giovedì 25 aprile 2013

Roma città aperta

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Film del progetto "100 Film italiani da salvare".

Girata nell'immediato dopoguerra, questa pellicola ha potuto usufruire di scenografie, costumi e mezzi autentici e irripetibili; la fotografia cupa di Roberto Rossellini (diretta da Ubaldo Arata) contribuisce a dare drammaticità alle scene. I personaggi principali sono interpretati da due giganti del Cinema italiano: Aldo Fabrizi (don Pietro Pellegrini) e Anna Magnani ( Pina); solitamente ascrivibili alla commedia.

La trama parte lenta per poi accelerare dopo la scena storica della Magnani, che cade uccisa da una raffica di proiettili, correndo dietro al camion tedesco che trasporta dei prigionieri. Stiamo parlando – che ve lo diciamo a fare – di una delle scene più belle del Cinema di sempre. Da antologia anche la scena in cui don Pietro maledice i nazisti e poi prega in ginocchio davanti al corpo di un partigiano torturato a morte. Questi due personaggi si trovano quasi per caso ad essere coinvolti in una rete di ribelli che vogliono liberare la Roma occupata, dove la gente affamata assale i panifici di fronte alla rassegnata impotenza della polizia.
Il capo di questa rete di partigiani è Luigi Ferraris (Marcello Pagliero) e tra i suoi elementi c'è anche una ballerina della rivista, Marina Mari (Maria Michi) che lo tradirà rivelando il suo nascondiglio alla tedesca Ingrid (Giovanna Galletti) che raccoglie informazioni per i nazisti usando le sue “amiche”.


A parte la recitazione degli attori in divisa tutti gli altri – bambini compresi – hanno una performance davvero eccellente. E' rilevante come questo film riesca a conciliare fiction e documentario, come avviene negli odierni film d'inchiesta. Pensiamo a registi come Ken Loach, per esempio. Benché Roma città aperta sia molto più di un film-documentaristico. Con questo film Rossellini contribuisce a creare quell'insieme di pellicole che verrà definito “neorealismo”; il quale non ha confini certi – se non dopo i capolavori di Vittorio De Sica – in quanto non si tratta di una scuola cinematografica, bensì di un insieme di registi e autori accomunati dal comune intento di denunciare attraverso una attenta ricerca della realtà, anche attraverso l'uso di attori non professionisti.

Otto Preminger una volta disse che «la storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta». Ed è proprio grazie alla contingenza degli elementi storici e scenografici di cui parlavamo all'inizio che Rossellini riuscì a compiere il salto di qualità a cui sembrerebbe far riferimento il regista austriaco. Una analisi che si potrebbe condividere se completata citando il precedente capolavoro di Luchino Visconti, Ossessione, (1943) dove non a caso stava per essere scritturata Anna Magnani nella parte della protagonista. Se Visconti introduce novità come l'attribuzione di caratteristiche erotiche e sensuali ad un personaggio di sesso maschile e velatamente ci parla anche di omosessualità; Rossellini velatamente inserisce, in Marina Mari, un personaggio che fa uso di droghe; inoltre affronta il tema della tortura – con tutti i limiti imposti dalla decenza dell'epoca – senza risultare datato, anzi, oggi si potrebbero fare scene di tortura, semplicemente suggerendola, con poche immagini e facendo sentire solo le urla, proprio per andare oltre i cliché di genere e la semplice speculazione voyeuristica. Esattamente quel che fece Rossellini in questo film, quasi 70 anni fa.

Giovanni Pili


3 commenti:

  1. Da vedere assolutamente! E' proprio un pezzo fondamentale della storia del cinema!

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    1. Valentina diletta dagli occhi color di chiara ambra, che ripassasti da queste parti amene, perche' non favelli piu'...?

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