"In Australia, quando un aborigeno compie 16 anni, viene mandato nel deserto. Per mesi dovrà vivere solo col deserto. Dormire nel deserto. Mangiarne i frutti e la selvaggina. Sopravvivere. Anche se questo significa uccidere i suoi amici animali. Gli aborigeno lo chiamano (il ragazzo) Walkabout. Questa è la storia di un Walkabout".
Questo l'incipit che precede anche i titoli di testa. Ma come ci viene raccontata questa storia?
Due fratelli, una giovane e bella adolescente ed il suo fratellino piccolo, si ritrovano soli nel deserto australiano dopo che il padre, non si capisce se premeditatamente o a seguito di una follia momentanea, prima ha cercato di ucciderli e poi si è suicidato dandosi fuoco con la macchina...
I ragazzi, con una radio e pochissime provviste, iniziano un viaggio avventuroso e privo di speranze. La ragazza mostra lucidità e sangue freddo ma in realtà non sa dove andare. Il fortuito incontro con un Walkabout, che nonostante la giovane età sa dove e come procurarsi cibo e soprattutto acqua, li salverà. Alla fine... si resterà sconcertati, abbagliati da un finale tragico in tutti i sensi, per chi vivrà e per chi no.
Film decisamente psichedelico come solo negli anni '70 si poteva produrre.
Psichedelico è l'uso mostruoso che fa dell'obiettivo della camera Nicolas Roeg, che prima di fare il regista ha curato la fotografia in altri film. Soprattutto quando inizia il cammino nel deserto si vedono panorami da urlo distorti da macro, che zoomano in primi piani insospettabili su persone o, più spesso, animali invisibili prima, colori di fuoco e verdi smeraldo, persino qualche piano-sequenza ubriacante ed alcuni ralenty con reverse direzionale.
Virtuosismo di ripresa e montaggio spiazzante che fa il paio con lo sviluppo della storia (tratta da un romanzo) anche per i parallelismi narrativi che propone: il Walkabout smembra un canguro e in sincopato si vede un macellaio che fa la medesima cosa; il Walkabout comincia a prendersi una cotta per la ragazza ed un gruppo di meteorologi bianchi sono più alle prese a fare il filo all'unica donna del gruppo che a svolgere il loro lavoro; mentre il Walkabout è a caccia compaiono all'improvviso cacciatori bianchi in jeep e fucile che fanno massacri di bestie, cosa che lo sconvolge e lo porta ad odiare i bianchi e, temporaneamente, anche la ragazza.
E' un continuo sussultare, in simbolismo di chiarezza cristallina, che m'è piaciuto moltissimo.
Evidente il confronto tra la violenza compiuta da chi deve sopravvivere e quella compiuta senza necessità, tra una cultura che prevede un rapporto armonico con la natura ed una che vede la natura creata al servizio dell'uomo il quale quindi si sente autorizzato a prevaricarla.
Ci avrei ascoltato bene delle musiche dei Pink Floyd o dei Penguin Café Orchestra, per gusto personale. Invece le musiche, ottimamente ed opportunamente, sono dodecafonico-tribali all'inizio, nonostante inquadrino una metropoli modernissima. Poi diventano delle canzoncine per l'infanzia durante l'inizio del viaggio dei due ragazzi, con dei ritornelli che evidenziano la loro solitudine (ottimo che i sottotitoli traducano anche le canzoni). Diventano delle melodie quasi sinfoniche quando le immagini riproducono la vita selvaggia nel deserto. Poi il finale.
Attenzione ad un paio di cose, che ho scoperto leggendo a destra e a manca e che potrebbero sconvolgere qualcuno. Cose certamente impossibili oggi, per motivi noti.
Il film sposa, per l'aborigeno, una scelta di realismo totale. Le scene di caccia del Walkabout sono tutte reali nel senso che gli animali davvero vengono uccisi.
L'attrice Jenny Agutter, splendida protagonista, quando ha girato il film aveva solo 16 anni (il film poi uscì che ne aveva 18). E' protagonista di non poche scene di nudo integrale, palesemente provocanti anche se mai volgari.
Imperdibile.
0 comments:
Posta un commento