giovedì 4 aprile 2013

Banditi a Orgosolo

6

«Avevo sentito parlare dei documentari di De Seta come accade per i luoghi leggendari: qualcuno li aveva visti, nessuno sapeva dove. De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa. A New York all'inizio degli anni sessanta avevo visto Banditi a Orgosolo. Uno dei film più insoliti e straordinari».
(Martin Scorsese)

Nel 1954 l'antropologo Franco Cagnetta pubblica un saggio omonimo a cui Vittorio De Seta si ispirerà per realizzare questo film. Già per uno dei suoi cortometraggi intitolato Pastori di Orgosolo, del '58 affronta il tema della disamistade, ovvero le lotte tra famiglie rivali, dove spesso le faide originavano e si consumavano anche attraverso l'abigeato, il furto di bestiame. Questa pellicola si inserisce perfettamente tra i classici del Cinema neorealista. La trama è molto semplice: un pastore accusato ingiustamente di abigeato e omicidio di un carabiniere, perde il suo gregge nel tentativo di darsi alla macchia, per sfuggire ai carabinieri, visti come unico segno della presenza di uno stato straniero; alla fine, per non cadere in miseria finisce per diventare ciò che la giustizia italiana si aspetta da lui, ovvero un autentico ladro di bestiame.

Il soggetto ricorda il capolavoro di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette, del '48, vero e proprio manifesto del neorealismo cinematografico. Anche in quest'ultimo il protagonista è costretto a rubare per sopravvivere, ma l'ingiustizia è dovuta da un lato all'assenza di uno stato, dall'altro tutto parte da un furto originariamente subito direttamente dal protagonista. Alla fine non avviene nessuna condanna, il popolo assolve e nel popolo il personaggio di De Sica si dissolve. In Banditi a Orgosolo il personaggio di De Seta, anch'esso affiancato da un bambino – di fronte al quale l'adulto si sforza di non mostrare mai debolezza – deve i suoi guai alla presenza dello stato, che nelle regioni interne della Sardegna si manifesta attraverso drappelli di carabinieri, dall'accento straniero, in una ambientazione da film western (non a caso molti spaghetti western verranno girati negli stessi ambienti) in cui i pastori fanno la parte degli indiani. Michele (Michele Cossu), il protagonista, non subisce alcun furto, la sua ingiustizia consiste nel venire accusato di reati che non ha commesso, il suo stesso status sociale di pastore lo rende colpevole fino a prova contraria, contraddicendo di fatto il principio della presunzione di innocenza, privilegio che si concede ai cittadini di un popolo sovrano. Alla fine il dramma consiste nel diventare sul serio ciò che la giustizia straniera si aspetta da lui.

La fotografia di De Seta e Luciano Tovoli, in bianco e nero, è splendida, unita ai costumi ed agli scenari ha fatto ricordare a chi scrive addirittura gli odori dei luoghi; sensazioni dimenticate nei meandri dell'infanzia. Gli attori sono tutti autentici pastori sardi – peccato siano stati doppiati – scusate la banalità: Sarebbe stato molto meglio lasciare l'audio originale coi sottotitoli. Non sfugge una certa attenzione documentaristica; molto si deve alla conoscenza del mestiere da parte di chi recita, facendolo anche discretamente bene.

Un film, ma anche un pezzo di storia, un'occasione di riflessione sulle dinamiche scatenanti fenomeni come il banditismo e in un secondo momento i movimenti di lotta indipendentista nell'Isola. Basti pensare che solo cinque anni dopo la realizzazione di questa pellicola, dal 1966 al 1970 ci sarà una sollevazione dei pastori, stroncata dai baschi blu , inviati col solito pretesto della lotta al banditismo, verrebbe da pensare che i responsabili non conoscessero il film di De Seta. Andate al Cinema, non fate la guerra.

Giovanni Pili


6 commenti:

  1. Bellissimo. Dove hai trovato il manifesto di testa "L.150", che sembra fatto appunto da Mancu, che ora è abbastanza conosciuto internazionalmente come creatore di manifesti originali o cover quali, scelto da Tarantino stesso,per "Django Unchained". Peccato che la Sardegna, terra certamente così anche bella e di fascino, per interposta persona mi abbia riserbato la peggiore esperienza in assoluto della mia vita. Che mi ha fatto sfiorare davvero la riuscita e con gravi danni conseguenti tuttora presenti, di ciò che anche Kurosawa tentò, nel 1970.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cavoli quel manifesto l'ho trovato quasi per culo su google immagini.

      Che ti successe?

      Elimina
  2. una vera meraviglia, e sarebbe stato da Olimpo come "La terra trema", film col quale va accostato degnamente, se solo fosse appunto stato lasciato in dialetto. ma capisco le ragioni del doppiaggio, non lo biasimo troppo per questo...
    in verità il protagonista del tutto innocente non è, paga la reticenza alla quale per altro è di fatto costretto. ingiustamente, certo, perché non è il vero colpevole del furto dei maiali né dell'omicidio. intendiamoci, non difendo i carabinieri, ma al posto loro cos'avresti pensato? il messaggio è chiaro già dalla voce fuori campo, che spiega come in certi luoghi e culture, per una somma di fatti compreso l'esistenza solo opprimente dello stato, diventare fuorilegge è un attimo, persino quando non vorresti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo, anche per Ladri di biciclette, se io vedo uno che ruba una bici gli vado contro istintivamente. Il bello del neorealismo in generale è proprio l'invito a non fermarsi alla superficie, cercare di capire. Cosa che il popolino del film di De Sica ed i carabinieri di questo non possono fare.

      Elimina
  3. DE Seta ha anche diretto Storia di un Maestro,o un titolo simile,grandissimo sceneggiato poi ridimensionato in film con un maestoso Bruno Cirino,attore morto prematuramente.
    Questo film immmenso di sano e robusto realismo militante, fa parte di un vero filone nostrano, per me, il cinema sardegna.Pellicole da vedere assolutamente sono ad esempio Pelle di Bandito. Molto vicino a questa pellicola

    RispondiElimina