venerdì 9 novembre 2012

Dupa dealuri - Oltre le colline

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Cristian Mungiu non ha bisogno di presentazioni, primo perché è in buona sostanza a lui (e al collega Corneliu Porumboiu) che si deve la (ri)nascita del recente cinema rumeno, secondo perché la Palma d'oro assegnatagli in quel di Cannes per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) gli ha permesso di ottenere così tanta stima internazionale da rendere superflue le formalità di rito. Peccato che questo Oltre le colline non abbia guadagnato più di un “semplice” riconoscimento alla sceneggiatura, il cosiddetto Prix du scénario, quando avrebbe invece meritato se non il premio per eccellenza almeno un Grand Prix ex-aequo con Reality, gratificazioni “soffiategli” sotto il naso, galeotta la giuria/regia morettiana, dalla pur validissima coppia Haneke/Garrone. Poco importa, diranno gli estimatori che, nonostante tutto, credono ancora nel valore del cinema anziché in quello dei festival e dei relativi distributori, delle loro logiche aberranti e degli altrettanto aberranti sotterfugi, l'essenziale è che comunque la finezza di questa pellicola sia stata sottolineata nel modo più doveroso. Tutto merito della BIM, che acquistando i diritti dell'ottimo Dupa Dealuri (questo il titolo originale) è riuscita a inserirlo in un pur esiguo spiraglio distributivo, destinato in breve a scomparire tra i due Scilla e Cariddi del blockbuster e dei multisala.

Voichita e Alina (Cosmina Stratan e Cristina Flutur, praticamente esordienti, e vincitrici pari merito del Prix d'interprétation féminine) sono amiche d'infanzia, entrambe orfane e cresciute assieme in uno sperduto orfanotrofio di campagna. Una volta dimesse dalla struttura, Alina si trasferisce temporaneamente in Germania, dove lavora come cameriera, mentre Voichita sceglie la strada dell'orazione e della spiritualità, ritirandosi in un convento ortodosso nelle vicinanze. Una ha fame di mondo, l'altra sete di Dio; la prima sogna una vita normale, la seconda ha ormai preso i voti. Sono ragazze così diverse, nel fisico, nell'anima, nei gusti, eppure si amano di un amore che va oltre la semplice e cameratesca fratellanza. È per questo che Voichita ha promesso ad Alina di seguirla all'estero, perché stiano sempre unite, perché possano contare l'una sull'altra in un mondo intollerante e spesso indifferente; amandosi alla luce del sole, costruendo un futuro basato sul reciproco aiuto e sulla mutua fiducia. Ma quando Alina si reca in monastero perché Voichita onori i suoi patti in virtù del sentimento che le unisce, la giovane ha cambiato idea: è Dio ad aver preso il posto dell'amica, sorella e fidanzata, è l'imperscrutabile presenza divina a colmarne le giornate di una dedizione platonica e immateriale. La vita di Voichita è adesso la preghiera, seguita da digiuno e penitenza; quella di Alina l'abbandono; la famiglia della giovane monaca il convento, quella dell'innamorata la solitudine e la rabbia. Sarà per questo che Alina avrà presto una crisi di nervi, che la costringerà prima al ricovero ospedaliero e poi, una volta dimessa e di nuovo accolta nel romitorio, a una serie di comportamenti “bizzarri”. Difficile spiegarne le motivazioni, più facile individuarne le concause: l'ottusità delle sorelle, che giustamente non ne comprendono le subitanee esplosioni d'ira e gli improvvisi cambiamenti umorali; il moralismo bigotto del sacerdote a capo della congregazione (Valeriu Andriuta); la chiusura a qualunque innovazione, al dialogo come al sentimento; la genuflessione costante dinnanzi ai simboli piuttosto che ai principi, l'adorazione ritualistica di immagini e icone, l'enumerazione di peccati, colpe e mancanze tra le più grottesche. Tutto ciò spingerà le monache a vedere segni proibiti nella casualità di un gesto, a scorgere il demonio oltre la provocazione, a gridare al maligno in una croce nera d'improvviso apparsa in un ciocco da ardere. Poco importa che si tratti di una venatura del legno, poco importa che gli indizi non siano altro che il frutto (questo sì davvero diabolico) della suggestione. Tutto ciò sarà più che sufficiente perché il sacerdote arrivi ad officiare un rito esorcistico per liberare la giovane mente della ragazza dalle inspiegabili ossessioni. Finirà in tragedia, lo sappiamo, ma a dispetto di tale consapevolezza, il film di Mungiu ci appassiona, ci trascina, ci avvolge in un abbraccio di dolore e passione, perennemente in bilico tra ragione e sentimento, fede e umanità.


Sarebbe riduttivo liquidare questo straordinario lavoro come una semplice apologia della libertà di scelta inchiavardata in una critica, seppur raffinata, delle istituzioni sociali; così come parrebbe se non altro scorretto accusare Mungiu di aver realizzato un film per attaccare le religioni tradizionali, in particolare l'ortodossa. Di tutto questo in Oltre le colline non c'è traccia, mai, in nessun momento e in nessuna circostanza. Nemmeno in una rapida occasione, nelle due ore e mezza di proiezione, fluviali ma al contempo leggerissime, il regista rumeno si diverte a scambiare i termini della questione, instradando le sensazioni dello spettatore verso una soluzione di comodo o sgambettandone le convinzioni per puro divertimento. Anzi, sembra al contrario avvicinarsi in una maniera sorprendente a questa piccola ma affiatata comunità monacale, all'apparenza accogliente per quanto chiusa nelle proprie convinzioni e nei propri cerimoniali, capace però di ospitare con la gentilezza delle parole e la semplicità dei gesti. Il prete è un uomo tollerante, chiede soltanto che vengano rispettati i precetti della religione in quella che di fatto è la casa del Signore, mentre le altre sorelle, per quanto le piccole malignità serpeggino tra loro, tra banali rivalse e ammiccamenti maliziosi, non si possono mai definire né crudeli né invidiose. I dialoghi tra le due protagoniste ne sono un esempio lampante: “Come puoi pensare di trascorrere l'intera esistenza in questo buco?” domanda Alina a Voichita; “Il padre ci ha raccontato la storia di un uomo”, risponde l'interlocutrice, “che aveva viaggiato in lungo e in largo per cercare il senso della vita, e sempre era tornato a mani vuote; e di un altro, che invece un giorno aprì la porta di casa e trovò Dio sulla soglia”. E ancora, “Ma non puoi parlare come una persona normale?” “E cosa sarebbe la normalità? La volgarità, la bestemmia?” Sembrano soltanto punti di vista, opinabili o condivisibili, come opinabile e condivisibile può essere la fede in Cristo finché non diviene motivo di settarismo o insofferenza per le altrui credenze; la pace accompagna l'animo di Voichita e delle altre monache sue compagne, il turbamento e l'ossessione quello meno cheto di Alina. Eppure la disgrazia è alle porte, e in modo del tutto inconsapevole, senza che nessuna delle parti in causa se ne renda conto, la ricerca di Dio si volgerà in crudeltà, e il diavolo così tanto invocato e perseguito contaminerà gli animi altrimenti rispettabili della confraternita.

Due percorsi di vita, antitetici e ossimorici, si scontrano all'ombra della fede, stemperandosi nel dubbio, ardendo nella colpa. Quella colpa profonda e inenarrabile, che non si lava né con la preghiera, né col sangue, ma che ognuno di noi è costretto a portarsi nel cuore. In una zona oscura, dove la rabbia si accompagna alla disillusione, e la speranza brilla tra le loro ceneri. Oltre le colline è tratto da una storia vera, balzata agli onori della cronaca internazionale nel 2005 e rigorosamente documentata dal libro-inchiesta di Tatiana Niculescu Bran; Cristian Mungiu ne dà una sua interpretazione romanzata ma non per questo meno aderente alla realtà dei fatti. Il suo film oltrepassa presto l'indagine per farsi poesia, sfugge al reportage e ai suoi costrutti narrativi per sublimarsi in aria, spirito, desiderio e solitudine. Non importa come lo giudicherete, se sarete voi a decifrarne l'ossatura, a chiosarne le vicende o se, al contrario, sarà il film a parlare all'anima con la voce di Dio e alla mente con quella della ragione; giunti ai titoli di coda lascerete la sala con quella frase finale, sibillina ma pervasiva, che per ore vi ronzerà nelle orecchie: “È la vita” dice il poliziotto che prenderà in custodia i sospettati, prima che uno schizzo di fango sporchi il parabrezza del furgone penitenziario. E prima che un ancor più rapido movimento del tergicristallo ne ripulisca la lordura.

Marco Marchetti


16 commenti:

  1. Con tutti i rumeni che già sono in Italia a rompere i c., almeno i loro-brutti-film, si poteva escogitare una sanatoria per non farli entrare, e che c. Non sono aborigeni da salvaguardare, ce ne stanno già troppi.

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    1. Napoleone, non capisco tutto questo tuo rancore nei nostri confronti,ricordati che anche gli italiani sono dei emigrati( su 9 milioni circa di emigranti che scelsero di attraversare l'Oceano verso le Americhe,4 milioni erano tutti italiani)e non solo in America basta fare una ricerca su internet per vedere tutti gli altri paesi ....purtroppo non sono tutti brava gente ,anche in italia ci sono i cattivi!...come in ogni nazione .... non generalizzare...Dio ha creato la terra per tutti noi,perchè tutti Noi siamo figli di Dio.Cordialità.Daniela

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  2. Napoleone, non capisco e non condivido nulla di quel che dici in questo caso. di Mungiu ho visto e apprezzato molto 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni e non vedo l'ora di vedere anche questo, del quale non solo Marco ma anche altri me ne parlano solo bene.

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  3. Eh vabbè, non si può nè si deve essere sempre d'accordo su tutto, ed è più bello così..

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  4. Spero esca presto in dvd, non vedo l'ora di vederlo in originale; il rumeno sembra una lingua molto bella... Peccato da noi sia da sempre invalsa l'abitudine a doppiare tutto e senza alcun criterio. Comunque questo Dupa Dealuri è il miglior film dell'anno, senza dubbio, insieme a C'era una volta in Anatolia (in realtà risalente, quest'ultimo, al 2011 e tardivamente distribuito sui patri litorali) e Silent Souls di Fedorchenko. Tutti e tre imperdibili e fondamentali per chi si pone domande sulla vita e di conseguenza sulla morte.

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  5. anch'io preferisco sempre la v.o. dei film.
    purtroppo non ne ho visto nemmeno uno dei 3 che citi...

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  6. "C'era una volta in Anatolia, "Silent Souls" e questo, migliori film dell'anno..Non dico niente si che è meglio. Mi ricorda quel vecchio segmento di un episodio storico di "The Twilight Zone" anni '80, con quell'uomo che si sveglia una mattina e tutti parlano una lingua incomprensibile, con i termini e le definizioni assurde e scambiate. A volte si può provare questa sgradevole sensazione, pure da queste parti. Migliori film dell'anno, certo. Non certo per chi si può definire davvero un amante del cinema-cinema, forse di qualcos'altro di talmente ermeneutico e volutamente altezzoso, inaccessibile, in una parola punitivo per lo spettatore e la gioia propriamente della visione, bastante unicamente a sè stesso e ai suoi "autori", come questo cinema qui.

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    1. hehe sempre duri i tuoi commenti napoleone :)
      comunque bella The Twilight Zone, mi sono visto un episodio che avevi citato tempo fa.. "Caccia al procione". Prima o poi penso che mi metterò a guardarla tutta la serie. Tu la consigli immagino?

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    2. Più che "caccia al procione", vorrai dire "caccia al frocione". Tanto i rumeni già sono stati messi in croce, mancano solo quelli e sem a post :-) eh eh

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  7. L'unico film rumeno di qualche valore che vidi fu "Terminus Paradis" di Lucien Pintilie

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  8. Ma come.. vorresti dire che non sei stato ammaliato dalla grandiosa opera rivoluzionaria di Anaconda 3 e 4?

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  9. veramente bella questa rece, finalmente ho trovato il tempo di leggerla con calma... e la voglia di vederlo è al picco.
    Marco, penso potresti apprezzare, e parecchio questi 2 film che, se non hai visto, ti consiglio caldamente: Il grande silenzio e Ostrov - L'Isola

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    1. Il grande silenzio è bellissimo, lo vidi nel cinema parrocchiale di Germignaga, sperduto avamposto nei sobborghi del luinese! Il secondo mi manca, se per caso lo conservi nell'archivio di casa, passamelo pure! Dalla recensione sembra molto molto bello!

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    2. dammi il tempo di cercarlo, devo averlo in qualche meandro dei miei hd, e te lo mando ;-)

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  10. bellissimo. condivido in pieno la rece. appena visto ed ancora emozionato per la vicenda.

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