martedì 21 febbraio 2012

Cesare deve morire

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I Fratelli Taviani, che oramai apparivano da tempo buoni unicamente per le celebrazioni del loro cinema passato, hanno sorpreso un po' tutti, prendendo la logora idea di riprendere del teatro carcerario e modellarlo in una forma anche molto attraente, ma in realtà molto curata e approfondita, niente affatto superficiale, camuffandola da semi-documentario, intitolato “Cesare deve morire”, con il quale hanno addirittura vinto il recente Orso d'Oro al Festival di Berlino. "Semi", perché ogni singola riga del film appare accuratamente studiata, tra digressioni personali, pur se i detenuti e le loro incarcerazioni sono molto reali. La messa in scena della notissima tragedia di Shakespeare "Giulio Cesare", recitata come dicevo dai detenuti del carcere di Rebibbia a Roma, incarcerati a lunghe pene detentive anche per gravi reati legati alla criminalità organizzata, aggiunge quindi una notevole quantità di materiale extra-testuale, arricchendo notevolmente il contenuto del film, ma è incerto se i fratelli Taviani siano abbastanza chiari su ciò che tutti dovrebbero, o vorrebbero dire.< Il risultato è intrigante, a volte impressionante, ma la curiosità che potrebbe però derivarne, scaturita a breve termine dall'importante premio ricevuto (per il cinema italiano il più importante degli ultimi dieci anni, e a venti dall'ultimo Orso d'Oro, ricevuto nel 1991 per l'orrido “La Casa del sorriso” di Marco Ferreri), avrà solitamente soddisfazione soltanto nelle poche e limitatissime sale d'essai.

La sezione di alta sicurezza del carcere di Rebibbia di Roma - temporanea (o meno) ospita importanti mafiosi, assassini, trafficanti di droga, ecc., – e da anni allestisce al suo interno delle rappresentazioni teatrali. I Taviani, collaborando con Fabio Cavalli, direttore responsabile di queste messe in scena, mette in cantiere una versione di "Giulio Cesare" entro le mura del carcere, integrando alcune riflessioni dei detenuti, e riadattando l'opera per poter al meglio adattarsi ad alcuni concetti e riflessioni esistenziali espresse dai detenuti, permettendo inoltre agli uomini di Rebibbia di adattare la traduzione in italiano nei loro propri dialetti.

L'inizio e la fine del film, a colori, mostrano frammenti della produzione dal palcoscenico allestito, alla realtà con il pubblico, mentre la maggior parte, girata in un suggestivo bianco e nero, si muove tutta dentro il carcere comprendendo scene delle prove e delle reazioni dei detenuti. Anche se i Taviani vorrebbero sottolineare il pathos della carcerazione, la loro decisione di utilizzare locali carcerari diversi dalle celle diminuisce il senso di uno spazio restrittivo, mentre in una delle scene finali con Bruto (Salvatore Striano) e Cassio (Cosimo Rega), essi sono sparati contro un cielo bianco, accompagnati dai suoni della natura. In una scena successiva, laddove i detenuti fanno ritorno alle loro celle, essa è studiata per apportare alla realtà una fotografia precisa e acuminata dei luoghi, ma l'immagine prima, di loro circondati da un firmamento senza limiti trasforma involontariamente le celle in un costrutto anch'esso teatrale.

Così come facciamo la conoscenza di Striano, che era stato rilasciato nel 2006, tornando a Rebibbia appositamente per questa produzione (ha fatto il suo debutto come attore nel 2008 in "Gomorra" di Matteo Garrone). Ma anche se come attore egli è potente, il suo inserimento tra i detenuti che stanno realmente scontando le loro condanne, scuote dal presunto obiettivo dei Taviani, per forzare la realtà del film a contemplare questioni di libertà interiore ed esteriore, e l'umanità che rimane ineluttabile, anche se trattenuta da muri reali o metaforici.
In questo la rappresentazione del film è -solo parzialmente- riuscita. Nonostante la contemplazione faciliti la riflessione su di queste vite imprigionate, gli spettatori non possono ignorare il fatto che questi tipi non sono esattamente dei Jean Valjean, e sono in regime di massima sicurezza per un motivo. Si tratta di una nozione che fa sì di comprendere maggiormente come la possibilità di queste attività tetrali possa offrire per l'anima incarcerata un rifugio sicuro, pur tra varie contraddizioni, e il suo ruolo nella riabilitazione, che si sente comunque come molto reale e concreto. Ma qual'è lo spettatore che non colleghi certe cose, dopo aver visto i criminali condannati in scena su di una commedia che tratta dell'omicidio commesso da un traditore? Data la divulgazione dello stereotipo mafioso, c'è una strana sensazione che scaturisce dalle linee di dialogo del dramma shakesperiano, la quale fa sì che battute e parole contenenti "l'onore", generino reazioni indesiderate più pendenti verso la commedia involontaria, che il dramma.

Ci sono momenti, quando gli uomini detenuti reagiscono ai concetti espressi e contenuti nella tragedia messa in atto, e insiti nell'opera come nelle loro vite, che si sente un pò troppo il copione, i ragazzi e gli uomini di Rebibbia probabilmente avranno anche ripetuto le loro battute in presa diretta e una volta sola, ma a volte la loro evidente ripetizione per la cinepresa, è stridente per la mancanza di spontaneità, e in contrasto con quelli che dovrebbero essere stati gli intenti del film. Senza dubbio il film stesso funziona meglio in tutte quelle sue parti in cui deve essere maggiormente aderente all'opera di Shakespeare. Per la maggior parte, le modifiche apportate alla stessa tragedia Shakespeare (anche a causa della traduzione italiana) mantengono comunque la concezione del Bardo dei caratteri e dei personaggi, ma l'uso dei dialetti può essere realmente sorprendente per delle orecchie abituate all'acutezza aspra e brusca dei dialoghi di questa famosissima tragedia. Quando Decio (Juan Dario Bonetti) dice, "fresco, fresco, questa mattina", suona più come un venditore ambulante di uova ai mercati generali di Roma, che le declamazioni di un generale romano. Mentre invece alcuni interventi sembrano essere passati attraverso una certa “distrazione” del doppiaggio, in post-produzione.

E' innegabile che praticamente tutti gli uomini di Rebibbia rendano giustizia ai loro ruoli, ma la reale sorpresa è il Cesare impersonato da Giovanni Arcuri. Il suo fisico possente, il contegno espressivo che ben padroneggia, la palpabile presenza e la facilità con cui declama le sue battute, dovrebbero far valutare ai Fratelli Taviani quanto egli abbia fatto guadagnare all'intero film, e come esso sarebbe stato senza la sua partecipazione, oltre a pensare di poterlo lanciare ancora in ruoli futuri.

Le riprese di Simone Zampagni, l'assistente dell'operatore dei Taviani nei loro lavori più recenti, impagina il tutto crudamente e in bel bianco e nero, semplice e memorabile, anche se alcuni potrebbero trovare che le immagini portino in sè un loro contenuto "arty", il quale mostri le sue credenziali di un po' troppo consapevolmente. Mentre la musica è generalmente ridotta al minimo, c'è una ripetizione di un triste tema in alto sassofono che ben trasmette la sfortuna dei protagonisti, e la canzone "Roma, città senza vergogna" fa guadagnare ancora qualcosa al film.
Napoleone Wilson


16 commenti:

  1. sai Napoleone? la tua rece m'ha scoglionato parecchio gli entusiasmi... e pensare che l'argomento m'intriga parecchio. allora permettimi intanto di ricordare ai più questa piccola perla (secondo me lo è): Tutta colpa di Giuda.

    per pure casualità il prossimo docufilm che devo recensire, di Faccini, è ambientato in un carcere minorile.

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  2. Non sapevo che t'era tanto piaciuto "La Casa del sorriso'', dalla rece dell'anno scorso. Immagino come avrai gradito il mio giudizio poco elogiativo del film di Ferreri. Sorry

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  3. eh ma figurati! i gusti son gusti, caro Napoleone, non ci sono problemi :)
    e di "Tutta di colpa di Giuda" che mi dici?

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  4. per chiarire, m'è venuto il dubbio che nell'usare un'espressione colorita potessi essere frainteso. lo "scoglionamento" non è dovuto alla tua rece, anzi, notevole come sempre. è nei difetti, piccoli o grandi che citi, dove ho odorato quelle cose che mi danno un fastidio tremendo, come dire, la "falsa finzione". in mezzo a tanta qualità, che pure descrivi, forse a me, per come vedo il Cinema in questo tipo di contesti, potrebbero apparire più grandi. e lo dico nonostante un credito da me sempre dato al buio ai Taviani

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  5. Spero di vederlo presto. Anzi, spero... di riuscire a vederlo! Come ha detto Napoleone di sicuro uscirà in dieci sale in tutta Italia (sigh!). Anche io da quello che ho letto ho subito pensato a 'Tutta colpa di Giuda' (che mi era piaciuto parecchio). Questo, da quello che ho capito, è molto più 'documentaristico'. Comunque sono contento 'a prescindere' per i Taviani, finalmente tornati agli onori delle cronache. C'era anche chi li dava per morti (nel senso letterale del termine). Onore a due 'toscanacci' ottuagenari che esportano nel mondo l'Italia migliore!

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  6. ah Kelvin, su questo guarda non si discute proprio... AVERNE DI TAVIANI. sono più ottimista, l'Orso D'Oro ha avuto molta risonanza ho visto, anche nei telegiornalacci che abbiamo, forse le sale saranno di più.

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  7. Ma possibile che si debba in un modo o nell'altro svilire o (peggio!) denigrare quello che -palesemente- non si capisce?
    Cioè, passi il de gustibus (non vorrei tornare su questo argomento, per carità, ognuno segue la propria indole), ma veder giudicare "orrido" "La casa del sorriso" da qualcuno che neanche troppo velatamente cerca di nobilitare le cagate di Darione (leggi difendere l'indifendibile), semplicemente lascia interdetti.
    Insomma, come dicono dalle mie parti:
    Ce la vogliamo misurare la palla, ogni tanto?

    D.M.

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  8. Domenico, s'è anche scusato Napoleone... non bisticciamo dai, il cinema è sempre opinabile. Poi non sta affatto "nobilitando", anzi se leggi le rece delle porcherie che ha fatto il Darione direi che ci va giù duro senza mezzi termini. non faccio l'avvocato eh! parlo a onor del vero.

    m'incuriosisce il detto: ma di dove sei? se me l'hai detto non ricordo. toscana?

    ciao

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  9. Mi sa che a scusarmi dovrei essere io, davvero.
    A volte finisco col sembrare acido ma me ne rendo conto sempre tardi. :(
    E' solo che il mio essere relativista fino al midollo si concilia molto male con l'ecumenicità che spesso Napoleone sciorina nelle sue recensioni.
    Vorrei comunque fosse ben chiaro che considero le discussioni (anche le più infuocate) non un pretesto per attacchi personali, ma anzi un modo (probabilmente fra i migliori) di arricchire ed arricchirsi vicendevolmente.
    Poi vabè, mi piace provocare, oramai l'avrai capito. =)
    Limite mio, ovviamente (e pensa che ho studiato da diplomatico!).
    Lungi da me, quindi, aspettarmi scuse da qualcuno che ha l'unico torto di avere idee diverse. E' una cosa che non esiste, proprio non è nelle mie corde, semplicemente perchè mai e poi mai potrei sentirmi offeso nel discutere di Arte. Ambito che è -e non può non essere- fonte di armonia, a prescindere dalle opinioni, ci mancherebbe.
    Poi vabè, per me l'opera di Argento, almeno da un vent'anni a questa parte, non merita la benchè minima considerazione, nemmeno un trafiletto. Figuriamoci i dettagliatissimo papelli di cui -non so con quale spirito di abnegazione- si fa carico il buon Nap. (e da cui si evince, innegabilmente, se non un amore ancora fervido, almeno l'affetto che si nutre per una passione ormai sfiorita).
    Io personalmente mi limito a far finta che Darione sia morto nei primi '90, o giù di lì. Pace all'anima sua, genio annesso.
    Spero tanto d'aver chiarito sufficientemente la mia posizione in merito.
    A presto!

    D.M.

    p.s.
    Naturalmente sono campano. Casertano di nascita e naturalizzato napoletano. Con tutti -ma proprio tutti, eh- i pro ed i contro del caso.

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  10. Ah, perdonate i refusi qua e là.
    Non scrivo con l'ipod (ipad? Non saprei manco accenderlo, giuro!) ma ho la tastiera spastica.

    D.M.

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  11. campano??? io ho fierissime origini salernitane! siamo quasi paesani :)

    grazie, hai chiarito benissimo. mi fa proprio piacere anche perché Napoleone è veramente una punta di diamante in Italia. penso che un'amicizia, vista anche le tue indubbie competenze, anche se solo virtuale possa solo giovare.

    glielo chiesi: "perché fare le rece anche delle schifezze di Argento?" - risposta - "semplicemente perché una monografia è tale se è completa". punto. ha ragione. quella di Argento, in fase conclusiva, è la più completa monografia del web credo, grazie a lui.

    ti saluto con una buona anticipazione, sicuro che ti piacerà. domani, comincia lui e pure io ci farò qualche pezzo, cominciamo la monografia di Fellini, ancora vergognosamente assente da queste parti. non sarà in ordine cronologico, ma sarà completa anch'essa.

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  12. Conosco -modestamente- molto bene il cinema di Marco Ferreri, di cui ho visto quasi tutti i film e con il quale ebbi persino dei rapporti di casting in occasione de "Il Futuro è donna", niente di personale anzi, per essere una persona della cinematografia romana "d'adozione", era anche brava e onestamente diretta,e al quale come hai detto tu si può benissimo applicare purtroppo come per Argento, la nomea di un trafiletto o una righetta, per l'avvenuto trapasso artistico, proprio almeno dal 1984 del film che cito in testa. Mi dispiace ma è così, anche e soprattutto per il film "La Casa del sorriso", che fra quelli suoi diretti "senilmente", è il più noto e dal miglior riscontro generale -ma non da parte di tutti, per fortuna- grazie anche all'inopinatamente conferitogli massimo premio del festival berlinese di vent'anni fa. Ringrazio Roby, ma come lui ha scritto e adesso avrai anche tu sicuramente potuto avere la possibilità di renderti conto, leggendole, siamo praticamente d'accordo sul giudizio concernente il cinema e i film di Argento degli ultimi vent'anni (io dico quasi 18, da dopo "Trauma" del '93), e del quale come ho scritto, si salvano quasi completamente, solamente i due episodi diretti per le serie americane dei "Masters of Horror", nel '05/'06.
    non faccio sconti al falso Argento di bigiotteria contemporaneo, come dici anche te, ho sempre troppo rispetto e gratitudine per quello che era riuscito a darci/mi in un luminoso passato, per fargli anche uno "sfregio" d'ignavia e d'inettitudine come questo,nè alla sua come alla nostara intelligenza. Non mi chiamo Luigi Cozzi, non dipendo nè sono in affari con lui.
    "

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  13. Anonimo Dario campano, se vuoi divertirti davvero, vai allora a leggerti (su Film TV la ritrovi) la recensione della lei sì "cara amica argentiana", Giulia D'Agnolo Vallan, in occasione dell'anteprima al Festival di Toronto nel 2007 de "La Terza madre". Per la serie lì davvero, di "nobilitazione delle cagate, e difesa dell'indifendibile."
    Ma, a proposito poi di "Cesare deve morire?"

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  14. Buon film.
    Ecco la mia opinione: http://www.cinefilos.it/v2/tutto-film/recensioni/cesare-deve-morire-recensione.html

    Voi che ne pensate?

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  15. Ah, ma allora non fai sempre il "bastian-contrario".

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  16. bello e la tua rece, Napoleone, la condivido passo passo.
    invero, che si sia tornati a vincere l'Orso D'oro con questo film mi lascia un attimo perplesso. non voglio sminuirlo, e sono felice del premio, ma insomma... non è un capolavoro, diciamolo pure.

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