Basato su un romanzo di Roberto Alaimo, “E' stato il figlio” (2012), è l'esordio da regista di Daniele Ciprì senza più Franco Maresco, -con il quale aveva formato per decenni il celebre “duo” di “Cinico Tv” su Raitre, e da “Lo Zio di Brooklyn” (1995) in poi, per alcuni film sempre molto discussi, di rara iconoclastia e “scandalosa” carica distruttiva, e che già si è rifatto un suo nome come direttore della fotografia di lavori diretti da registi acclamati e sempre sulla cresta dell'onda come il tal Marco Bellocchio – al quale conferisce un aspetto visivamente fantasioso per questo suo primo film da unico regista, utilizzando un elegante lucentezza, simile alla maniera dei primi film di Jean-Pierre Jeunet. Purtroppo però, “E' stato il Figlio” ha anche dei profondi problemi il cui principale si potrebbe dire che risiede nella sua mancanza di registro tra i rispettivi toni del film.
Un uomo vecchio e solo (Alfredo Castro, il super depressivo e bravissimo attore cileno lanciato dal trittico “politico” di Pablo Larràin, “Tony Manero” [2008], “Post Mortem-Santiago '73” [2010], “No” [2012]) si trova in un ufficio postale con un sacchetto di plastica aspettando il suo turno. Mentre si siede, racconta delle storie. Una storia in particolare sembra ossessionarlo, quello della famiglia Ciraulo. Una storia da raccontare con una mano sulla bocca, ovvero dell'esistenza umana in un luogo dei più fatiscenti nella periferia già altamente degradata di suo proprio, della città di Palermo, nella beneamata/odiata Sicilia. In cui una famiglia è governata da Nicola (Toni Servillo), che lavora duramente per tutta una vita di sacrifici e ha come unico e occasionale piacere quello di prendere la moglie, Loredana (Giselda Volodi), l'amata figlia Serenella (Alessia Zammitti), e il figlio ritardato Tancredi (Fabrizio Falco) e andare tutti insieme al mare, compresi i suoi anziani genitori che vivono anch'essi con loro.
La famiglia sembra essere sempre unita, anche se la televisione non funziona e, occasionalmente, il consiglio comunale fa chiudere l'acqua per nessun motivo particolare. La tragedia irrompe quando la figlia viene uccisa nel corso di un regolamento di conti della mafia e un colpo vagante la colpisce , mentre la famiglia viene poi lasciata sola nel suo sconvolgente dolore. Ma Giovanni (Giuseppe Vitale), un compagno di lavoro di Nicola, gli dice che egli può richiedere un risarcimento, come il parente in lutto di una vittima della mafia. Assicurato l'arrivo di una notevole quantità di denaro, la famiglia comincia ad indebitarsi e quando il denaro non arriva, Nicola pone il suo cuore sull'acquisto di una Mercedes.
Iniziando come una commedia con personaggi dalla vita urlata come fossero di un'opera comica all'acido prussico più che debitrice e richiamante il già tanto citato “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) di Ettore Scola, “E' stato il Figlio” di Daniele Ciprì colpisce per la sua improvvisa svolta tragica con la morte di Serenella, solo per tornare rapidamente alla battute sulle persone obese e gli avvocati con la forfora. C'è qualcosa di programmaticamente volgare, come ben riconosciamo così adusi ed abituati da anni di “Cinico Tv” e dai precedenti corrosivi film del duo, in questo ridere della volgarità irrisolvibile nell'Italia del 2012, anche quando si tratta di Mercedes. La figlia è scomparsa dai loro (e del regista) pensieri quasi interamente. La sua morte è fatalisticamente data di fatto come uno di quei stratagemmi delle strutture narrative a spirale, che sono una scorciatoia cinematografica per il presentarsi di uno schiacciante dolore, più o meno è così anche qui, ma con in più un'aggiunta di agghiacciante e nichilistica ironia.
L'acquisto della Mercedes è l'occasione per ridere a denti stretti e masticando veramente amaro della cupidigia di Nicola, ma qui non vi è solo una solita pleonastica e banalizzante satira sui pericoli del materialismo. Vi sono innanzitutto degli attori che ci offrono tutti delle necessariamente grandi interpretazioni, e Toni Servillo è come sempre stato magistrale nella sua prestazione, la quale forse sarebbe dovuta essere premiata, a Venezia, ma ciò nonostante purtroppo rimane una certa prevedibilità nei pretesi sorprendenti rivolgimenti del film, e la sua incisività ne risulta abbastanza irrilevante, oltre che con una certa incoerenza su quel che vorrebbe dire.
La parte migliore del film comunque è la prima, dove Ciprì ci fa incontrare quest'uomo di mezza età, di nome Busu, che sta aspettando il suo turno presso l'ufficio postale. Ciprì ce lo presenta bene anche grazie alla bravura di Alfredo Castro, perso nei suoi pensieri, sigillato nel suo universo privato, ma invece ancora pieno di storie non raccontate, delle quali è apparentemente a conoscenza solamente lui, ben felice però di condividerle con chi capiti di essergli seduto accanto.
La più memorabile - probabilmente perché l'ha raccontata con più fervore – dovrebbe appunto essere il racconto dei Ciraulo, questa famiglia povera di Palermo la quale vivrebbe una vita senza imprevisti negativi né tanto meno di un qualsivoglia mai possibile miglioramento, fino al momento che la loro figlia più giovane viene accidentalmente uccisa dalla mafia. Dopo aver superato lo shock e finito il periodo di lutto, come detto si scoprirà che i parenti delle vittime di mafia dovrebbero essere compensati dallo Stato, e quindi essi diventano ben speranzosi che il denaro porrà fine ai loro problemi finanziari.
Purtroppo, il processo è bloccato dalla burocrazia e dall'indifferenza degli avvocati e anche quando il risarcimento è approvato in via definitiva, i soldi ci metteranno ancora tanto tempo per arrivare, derivante dal fatto che la famiglia già vive a credito, ed è in debito con lo strozzino locale. Quando il sacchetto con il denaro sarà finalmente sul tavolo della cucina (la famiglia Ciraulo, ovviamente, non crede nelle banche), ogni membro è oramai più che impaziente di soddisfare i propri bisogni, ma alla fine si piegherà alla volontà del pater familias, che crede fermamente che ciò di cui la propria famiglia ha davvero bisogno, è una bella e sognata Mercedes.
Per quanto riguarda l'approccio generale del film, non si potrebbe assolutamente definire come soltanto quello di una commedia, in quanto né l'umorismo né la tragedia trovano davvero il loro bilanciamento e la loro predominanza nel film stesso, anche se la pellicola può ben vantare alcuni momenti incredibilmente grotteschi e una già menzionata ma rimarchevole performance camaleontica di Toni Servillo, ma che tutto sommato, non è niente di cui poter discutere e che si può pretendere che rimanga a lungo, una volta finita la visione del film.
E c., sì anche qui c'è Pier Giorgio Bellocchio, nella parte di un sordomuto.
Festival del Cinema di Venezia Anno 2012 Nominato al Leone d'Oro per Daniele Ciprì.
Napoleone Wilson
ho visto i trailer... mi ispira
RispondiEliminaanche a me ispira, e lo guardo mòmò... poi mi esprimo
RispondiEliminaPirtroppo non sono riuscito a vederlo, già scomparso dai cinema!
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