lunedì 23 luglio 2012

Playtime (aka: Play Time) - Tempo di divertimento

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"Un altro capolavoro da un regista magistrale, e una satira troppo moderna per i tempi."

Nel cinema francese e non solo, Jacques Tati ("Trafic/Monsieur Hulot nel caos del traffico" il suo terzultimo film, "Mon Oncle", "Le Vacanze di Monsieur Hulot") occupa un posto unico. Un vero indipendente, regista meticoloso, Tati è come Chaplin meglio conosciuto per il suo personaggio di Monsieur Hulot, un laconico, un poco "stordito" francese che inciampa sula sua stessa strada, attraverso la Francia moderna. Un personaggio (e uomo), fuori dal tempo, grazie al quale Hulot torna al cinema muto: egli è un uomo come pochi oramai, e se le poche parole che pronuncia significano sempre qualcosa di buono e riflessivo, la sua presenza si traduce spesso in minori e, occasionalmente, importanti disastri per tutti coloro che sono intorno a lui. Tati ha sempre, utilizzato M. Hulot come veicolo di critica sociale o, come in questo capolavoro, “Playtime”, per caratterizzare ancora maggiormente il personaggio di M. Hulot, permettendogli di fare satira e umorismo sulla modernità per come ella si esprimeva nell'architettura, nel design delle città e nella vita urbana, a metà degli anni '60 in Francia. Realizzato con un approccio molto impegnativo per la composizione visiva come per quella auditiva e sonora , "Play Time" è il genere di film che ripaga ad ogni successiva visione, ognuna più divertente e visivamente appagante di quella precedente.

 




Tati trascorse quasi un decennio di lavoro sul progetto di questo film , successivamente a Mon Oncle”, La produzione durò tre anni, da ottobre 1964 al ottobre 1967, per la costruzione di un massiccio, costoso set alla periferia di Parigi soprannominato "Tativille." Il quale nell'intenzione doveva divenire uno stabile parco divertimenti, e che invece in seguito al fallimento commerciale del film e di Tati stesso, andò in rovina e abbandono così sopravvivendo fino ai primi anni '80.

Tati co-scrisse la sceneggiatura con Jacques Lagrange (Art Buchwald fornì ulteriori dialoghi in inglese). Nella prima delle sei, sequenze correlate di cui è composto il film, Tati introduce già profondamente il suo punto di vista estetico, stile visivo fatto di un ampissimo formato panoramico (il film fu girato in 70 mm), incentrato su di un gruppo di turisti americani all'aeroporto di Orly, e focalizzandosi principalmente su di una giovane donna americana, Barbara (Barbara Dennek).
La concezione di Tati dell'aeroporto Orly è come di una meraviglia dell'architettura moderna. Angoli retti e un colore grigio dominano e, a volte, schiacciano i personaggi che attraversano l'aeroporto, per poi salire su di un bus di attesa dove saranno trasportati al loro altrettanto moderno albergo. Hulot non appare subito. In un twist rispetto alle aspettative del pubblico, una donna chiama un uomo alto e allampanato, con indosso un trench e un cappello, ma che non è, infatti, Hulot.

Quando Hulot appare finalmente sullo schermo, ha il passo affrettato ed è appena sceso da un affollato autobus, davanti a un edificio in vetro e acciaio. Lui è lì per una riunione importante (non avremo mai a conoscere la natura della riunione). Perplesso, sia dal pavimento al soffitto vetrato come dalle porte, Hulot armeggia attorno sé a suo modo, prima nella hall, poi in una sala d'attesa murata come un bunker. Quando è finalmente accolto da un rappresentante della società, gli chiede di aspettarlo un attimo. Alla fine impaziente, Hulot tenta di seguire il rappresentante. Egli si perde rapidamente in un labirinto luminoso di cubi identici. E' un perfetto esempio degli effetti disumanizzanti della cultura aziendale, ma la critica di Tati si estende anche agli uniformi edifici in vetro e acciaio che hanno sostituito il paesaggio classico di Parigi. Hulot scivola in una fiera dell'elettronica dall'altra parte della strada, dove uomini d'affari e donne di classe medio-alta esprimono stupore per l'arredamento elegante e le moderne attrezzature, tra cui una porta insonorizzata e una scopa a batteria e con i fari, ogni marchingegno più lucido e meno utile di quello precedente.










Il viaggio circolare di Hulot continua come la notte cade su Parigi. Corre da un vecchio amico militare che, estasiato dall'incontrare un vecchio amico, trascina Hulot al suo nuovo, appartamento al piano terra. Dotato di pavimento al soffitto, finestre senza tende, l'appartamento assomiglia ai palazzi di uffici in vetro e acciaio incontrati nella prima parte della giornata. La scena successiva ci mostra Tati dall'altro lato della strada. Non si sente la conversazione tra i due uomini o della famiglia dell'uomo, solo i casuali rumori della strada ma come tutto il resto Hulot (e, per estensione, il pubblico) ha incontrato finora, il modernismo è mostrato come indissolubilmente legato al capitalismo e al consumismo. Ordine e simmetria dominano l'appartamento dell'uomo, ma lo fanno con freddezza e sterilità. Indifferente, ma immancabilmente cortese, Hulot compie finalmente la sua fuga.
 




La penultima sequenza sequenza segue la serata di apertura di un nuovo nightclub, il Royal Jardin. Anche se arrivano i primi clienti, la discoteca è rimasta ancora incompiuta. Forse per decoro, i clienti ignorano gli operai o il personale che si è tormentato nell'attesa, ma tra cui l'ordine regna sovrano. Ovunque come in Tativille, la discoteca incompiuta vacilla però sul bordo del caos. Tutto ciò che serve è una leggera spinta dal sempre presente Hulot per velocizzare ancor più e oltre i limiti i tempi già così frenetici. Anche in questo momento, però, Tati sovverte le aspettative del pubblico. Dove la farsa sembrava il più probabile risultato, Tati si tira indietro, invece di mostrarci gli abitanti di Tativille diventati più umani, di conseguenza, più simpatici. L'ultima, breve sequenza segue invece Hulot e i padroni della discoteca che come l'alba arriva si uniscono a Barbara e i suoi amici e conoscenti per l'aeroporto di Orly, chiudendo il cerchio narrativo e tematico.
 














Tati fece durare le riprese molto a lungo, riprendendo con un focale lunga, e in un formato estremamente panoramico ogni immagine, ogni composizione con gag e battute aurali, come Robert Altman avrebbe cominciato a fare solamente due anni dopo con “M*A*S*H*”. Il film in sé ha poco “tempo di divertimento” e vero e proprio dialogo. Hulot parla come al solito raramente e quando lo fa, è spesso in secondo piano, dove non possiamo sentirlo chiaramente. Tati ha messo la maggior parte del dialogo in secondo piano perchè volle che i dialoghi tra i personaggi si sovrapponessero, spesso a diversi livelli o piani (per esempio, in primo piano, di mezzo, di sfondo). Il suo approccio, anche se in effetti non sempre, ha dei tempi di riproduzione, dei ritmi, che assomigliano a quelli di un film realizzato nel corso del periodo muto, ma le influenze di Tati comprendono anche, per esempio, il Jean Renoir, del celeberrimo La regola del gioco”, con la sua enfasi sui personaggi e il seguire simultaneamente le loro azioni. I personaggi, maggiori e minori, incrociano i loro percorsi con quelli degli altri, ignari di tutto ciò che non li riguarda direttamente. Qualunque destino Tati abbia potuto destinare loro, ogni personaggio si vede come il personaggio principale del proprio dramma (o commedia).









Purtroppo, “Play Time” fu un sonoro fallimento commerciale. I critici attribuirono la causa di ciò proprio alla mancanza di divertimento del film, oltre che a una rapida trasformazione culturale e sociale dell'ambiente francese all'alba del '68, nel periodo in cui il film fu concepito e poi venne effettivamente fatto uscire, e all'insistenza di Tati sulle rigide regole estetiche del film, come al tempo limitata di Hulot sullo schermo, rispetto alla spese sostenute nel costruire e mantenere Tativille, che alla fine portarono alla bancarotta Tati. Non sorprende dunque, che “Play Time” esista in molti diversi “cut” di varia lunghezza, tra cui uno restaurato di 126 minuti di montaggio, e un Director's cut di 155'. Per l'uscita americana ad esempio, “Play Time” venne modificato pesantemente e scorciato fino ad una versione di ca. 103 minuti. Questo montaggio corto comunque non aiutò il risultato di “Play Time” al botteghino degli Stati Uniti.
Tati avrebbe poi rispolverato il trench e il cappello di Hulot quattro anni dopo per un'ultima apparizione del suo celebre personaggio per "Trafic"(Monsieur Hulot nel caos del traffico), film ovviamente e per forza di cose molto meno ambizioso e costoso, ma anch'esso pressochè eccezionale. Purtroppo, a quanto pare da lui però non molto amato. In definitiva, con “Play Time” Tati fece davvero il film che voleva fare, libero da vincoli di bilancio o dei produttori e dalle loro interferenze, e per questo, almeno, dobbiamo essergli grati, soprattutto ora che "Play Time" dopo la già splendida edizione in dvd nel cofanetto del 2004 dedicatogli è dal 2009 disponibile in Blu-Ray, formato che questo film proprio merita, e che lo esalta al meglio, in una edizione davvero strepitosa ad opera della solita americana Criterion.

Bodil Awards Anno 1969 Ha Vinto il Bodil per il Miglior film europeo (Bedste europæiske film) a Jacques Tati (regista)

Il primo montaggio approntato durava 155 min. con l'intermezzo e la exit music. Questa versione venne curata dalla stesso Tati, come anche quella di 124 minuti, la quale, come film più breve sembrava maggiormente redditizia (Tati era in difficoltà finanziarie a causa del non riuscito progetto del seguito di Mio Zio”(Mon Oncle) (1958) e del lungo periodo di riprese di “Play Time” (1967). Venne dunque approntata per l'uscita una maestosa edizione in 70 mm con 6 piste per la colonna sonora. Negli Stati Uniti il film venne distribuito con una durata di 93 min. e 1 Traccia di suono monoaurale. Altre versioni duravano tra i 108 e i120 min. e vennero stampate in 35 mm con 4 Tracce in audio stereo (quadrifonico). Nel corso degli anni la versione di 124' è diventata l'unica disponibile, in quanto le versioni più brevi sono stati mostrate in una più ampia -e quindi maggiormente sfruttata e usurante- circolazione. Nel 2001 il film è stato restaurato e mostrato nella sua versione originale dal montaggio di 124 min. al Festival di Cannes del 2002.

Per i mercati internazionali Tati creò una colonna sonora secondo la qaule sono stati doppiati alcuni dei dialoghi francesi in lingua inglese. La produzione del film si svolse da ottobre del 1964 all'ottobre del 1967. Le riprese iniziarono nell'aprile del 1965 principalmente su di un set chiamato "Tativille", dove 100 lavoratori edili costruirono due edifici di 11.700 metri quadrati di vetro, 38.700 metri quadrati di plastica, 31.500 metri quadrati di legno, e 486.000 metri quadrati di cemento.


Per tagliare i costi di produzione furono utilizzate delle sagome di cartone come comparse sullo sfondo. Per dare loro la vita alcuni extra umani interagirono con le sagome.

È stato aggiunto da Roger Ebert nella sua famosa lista dei "grandi film" aggiornata nel mese di agosto, del 2004.

Il fallimento del film al box office gettò Tati in una posizione fortemente debitoria per i successivi dieci anni.

L'elaborato insieme di Tativille ha avuto le sue strade, gli impianti elettrici e, in uno degli edifici per uffici - un ascensore perfettamente funzionante.
La scena del ristorante dura 45 minuti complessivi.
Napoleone Wilson


8 commenti:

  1. Capolavoro. Tati in bancarotta, il genio non paga.

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  2. Non ci sono aggettivi... La scena del ristorante mi ha ricordato Hollywood party

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  3. A me ha fatto ridere parecchio. Già in aeroporto quando la voce sexy dell'altoparlante diventa una hostess in carne e ossa che parla tutta ammiccante. Al ristorante poi...

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  4. bravo Napoleone, più che una recensione è un'atto d'amore. Questo forse è il mio preferito di Tati, uno dei pochi geni dell'arte cinematografica.Ogni volta che lo riguardo rimango sempre incantato come fosse la prima volta. La parte del ristorante è una qualcosa di strabiliante. Mai visto un piano sequenza così complesso e pieno di avvenimenti...

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    1. Grazie Bradipo..., per gli apprezzamenti sulla recensione, ma perché davvero Roby l'avete letta?

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