lunedì 17 ottobre 2011

This Must Be the Place

33

Mai per soldi sempre per amore.

Dalla frase di lancio del film.

Tre anni dopo il trionfale successo critico e di pubblico, oltre a l'ulteriore e decisa affermazione anche internazionale de “Il Divo” ('08), torna quello che è con poche possibilità di smentita né alternative, il migliore e più personale regista italiano degli ultimi anni, nel suo primo film “americano” e girato interamente in lingua inglese.

Paolo Sorrentino quindi, ci presenta il personaggio di Cheyenne (Sean Penn), una rock star annoiata e invecchiata molto male, tant'è che non ha nemmeno più preso una chitarra in mano da 20 anni. Guadagnando comunque miliardi dai diritti d'autore, vive in un molto appartato castello elisabettiano a Dublino con sua moglie Jane (Frances McDormand), che inspiegabilmente continua pure ad esercitare la sua professione di vigile del fuoco (!). La sua migliore amica è invece un' adolescente gothic una volta si sarebbe detto dark, di nome Maria (Eve Hewson, figlia di Bono degli U2), e sempre insieme a lei Cheyenne va costantemente a fare spesa con il trolley al vicino centro commerciale. Quando il punto più emozionante e imprevisto della giornata è essere insieme a Jamie Oliver che sorreggendo una carota vi trova ossessionato dal sesso com'è, un pene, pretendendo anche di riderci sopra, allora è sicuro che si possa dire che il nostro protagonista si senta molto annoiato. La scossa di cui Cheyenne aveva bisogno da troppi anni arriva alla notizia che suo padre sta per morire. Partito in viaggio per New York (rigorosamente in nave, perchè da troppi anni ha maturato una fobia tale che non lo fa più volare), ovviamente arriva così tardi che suo padre è già deceduto.
Attraverso gli scritti e le lettere di testimonianze lasciate da suo padre, Cheyenne conosce l'amico e famoso cacciatore di nazisti Mordecai (Judd Hirsch, grande attore americano di teatro il quale ha vinto più di un Tony award, ma anche di molto cinema anni' 70 e di tv, fu candidato all'Oscar come Miglior Attore Protagonista insieme a Timothy Hutton per “Gente comune” (Ordinary People) ('80) di Robert Redford, ed era tra l'altro il detective Dominic Delvecchio nella splendida serie poliziesca “Delvecchio”('76/'77) di Steven Bocho), e scopre che suo padre aveva passato molti anni della sua vita cercando di rintracciare una delle guardie naziste, che lo aveva tormentato nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel tentativo di riconciliarsi con la memoria del padre, Cheyenne parte per un viaggio lungo l'America per rintracciare Aloise Lange che pare essere sempre vivo 95enne (Heinz Lieven, bravissimo), stavolta per sempre.

This Must be the Place” attraversa diversi generi, tenendo per ogni sotto-trama che nasce dal suo viaggio sulle strade americane, un'affascinante architettura ad incastro con eventi narrati del passato e all'origine delle storie, oltre ad essere un po' - ma solo all'apparenza -, un thriller di vendetta. Questi elementi si fondono abbastanza bene, alimentando il tutto e alimentandosi un l'altro in diversi punti del film. Cheyenne aveva quindici anni quando decise che suo padre non lo amava e che da lì in avanti avrebbe indossato un sacco di pesante make-up dark alla Robert Smith dei The Cure al quale è più che ispirato. E nonostante ora abbia raggiunto oltre la mezza età, non si è da quel punto della sua vita praticamente più sviluppatosi emotivamente. Conciliando adesso sé stesso con la memoria del padre, dovrà rintracciare Lange, per poi sperare finalmente di incominciare a crescere. La sua trasformazione fisica, alla fine del film suggerisce ulteriormente questo aspetto, che finalmente sia diventato ''un uomo''. Questa trasformazione è naturalmente aiutata dal suo viaggio lungo le strade e gli incontri di un'America rurale un po' come il personaggio di Travis/Harry Dean Stanton, che proprio citandolo, è presente anche in questo film in una breve apparizione -tra l'altro nei panni di un personaggio veramente esistente-, e cioè un' altro importante film “americano” di un regista europeo allora in piena affermazione, “Paris, Texas” ['84] di Wim Wenders) come adesso che ha un sacco di tempo da dedicare a se stesso e al suo nuovo trovato scopo, essendosi ritrovato solo di fronte alla tragedia a cui era sopravvissuto il suo separato padre.

All'inizio del film, interamente ambientato a Dublino, nessuno dei temi di cui sopra sono esplorati. Sembra un lunghissimo tempo di attesa, per impressionare davvero il pubblico su come e quanto annoiato e senza direzione si senta il miliardario Cheyenne. Siamo introdotti a Jane, Mary, e Desmond (Sam Keeley), pretendente sfortunato di Maria, oltre a un paio di trame laterali. Maria e Desmond potranno mettersi insieme come Cheyenne vorrebbe, oppure no. Mentre Tony, il fratello di Maria, è scomparso andandosene via di casa senza lasciare detto niente. La loro madre (Olwen Fouere) è ovviamente per questo molto sconvolta e angosciata. Ma non appena Cheyenne va in America, questo è tutto apparentemente dimenticato. C'è una breve telefonata o due, ma proprio come il film si sentiva che stava andando in tutta un'altra direzione, esso ne tira fuori uno completamente diverso. Questo è, ovviamente, più aderente alla vita reale, ma si percepisce che rende il film un po 'sconnesso. Mentre Cheyenne sta prendendo a prestito un pick -up da Ernie Ray (Shea Whigham, il fratello di Steve Buscemi/Nucky Thompson in “Boardwalk Empire”, grandissimo attore per ruoli di duro e cattivo, che sta diventando sempre più attivo e richiesto) per non lasciare tracce con il noleggio di un'auto, o è costretto a riprendere in mano la chitarra per il figlio fobico e ciccione di Rachel (Kerry Condon), ma ovviamente gli è difficile da dimenticare che è già passata una settimana di tempo da che è partito lasciando sua moglie in Irlanda, e che questo è un tempo molto lungo per lui che non si è mai separato da sua moglie negli ultimi trentacinque anni.

This Must be the Place” è un brano sempre fantastico, ed è sempre stato un pezzo molto cinematografico (l'anno scorso ha fatto parte anche della o.s.t. di “Wall Street: Money Never Sleeps” ['10] di Oliver Stone).
Tutte le sequenze di raccordo con paesaggi rurali e squarci della provincia americana sono bellissimi e non indulgenti, mentre la performance nel film (colonna sonora interamente quanto mai strepitosa e variegatamente dotta e di gran gusto, espressione di grande conoscenza personale della musica e dei suoi generi, come sempre per Sorrentino) di David Byrne -che interpreta se stesso- di “This Must be the Place” è impressionante da guardare e ascoltare e tra i momenti che rimangono di più dell'intero film, quasi al livello inventivo di “Stop Making Sense” ('84) di Jonathan Demme.
Sulla sua ricerca di Aloise Lange, tutto diventa però un po' troppo facile e conveniente per le esigenze della storia. Cheyenne è in grado di completare in un tempo relativamente breve ciò a cui suo padre aveva dedicato gran parte della sua vita. Questo richiede un poco di sospensione della verosimiglianza, soprattutto perché Cheyenne sembra così debole e debole di volontà, all'inizio del film.. Nel culmine della caccia al nazista, decenni di dolori non soffocati si riaffacciano, così come le difficoltà per ottenere un risultato per ciò che Cheyenne sta cercando di raggiungere, con le sue iniziative
A parte questo, Sean Penn imprime una forte e memorabile interpretazione al ruolo di Cheyenne. Mascherato dal trucco e dai capelli cotonati, ridacchia e fa le fusa per tutta la tradas che percorre attraverso il film, sconfinando avvolte nell'esagerazione e nel gigionesco, ma è sempre molto 'divertente, anche se certo non del tutto credibile. Frances McDormand è abbastanza sprecata, in quanto il suo tempo sullo schermo è alla fine poco. Sullo schermo, però, è sempre gradevole e sensibile, fornendo un solido appoggio come sua moglie Jane, ad un Cheyenne altrimenti sempre più perduto in un vuoto sfaldamento esistenziale. Judd Hirsch è sempre piacevolissimo da guardare nelle sue interpretazioni, qui come un nodoso, mai pronto ad andare in pensione-cacciatore di nazisti (anche se si invecchia, nel film sostiene di avere 79 -improbabilissimi- anni; sembra disapprovare Cheyenne tanto che la loro collaborazione da coppia “byddy -buddy” è anch'essa divertente e mai troppo prevedibile o scontata. Hirsch aggiunge molta serietà alla trama rientrante nel filone “nazista” di nuovo in auge, nelle ultime stagioni cinematografiche, essendo abbastanza scorbutico per frenare il film affinchè non scada mai in una parodia farsesca. Molto interessante dopo quella di Judd Hirsch anche la presenza di Joyce Van Patten/Dorothy Shore, a testimonianza della conoscenza di Sorrentino del cinema e delle serie tv americane degli anni '60 e '70.

This Must be the Place” è un film molto bello e quindi visivamente piacevole da guardare, con ottime interpretazioni per dialoghi e personaggi, eccellentemente scritti e caratterizzati da un Sorrentino oramai abile come narratore e scrittore-autore, quanto come stilizzato impaginatore di immagini sempre molto personali, in grado quindi su supportare sempre con storie interessanti la sua oramai affermata maestria stilistica ed espressiva. Non sempre sembra però sicuro della direzione da far intraprendere al film e alla sua storia o a ciò che sta cercando di dire, e nel tentativo di affrontare molti argomenti e tematiche, si avverte come un po' di artificiosità.

This Must be the Place” era in origine anche il titolo per la commedia teatrale d'estate di Sam Mendes, ”Away we Go”.
Napoleone Wilson


33 commenti:

  1. si la sensazioe è questa..di un film molto voluto e,come spesso in questi casi,non del tutto riuscito,e comunque non all'altezza dei precedenti..colonna sonora strepitosa e che comprende tanta della musica con la quale sono cresciuto..e vedere Byrne interpretare se stesso è una bella emozione..

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  2. Lo sto ancora metabolizzando. Ma il giudizio è sicuramente positivo, pur con qualche ombra che hai ben argomentato. Qualsiasi regista avrebbe rischiato di perdere il controllo con un'opera del genere; Sorrentino dimostra una padronanza superiore (anche nella gestione di un mostro sacro come S. Penn)

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  3. Grandissimo Wilson: pur con tutte le riserve che hai ben argomentato (e che dimostrano forse come l'idea e la storia in sé siano anche più grandi del regista, per me bravissimo ma forse un po' sopravvalutato) mi hai fatto venire una tale voglia di vederlo che se anziché vivere in culo ai lupi come vivo stessi in una città col cinema sotto casa (o in un paesotto di una Nazione civile dove i cinema ci sono...) mi ci fionderei subito.
    Ottimo lavoro come sempre, il tuo, ma che te lo dico affà? :)

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  4. E questo è il film prox da vedere! S.P. e P.S. assolutamente da andare a cercare… tra l'altro stamattina mi somiglia pure! XXXD

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  5. Ebbravo wilson! ;) Io vado a vederlo mercoledì..non vedo l'ora! ;)

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  6. Che schiaffo però la pubblicità che si vede al cinema prima del film, per il reggiseno Yamamay sensual-edonista con la Ferrari (la Isabella purtroppo, non la macchina, che avrà pure un gran bel culo per la sua età, ma la faccia da mela renetta antipatica e vizza, è quella sua che cià) a bordo piscina di una sfarzosa villa con una cover in sottofondo che massacra "Per un'ora d'amore" dei Matia Bazaar, che schiaffo dicevo, scoprire che l'ha realizzata immagino ben prebendato, proprio Sorrentino. Ma il simil -Tarantini, ancora non in bancarotta e latitante a Santo domingo, giovin patròn della Yamamay, Sorrentino lo sa, chi è...?

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  7. Mi cercherò un cinema senza pubblicità, altrimenti giuro che non ci vado!

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  8. anche secondo me Sorrentino è "...il migliore e più personale regista italiano degli ultimi anni". questo non l'ho ancora visto ma non dubito di una sola tua parola caro Napoleone, al solito rece eccezionale e, se posso fare la "critica alla rece", hai usato anche un tono complessivo nel linguaggio particolarmente "misurato", quasi a voler replicare l'atmosfera del film, m'è sembrato di vederlo.
    come sempre, temevo la "americanizzazione", e se ha retto l'urto allora è veramente il regista del momento del nostro cinema.

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  9. Ho il sospetto che questo film mi piacerà molto :)

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  10. Concordo con la recensione. Il film mi è piaciuto, consiglio di vederlo in lingua originale per comprenderne appieno l'essenza.

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  11. Adoro Penn e adoro Sorrentino.Grazie per la recensione.A breve andrò a vederlo.

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  12. Grazie Zio Scriba, io e te siamo sempre in sintonia.

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  13. A me il film è piaciuto, pur non entusiasmandomi. Sorrentino è l'unico regista che abbiamo capace di dare alle proprie opere un respiro 'internazionale', e di questo dobbiamo rendergliene merito. Questo film può funzionare benissimo a qualsiasi latitudine, pur essendo nettamente inferiore a 'Le conseguenze dell'amore' o 'Il Divo'.

    E' un film splendidamente accurato, un road-movie affascinante in quell'America 'da cartolina' che tanto piace a noi (inevitabile non scomodare Lynch e il suo 'Una storia vera').

    Peccato che la storia sia banalotta e già vista, e peccato soprattutto che Sorrentino prenda l'Olocausto quasi come un 'pretesto' per parlare d'altro (si ha la sensazione che al regista interessino più le immagini e le canzoncine di David Byrne piuttosto che la storia) e questo mi ha dato un po' fastidio...

    Insomma, molta, moltissima forma e poca sostanza. Però di sicuro merita la visione.

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  14. Kelvin d'accordo con te ma soltanto fino ad un certo punto, il nazismo e l'olocausto non e' solo ridotto a mero pretesto per parlare d'altro, piuttosto siamo allo stesso livello di "Ogni cosa e' illuminata" ('06) di Liev Schreiber, su quasi medesimo argomento, anzi penso che il monologo finale di Heinz Lieven/ Alois Lange che riprende in mano quasi tutti i fili del film, sia una delle sequenze e dei pezzi piu' significativi dell'intero cinema -"filone" sull'olocausto. E mi piace perche' alla fine soprattutto non c'e, possibile, "perdonismo". Perche', semplicemente, certe cose non si possono perdonare. Alois Lange se non rientra nella casa mobile in fretta ci potra' anche rimanere data l'eta, dalla sua scontata, vendicata, inflitta umiliazione. E poi scusa, ma sei sicuro, assolutamente sicuro, proprio sicuro, - visto che siamo in tema di criminali nazisti ti faccio come il famosissimo Szell/Laurence Olivier di "Il Maratoneta" (The Marathon Man) ('76) di John Schlesinger- di poter definire come soltanto "canzonette/ncine" quelle dei Talking Heads..??!

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  15. Bellissimo.
    Non avevo mai visto prima un film di Sorrentino, ma This Must Be the Place mi ha fatto venire la voglia di recuperarli.
    E già questo è un enorme risultato.
    Sean Penn e la colonna sonora sono semplicemente strepitosi.

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  16. Vabbè se ne parlate tutti così bene, non posso che andare a vederlo....

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  17. @Napoleone: infatti ho scritto che è una mia 'sensazione', nel senso che sono convinto anch'io che Sorrentino non volesse prendere l'Olocausto come un pretesto... però, secondo me, la struttura del film fa risaltare molto di più la 'confezione' che la causa: lo spettatore rimane 'rapito' dal viaggio, dai grandi spazi, dalla maschera malinconica e dolente di Sean Penn, dai 'numeri' di David Byrne, e solo nel finale si 'ricorda' del perchè Cheyenne si è spinto fin lì...
    Sui Talking Heads invece non mi pronuncio... si entra nel gusto personale. Comunque, nel contesto del film, il cameo di Byrne non può non destare ilarità ;-)

    p.s. a me 'Ogni cosa è illuminata' è piaciuto moltissimo, molto più di questo.

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  18. Comunque kelvin, hai notato come me e purtroppo siamo stati in pochi a leggere tante altre recensioni e trivia cartacee/i e non sul film, i collegamenti con il capolavoro di Lynch "A Straight story"(Una Storia vera)('99)(l'ultimo suo veramente spiazzante e inaspettato capolavoro assoluto, dopo un film così era quasi impossibile riuscire a ripetersi), tant'è che un bellissimo struggente brano al pianoforte della o.s.t. splendida di Angelo Badalamenti creata per quel film, ricorre spesso anche nell'opera di Sorrentino, che lo deve avere scelta ovviamente anche come citazione.

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  19. @Napoleone: 'Una storia vera' è uno dei più grandi film che mai abbia visto in vita mia (e ne ho visti tanti!). Hai perfettamente ragione, è stato il 'canto del cigno' di Lynch... i film successivi che ha girato non sono nemmeno paragonabili.
    C'è una battuta di quel film che mi mette ancora i brividi addosso: 'La cosa peggiore della vecchiaia è il ricordo di quando si era giovani...'
    Straordinario ;-)

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  20. Reputo Paolo "Super Techno Crane" Sorrentino il miglior regista contemporaneo in Italia, non ha concorrenza.
    This Must be the Place è un gran bel film ma assolutamente non il suo migliore e non un capolavoro. A parte le morali che si lasciano intuire.
    sul finale quello che the fastidio è lo stile. E' un maniaco della ricerca dell'inquadratura e questo garba parecchio, niente di più giusto e sacrosanto, Stanley Kubrick insegna, però a sto giro ha esagerato, forse temendo di non essere in grado di dirigere mostri sacri in vista del suo esordio internazionale.
    Colonna Sonora stupenda e sublime, ennesima conferma dei buonissimi gusti che possiede.
    Un bel film (un pò paraculo) con alcuni nei di "presunzione", però può essere l'effetto MEGALOMANE dell'America..

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  21. Un film tecnicamente ineccepibile, ma scritto di corsa e con il solo intento di creare tante scenette cult!

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  22. Visto stasera, risultato MI PIACE MOLTO hehe, l'accoppiata Sean Penn Paolo Sorrentino è da urlooooo!!!

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  23. Leggere queste recensioni mi fa sentire sempre una cacchetta.

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  24. scacciafango, ma noooo... basta farci l'abitudine :)

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  25. Non me ne voglia il recensore, che sembra in gamba e scrive anche molto bene. Ma mi sa che una vocina fuori dal coro qui non ci starebbe male. Il livello di entusiasmo che pervade questo mezzo aborto mi lascia basito ogni giorno di più. Mi chiedo, c'è qualcuno, in giro per la rete, che prima di guardarlo sì è tolto il completino da fan-boy?Avevo grosse -decisamente troppo grosse, a ben vedere, data la stima incondizionata che ho sempre nutrito per il Paolo nazionale fin dai tempi de "L'uomo in più"- aspettative riguardo questa pellicola. E qualche timore, a voler essere sincero fino in fondo. Ma nulla che potesse presagire una disfatta simile. Sciaguratamente, infatti, stavolta la montagna ha partorito il proverbiale topolino. Topo che nella fattispecie è un parruccone cinquantenne semi-ritardato, che gigioneggia alla meno peggio tutto il tempo e non squittisce neanche granchè bene (Ergo: Servillo ma dove cazzo seiii?!?!?!). Duole parecchio ammetterlo, ma nonostante la comunque magistrale, a tratti -ma proprio solo a tratti, eh- anche entusiasmante padronanza tecnica con cui è realizzato, nonchè il palese sfoggio di capitali utilizzati, questo "This must be the place" è un film che fa acqua da tutte le parti. Uno pseudo-drammone esistenziale scialbo e pretenzioso che rincorre inutilmente la poesia, e che altrettanto inutilmente prova ad essere profondo senza minimamente allontanarsi dalla mera superficie, giocandosi senza vergogna alcuna anche la carta del ricatto emozionale dovuto alla Shoah. Un matrimonio malaccorto fra il più dozzinale dei road-movie stelle&strisce ed il trionfo -per quanto sottilmente sfumato, all'interno della narrazione- di quella retorica sionista (pardon, semita) più bieca e parac.ula a cui l'Academy non è MAI stata impermeabile. Potevano direttamente intitolarlo "Sorrentino goes to Hollywood just looking for an Oscar or some money". Un titolo che almeno spiegherebbe la ragione per la quale il "place" in questione (ma magari il problema fosse solamente geografico!) sia così disgraziatamente avulso dalle abituali -assai più congeniali ed efficaci- ambientazioni italiote cui finora il cineasta partenopeo è stato avvezzo.

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  26. Aivoglia a citare "Una storia vera" (ma non scherziamo, per pietà!), a prescindere dai personaggi "desaparecidos" (che più che dar "respiro" alla storia direi che la incasinano, certo per quanto si possa incasinare un qualcosa che praticamente è inconstistente) i punti deboli sono tanti e tali che mi passa la voglia anche soltanto di elencarli, figuriamoci passarli in rassegna e sviscerarli. Valgano, per tutti, l'irritantissima, fastidiosamente ostentata gestualità di Penn (ma quante volte se lo soffia, il ciuffo dalla faccia?), l'assurdamente lungo, IPERGRATUITO cameo di Byrne ed il finale stesso, assolutamente inconcludente quanto completamente campato in aria (come del resto tutta la caccia al nazista che fa da sfondo agli avvenimenti). Chiamare trama un'accozzaglia simile di situazioni al limite della decenza e ben oltre il senso del ridicolo, semplicemente mi ripugna. Ok, direte voi, la trama non è certo ciò che fa di Sorrentino il gran regista che è stato (e che spero vivamente torni ad essere, una volta rinsavito dalla sbronza di dollari in arrivo). Solo che a scricchiolare, qui, e parecchio, sono persino i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi, solitamente carte vincenti nelle precedenti opere dell'autore. Vogliamo parlare del "simbolismo"? Really? Cazzarola, se tagliarsi i capelli e fumarsi una marlboro significa diventare adulti qui conviene darci ai teletubbies, altro che Settima Arte. L’impressione è che, decontestualizzato dal proprio habitat naturale, cioè quel mix spesso grottesco di provincialità e grettezza squisitamente (!) italiano che ha fatto brillare tutti i suoi precedenti lavori, anche lo spiccato gusto di Sorrentino per il "sopra le righe", quell'enfasi quasi macchiettistica che ben si confaceva alle maschere di un Geremia de' Geremei o del Divo Giulio, finisce col sortire un effetto diametralmente opposto a quanto sarebbe stato più che lecito augurarsi. La più grossa delusione filmica degli ultimi dieci anni. Tanto più da evitare, ed a maggior ragione boicottare, se come il sottoscritto siete dell'idea che a capolavori come "Le conseguenze dell'amore" spetti di diritto un cantuccio nel gotha della cinematografia mondiale.
    p.s.
    Anch’io trovo che “Ogni cosa è illuminata”, a parità di intenzioni, sia superiore almeno di 2 spanne.

    Domenico Marchettini

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  27. ciao Domenico! bentornato...
    il recensore è MOLTO in gamba, poi pareri e gusti si sa... non entro nel merito. condivido i tuoi giudizi in generale su Sorrentino, questo film io però non l'ho visto.
    a prescindere da ciò, mi piacerebbe leggerti più spesso da queste parti, consideralo un invito ufficiale ok?
    ciao :)

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  28. Grazie del bentornato, e soprattutto dell'invito a commentare.
    Il fatto è che sono un cyber-zingaro (nel senso che vado a zonzo e poi i siti che visito manco me li ricordo!) per giunta assai pigro, e sento l'impulso irrefrenabile di postare solo quando leggo qualcosa che mi fa incazzare.
    Ebbene sì, sono una pessima persona con un brutto carattere. ;)
    Ma qui ci torno.
    Date ottime segnalazioni, e poi si vede che il Cinema lo amate sinceramente.
    Guardalo, comunque, l'ultimo Sorrentino.
    Probabilmente dopo mi darai del "moderato".

    D.M.

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  29. certo Domenico, lo guarderò sicuramente il film. a questo punto aspetto il dvd
    sono molto contento che hai accolto l'invito!
    alla prossima :)

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  30. finalmente visto e m'è piaciuto, davvero! non so, non sto a far paragoni con altri film ché non saprei farne. questo ha una sua personalità e stile. sì, Sorrentino ha il dna internazionale. c'è anche un pezzo dei sigur ros nella musica, quel brano di piano-solo che ogni tanto compare.

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  31. Un grande film, visto ieri sera. Stavo anche pensando di farne la rece, ma vedo che ci ha già pensato Napoleone.

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