squallore, e se quella causa si manifesta tra i privilegiati chi può alla fine biasimare gente come Carlo e Fabrizio?

Quando si guarda un documento come questo ci si mette in discussione. Lascio alla visione la scoperta di altri dettagli. E' ancora più che attuale. Se si ha un'età come la mia e se ne è passate di esperienze di vario genere è un grande specchio di confronto. L'ho visto due volte a fila e non sono riuscito a scrivere subito queste pur poche righe...
Non c'è una sola briciola di retorica nel film, allora colgo l'occasione e ce la metto io: Istruzione ed Arte possono essere una soluzione, in qualsiasi loro forma, nella qualità di finestre su ciò che di bello la vita può proporre. In ogni caso la rivoluzione umana deve partire dall'interno della persona, da un suo desiderio, una ricerca di stimoli, trasformare il desiderio di agiatezza in ambizione di conoscenza, rifiutare le soluzioni facili. Tolstoj diceva che ogni essere umano in carcere è una sconfitta per la società senza, per questo, giustificare ogni comportamento individuale. Gandhi seppe ricavare da questo il concetto che la vera libertà è emancipazione e figlia dell'autodeterminazione. Anche senza essere dei grandi come i due citati, un briciolo di esempio lo si può prendere... Fine del pistolotto.

Che effetto possa fare "Ladro di voci" a chi è cresciuto e vissuto in una melensa ed agiata vita da mulinobianco? E' domanda alla quale non so rispondere.
Robydick

lunedì 23 aprile 2012

Nightmares - Nightmares, incubi

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I film del terrore ad episodi (i cosiddetti "omnibus") sono una mia grande passione. Una di quelle passioni che ti porta a vedere tutto quanto venga prodotto in questo ambito, tra alti e bassi e prodotti improponibili, ma con un "perché". Senza stare a scomodare i grandi classici del genere, quindi "Dead of Night" e i film di Freddie Francis (tra gli altri), poco tempo fa ho avuto occasione di rivedere questo "Nightmares" di Joseph Sargent, regista di una marea di film Tv ma anche di "Jaws-Revenge", che non rivedevo da molto, molto tempo.

Quattro episodi originariamente concepiti per la serie Tv "Darkroom", poi giudicati troppo "forti" per la televisione e impacchettati dalla Universal per una distribuzione cinematografica, dopo aver girato del materiale aggiuntivo. Quello che salta immediatamente all'occhio è una confezione di tutto rispetto, con una splendida fotografia a cura di Mario DeLeo e Gerald Perry Kinnerman e un cast comprendente Lance Henriksen, Emilio Estevez, Veronica Cartwright, Richard Masur e la stupenda Christina Raines (già incontrata da queste parti in "Hex") e, se in un film c'è Chistina Raines, non si può snobbarlo a prescindere. E' dunque con la bellissima Christina che si aprono le danze; l'episodio di cui è protagonista si intitola "Terror in Topanga" e vi si narra della gita notturna di una piacente mogliettina che proprio non ce la fa a restare senza sigarette. Quindi, nonostante gli ammonimenti del marito, esce per andare a comprarle. Peccato che nei dintorni si aggiri un temibile serial killer che ha già scannato un poliziotto. Ricorda molto l'incipit di "Urban Legend" di Jamie Blanks (1998) e il primo episodio di "Body Bags" di Carpenter-Hooper, con l'ambientazione alla pompa di benzina. Un episodio dignitoso, senza guizzi ma nemmeno soporifero (si nota l'originaria destinazione catodica) nobilitato pure dalla presenza di William Sanderson e Anthony James.

Emilio Estevez è protagonista del secondo episodio, "Bishop of Battle", in cui interpreta un giovane amante di video games completamente schiavo della sua passione. Suo scopo nella vita è infatti quello di completare tutti i livelli di un gioco antesignano dei così chiamati "sparatutto", "Bishop of Battle" appunto (che parla con la voce di James Tolkan), tanto da entrare abusivamente, di notte, nella sala giochi per realizzare il suo proposito. Naturalmente si ritroverà a dover combattere realmente con i nemici elettronici che, letteralmente, saltano fuori dall'apparecchio. L'episodio più costoso del lotto, che si avvalse delle animazioni stile "Tron" generate tramite ACS1200, divertente ed esploitativo, con la musica dei Fear in sottofondo e la partecipazione di Moon Zappa.

L'episodio "The Benediction" può sfoggiare un'intensa interpretazione del grande Lance Henriksen, nel ruolo di un prete in crisi con la fede, che viene inseguito e minacciato da un pick-up che sembra provenire dritto dritto dagli inferi. Fortemente derivativo e di conseguenza vittima di una pesante sensazione di déjà vu (è praticamente un remake di "Duel", con un ottimo inizio), si salva proprio grazie alla sofferta maschera di Henriksen e ad un finale cupo e ambiguo, servito con grande professionalità dal bravo Sargent, uno con un'esperienza che molti non vedono neanche con il binocolo.

L'episodio finale, "The Night of the Rat", è come da copione il più orrorifico e delirante dell'opera, e narra delle disavventure della famiglia Houston (Richard Masur, Veronica Cartwright e Brigitte Andersen) alle prese con un gigantesco ratto che reclama vendetta per la prole uccisa senza pietà. Naturalmente il pensiero galoppa in direzione "Of Unknow Origin/Di Origine Sconosciuta" (1983) di George Pan Cosmatos, molto bello, in cui Peter Weller affrontava da solo un terribile ratto, solo che qui il tutto si mischia al "gigantismo" di Bert I. Gordon, ricalcando gli effetti del famoso "Food of The God/Il Cibo degli Dei" (1976), con ratto-vitello impazzito per il dolore che grida come una banshee. Finale inqiuetante, nonostante il delirio assoluto, e atmosfera e plot più o meno simile al segmento finale de "L'Occhio del Gatto/Cat's Eye" (1985) di Lewis Teague, scritto da King e prodotto da DeLaurentiis, con tutte le cautele del caso.

Dei 9.000.000 di dollari di budget, il film ne portò a casa poco più di 6.000.000 e poi sparì dalla circolazione. Un peccato, perchè senza essere un capolavoro imprescindibile, "Nightmares" mantiene tutte le promesse e offre 90 minuti di puro intrattenimento. Che ci siano cose migliori in giro, è risaputo. Il Dvd della Anchor Bay del 1999 è fuori catalogo e, come ho potuto constatare in rete il formato è 1.33:1 contro il 2.35:1 originario. Vabbè, accontentiamoci. Consigliato.

Buona visione.
Belushi

domenica 22 aprile 2012

Se sarà luce sarà bellissimo - Moro: Un'altra storia

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Aldo Moro/Roshan Seth
[Ai suoi carcerieri delle Brigate Rosse]: “Io sono un uomo mite, la politica è sporca, fatta da mediocri, la cura non sempre è della democrazia ma la ricerca dei voti.”

Con questo film, Aurelio Grimaldi ha dimostrato che è ancora possibile se solo se ne ha il coraggio, intraprendere la ricerca per veicolare ben altre verità, e non addomesticate e già preconfezionate, persino in Italia. Sulla cruciale e dolorisissima “Operazione Fritz” di Via Fani e i successivi disperati e mestissimi, 55 giorni del sequestro, sono stati è vero, versati fiumi d'inchiostro, tra migliaia di articoli scritti, libri, cinque processi durati oltre un ventennio con tutti i procedimenti legali connessi, e, a partire soprattutto dal Moro Quater, un profluvio di ripetute “confessioni” e “controconfessioni” dei brigatisti , un'infinità di deposizioni più o meno spontanee ed accordate, mentre forse uno solo di essi, il “pentito” più famoso Peci, scrisse un libro davvero illuminante e molto importante,“Io l’infame”. Che cosa può tentare di dirci ulteriormente un film, in due ore al massimo, soprattutto a chi come me è più che documentato sui fatti e sul periodo? Tanto e utilmente, soprattutto se pensiamo ad una visione di quegli avvenimenti non soltanto con la prospettiva di una visione e di un'atmosfera “conciliatoria” e “autoassolutoria” per tutti, di questi anni, ma con lo spirito e l'indignazione di molti propria del 1978. Non certo quell'indignazione finta da seconda repubblica, propria dei giovani di oggi. E nell'intento stesso dell'operazione portata avanti con questo film, Grimaldi è stato molto bravo.

Scegliendo di rappresentare -utilizzando una definizione per forza di cose consunta- quei giorni bui, della Notte della Repubblica”, con i toni accesi, arrabbiati fino anche al fanatismo, delle ore stesse nelle quali il presidente DC e precedentemente già capo del governo Aldo Moro, venne rapito da un commando delle Brigate Rosse dopo una sanguinosa strage. Tutto questo avvenne il 16 marzo del 1978, data oramai celeberrima, a Roma, in Via Fani traversa di Via della Camilluccia, quartiere di Monte Mario.
Proprio quello stesso giorno, il governo presieduto da Giulio Andreotti avrebbe dovuto aprire per la prima volta nella storia della Repubblica, aprire lo stesso governo all'entrata dei comunisti di Berlinguer, il compimento del cosìddetto “compromesso storico”.

Quel giorno e i successivi 55 del sequestro provocarono un terremoto persino in un paese come l'Italia, abituato da sempre a sopravvivere quasi indenne e dimentico praticamente a tutto, cambiandolo per sempre soprattutto per la classe politica e i suoi equilibri, che però come al solito fecero in gran parte finta di non accorgersi di nulla, né che alcunché fosse veramente successo.

Le stesse Brigate Rosse ne uscirono inconsapevolmente sconfitte, anche se all'apparenza allo zenith della loro potenza.
Un'onda lunga che avrebbe portato il suo cataclisma solo dopo molto tempo, infrangendosi con lo Tsunami di Tangentopoli nel 1992: questa è stata forse l'unica vittoria delle Brigate Rosse, troppo proiettata in avanti per le loro strategie contestualizzate interamente al momento storico, protese soprattutto a mettere in estrema difficoltà il suo nemico più duro a sinistra: il PCI. Le lettere dalla prigionia di Moro, soprattutto quelle decine indirizzate alla Democrazia Cristiana, ebbero un effetto devastante, ma anche questo poco riconosciuto e valutato per l'importanza del suo impatto, dall'inadeguata Direzione Strategica brigatista, e grazie anche alle quali di lì ad un decennio, si sarebbe assistito a quello che era uno degli obiettivi principali delle Brigate Rosse, la dissoluzione della stessa DC.
Prima ancora, dopo cinque anni, sarebbe nato il primo governo con un Primo Ministro non democristiano, cioè il repubblicano Spadolini, seguito da quello del socialista di destra Craxi; attuandosi così la definitiva cancrena e il seguente disfacimento del sistema politico espressione della Prima Repubblica. Il Pci invece, l'altro pilastro del “Partito della fermezza” oppostosi ad ogni possibilità seria e concreta di trattativa con le BR, si vide sbarrata definitivamente ogni possibilità di accedere alla “stanza dei bottoni” governativa, e avviandosi concretamente verso lo sfascio e la parcellizzazione; dieci anni dopo come detto ci sarebbe stata tangentopoli e per i comunisti la scissione della Bolognina, e tutto il disfacimento susseguente e suddetto. Moro scrisse in una lettere un celeberrimo anatema: “ il mio sangue ricadrà su di voi”, -il quale è il titolo del secondo e mai terminato capitolo girato da Grimaldi, di questa che sarebbe dovuta essere una trilogia-, che seppur soltanto metaforicamente, pare essersi compiutamente realizzato con la convulsa ed epocale implosione della Prima Repubblica.

In questo bel film di Grimaldi la vicenda viene finalmente mostrata senza didascalismi, ma emerge per piani separati. Innanzitutto ci mostra come nessun altro film italiano sul periodo degli anni di piombo, che lo stato oltre ad essere quasi completamente inadeguato e pachidermico, al tipo di sfida che viene portata alla sua massima intensificazione da parte di un'avanguardia combattente, è uno stato che sa opporsi soprattutto con la promulgazione delle famose leggi speciali, le quali arrivano a mettere in forse l'esistenza stessa dello stato di diritto; e le libertà principali degli stessi cittadini, oltre a provocare a sinistra e nell'autonomia extraparlamentare come anche nella stessa base del PCI, un grande conflitto con coloro che non capiscono né approvano il “compromesso storico”. Fu proprio in quei giorni che vennero espulsi dalla CGIL alcuni delegati sindacali che si erano resi colpevoli soltanto di aver diffuso un volantino: il famoso slogan additato dall'instauratosi clima da caccia alle streghe, era: “Né con lo Stato, né con le Br”.
Il film di Grimaldi è pure rimarchevole per come riesce bene e meglio di ogni suo predecessore, a calarsi nel clima e nell'atmosfera plumbea e allucinata di quel periodo, quando a cadere vittima è uno degli uomini più rappresentativi di quello stato che paradossalmente è nel suo momento di maggiore debolezza ed impaccio, facendo anche trasparire come il governo fosse internamente diretto dagli esperti americani dell'antiterrorismo, completamente sottomesso ai loro interessi, mostrando una faccia feroce e un emergenzialismo solamente di facciata.
Un famoso aneddotto, riferito dalla vedova di Moro in seguito alla sua tragica fine, si riferisce ad un inquietante episodio avvenuto al marito durante la sua ultima visita di Stato negli Stati Uniti, quando il Segretario di Stato americano Henry Kissinger, durante un incontro a Washington avrebbe ammonito Moro per la sua apertura ad un probabile appoggio dei comunisti al governo, con la suddetta frase: “potrà avere tragiche conseguenze” .
Quel viaggio di Stato si concluderà con un malore di Moro durante una messa nella Cattedrale di San Patrick a New York. Il pesante avvertimento fu sempre smentito regolarmente in primis da Cossiga ed Andreotti. Dati gli interessi custoditi e le verità nascoste dai due, merita certamente ampio credito la rivelazione della Signora Moro.

Molto bravo l'attore britannico-indiano Roshan Seth (il quale aveva interpretato anche Nehru nel Kolossal “Gandhi” ['82] di Richard Attenborough) che interpreta nel film la figura dell'On. Moro, il quale ci restituisce con partecipazione la passione di quei giorni di prigionia, coinvolgente tutti i protagonisti compresi i carcerieri, ma senza facilitazioni buonistiche e scappatoie catto-comuniste alla “Buongiorno, notte” ('03) di Marco Bellocchio, impersonando sì la figura di un Moro umano e dai forti sentimenti, ma senza ritrarsi come tutti i film precedenti, dal mostrarci anche tutte le sue amletiche incertezze, e le sue ignavità quando era a capo di governi monocolore DC, come pure le divisioni che si produssero tra gli stessi BR, quelli irriducibili dell'ala più militare riconducibile allo stesso Mario Moretti e a Prospero Gallinari, e quelli più dubbiosi e possibilisti su una scarcerazione di Moro, e riconducibili a Valerio Morucci e Adriana Faranda, che però non facevano parte della Direzione Strategica.
Il film di Grimaldi è quello più “politicamente scorretto”, fra tutti quelli che sono stati realizzati in Italia sugli anni di piombo, ed è anche quello più cronachistico e meno narrativo, quello che riesca a ricostruire meglio le posizioni e le inestricabili ambiguità ed eterodirezioni di convergenti e paralleli interessi per dirla con Moro, dell'”Attacco al cuore dello stato”, ricostruendolo con quello che manca a quasi tutti i film italiani che vorrebbero rievocare quei fatti: l'invenzione registica. Grimaldi è perciò riuscito a realizzare un film veramente di vibrante drammaticità e non soltanto di impotente didascalismo, ma per una volta di violenta indignazione, sconvolgente nella sua virulenza, solamente per chi non ha vissuto in prima persona quel periodo, ma questo film a differenza degli altri te lo fa capire. Qui è lo Stato che ne esce davvero con un'immagine a pezzi, anche perchè il film riesce a conferire un'adeguata prospettiva storica, non le BR, pur non dimenticando certo le vittime del terrorismo, e stavolta giustamente e appropriatamente, da “entrambi le parti”.

Ho apposto in testa a questa recensione una frase di Moro nel film che lo riassume interamente: anche qui certo, Moro è raffigurato in pieno declino soprattutto morale e psicologico, così duramente provato dalla tragica e disperata esperienza. Probabilmente rassegnato alla sua prossima e consapevole morte, lo statista riconosciuto da entrambi gli schieramenti, colui di cui avevano bisogno tutti, da Rumor, a Restivo e Gui per potersi solo fare imbeccare a prendere decisioni, nei momenti più bui come dopo Piazza Fontana, come mostrato nell'ultimo film di Giordana, è adesso fatto cinicamente passare per pazzo, dagli stessi dirigenti DC. I quali sproloquiano di Sindrome di Stoccolma, questa volta invece imbeccati da Steve Pieczenik, l'esperto di strategia antiterrorismo inviato a Roma dal Governo americano, e che nei fatti, sarebbe stato tra i veri direttori occulti dell'operazione. Ma Moro seppur in declino, non lo era affatto in quanto a lucidità mentale, quando in una delle sue lettere più terribili definì l'amico dei tempi della FUCI Zaccagnini un dirigente e un segretario lui sì, affetto da caratteriale debolezza, “con una debolezza che rasenta il cinismo.”

Come qualcuno giustamente scrisse in una delle rare recensioni presenti in Italia di questo film, -ampiamente boicottato mercantilmente, alla sua quasi impossibile uscita cinematografica nel 2004-, citando Carlo Levi e “Il Coraggio dei miti”, e in riferimento auspicabilmente anche al popolo d'Italia, che apparentemente prono e servilmente sottomesso, nei passaggi più tragici della Repubblica, può utopicamente alzare finalmente la testa e dimostrare il meglio di sé, esigendo di chiedere conto al potere del suo sporco e sempre cinico operato. Trattandosi di Moro, con quella frase forse voleva comunicare ciò che dice in un passo il suo amato Vangelo: beati i semplici. L'uomo, l'essere umano, che viene fuori dall'immagine de-umanizzata dello statista. A differenza del commissario interpretato magnificamente da Gaetano Amato, torturatore di innocenti presunti brigatisti, su mandato stesso dello Stato, e quindi del potere governativo. Il film si chiude con la frase che dà il titolo al film, contenuta nell'ultima, straziante lettera ai figli, al piccolo amatissimo nipotino, alla vedova Norella, forse sì davvero un anelito ed un augurio: “ Se ci sarà la luce, sarà bellissimo”.
L'Andreottiano

sabato 21 aprile 2012

Magna Magna

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Dal comunicato stampa:

Dal 1994 a oggi, i partiti politici hanno incassato 2,5 miliardi, ma ne hanno spesi solo 579 milioni, gli altri sono "spariti". È tutto un Magna Magna. È sempre stato così. Lo era anche al tempo della P2.

I personaggi di Magna Magna: ideato e diretto da Marco Todisco
  • LICIO GELLI: Andrea Luceri
  • IL SOCIALISTA (BETTINO CRAXI): Francesco Zaccaro
  • SILVIO BERLUSCONI: Simone Ripanti
  • LA RAGAZZA IMMAGINE: Vanessa Diana
    Ha avuto successo perché favorita da uomini di potere. È stata una prostituta, ma
    adesso ha raggiunto il suo successo. Ora, è una donna in carriera.
  • Il COMMISSARIO DI POLIZIA: Marco Cicchetti
    Ha fatto parte dei servizi segreti. Non ne ha guadagnato né prestigio né denaro.
  • Il RADICALCHIC: Chiara Alivernini
    Rappresenta i politici di oggi.
  • ITALIA: Aurora Salvucci
    Identifica tutta l'Italia: martoriata e tumefatta, violentata, ma abituata a soffrire.
Trailer:http://www.youtube.com/watch?v=l1WaZRlvERo&feature=player_

Anzitutto ringrazio Marco Todisco per avermi permesso di vederlo, andare a Roma proprio non mi era possibile...

Raccontare in dettaglio un corto di 10' circa non è il caso. Diciamo che è la messa in immagine concreta di una frase che è nel lessico comune: "E' tutto un Magna Magna!"; chi non l'ha mai sentita e pure detta anche per fare una battuta? Un (mini) film che non è metafora della realtà quindi ma opera al contrario, cioè realizza la metafora. E ci riesce bene, facendo scappare l'ossimoro: diverte intristendo, o intristisce divertendo. Basti l'elenco dei protagonisti ed immaginarli accanirsi sul cibo allo stesso modo con cui si sono accaniti sull'Italia. Poi certo, occorre qualche rituale, per dare un senso religioso anche all'infamia, e non dimenticarsi che il Magna Magna prevede di soddisfare anche gli appetiti sessuali, che a certi livelli non sono sempre comuni...

Un po' di "Grande abbuffata" in chiave nera, e un po' di "Todo modo" in chiave divertente.

Robydick

venerdì 20 aprile 2012

Pinocchio (aka: The erotic Adventures of Pinocchio) - Le Avventure Erotiche di Pinocchio

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Ilsa la belva delle SS
incontra Pinocchio. Sexploitation di Corey Allen (regista di una valanga di serial Tv di successo, tra cui "Sulle Strade della California", "Hill Street- Giorno e Notte e "Le Strade di San Francisco", quindi non possiamo dirgli niente, purtroppo scomparso nel 2010) che non si espone troppo sul versante sexy, pur avendo a disposizione il fisico prorompente di Dyanne Thorne nel ruolo della Fairy Godmother.

Per forza con quelle tette, non poteva fare altro. Piu' bello il titolo che tutto il pacchetto confezionato, ma è inutile essere troppo spietati con un prodotto di puro intrattenimento come quest'operina di Allen, che offre al pubblico quello che promette, cioè un protagonista bietolone (Alex Roman, alla sua prima ed ultima esperienza cinematografica) doppi sensi a volontà, scenografie neanche troppo miserrime e un parterre femminile discinto e gradevole comprendente pure la splendida Monica Gayle (nel ruolo di Gepetta, scritto proprio così, la quale, trovato nel bosco il magico tronco parlante, se lo lavora con pialla e scalpello creando così il buon Pinocchio) corpo glorioso dei seventies che dal '68 al '79 partecipò a più di una ventina di titoli tra cinema e Tv, anche in "Switchblade Sisters/Rabbiosamente Femmine" (1975) di Jack Hill e"Le Fragole hanno bisogno di pioggia/Strawberries Need Rain" (1970) di Larry Buchanan, per poi sparire nel nulla, e la vecchia Karen Smith di "H.O.T.S" e "Horror Hospital/X Ray".

Consigliato comunque agli amanti delle fiabe sporcaccione, che durante i seventies conobbero una serie cospicua di trasposizioni cinematografiche "alternative", senza dimenticare il cultuale film d'animazione in Hanna&Barbera style, "Once Upon A Girl" (1976) di Don Jurwich e il nostro impareggiabile "Biancaneve & Co." (1982) di Mario Bianchi con Michela Miti. E ricordate, "Non è il naso che si allunga" come strilla la tagline. Siete avvisati. Dvd della Jef Films Region 2 PAL.

Buona visione.
Belushi

giovedì 19 aprile 2012

Yellow Sky - Cielo giallo

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E' venuto il momento per essere una donna unica, e l' arma di una donna può tenerlo in vita ... adesso!

Da una delle frasi di lancio originali del film.

Dawson “Stretch” James/Gregory Peck :- “Non è parlando così che sentirete la mia voce. Ho bisogno di una buona motivazione.”

Lo sguardo noir sul western realizzato da William Wellman nel 1948 e intitolato “Yellow Sky”(“Cielo Giallo” in Italia) ha un pizzico o due de "La Tempesta" scespiriana soprattutto ne lo spunto di partenza, ma non molto di più, pur essendone una sorta di famosa variazione declinata nel western. Anne Baxter può essere vista come una Ariel con il pugno e suo nonno, interpretato da un ironico James Barton, ha alcune risonanze del personaggio di Prospero, ma il film fu soprattutto costruito su Gregory Peck, che magistralmente interpreta il protagonista. Il suo personaggio si chiama “Slim”, e di professione è l'irrequieto leader di una banda di rapinatori di banche in cerca di un rifugio e della salvezza, il quale trova invece la lussuria e l'avidità di una città fantasma in un angolo abbandonato dell'inferno, nel deserto (e dopo aver attraversato la Death Valley, la famosa Valle della Morte tra Nevada e California). Gregory Peck come rapinatore di banche è così sconvolgente quanto John Wayne come uno dei tre protagonisti in "ThreeGodfathers”(In Nome di Dio-Il Texano) ('48) di John Ford. Nel film, girato in un bellissimo e primigenioTechnicolor dai vivacissimi colori, “Slim” coinvolge la banda nell'attraversamento di un deserto attraverso il quale moriranno quasi di sete. Il personaggio di "Slim" ha un senso dell'ironia non dissimile da quello di Peck come"Romantico avventuriero" (ma non ha i baffi).
C'è nel film anche un giovane e beffardo Richard Widmark come cattivo “stilysh” (affascinante, in contrasto con alcuni dei celebri personaggi di psicopatici da lui interpretati in quel periodo).

"Cielo giallo" è anche stato anche molto ben fotografato da Joseph MacDonald (che curò tra gli altri, la fotografia di “Sfida infernale”, “Bandiera gialla”[Panic in the Streets] ['52] di Elia Kazan, “Mano pericolosa”[Pickup on South Street] ['53] di Samuel Fuller, “Viva Zapata!” ['52] di Elia Kazan) e ottiene il suo culmine proprio nella fotografia così noir (e quante volte è più possibile vedere una fotografia che sembra descrivere il cielo oltre che con i suoi odori, quasi restituendone allo spettatore i sapori? Ebbene, nel mondo rappresentato da questo grande Direttore della Fotografia del cinema americano, ci sono nuvole nel cielo che sembrano paste colorate.), uno scontro a fuoco notturno in una città che sembra fantasma più che una città viva. In definitiva, a “Cielo giallo” si può conferire (4 stelle), e tutte grandemente meritate.

La trama: il pensiero di Gregory Peck che interpreta un duro in un western poteva essere in un primo momento sorprendente, e ad un secondo sguardo, l'allora giovane attore che già era apparso in “Io ti salverò” di Hitchcock aveva comunque insito nelle sue capacità il ruolo del “bad guy”, ossia del cattivo, anche se non lo interpreterà praticamente mai nel corso della sua carriera, se non alla fine con il sensazionaleDr. Joseph Mengele de “I Ragazzi venuti dal Brasile”(The Boys from Brazil)('78)di Franklin J.Schaffner.

Stretch (Peck) è il capo di una banda che deruba le banche. Dopo una rapina ad una banca con la sua banda, è costretto a scappare per il deserto. La causa principale di conflitto del gruppo è Dude (Richard Widmark, “Kiss of Death”(Il Bacio della morte)['48]di Henry Hathaway, già citato), il quale pensa che la banda dovrebbe fare cose diverse da quelle che fa con Stretch. C'è anche Bull Run (Robert Arthur, Mother in “Come nacque il nostro amore”[Mother Wore Tights]['47] di Walter Lang), Longer (John Russell, anche lui famoso caratterista del cinema americano per decenni, presente fino a ”Il Cavaliere pallido”[Pale Rider]['85] di Clint Eastwood), Walrus (Charles Kemper, “Neve rossa”[On Dangerous ground]['52] di Nicholas Ray) e Half Pint/Mezza Pinta (Harry Morgan, famosissimo per i suoi successivi ruoli comici nelle celebri serie tv M * A * S * H *”, “Dragnet”). Sono quasi vicino alla morte quando finalmente arrivano alla città di Yellow Sky. A distanza, sembra essere una città fiorente, ma la banda si imbatte in una donna con un fucile di nome Constance Mae o “Mike” (Anne Baxter, già ne “L'Orgoglio degli Amberson” di Orson Welles). La quale li porta ad un pò d'acqua che si trova vicino alla lcasa di lei e dove si trova anche il nonno (James Barton, presente anche nel bello e coevo “I Giorni della vita”[The Time of Your Life][ ['48] di H.C.Potter). Durante la permanenza presso la casa, scopriranno però un segreto che cambierà i loro piani.

In questo film, che è basato sul romanzo di WR Burnett ( poi autore di "Base Artica Zebra”[Ice Station Zebra]['68] dal quale trarrà un ottimo film d'azione John Sturges ) e diretto da William A. Wellman (tra i tanti, bellissimi film della sua filmografia, almeno"Prigionieri del cielo”[The High and the Mighty]['54]), Stretch è qualcuno che è chiaramente il silenzioso leader della banda. L'amico Dude cerca di dividere il gruppo sognando di poter realizzare molto di più che rapinare le banche, e c'è una scena all'inizio del film che definisce nettamente i ruoli nella banda, quando è presa la decisione di attraversare il deserto. Vediamo come ognuno della banda compia la sua scelta, un pò più in linea con gli altri, tranne che per Dude. E anche gli spettatori possono vedere le dinamiche di tutti i personaggi, insieme anche ai loro punti di forza e di debolezza.

Una volta che sono arrivati a Yellow Sky, tutto sembra dimenticato, soprattutto dopo che la banda può rinfrescarsi e incontrare “Mike”, che è lo zucchero filato per gli occhi di alcune persone della banda, tra cui Stretch. Mike è ferocemente protettivo del suo ambiente circostante che è il nonno e la casa che condividono loro due. Nel film la si vede raramente senza un fucile, ed è una buona tiratrice ogni volta che ce n'è bisogno. Secondo le parole di un cowboy, tipiche del tempo, lei è una "volitiva puledra". Nel nonno, splendidamente interpretato da Barton,troviamo qualcuno che è uno sparatuttocomunque sia, non importa di chi si debba occupare, il quale sfoggia anche un aspetto un po' da "Apache ubriaco", che a prima vista sembrerebbe essere piuttosto inutile, ma che aiuta a rafforzare questa sensazione .

Il film ha una storia forse un po' fragile. Quando il gruppo comincia a combattere tra loro per l'attenzione di Mike, Stretch decide di mettersi in mezzo per la tenzone, e, naturalmente, dato che il suo nome è in cima alla lista, è quasi scontato che sarà lui a ottenere la ragazza. Inoltre, chi mai può avere intenzione di andargli contro? Bull Run? Longer? Certamente non il vicino all'età della pensione Half Pint/Mezza Pinta, questo è sicuro.

La direzione di Wellman è come sempre ammirevole anche se certamente e in un momento importante, non mostra allo spettatore la natura insopportabile del deserto, ma Peck (che era in altri western coevi come “Duello al sole”[Duel in the Sun]['46] di King Vidor e “Romantico avventuriero” [The Gunfighter] ['50] di Henry King, tra cui “Cielo giallo”) non aveva certo molte occasioni di dialogo in questi film. E in una tendenza che ho notato in altri film western, il personaggio cattivo (o almeno, di un cattivo sottotono) sembra divertirsi un po' di più dell'attore che lo interpreta. Come antagonista cattivo (non che fosse un cattivo semplice come gli altri), Widmark si esibisce ad un alto livello di sporca e losca avidità per lui così congeniale, che per il suo tempo è in qualche modo molto attraente, superando anche quasi tutti -Peck escluso-degli altri attori incontrati nel film. Alcune Inconfutabili qualità che vanno testimoniate sono che per i tempi, il concetto alla base del film è abbastanza unico, ma se già avete visto qualcosa del genere, tende ad essere un poco statico. E poi, per superare il preconcetto che Peck possa essere un bastardo ci vuole molta forza di volontà e di accettazione

London International Film Awards Anno 1949
Per la regia. Writers Guild of America, Stati UnitiAnno 1950 Ha vinto il WGA Award (Screen) per l'Ottimo Scritto di un Western americano a Lamar Trotti.

Gregory Peck si sentiva fallito nel ruolo di un rapinatore di banche

"Playhouse directors of Screen" trasmise un adattamento radiofonico di 30 minuti del film il 15 luglio 1949 con Gregory Peck a riprenderne il ruolo interpretato al cinema. Fu anch'esso diretto da William A. Wellman

Jean Peters rifiutò di essere la protagonista femminile, definendo il ruolo "troppo sexy".
Napoleone Wilson

mercoledì 18 aprile 2012

The Kentucky Fried Movie (aka: The Hamburger Movie) - Ridere per Ridere

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"Nei Popcorn che mangiate, ci hanno pisciato. Fine del giornale."
dice al pubblico il presentatore di 11 O'Clock News. Già questo dovrebbe bastare ad inquadrare il secondo lungometraggio di John Landis, che dirige uno script realizzato e ideato dal trio Zucker-Abrahams-Zucker, fondatori del Kentucky Fried Theater, da cui il film prende il titolo. E dovrebbe bastare a capire che ci troviamo in puro territorio non-sense, dove parodia, demenzialità e comicità al vetriolo procedono di pari passo e si fondono in una pellicola che, per una volta senza parlare a sproposito, è realmente stata opera iconoclasta e avanti sui tempi.

E pensare che nessuno, in quel di Hollywood, nei seventies, voleva tirare fuori quattrini per produrre la sceneggiatura di Jerry e David Zucker e Jim Abrahams. O almeno, all'inizio qualcuno c'era. Poi il sedicente investitore si tirò indietro, lasciando i tre giovini con un pugno di mosche, motivo per il quale decisero bene di autofinanziarsi un corto di una decina di minuti (in rappresentanza del progetto) per attirare potenziali produttori. Di produttori non ne trovarono, ma trovarono invece John Landis. Una volta convinto l'esercente Kim Jorgenson a mostrare il corto prima della proiezione dei film, la strada fu definitivamente spianata, perchè il pubblico, letteralmente, si pisciava addosso dal ridere.

Si vede la mano di Landis, che veniva da "Schlock" ma che si era già fatto una discreta gavetta come stuntman e attore (financo in "Kelly's Heroes"), e se l'esordio era più legato alla parodia dei monster-movies degli anni 50/60, "The Kentucky Fried Movie" è folle, delirante, dissacrante parodia di tutto quello che sta in mezzo e intorno al "cinema" e alla sua cugina bastarda, la televisione, appunto, con gli sketches, i commercials farlocchi e i fake trailers a costituire l'elemento disturbatore dell'ordine costituito, come in (quasi) tutti i film di Landis, in questo caso una trasmissione televisiva "contenitore" durante la quale succede, ovviamente, di tutto. Ecco, basterebbero solo i finti trailer di film mai esistiti come "That's Armageddon", con il mitico e sfortunato ex-James Bond George Lazenby e Victoria Carroll, la blaxploitation "Cleopatra Schwartz" con Marilyn Joi e, soprattutto, "Catholic High School Girls in Trouble", splendido, geniale abc della sexploitation da drive-in (con la bionda Lenka Novak e le tette antigravitazionali di Uschi Digard, qui come Ursula Digard) praticamente trent'anni prima del progetto "Grindhouse" di Tarantino-Rodriguez-Roth-Wrigh t-Zombie, a rendere la pellicola materiale da custodire e apprezzare.

Ma si farebbe un torto sia alla mole di gags assurde e demenziali concepite da ZAZ, che non hanno, o almeno non avrebbero bisogno di presentazione alcuna (basta "L'Aereo Più Pazzo del Mondo"? senza contare Frank Drebin), sia al segmento centrale "A Fistful of Yen" con Evan Kim che con un titolo del genere parodizza e omaggia nello stesso tempo Sergio Leone e l'inossidabile Bruce Lee, il Piccolo Drago, versione dissacrante del famosissimo "Enter The Gragon" (1973) di Robert Clouse e di tutto quanto il fenomeno della bruceploitation. Ma ce n'è per tutti i gusti, ed è proprio questo il grande piacere derivante dalla visione di questa pellicola, l'essere catapultati da un momento all'altro dentro uno studio televisivo distrutto da un gorilla interpretato dal vecchio Rick Baker (Landis deve avere una specie di ossessione per questi mammiferi) poi in un cinema molto particolare in cui l'esperienza "Feel-A Rama" consente allo spettatore di godersi il film non solamente in 2D (episodio manco a dirlo intitolato "See You Next Wednesday") fino ai sarcastici, cattivissimi, spot pubblicitari che deliziano la platea con giochi di società stile Monopoli basati però sull'assassinio del Presidente Kennedy, con tutta la famiglia che lancia i dadi e, tra gli altri, un'agenzia di pompe funebri sui generis che favorisce la pratica di portarsi a casa il defunto (previa imbalsamazione) da tenere in compagnia di parenti e amici.

Prendere o lasciare. Landis dirige sornione e procede a scavare fra gli steccati di "genere", lasciando intuire quel suo unico, personalissimo, forse perduto, "tocco" che gli permetterà di girare opere per molti versi quasi tutte straordinarie fino al 1985/86. E poi, ci sia consentito di dire che il segmento finale "Eyewitness News" in cui una coppia comincia a scopare davanti al televisore (lui Richard Gates e lei la splendida Tara Strohmeier, altro grande nome della cinematografia seventies meno celebrata) durante il telegiornale e l'annunciatore, e a mano a mano tutti i tecnici dello studio televisivo, cominciano a spiarli dallo schermo, urlando, incitando e gemendo, è tra le chiusure più geniali, sagaci, arrapanti e divertenti della decade tutta.

Fine. Consigliatissimo, ma che ve lo dico a fare. Dvd, bellissimo e ricco di extra, della inglese Arrow Video uscito nel 2011, prima c'era stato l'Anchor Bay del 2000. Nell'episodio "Sex Record", la bella Sharon Kaugh viene portata via di peso dal supermacho Big Jim Slades (Manny Perry) lasciando solo e insoddisfatto il povero Jack Baker, futuro hardista, anche famoso, star con Jamie Gillis di "New Wave Hookers" (1985) feautering la nostra/vostra/loro Traci Lords. Non dimenticate però "Tunnel Vision" e il film gemello "Donne Amazzoni sulla Luna", ma già ne parlammo.
Buona visione.

Lista degli sketch ed episodi:
  1. 11 O'Clock News (Part 1) (:04)
  2. Argon Oil (1:13)
  3. A.M. Today (6:05)
  4. His New Car (:24)
  5. Catholic High School Girls in Trouble (2:00)
  6. See You Next Wednesday in Feel-a-Round (4:52)
  7. Nytex P.M. (:35)
  8. High Adventure (3:01)
  9. 11 O'Clock News (Part 2) (:05)
  10. Headache Clinic (:40)
  11. Household Odors (:40)
  12. The Wonderful World of Sex (4:55)
  13. A Fistful of Yen (31:34)
  14. Willer Beer (:58)
  15. 11 O'Clock News (Part 3) (:05)
  16. Scot Free (:58)
  17. That’s Armageddon (2:17)
  18. United Appeal for the Dead (1:42)
  19. "Courtroom" (Part 1) (4:35)
  20. Nesson Oil (:14)
  21. "Courtroom" (Part 2) (3:02)
  22. Cleopatra Schwartz (1:24)
  23. Zinc Oxide and You (1:59)
  24. "Danger Seekers" (1:02)
  25. Eyewitness News (4:24)
  26. 11 O'Clock News (Part 4) (:09)
Belushi

martedì 17 aprile 2012

Insan avcisi - Cuore di padre (Due Vite violente)

3

Come forse Belushi si sarà accorto, ho sempre avuto un certo interesse per alcuni titoli di un certo residuale “culto” e non solo autoctono, per gli appassionati più fanatici e “speleologi”, dei più profondi anfratti e recessi della produzione filmica di “genere” e più apertamente “exploitation”, ellenica e turca, degli anni '70. Con ovvia predilezione per il poliziesco d'azione, genere nel quale i rispettivi filoni nazionali, hanno forse prodotto i risultati -in gran parte- più o meno involontariamente “seri”, o passabili.

Ho dunque visto questo film (il sottotitolo italiano “Cuore di padre”, è legato ovviamente ad un aspetto della trama, e fu stranamente mutuato addirittura dal titolo svedese [!])in una sala deserta di un torrido agosto penso del 1979 circa, in un mitico “pidocchietto” che già proiettava i primi film a luci rosse come si diceva all'epoca, il cinema Nuovo di non dico dove, quindi non è forse ancora così interessante come mi possa ricordare. E' un film poliziesco d'azione turco ovviamente degli anni '70, tornatomi alla memoria casualmente scorrendo la lista delle vecchissime vhs ex-nolo in vendita sul sito di, e vedendolo ivi raffigurato con il suo manifesto originale di quando lo vidi, sulla copertina di una video-archeologica cassetta da collezionisti, della mitologica CVR di Prato.

In breve, la trama per come la ricordi o possa rintracciare, tra le rarissime, brevi sinossi disponibili: La polizia turca decide di effettuare un “repulisti” dei trafficanti di droga con la collaborazione della polizia degli Stati Uniti (in quegli anni la Turchia era finita in una “lista nera” del Governo Americano dell'amministrazione Nixon, dei paesi che permettevano o comunque sfruttavano il narcotraffico, da cui si originarono in ritorsione turca all'azione americana fatti molto famosi e spiacevoli come quello di Billy Hayes, così ben narrato nel libro e poi nel film omonimo “Midnight Express” (Fuga di mezzanotte) ('G.B.'78) di Alan Parker), la quale invia un loro agente americano per operare in Turchia con un altro poliziotto del luogo, (Cuneyt Arkin, leggo su internet una delle star del cinema turco d'”exploitation” anni '70); l'americano però è in realtà uno sbirro sporco parte di questo business, con il quale realizza importanti introiti (americani in realtà corrotti e marci, contro il protagonista turco ovviamente integerrimo e incorruttibile). Quando egli lo rivela al suo capo, deve però invece restituire la pistola e il distintivo...... Da qui in poi il film diventa qualcosa come uno dei film d'azione più violenti che abbia mai visto, almeno in quel lontano periodo, e il nostro protagonista incomincerà a prendere -quando è appena più delicato- tutti a a calci in bocca, cominciando proprio dal suo superiore colluso! Si compra un fucile da caccia e dei “proiettili per uccidere i maiali”.

Ricordo ancora in proposito la conversazione tra lui e il venditore:

- "Questi proiettili sono per la caccia dei suini, che cosa hai intenzione di fare con un fucile così, da queste parti?" - "Ce ne sono ancora un po' in giro."

Mi ricordò all'epoca uno scambio di battute “hard-boiled” da film con Charles Bronson, allora furoreggianti.

3 violentissime scene che mi ricordi:

1) il nostro protagonista cattura uno dei “bad-guy” in questo hamam (o bagno turco, adesso si sa cosa vuol dire anche in Italia, purtroppo grazie ai filmetti di Ozpetek), lo imprigiona in una grossa cassa di legno, e quindi mette la cassa tra le fiamme. Il cattivo urla e impreca fino alla fine, mentre calcia dall'interno il box di legno, nel disperato tentativo di uscirne.

2) Sempre il nostro, acciuffa un altro dei cattivoni trafficanti, e lo appende per un piede ad un gancio di metallo di quelli da macellai, questi gli oscilla sopra da un argano. E sotto ha una discarica piena di vetri rotti di finestre, fino a che, calato sempre più dal nostro Bronson ottomano, la sua faccia rimane triturata dai vetri.

3) Infine, avviene la resa dei conti con il cattivissimo americano, il nostro Bronson turcomanno lo lega su un grande tronco, per azionare poi una enorme motosega da ceppi, con la quale non solo taglierà in due il lurido yankee, ma anche l'ancora più enorme ceppo.

Ironia della sorte, i cattivi uccideranno alla fine del film meno dell' anti -eroe protagonista, e sicuramente con metodi molto più semplici.

Napoleone Wilson