Il modo migliore per
scardinare quella visione dell'estetica cinematografica, così
morigerata e tutto sommato anche un po' antipatica, sulla quale
l'occidentale medio ha costruito le proprie categorie di riferimento,
sarebbe scoperchiare il calderone del trash prodotto nel paese del
Sol Levante. Cosa che per fortuna non avviene, se non per
leggerissime gradazioni, tutte confinate nella sicurezza delle alcove
di gusto, delle nicchie virtuali, delle cartelle più segrete che noi
spettatori conserviamo nei cassetti della nostra percezione. E che lì
restano, stimolando la fantasia di un cinema dell'estremo che solo
con grande difficoltà potrebbe un giorno essere sdoganato sulle
antiche coste europee. Sexual Parasite: Pussy Killer,
traslitterazione anglofona dell'impronunciabile Kiseichuu: kiraa
pusshii, è infatti un prototipo abbastanza fedele di quel modo
di pensare, più che di fare, il cinema, e che in un certo senso
spinge le idee dell'asiatico in direzioni diametralmente
centrifughe non solo rispetto alle nostre, ma soprattutto rispetto a
un concetto di genere che, qui da noi, dev'essere chiaro, preciso e
ai più decodificabile.
Takao Nakano (Big
Tits Zombie), specializzato come molti coevi in
produzioni pinku eiga, non si fa problemi di coerenza né di
logicità, e struttura la sua sinfonia dell'assurdo come un
pasticciaccio escrementizio a base di salivazioni, fluidi
lubrificanti, vomito e strane secrezioni gelatinose, tra le quali si
incastonano i germi di una trama risicata ma divertente. Il film
inizia con un improbabile team di ricercatori alle prese con una
rarissima specie di parassita dentato e serpentiforme, che una volta
recuperato da un lavacro amazzonico, si infila nella vagina della
bella e occhialuta Sayoko (Yumi Yoshiyuki). Non credendo alle
funeste profezie di un saggio stregone della giungla, che vede nella
creatura una rappresentazione di un qualche demone fluviale, il duo
così contaminato ritorna in patria, permettendo alla creatura di
crescere dentro il corpo della giovane fino a quando il marito,
esasperato e sconvolto dalla situazione, non chiude la consorte nella
cella frigorifera. Tutto è sotto controllo, ma ecco che qualche
tempo più tardi la macabra prigione sarà violata da un gruppuscolo
di cinque sgallettati di città che, in panne con la macchina, si
rifugiano in questo cottage tranquillo e sperduto in mezzo ai boschi
per spassarsela. Il parassita così liberato si potrà infatti
riprodurre ovulando delle disgustose sanguisughe rossicce che, avvolte
in un liquido amniotico e oleoso, abbandoneranno il corpo
dell'ospite madre per ritrovare nell'acqua il proprio habitat
originario, e utilizzarla come veicolo per inerpicarsi negli
orifizi indifesi delle vittime (una delle quali, Natsumi Mitsu,
avrà la geniale idea di fare il bagno). Ma poi l'entità immonda,
una volta adattatasi all'utero del proprio bersaglio, diventa un
serpentone bruttissimo e verdastro, che scatenando non meglio
precisabili reazioni ormonali, costringe il corpo infestato ad avere
rapporti sessuali con il primo che capita, in modo da tranciargli il
pene durante il coito.
Il film di Takao
Nakano si trasforma presto in un tripudio barocco di evirazioni,
sventramenti e sesso gratuito, epici combattimenti corpo a corpo in
salsa cripto-saffica, frizionamenti di sangue, muchi e spume
schifose, defecazioni di parassiti e penetrazioni. Il clou lo si
raggiunge quando la stupenda Ryoko (Sakurako Kaoru) si veste
come Lara Croft, bandana, mutande e canottiera, coltelli e pistole
appese alle cosce e alla cintola con tanto di nastro adesivo; la
bella si getta nella rissa, pesta, accoltella e massacra, uscendone
chiaramente vittoriosa dopo aver strangolato la rivale con le sue
stesse intestina e averne bruciato il mostro con i cavi della
corrente. Sexual Parasite parrebbe la scanzonata
parodia del ben più serio Il demone sotto la pelle, o
almeno è a questo modello putativo che qualcuno lo ha associato (per
non parlare del remake mai dichiarato, Denti, di
Mitchell Lichtenstein);
ma in realtà la cultura cinefila del suo sgangherato regista
parrebbe rifarsi piuttosto a una misconosciuta pellicola di Douglas
McKeown, Deadly Spawn (1983), un epigono di Alien
che ne modella tanto le creature quanto la conclusione. Ma Takao
Nakano si dimostra anche fine conoscitore delle italiche glorie,
tanto che non rinuncia al brano Deep
Down, che a suo tempo scandì il ritmo di Diabolik
(1968) di Mario Bava e che qui è citato in una scena di
ebbrezza collettiva, tra striptease, tettone e culetti nipponici
superdotati. Sia chiaro, sono soltanto suggestioni, perché di
“nostrano” l'abile mestierante giapponese non conserva pressoché
nulla, confezionando un cinema diversissimo dalla nostra capacità di
accettazione e inserendosi allora in quel solco dell'immaginario
tracciato da ben altro vomere: per intenderci, quello dei vari Noboru
Iguchi (Zombie Ass: Toilet of the Dead) o Yoshihiro
Nishimura (Tokyo Girl Police).
oddio... povero napoleone qua! :D
RispondiEliminavero spasso di film, grazie per la rece
Non è "Tokyo Gore Police"?
RispondiEliminano no, quello è qua:
RispondiEliminahttp://robydickfilms.blogspot.it/2010/04/tokyo-gore-police.html