Rob Cohen è un regista per certi versi paragonabile a Michael Bay: entrambi sono gli esponenti di una concezione del cinema squisitamente barocca, intendendo con tale termine la definizione etimologica che al solito se ne ricava, ovvero quella di una perla arzigogolata, la cui sagomatura altrimenti informe diviene, secondo la peristalsi hollywoodiana, cagione di raffinato interesse e stravaganza intellettuale.
Cohen, che ai più è nome sconosciuto, è stato regista di alcuni dei principali blockbuster delle ultime decadi, da Dragonheart (1996) a xXx (2002), anch'esso con Vin Diesel, passando per Daylight - trappola nel tunnel (1996), The Skulls (2000), Stealth (2005) e La mummia: la tomba dell'imperatore dragone (2008). Non un auteur, perlomeno non come lo intendevano Truffaut e soci, ma un degno mestierante capace di delineare una filmografia a base di esplosioni mirabolanti e altrettanto mirabolanti fuochi d'artificio. Con Fast and Furious, anno del Signore 2001, l'insolito demiurgo americano ha diretto una pellicola che di sicuro si potrebbe collocare ai primi posti di un ipotetico registro del cinema tamarro, forse un gradino più in basso di Machete, ma di sicuro due tacche sopra le creazioni alchemiche e scompaginate di Stephen Sommers. Sì, perché nonostante tutto, l'opera sceneggiata da Gary Scott Thompson, Erik Bergquist e David Ayer (e tratta da un articolo dedicato alle corse clandestine, Racer X, scritto da un tale Ken Li) sa essere incredibilmente coerente con le proprie premesse, e facendo quadrare un cerchio che in altre mani sarebbe rimasto tale, finisce per distillare la “truzzaggine” nell'apparato renale del buon artigianato. Il risultato è l'affresco pacchiano e volgarmente appariscente di una gioventù suburbana e periferica, nonché un esempio a suo modo didattico di cinema ragionato col culo. Insomma, si può essere tamarri in diversi modi e secondo differenti gradazioni, e Rob Cohen lo è tutto sommato nel verso migliore, come un buon vino che invecchiando si insaporisce anziché tralignare in minestra al sapor di aceto.
Fast and Furious è un film sulle corse clandestine, sui motori truccati, su moderni proletari che di giorno si ammazzano di lavoro in oleose carrozzerie, a sgusciare marmitte e sistemare spinterogeni, e di notte sfrecciano in sgommate scintillanti per le strade deserte della conurbazione, ululando alla luna come moderni opliti metropolitani. Scommettono soldi, offrono in pegno il proprio onore, rischiano la vita ma tengono salda innanzitutto e prima di tutto la reputazione di duri. Tra questi c'è Dominic Toretto (Vin Diesel), una montagna di muscoli al gusto di testosterone sospettato dalle forze dell'ordine di capitanare una banda di malfattori impegnati a rapinare furgoni portavalori. Ma dal momento che di prove certe non ce ne sono, la polizia pensa di andarci cauta e di spedire un infiltrato nell'organizzazione di Toretto. Il prescelto è Brian O'Connor (Paul Walker, un biondino fighetto e antipatico che già aveva lavorato con Cohen in The Skulls), il quale, essendo da sempre un appassionato sfegatato di autovetture sportive, tenta prima di farsi amico il baldanzoso Toretto, quindi di divenire suo socio in affari per carpirne i più inconfessabili segreti finanziari. Purtroppo le cose non vanno come dovrebbero, perché tra i due “nemici” nascerà presto un'amicizia virile sincera e totale, che spingerà il primo a presentare il giovane cadetto al mondo brulicante delle corse clandestine, e il secondo, galeotto l'amore per la bella Mia (Jordana Brewster), sorella di Toretto, a brigare per tirare fuori dai guai il proprio mentore. La sceneggiatura ha comunque poco da condividere con il poliziesco classico, dal momento che, per quanto vi siano tutti gli ingredienti necessari a strutturarne un copione dignitoso, l'attenzione di Cohen è sempre troppo concentrata sui motori e le loro truccherie per abbandonarsi agli aspetti “secondari”: gli intrighi tra bande etniche sono ben presenti, come gli sgarri, le sparatorie e i regolamenti di conti, eppure la partitura è scandita da una gran caciara di propulsori meccanici e da una fragorosa polka di cerchioni in lega inossidabile e pneumatici chiodati, con contorno di intrighi soltanto in sordina.
Detto in altri termini, la meccanica (narrativa, più che automobilistica) è quella del cane che piscia per demarcare il territorio: il braccio di ferro tra gli street racers è tutto un tripudio di gasate sull'acceleratore, in cui conta non chi ce l'ha più lungo ma chi corre più veloce e raggiunge per primo il traguardo, mentre il trofeo si divide equamente tra donne e denaro. Il resto c'è, ma è ben collocato oltre la superficie cromata del film. Purtroppo Fast and Furious, che pur tenta in diverse occasioni di omaggiare Gioventù bruciata, abbandona subito ogni pretesto da “social drama” (vedasi la triste biografia di Toretto, raccontata a Brian O'Connor nell'unica scena effettivamente empatica della pellicola) per abbracciare a pieno titolo l'estetica videoclippara di MTV: musicaccia rap in sottofondo, donne patinate e pralinate con molto silicone e pochi vestiti, negri imponenti con capigliatura alberate e via discorrendo. L'artificio è voluto, così come l'ornamento più enfatico e le sfumature più bizzarre, e persino l'assalto al camion di preziosi, nel finale, è talmente adulterato da strappare allo spettatore un sorriso esterrefatto anziché un brivido di partecipazione. Gli attori sono tutti in parte, Michelle Rodriguez in testa con quel fare sbarazzino (e soprattutto mascolino) che la rende fine oggetto di contemplazione erotica, ma alla fine è il boato a dettare le regole piuttosto che la melodia ad accompagnarne le cadenze ritmate. Poco per accontentare i cultori di cinema, abbastanza per soddisfare i seguaci dell'action, moltissimo per i dinamitardi che, almeno in questo caso, vedranno l'esplosione controllata dalla forma, l'arabesco imbrigliato in una “morigerata” cornice registica.
L'impressione è che nonostante le sue carrozzerie luccicanti, le muscolature gonfiate di estrogeni, gli inseguimenti acrobatici e le più compiaciute sbavature, Fast and Furious è un film che in diversi momenti riesce a superare le parti che lo compongono per trasfondersi in qualcosa di astratto e inenarrabile a parole, ma al contempo chiarissimo a chi il film l'ha visto. È come se nelle intercapedini che si aprono nella sua verniciatura, scorrendo epidermiche in un viluppo di cicatrici, la selva (in)umana di palestrati e scimmioni che ne abita le più delicate ramificazioni raggiungesse l'idea dell'Uno a cui tutto ritorna, e al quale l'intero puntualmente tende: quell'essenza incorporea e nebulosa, che in qualche modo sottile ma affascinante consente di perdersi in un imperscrutabile, eleusino immaginario da colletto blu. Per un istante ti senti lì anche tu, fratello di questi cialtroni da suburra, le mani sporche di olio, la colonna vertebrale incurvata tra cofani spalancati come boccacce sudicie, griglie immusonite e carrozzerie più lavorate di uno smeraldo molato al mercato dei preziosi; sei lì a parlare uno slang indecifrabile, a trafficare sotto banco, ed ecco che quando il turno di lavoro è finito, la saracinesca arrugginita del garage cala alle tue spalle tra sfavillanti scricchiolii, il tuo cuore comincia a battere e i pori della pelle a espellere rugiadose stille di sudore. Il respiro accelera e la vecchia pompa ormonale solleva la benna in assetto da guerra, con tanto di rostro puntato al nemico, e le dita che gigioneggiano al volante: la tua vita è la strada, il passato non conta più nulla e nel futuro c'è spazio soltanto per quel rombo tonante che ti monta per il deretano e ti vibra nelle budella. Saluti il prossimo con uno stringato “ehi, fratello, che butta?”, quindi inserisci la chiave nel nottolino di accensione e parti.
Marco Marchetti
ahah! leggere utilizzati certi termini per un film del genere è da scompisciarsi! eh, se vuoi fare una rassegna su Vin Diesel, i F&F sono visione obbligatoria Marco, ghé nien de fà :)
RispondiEliminaecco, mi sarei aspettato una dissertazione sull'auto in quanto prolungamento del pene, che compare per un attimo...
ti riporto il commento di uno dei miei figli, alla prima sua visione di questo cultissimo: cazzo, quante figheeee!!! :D
Si ma, voglio dire, un linguaggio un pò meno forbito no? Ho dovuto prendere il dizionario per capirci qualcosa di questa recensione...oh è F&F mica Kubrick! E dato che l'intero cast,o perlomeno i main characters a livello recitativo stanno messi come dei moderni Nino d'Angelo d'oltreoceano, qualche accenno alle auto, l'unico motivo per il quale guardarsi il film, lo facciamo o no? Tanto per cominciare io direi che questo è il film che ha lanciato la Toyota Supra come auto "cult" tra i bimbomeenkia europei (negli USA un cult lo era già da 30 anni). E poi gli "pneumatici chiodati..." diobbuono, l'avranno mica girato a Cortina in pieno inverno con le strade tutte innevate sto film? Credevo la location fosse situata nella calda California:)
EliminaCultino, cultone. Divertente, tamarro, fortissimo!:D
RispondiEliminaSentite, se vi va lascio il link del mio blog, dove si chiacchera di cinema....http://cinquecentofilmisieme.blogspot.com/.
A me piacciono tutti i Fast and furious..
RispondiEliminaFanno i fighi, hanno le macchine fighe, fanno le corse fighe, hanno le fighe.. Non può non piacermi :)
Mi consenti...,sai io non ti conosco, tu hai uno solo di questi elementi che hanno loro nella vita...?
Eliminahehe direi proprio di no Napoleone :)
Eliminasopratutto non con quel plurale su tutto!
hai detto niente Gus, ahah! io sono fermo al 2, ma guarderò anche gli altri
RispondiEliminaNon ho visto il primo, nè il secondo...mi spiace forse neanche il terzo..ma la critica al tutto merita la lettura!
RispondiEliminabrava nella! be', guarda almeno il primo, merita ;)
EliminaIo sono di parte, sto genere di film mi manda in brodo di giuggiole. Li ho visti quasi tutti...un paio pure al cinema.
RispondiEliminaBelle auto, musica tamarra, belle fighe o bei fighi (a seconda di chi guarda)...cosa volere di più dall'intrattenimento?! :D