Di fronte a un talento
manifesto come quello di Ho-Cheung Pang, regista di Hong Kong
qui da noi pressoché sconosciuto, rimosso e rigorosamente non
distribuito, persino le nostre più integerrime punte di diamante si
sentirebbero piccole e inutili. È talmente bravo, il nostro, che non
soltanto costituisce una ventata di freschezza in un cinema di genere
spesso omologato (sempre che abbia ancora senso utilizzare questo
termine per riferirsi alla post-modernità), ma riesce addirittura,
seppur indirettamente, a mostrare la sostanziale incomunicabilità
tra la nostra cultura e la sua. O la loro, cioè quella dei tanti
musi gialli che sulle coste nostrane sembrano tutti uguali, che al
cinema paiono tutti uguali, ma che in realtà, se messi alla prova,
stupiscono per l'innovazione delle loro pellicole, per il vigore
delle loro idee, per la riforma radicale che in qualche modo riescono
a comunicare attraverso un atteggiamento estetico come minimo
particolarissimo.
Ciò che colpisce di questo cinema è innanzitutto la capacità di estremizzare ogni fronzolo della rappresentazione, di trasmutare la regolarità in eccesso barocco, di ricalcare quanto altrimenti sarebbe stato comprensibile anche senza ulteriori sottolineature: ciononostante la perfezione registica di questo Dream Home (da non confondersi con il quasi omonimo Dream House di Jim Sheridan) è talmente sofisticata da permettersi l'ingresso a pieno merito nell'empireo dei magnifici, così dettagliata sotto il profilo concettuale da trasformare una pellicola in buona sostanza fastosa e ridondante in una perla regolarissima e ben intagliata. Merito di questo mestierante, che tra l'altro ha all'attivo diversi titoli romance, tra cui Love in a Puff (2010) e Love in the Buff (2012), nonché alcune dark comedy come Exodus (2007) e Vulgaria (2012), è forse l'aver saputo inscenare una riflessione lucidissima, e proprio per questo inquietante, sulla crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l'intera economia mondiale.
La protagonista è
infatti Cheng-Lai Sheung (Josie Ho), bella come una bambola di
porcellana e troppo perfettina per essere normale, che senza mai
perdere la calma, né scompigliarsi l'ordinata pettinatura, vende
ambigui prodotti finanziari per telefono. Viene da una famiglia
difficile, è cresciuta in un brutto quartiere malfamato prima che
venisse sfrattata da alcune grandi aziende edilizie interessate ad
abbattere il rione per costruirci degli eleganti complessi
residenziali. Ha però un grande sogno, che accarezza giorno per
giorno, nutrendolo con le più astruse aspettative e trasformandolo,
forse senza nemmeno averne coscienza, in un'ossessione emotiva e
affettiva a cui è impossibile resistere: comprare uno spazioso (e
costosissimo) appartamento con vista mare, esattamente ciò che da
bambina aveva promesso prima al nonno, poi alla madre, ma che
purtroppo morirono prima che la ragazza potesse anche solo cominciare
a risparmiare il denaro necessario. Lai è però decisissima, e
niente le farà cambiare idea, nemmeno quando gli anziani proprietari
di uno stupendo appartamento su Victoria Harbour decidono di rompere
l'accordo siglato con la donna e di non vendere più. Quella stessa notte, però, Lai penetra in un grattacielo del centro, massacrando undici persone apparentemente senza motivo...
Dream Home
si divide in due grandi poli, costantemente correlati l'uno
all'altro, e che anzi si intersecano in numerosi momenti, lasciando
dapprima basito lo spettatore, ma finendo quindi per comporre un
puzzle del grottesco assolutamente coerente e, perché no, persino
profondo. Da un lato, seguiamo la quotidianità di questa giovane
donna, il suo passato, i problemi di tutti i giorni, il rapporto
sentimentale con un uomo ammogliato che la utilizza soltanto come un
materasso d'albergo alla fine del lavoro. Dall'altro, in ordine
cronologico sfasato, fatto di pezzi che si incastrano in
efficacissime prolessi, di continui ribaltamenti di prospettiva, la
vita notturna di Lai, che vestita di tuta, cappello e “attrezzi da
lavoro”, seleziona le proprie vittime, e le massacra seguendo
gli estri più fantasiosi e malati a cui Ho-Cheung Pang è
riuscito a pensare: il custode viene strangolato con una fascetta, e
nel tentativo di rimuoverla con un taglierino si squarcia da solo la
carotide. Allora è la volta di una donna incinta, sbattuta a terra e
costretta ad abortire, e soffocata da un sacchetto di plastica a cui
viene succhiata l'aria per mezzo di una aspirapolvere. A una
prostituta viene fracassata la testa contro un cesso, a uno
spacciatore vengono estratte le budella, segate le dita, piantato un
proiettile in bocca. Un suo amico viene sventrato a coltellate,
castrato e il pene reciso gettato accanto all'amante, che subito dopo
è impalata con una doga di un letto, e così via. Si potrebbe andare
avanti ancora, ma si priverebbe il fruitore del piacere della
pellicola, che per l'intero suo minutaggio riesce a stupire, a
sfrangiarsi in mille gradazioni, a insaporirsi con le forme di una
violenza capace di disturbare, divertire, ma anche e soprattutto di
far riflettere su ciò che è ormai la società. E per quanto questo
geniale mestierante hongkonghese non si faccia mancare nulla,
mostrando, esibendo, rimarcando con tutta la verve creativa possibile
immaginabile, il suo film non è mai un eccesso di cattivo gusto; e
persino quando potrebbe esserlo (il ragazzetto sbudellato che si fuma
una canna prima di morire, guardando ormai tranquillo le proprie
intestina sparpagliate), il bravo Ho-Cheung Pang costruisce comunque un'opera efficace e bisognosa forse di più
letture e interpretazioni. In una società incerta, fatta di
capitalismo finanziario, spostamenti di denaro e crisi striscianti,
ciò che resta all'individuo è forse e soltanto la normalizzazione
della follia, l'unico elemento capace di dare un senso a ciò che
ormai dipende per intero dai flussi di mercato.
appena terminato... veramente un pugno allo stomaco questo film, fantastico! 'rcocane, che spoilerone che c'è però... ;)
RispondiEliminaper certi aspetti, mi ha ricordato "la fata carabina", romanzo di Pennac, nel pretesto
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaComunque cercherò di contenermi di più nelle prossime recensioni ah ah :-) Non ho mai letto La fata carabina, ma dalla trama mi intriga e quindi è probabile che lo inserisca nelle mie prossime letture :-)
RispondiEliminaleggilo la fata, è molto divertente...
RispondiEliminaammetto che evitare lo spoiler non era semplice, anche perché già il titolo... però non si sa mai :)
Ecco, a scanso di equivoci, testo modificato :-)
RispondiEliminaPer coincidenza visto proprio oggi, bellissimo, evocativo e maturo, visivamente stupendo, dolorosissimo e feroce :-)
RispondiElimina