“Shaft torna nella sua Patria.”
“Shaft viene bastonato per tutto il suo viaggio.”
- Frasi di lancio originale del film -
Episodio finale della trilogia cinematografica di Shaft, dopo il primo Shaft e il secondo Shaft's Big Score!, (sarebbero seguiti sei telefilm per la tv), “Shaft e i mercanti di schiavi” (Shaft in Africa) ci fa trovare il famoso detective ad applicare le sue uniche competenze in un nuovo, ben più caldo quartiere delle gelide Manhattan, Harlem. In una località non identificata, da qualche parte vicino a Parigi, un giovane e spaventato uomo di colore (AV Falana) è stato malmenato da alcuni teppisti. Nonostante il fatto che egli è il figlio di Emir Ramila (Cy Grant) l'uomo ha buone ragioni per essere terrorizzato, perché è caduto nelle grinfie del mercante di schiavi Amafi (il versatile e sempre ottimo Frank Finlay). Questa è stata una mossa puramente intenzionale, perchè Ramila vuole far cadere l'impero di Amafi, ma comunque è in grande pericolo. Tradito dalle sue stesse registrazioni del duro viaggio che lo condurrà fino in Etiopia, il figlio di Ramila è ucciso senza cerimonie.
Naturalmente desideroso di vendicare la morte di suo figlio e di continuare il buon lavoro che aveva iniziato, Ramila richiede e cerca una sostituzione. Il problema è che non è possibile utilizzare nessuno di famiglia perché tutti i suoi dipendenti sono per Amafi noti, e l'infiltrato deve essere in grado di farsi passare come facente parte di una tribù. Così, una piacevole mattina John Shaft (Richard Roundtree) torna dal jogging per trovare nel suo appartamento Osiat (il grande caratterista nero Frank McRae, che abbiamo tanto apprezzato in “Taverna Paradiso”[Paradise Alley] [1978] di Sylvester Stallone) in sua attesa. Non volendo accettare un no come risposta, Ramila rapisce Shaft e lo fa portare alla sua residenza. Preoccupato per l'idoneità di Shaft, Ramila affronta il suo prigioniero, con una serie di posti ostacoli e osservandone la sua reazione. Soddisfatto da ciò che vede, Ramila invita Shaft ad essergli amico, e lo presenta alla di lui figlia Aleme (Vonetta McGee, una delle più belle e brave attrici di colore degli anni settanta, fece due bei film anche in Italia) e il fiducioso Wassa (Debebe Eshetu).
Attratto da un consistentissimo incentivo in denaro, Shaft accetta di indagare su Amafi diventando uno schiavo e osservando il tutto dall'interno. Con una formazione intensiva si trasforma in un passabile nativo, senza dubbio aiutato da l'attenzione erotica di Aleme. Quindi, pronto per la sua sfida, Shaft è spedito a Addis Abeba e cerca di integrarsi nei modi locali. Purtroppo, sembra che Amafi abbia avuto sentore del suo viaggio, a giudicare dai tentativi di assassinio. Tuttavia, anche se questo avrebbe potuto far naufragare i piani di un uomo dalle minori determinazione e abilità, Shaft va avanti a seminare la pista con il suo aratro mantenendo inalterato il suo spirito coraggioso. E' ormai una sfida tra Shaft e Amafi: o il primo raccoglie abbastanza prove per mettere Amafi di fronte alle sue responsabilità e spazzarlo via o i seguaci di quest'ultimo riescono a sopraffare Shaft. La posta in gioco di certo non potrebbe essere più alta con il destino di migliaia in bilico.
Appoggiandosi pesantemente sulle scappatelle sessuali di Shaft, come sempre irresistibile per qualsiasi donna meglio se bianca e bionda, “Shaft in Africa” coglie il detective in un ambiente inaspettatamente familiare. Prendendolo essenzialmente in un ritorno alle sue radici, Stirling Silliphant (sceneggiatore famosissimo e solitamente bravissimo) ipotizza che il personaggio di Shaft sia fin troppo noto al pubblico. Così le sue reazioni e atteggiamento sono le costanti che rimangono per tutto ciò che fa, non importa che cosa succeda. Purtroppo, mentre Roundtree arriva qui a cogliere un po' l'interpretazione più interessante che abbia mai ottenuto, il resto del film non è sempre all'altezza del suo standard. La trama vede Shaft trascorrere una quantità eccessiva di tempo in Etiopia, che appare certamente un'ambientazione favolosa, ma senza in realtà ottenere qualcosa. Ancora più curiosamente, nonostante la rappresentazione abbastanza positiva dei nativi africani, la gente del posto non ottiene molto più di uno sguardo per il quale è necessario agire solidamente. Il risultato finale è un po' poco coinvolgente e statico, è più uno spettacolo di viaggi e splendide ambientazioni condito con la violenza di un avvincente quadro blaxploitation.
Mentre Roundtree arriva a interpretare benissimo il suo ruolo da infiltrato, abilmente giocando oltremodo sull'abilità leggendaria di Shaft nella sfera sessuale, egli è l'unico membro del cast ad avere un impatto significativo, molto più anche di Frank Finlay. Questo è in parte colpa dello script stesso di “Shaft in Africa”, che non compie alcun tentativo di delineare dei ruoli solidi, e in parte a causa del cast non eccellente come nei precedenti due capitoli. Dalla parte dei buoni, Grant e (il doppio giochista) Eshetu fanno ciò che viene loro richiesto, ma non di più. Tra i molti lavoratori illegali in cui Shaft si confonde, ce ne sono alcuni che sono a favore del film, ma anche in questi ruoli non ci sono caratteristiche distintive tali da spiegare la loro scelta o meno. Il cattivo principale Finlay è ovviamente un po' più interessante, con alcune stranezze personali a suo favore, anche se come detto difficilmente fornisce per Shaft molto più di un blando antagonista. Per quanto riguarda le donne, a parte Vonetta Mcgee, le bianche sono inclini a cadere ai piedi della magnificenza di Shaft, non hanno profondità e non ci si dovrebbe aspettare da loro più di tanto.
In qualche modo John Guillermin potrebbe essere stato un po' più avanti del suo tempo con la realizzazione affidatagli di questo “Shaft in Africa”, (se soltanto si pensa che nel biennio successivo avrebbe diretto due blockbuster “con idee” epocali al botteghino come “L'Inferno di cristallo” [The Towering Inferno][1974], e “King Kong” [1976] cercando di catturare una grossa fetta di pubblico con un grintoso dramma urbano, ambientato dentro e fuori alla savana. Questo è, tuttavia, non una scusante per fare un film abbastanza inerte a causa di uno script povero. Shaft subisce una scarsità di battute e dialoghi che invece di essere come solitamente interessanti, già allora venivano interpretati come anemici, quindi dovrebbe essere chiaro quanto il resto del casto possa essere mal servito. Il fatto è che i piacevoli luoghi in cui è ambientato, e un protagonista oramai noto come Roundtree non sono bastati a determinare un film propriamente classico, soprattutto quando il regista non è solamente competente, ma uno dei più competenti della sua epoca per quanto riguardava i film d'azione maggiormente “Bigger Than Life”. Purtroppo in questo terzo capitolo anche la colonna sonora è quasi “invisibile”, facendo sì che “Shaft in Africa” non sia semplicemente un altro film della trologia molto buono e un modo eccitante per la sua conclusione.
Brani presenti nella colonna sonora:
"Are You Man Enough"
Eseguita dai The Four Tops(as Four Tops)
Parole e musica di Dennis Lambert e Brian Potter
Napoleone Wilson
non sarà il migliore, ma me lo vado a vedere immediatamente! intanto la pubblichiamo...
RispondiEliminati ho messo una bella carrellata di locandine Napoleone, hai visto? sono tutte degne.
non ho resistito. dovevo subito mettere 2 foto della bella giulia coupé di Shaft. per la serie: quando in italia si facevano macchine con gli attributi. mi pare anche un bel richiamo ai nostri poliziotteschi.
RispondiEliminaQuello giapponese in particolare ama anche quello italiano in "L'Uomo Tigre style", sono spettacolari.
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